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Capitolo secondo
– Tra qualche ora potrai abbracciare i tuoi cari nonnini – disse lo squilibrato automobilista, fermandosi bruscamente. Entrammo per pochi minuti in uno squallido autogrill.
Un cliente masticava un panino e con la bocca piena gridò: – Per un tipo come il Sismondi ci vorrebbe la forca!
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E l’altro: – Una scossa elettrica!
E il primo: – Meglio la forca, perché non sopporto l’odore di bruciato!
Intanto, il barista, un tipo strano, sciacquava i piattini, le tazze e ascoltava in silenzio i due clienti. Aveva due occhi grandi, sempre sgranati, un naso esagerato, una guancia gonfia e pochi capelli.
Seduta al tavolino c’era una signora con le lenti a mezzaluna, intenta a sfogliare un giornale; mentre sorseggiava una bevanda, m’accorsi che, quando le arrivava in gola, cominciava a gorgogliare come un tubo intasato.
Dopo un po’ riprendemmo il viaggio. Il signor Piero schizzò come un razzo: io congiunsi le mani in segno di preghiera e invocai l’Arcangelo Gabriele, perché mi proteggesse durante gli ultimi quaranta chilometri, che mancavano per arrivare al paesino dei miei parenti.
Ci siamo – fece il signor Piero e poi fischiettò un motivetto che allentò la tensione.
Sapevo che ad attendermi c’erano i nonni e non vedevo l’ora di abbracciarli.
“Un po’ di serenità è quel che ci vuole” mi dissi e, pensando al mio pallore, convenni che la scelta del babbo non era stata del tutto sbagliata.
– Ancora cinque minuti ragazzo – esclamò il folle.
E, in effetti, dopo appena cinque minuti, eravamo dietro il cancello della villetta dei nonni, col cuore che mi batteva forte.
– Nonna, sono Marco – gridai. La porta si aprì e sull’uscio apparvero nonna Cecilia e nonno Bartolomeo: – È arrivato il pupo, il pupetto nostro – gridava nonna Cecilia, agitando le braccia mentre il nonno si affrettava ad aprire il cancello: – Bel piccino, bello di nonno, bello mio! – mi disse, abbracciandomi e spettinandomi.
Fu una scena commovente proprio come quella che spesso si vede nei film.
Subito dopo apparve la sorella del babbo, zia Alice, che mi tempestò di baci e di abbracci, fino a togliermi il respiro.
– Ho gli occhi gonfi di lacrime, perciò non ti vedo bene – disse – però mi sembri più cresciuto e sei diventato bello come tuo padre. Immagina che quando le mie amiche lo incontravano gli facevano le labbra a cuoricino; tutte me lo invidiavano.
Poi è venuta tua madre dal sud e me l’ha portato via.
Dopo un po’, zia Alice incominciò a piangere, mentre i nonni a stento riuscivano a trattenere le lacrime.
La nonna azzardò una frase che mi lasciò di stucco, ma che mi fece a lungo pensare:
Quel figlio mio – rivolgendosi a mio padre è stato dipinto da un angelo del cielo, tanto è bello.
In quel momento pensai al babbo e al suo aspetto.
“Sicuramente è stato un angelo molto miope per avergli lasciato un naso lungo e un paio di orecchie a sventola che, quando fa freddo gli diventano più rosse del didietro di una scimmia” mi dissi e, poi, pensai alla mamma così sensibile e tenera quando, rivolgendosi a mio padre, gli dice a proposito delle sue orecchie che col tempo si restringeranno: «Vedrai, diventeranno quasi normali e, se ciò non dovesse accadere, te le sistemerà un chirurgo. Comunque, mi piaci così, perché sono state proprio le orecchie a farmi innamorare di te» e gli appioppa un bacio sulla fronte.
La mamma gli racconta queste balle grosse per evitare che il trauma possa peggiorare così che il babbo, in quei momenti, sembra quasi felice d’avere due orecchie da elefante.
A te la penna
* Immagina di essere il signor Piero e di raccontare a Marco le stranezze del suo cane.