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Poi entrammo nella stalla dove c’erano

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Capitolo sesto

Capitolo sesto

Guendalina e Serena che masticavano lentamente, affondando il muso in un sacco.

Muggirono appena, nel vederci entrare.

“Forse hanno voluto salutarci” pensai. Ma continuarono placidamente a masticare, muovendo a tratti la coda.

Lì vicino c’era un secchio di latte appena munto, e un altro che era pieno a metà. – Bisogna riempirlo – mi disse Matteo e così sorpresi mio cugino a mungere. “Che schifo! E pensare che bevo quella roba che sta in quelle cose così esagerate” pensai rabbrividendo.

Guendalina e Serena mi fulminarono con un’occhiata, come se volessero dirmi che del loro latte così buono e prezioso ne avevo proprio bisogno.

I nonni ci aspettavano a tavola: zia Alice aveva preparato la minestra di capellini in brodo e lo spezzatino di maiale. La cucina era piena di odori. Dopo un po’ arrivò anche lo zio: – Ho una fame che vedo doppio – e si sedette a tavola. – Mangerei un rinoceronte intero, compreso il corno che ha sulla fronte – aggiunse, sistemandosi il tovagliolo intorno al collo.

Zia Alice sorrise e guardò zio Umberto che le fece gli occhi languidi. Matteo, intanto, aveva mandato giù il primo piatto di capellini e stava per svuotarne un altro.

Nonno Bartolomeo aveva anche lui finito la minestra, e si alzò per andare in cantina.

– Ci vado io! – disse zia Alice. – Venite con me! – e noi la seguimmo, ritrovandoci dopo un po’, in un luogo buio, umido e pieno di ragnatele.

Una lampadina fioca illuminava la cantina.

C’erano damigiane impolverate, alcune botti allineate e sulle mensole molte bottiglie di vino. In fondo vidi una vecchia credenza e un vecchio baule colmo di giocattoli.

Tuo padre e io ci divertivamo proprio con quelli – puntualizzò indicandoceli.

Accanto al baule c’era anche un cavalluccio a dondolo di legno: immaginai il mio babbo, bambino, seduto sul cavallo a dondolo e scoppiai a ridere.

Ma quella risata mi rimase in gola, strozzata dall’urlo disumano che cacciò mia zia. Due occhietti spaventosi la fissarono famelici e, un attimo dopo, otto zampette pelose azzardarono alcuni passi sulla camicetta gialla di zia Alice.

Mia zia fece un brusco movimento e il ragno cadde davanti ai suoi piedi. Con una rapida mossa si arrampicò su per una ragnatela che pendeva dal soffitto e che dondolava come un’amaca, spinta dal venticello che entrava da una finestrella posta in alto.

– Mi sento prudere tra i capelli; scommetto che ne avrò ancora un altro – disse, iniziando a fare sì-no con la testa, come fanno i muli quando si intestardiscono. – Aiutatemi! Fate qualcosa! – gridava zia Alice, scompigliandosi i capelli e tastandosi la testa comprese le orecchie. Poi, si guardò intorno e vide, appoggiato su una vecchia sedia, un battipanni: – Adesso ti sistemo per le feste brutto ragnaccio della malora – esclamò, assestandogli un colpo secco sull’addome.

Il ragno cadde intontito dal duro colpo, mosse appena le otto zampette pelose e rimase immobile: era passato a miglior vita!

Mia zia, intanto, era diventata pallida pallida e né io, né mio cugino riuscivamo a toglierle gli occhi di dosso. Zia Alice sembrava di pietra.

Presi dalla mensola la bottiglia di vino, mentre mio cugino Matteo cercò di rincuorare sua madre, ma a nulla valsero le sue parole e neppure quelle dei nonni e di zio Umberto, che prese la palla al balzo e ci disse che anche lui aveva una mira infallibile. Se zia Alice era riuscita con un colpo di battipanni a liberarsi del ragno, lui riusciva di notte e al buio ad annientare le zanzare.

– L’altra notte ne ho uccise venti: le prime dieci le ho ammazzate a ciabattate e le altre dieci a colpi di giornale.

– Le zanzare sono insetti noiosi e secondo me, andrebbero catturate e rieducate –dissi e, alla mia battuta, tutti risero fuorché zia Alice, che era ancora pallida pallida per via del ragno.

A te la penna

* Immagina zio Umberto, di notte, mentre uccide le zanzare a colpi di ciabatte e di giornale e descrivi la scena.

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