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Capitolo settimo

Capitolo settimo

affetto, perché lei continuava a piangere. Ad un tratto sentimmo un tonfo e, subito dopo tanti rumori: mi misi a sedere sul letto e aguzzai l’udito.

– È il babbo, si sta sfilando i pantaloni e ogni sera, quando se li toglie, piombano regolarmente sul pavimento chiavi e monete. Ora mio padre reciterà alla mamma alcune frasi che ci faranno morire dal ridere – disse Matteo.

Se continui a lacrimare nel tuo bel pianto potrei navigare. Io sono un marito non sono un pirata, non piangere, testa di rapa!

Matteo e io ridemmo a crepapelle, immaginammo l’espressione di zia Alice, che continuava a lamentarsi, cacciando certi miagolii che avrebbero intenerito chiunque all’infuori di zio Umberto, che riprese a canzonarla senza pietà.

Mia zia singhiozzò ancora per un po’ e poi la sentimmo finalmente russare.

– Stanotte ho dormito proprio male – disse zio Umberto l’indomani mattina.

– Si vede! – esclamò acida zia Alice.

– Ho gli occhi gonfi di sonno, e…

– … il pullover a rovescio, la camicia che esce dai pantaloni e il cappello schiacciato come una focaccia – puntualizzò Matteo.

– Sei davvero uno zio speciale – intervenni per addolcire la pillola.

Sono un po’ sottosopra anche con i pensieri – confessò, facendosi improvvisamente serio.

Mio cugino mi diede una gomitata e sollevò le sopracciglia: – La caverna! – mormorò con un fil di voce.

Salutammo e ci dirigemmo verso la casa dei nonni.

Nonno Bartolomeo era entrato proprio in quel momento nella stalla e sentimmo la sua voce: parlava con Serena e Guendalina, così sgattaiolammo nel capanno degli attrezzi e prendemmo torce e corde.

– Prendi anche la zappa, potrebbe servirci per scavare – mi disse Matteo, indicandomela.

Dobbiamo affrettarci. Sono sicuro che il babbo e il nonno faranno un sopralluogo nella grotta e credo proprio che non saranno i soli. L’arrivo dello speleologo ha scatenato tanta curiosità in tutti gli abitanti – concluse Matteo, sistemando le corde e le torce in uno zainetto.

Andammo prima da Angelo e poi da Mario. In casa di quest’ultimo c’era aria di bufera.

Quel demonio di mio fratello una ne pensa e mille ne fa.

Entrammo in casa e vedemmo la mamma del mio amico con le braccia ai fianchi e la faccia verde: – Mi farai scoppiare la bile – disse, rivolgendosi al marmocchio, che correva con un vaso di porcellana bianco a fiori, ficcato in testa.

Voleva fare il capitano! – disse Mario ed ha deciso di usare il vaso a mo’ di cappello. Ed ora la testa gli è rimasta incastrata.

È un piccolo demonio! – esclamò la mamma. – Il mio bel vaso a fiori, il mio bel vaso a fiori! – ripeteva, disperandosi.

Intanto il marmocchio incominciò a strillare e, facendosi venire le convulsioni, ripeteva: – Levatemi questo coso dalla testa! La mamma ci aveva provato più volte senza riuscirci; poi, esasperata, afferrò il vaso e lo sollevò energicamente. Ma il risultato fu disastroso: il marmocchio rimase sospeso a scalciare e a urlare come un maiale scannato. – Calmati! – prima o poi troveremo la soluzione – diceva Mario, guardando il fratellino con il vaso in testa.

La mamma, allora, propose di spaccarlo con l’attizzatoio, ma la piccola peste incominciò a strepitare di brutto.

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