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Capitolo quinto

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Capitolo quarto

Capitolo quarto

Quando arrivai a casa dei nonni trovai zia

Alice e mio cugino Matteo con certe facce stravolte.

– Sono già quattro notti che faccio brutti sogni e all’alba mi sveglio puntualmente terrorizzato e corro da mia madre. Sogno un piccolo folletto che mi ripete sottovoce:

«Non ridere, oggi non è giorno: devi temere chi ti vola intorno, laggiù nella grotta e nel castello troverai qualcosa di bello».

– Sono tutte chiacchiere – intervenne zia

Alice – sei stato suggestionato dalle parole di Cosimino, l’ubriacone, che è convinto di trovare nella grotta, in fondo al bosco, o nel castello abbandonato, che apparteneva ai nobili De Vitis, chissà quale tesoro – concluse, rivolgendosi a Matteo.

Nonna Cecilia ascoltava e scuoteva il capo; evidentemente anche lei conosceva la storia.

Dopo un po’, mi resi conto che anche Angelo, Mario e Bettina erano convinti che in quei luoghi ci fossero presenze misteriose.

Bettina mi confidò che suo zio, una volta, era entrato nella grotta, in fondo al bosco, con un amico e ne era uscito sconvolto, perché l’amico gli aveva detto di aver visto per un attimo un tipetto piccolo con una orribile faccia da rana e pupille rosso fuoco. Non aveva capelli, ma orecchie da gatto, una coda lunga e sottile, come una cordicella, e stringeva tra le mani una piccola lanterna.

– Mio padre è convinto che l’amico di mio zio, per via della moglie isterica, abbia le valvole del cervello un po’ fuse e perciò vede dappertutto strane cose – ci confidò Bettina.

– Mia madre, è convinta che nella grotta si nascondano i ladri che saccheggiano i nostri pollai e che il castello sia infestato dai fantasmi – intervenne Mario.

Sono tutte chiacchiere che qualcuno ha messo in giro per spaventare chiunque tenti di visitare i due luoghi – ribatté Angelo.

La verità, secondo me, è che nel castello o nella grotta ci sia qualcuno o qualcosa che nessuno vuole che venga scoperto –concluse Bettina.

Mi accorsi che mio cugino Matteo fremeva e alla fine disse che dovevamo farci coraggio e fare un sopralluogo, sia nel castello che nella grotta.

Noi cinque, con Maciste e Sventola li visiteremo: così finirò, una buona volta, di avere quei maledetti incubi – disse Matteo accigliandosi.

Quella proposta ci colse impreparati: Bettina scosse il capo, Angelo e Mario aprirono la bocca e rimasero per alcuni secondi immobili per la paura; a me sicuramente venne la tipica espressione del pesce che ha appena abboccato all’amo.

Matteo aspettava che accettassimo la sua proposta, perciò ci passò in rassegna, senza levarci gli occhi di dosso, neppure per un attimo.

D’accordo, visiteremo il castello e la grotta e porteremo con noi Sventola e Maciste – dissi a mio cugino.

Quello stesso giorno conobbi i nonni di Mario e di Angelo.

Le nonne avevano una crocchia di capelli grigi e un apparecchio acustico rosa, ficcato di traverso in un orecchio, per cui ci sentivano poco.

– Mi chiamo Marco – dissi alla nonna di Angelo, presentandomi. Lei, spalancando gli occhi, ripeté: – Sacco!?

– Marco, Marco! – ripetei più volte, lei mi sorrise e mi accarezzò, convinta che mi chiamassi Sacco.

– Mi chiamo Marco – dissi alla nonna di Mario.

E lei, spalancando gli occhi ripeté: –Pacco!?

– Marco, Marco! – ripetei più volte, lei mi sorrise e mi accarezzò, convinta che mi chiamassi Pacco.

I nonni dei miei amici chiacchieravano in giardino: erano piegati in due dai reumatismi, camminavano curvi appoggiati al bastone.

– Sei il nipote di Bartolomeo? Tuo nonno ci parla spesso di te, ci dice che sei davvero in gamba, come tuo padre, e che da grande diventerai un famoso chirurgo.

“Chirurgo!? Col cavolo!” mi dissi. E mi ricordai di quella volta quando, uscendo da scuola, caddi graffiandomi il ginocchio.

Appena vidi una goccia di sangue, mi sentii rimescolare tutto; rischiai persino di svenire se non fossi arrivato in tempo all’auto della mamma, che mi aspettava per riportarmi a casa.

Salutai i nonni dei miei amici e raggiunsi nonno Bartolomeo nel suo orto.

Dopo un po’, intravidi Angelo e Mario con Sventola. – Ci sono novità! È arrivato in paese uno speleologo – disse Mario – e ha intenzione di visitare la grotta. Mio padre ha appreso poco fa la notizia al bar della stazione e ora non si fa altro che parlare di questo tizio.

Prima di lui, ci andremo noi – disse Angelo, con voce ferma.

Potremmo smarrirci o cadere in una buca –esclamò Mario un po’ perplesso.

Porteremo torce, corde e bastoni di legno ribadirono mentre sopraggiungevano

Bettina e Matteo.

Acqua in bocca e guai se vi fate sfuggire qualcosa – concluse Angelo, accarezzando il suo cane Sventola, che sembrò apprezzare quelle attenzioni.

Ci lasciammo con l’intento di organizzare il tutto. Intanto, io e mio cugino Matteo andammo nel frutteto per raccogliere le pesche e le albicocche più mature.

Raccolsi i frutti che pendevano dai rami più bassi, mentre mio cugino sparì tra i rami più alti e ridiscese con due cestini colmi fino all’orlo: – Sono saporite –disse, addentando prima una pesca e poi un’albicocca, divorandole in mezzo secondo.

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