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Capitolo quarto
Bettina aveva con sé due cestini di vimini, in uno c’era il suo cagnetto, il cui nome era nientemeno che Maciste.
Appena mettemmo piede nel bosco, sentii un brivido di freddo.
I miei amici procedevano con sicurezza, mentre io facevo fatica a raggiungerli e arrancavo non poco.
– Fermatevi! – gridavo.
Ad un tratto sparirono ed io, sopraffatto dalla paura, incominciai a tremare.
Tutto era silenzio e il verde cupo delle foglie creava zone d’ombra che mi misero in subbuglio il cuore.
– Siamo qui, lumacone! – gridò Bettina.
– Muoviti! – strillarono gli altri due, facendo capolino tra i rami di un albero.
Io, invece, rimasi immobile e aspettai che scendessero dall’albero.
Imboccammo un sentiero fiancheggiato da cespugli e passammo accanto ad alberi sottili, coperti di rampicanti. Il terreno a tratti era scivoloso e i ramoscelli secchi, caduti dagli alberi, scricchiolavano al nostro passaggio. Quel rumore mi trapassò il cervello e la paura prese su di me il sopravvento.
– Sono stanco – dissi. – Perché non ci riposiamo un po’?
Dobbiamo trovare le fragole, perciò diamoci una mossa, se vogliamo tornare a casa per l’ora di pranzo. In lontananza sentii il rumore dell’acqua.
– Laggiù c’è un torrente pescoso – disse Bettina, puntando l’indice in quella direzione.
– Domani allora, andremo a pescare – disse Angelo.
– Buona idea! – esclamò Mario, pregustando l’arrosto di pesce.
Capii subito che conoscevano il bosco come le loro tasche e che procedevano sicuri, proprio perché c’erano stati tante volte, perciò mi sentii più tranquillo.
Ad un tratto i raggi del sole filtrarono tra il fitto fogliame, formando coni di luce.
In quel momento il bosco sembrava un luogo magico e la paura in parte mi stava passando.
All’improvviso, Bettina cacciò un grido: – Eccole, sono laggiù! – e indicò un cespuglio di fragole rosse e mature.
Mario e Bettina insieme al piccolo Maciste, saltavano da un sentierino all’altro, piluccando fragole qua e là. Io ero dietro di loro, senza mollarli nemmeno per un secondo, e con la bocca piena. Ad un tratto vidi un tronco pieno di formiche gigantesche e un grosso ramarro che correva tra l’erba; lanciai un grido, soffocato subito dalle risate dei miei amici.
– Più che un ramarro sembra un coccodrillo! – dissi candidamente. Allora quelli, per tutta risposta, si piegarono in due e ripresero a ridere. Anche il cagnetto rise, ma a modo suo, scodinzolando e mostrando i suoi denti di sarago. Dopo appena cinque minuti, Angelo scorse un piccolo scoiattolo, dal pelo fulvo, che saltellava tra i rami di un albero.
– Che tipo spericolato! – gridò Bettina, scoprendolo a dondolarsi a testa in giù.
Dopo un po’, i miei amici pendevano da un ramo anch’essi a testa in giù e si dondolavano, come faceva lo scoiattolo.
– Potrebbe arrivarvi tutto il sangue al cervello – dissi loro – e rimanere per sempre con le idee confuse – aggiunsi, ma quelli continuarono ad andare su e giù finché lanciai un grido.
– La vostra testa si è gonfiata a dismisura e sta diventando molto strana.
– E poi? – mi chiesero.
E io: – Ora è più grande di prima e potrebbe scoppiare da un momento all’altro. BUM!
Fu così che si lanciarono dall’albero e mi vennero incontro, con la voglia pazza di suonarmele, ma non fecero in tempo, perché li contagiai con la mia risata.
A te la penna
* Maciste è un piccolo cagnetto sempre pronto a cacciarsi nei guai. Che cosa combinò durante la festa di compleanno della sua padroncina? Immagina e scrivi.