3 minute read
Capitolo ottavo
Dopo un po’, in casa di Mario, arrivò anche sua nonna e, quando vide il piccolo col vaso incastrato in testa e capì la gravità dell’accaduto, si portò le mani nei capelli e iniziò a brontolare, indispettita: – Questo vaso mi è costato una cifra, perciò lo tieni in testa a mo’ di cappello, ti dona pure e con questo caldo eviterai di prenderti una insolazione – e continuò a brontolare facendo la voce grossa.
– Ma mi scende troppo sugli occhi e non vedo niente – piagnucolò la peste, battendo i piedi e strepitando.
Advertisement
Poi incominciò a sudare. Mi avvicinai, inclinai il capo e lo guardai: toccai il vaso e lo girai appena, prima verso destra e poi verso sinistra.
Tutti gli occhi erano puntati sul sottoscritto. Mi accorsi che le orecchie del marmocchio erano piegate a metà; allora, con un movimento preciso, le tirai fuori, ma il vaso non si mosse. Lo afferrai con le due mani e lo sollevai con un gesto rapido. Finalmente si scollò dalla testa del bimbetto.
La mamma e la nonna tirarono un profondo respiro di sollievo, il marmocchio batté le mani e incominciò a saltare come un grillo e io, con immensa soddisfazione, appoggiai il vaso sul tavolo.
Dopo qualche ora, eravamo pronti ad esplorare la grotta. Imboccammo, così, il sentiero che portava nella parte più fitta del bosco; per la prima volta camminavo spedito accanto ai miei amici, non avevo paura, anzi quel verde intenso, cominciava a piacermi.
Un’ora più tardi eravamo tutti e cinque nei pressi della grotta. Nessuno mancava all’appello, c’erano anche i due cani Sventola e Maciste, che ci girellavano intorno, annusando le foglie dei cespugli.
Sorpresi Maciste a fare pipì dietro il tronco di una grande quercia e più tardi anche Sventola svuotò la vescica dietro un giovane pioppo.
– Ci siamo, la grotta è laggiù in fondo, nascosta da quegli arbusti – esclamarono Angelo e Matteo.
– Lì dentro non ci sono mai entrato – disse Mario, balbettando un po’ per l’agitazione.
– Facciamoci coraggio – disse Bettina – siamo in cinque e Sventola e Maciste con la loro grinta e il loro coraggio metterebbero in fuga chiunque osasse farci del male. Sventola abbassò la coda e le orecchie e Maciste si fece piccolo piccolo e incominciò a tremare come una foglia di lattuga mossa dal vento.
Entrammo nella grotta e, poiché era tutto buio, avanzammo a tentoni. Appoggiai la mano alla parete, ma la ritrassi subito perché era umida e viscida e quella sensazione mi mise addosso i brividi.
– Accendiamo le torce – ordinò mio cugino Matteo – e facciamo attenzione a non cadere.
Potrebbero esserci delle buche – disse
Bettina, sollevando Maciste e stringendolo a sé come un pupazzetto. – Se ci casca ci rimane per sempre – aggiunse, accarezzandolo teneramente.
Anche Angelo sollevò il suo cane: – Senza Sventola la mia vita non avrebbe più senso – disse, appioppandogli un bacio sulla testa.
Continuammo a camminare. Le torce accese facevano un bel fascio di luce, abbastanza per scrutare ogni angolo della grotta. Ad un tratto puntai la torcia verso l’alto e in un anfratto scoprii due occhi gialli che ci guardavano dall’alto: era un grosso e spaventoso gufo.
All’infuori di quell’uccellaccio lassù, in questa grotta non c’è niente per cui valga la pena di rimanere un attimo di più –esclamò Angelo, mollando il suo cane.
– Anch’io penso la stessa cosa – ribatté
Bettina, mollando Maciste. Avevamo tutti certe facce dipinte dalla delusione.
Sento che dobbiamo scavare da qualche parte – dissi. – Il terreno qui è più morbido e, così dicendo, diedi il primo colpo con la zappa. A quello ne seguirono altri.
I miei amici mi guardarono in silenzio.
– È solo tempo perso – disse Mario. –Avremmo potuto visitare il castello abbandonato e sorprendere qualche fantasma…
– Sotto la doccia! – esclamò Matteo.
– C’è qualcosa di duro qui sotto – strillai.
– Ci stai prendendo in giro – esclamò
Angelo.
Continuai ancora a scavare: Sventola e Maciste mi dettero una mano, smuovendo il terreno con le zampe.
– Che vi dicevo? Qui sotto c’è qualcosa –ma mi ero sbagliato perché lì sotto c’era qualcuno che attendeva di farsi conoscere. Dopo appena pochi minuti, apparvero prima le ossa delle gambe e dei piedi, poi tutto il resto.
– Mamma quanto è spaventoso! – strillò Bettina, indietreggiando.
Matteo, Angelo e Mario sbiancarono di colpo, solo i due cani sembrarono apprezzare quella scoperta. Sventola si allontanò stringendo tra i denti un osso della gamba e Maciste quello di un braccio.
– Venite subito qui e riportate il bottino – strillarono Angelo e Bettina e quelli ubbidirono, ritornando a razzo e lasciando a malincuore le ossa.
Saputa la notizia, arrivarono nel paesino un archeologo e alcuni studiosi e scoprirono che lo scheletro apparteneva a un antichissimo antenato vissuto nel Paleolitico.
Avevo scoperto un tizio della preistoria, anche se un po’ malconcio, divenuto famoso grazie al sottoscritto.
A te la penna
* Quale scoperta faranno i quattro ragazzini, con l’aiuto di Sventola e Maciste, quando visiteranno il castello abbandonato? Immagina e scrivi.