Mestieri d'Arte e Design - Ludico

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IL GIOCO AIUTA GLI AUDACI

Se la mano è lo strumento dell’intelligenza dell’uomo, il gioco è una parte fondamentale di ogni processo creativo grazie alle emozioni positive e al senso di libertà che trasmette. Una “felicità del fare” che rappresenta la scelta coraggiosa e quotidiana dei maestri artigiani.

Si crede spesso che il gioco sia un’attività svincolata da ogni tipo di convenzione, e si delega con troppa facilità l’aspetto ludico delle nostre vite ai residui di tempo che ritagliamo tra gli altri impegni, definiti per contrasto come seri. Mentre il gioco è un aspetto serissimo, che necessita di regole e di immaginazione per poter dispiegare il suo potere evocativo e persino educativo. Conoscere le regole, rispettarle, farle mutare, ma saper anche aggiungere all’interazione ludica tocchi a volte irriverenti di creatività, e di intelligente ironia, significa trasformare il gioco in un sistema di comunicazione molto evoluto, che all’intrattenimento (necessario per mantenere alta l’attenzione) aggiunge una parte di conoscenza e di acquisizione di competenze. Al punto che i veri maestri dicono che si impara divertendosi: un divertimento che può anche essere provocazione, ma che in tutti i casi presuppone la libertà di poter scegliere le proprie mosse.

Essere liberi, infatti, non vuol dire solamente non avere un padrone che ci tiranneggi: vuol dire anche e soprattutto poter scegliere, avere la facoltà di esprimere la propria predisposizione, poter avere un’alternativa. I mestieri d’arte, ovvero le attività che permettono di trasformare in maniera creativa e consapevole la materia per creare a mano qualcosa di straordinario, non sono più una necessità: eppure sentiamo di non poterne fare a meno. Perché facendo le cose “a mano” non ci limitiamo ad agire, ma ci divertiamo. Ci realizziamo. Siamo più felici, e dunque più allegri (e più giocosi?). Questo numero di Mestieri d’Arte & Design, dedicato al tema del ludico, vuole essere un invito ad apprezzare e ricercare sempre la straordinaria libertà di poter scegliere, di creare

un’alternativa e di sentirsi tanto audaci da poter giocare con le idee, con le tecniche, con i materiali, padroneggiando il mestiere per esprimere significati sempre nuovi, che facciano ringiovanire il nostro sguardo e che riattivino la nostra mente. Categoria importante per l’arte contemporanea, metafora che rappresenta l’elemento bellicoso dell’essere umano ma anche il suo aspetto relazionale, il ludico viene interpretato dai maestri artigiani e dai designer scelti per questa edizione della nostra rivista in maniera a volte inaspettata: leggerete storie vere, di persone che hanno saputo trasformare la passione per il “gioco” in un codice che aiuta a uscire dalla banalità, per ritrovare la felicità del fare.

Le evocazioni surreali eppure così familiari di Fornasetti; i giochi geometrici di Dalisi; l’ironia del quotidiano che Manuela Crotti riempie di incanto; le strutture fiabesche di Betti; e ancora, i giochi “da grandi” fatti a mano per trasmettere la preziosità dei momenti trascorsi insieme, il caleidoscopio di colori dei mixologists, la proteiforme bellezza dei gioielli di Van Cleef & Arpels, fino ai dialoghi tra artigiani e designers che, per il Salone del Mobile, racconteremo tramite Doppia Firma. Ritrovare la potenza del codice ludico nelle nostre vite significa cogliere la scelta di coraggiosa libertà fatta da tutti questi maestri: prendersi la responsabilità di trasformare la propria vita, e il proprio lavoro, in una partita a scacchi con se stessi, con il proprio talento, con le regole del gioco, per far sempre affiorare sul nostro viso l’elemento che ancora oggi rende affascinante la Monna Lisa – il sorriso.

Buona lettura! •

7 MESTIERI D’ARTE & DESIGN

7 EDITORIALE Il gioco aiuta gli audaci

Alberto Cavalli

20 Album

Stefania Montani

66 Il gioco prezioso della metamorfosi

Alba Cappellieri

74 Il legno si fa gioco

Giovanna Marchello

30 Decori d’incanto di Sofia Catalano Fotografie di Max Pescio Wallpaper, peonie The Arts Club Dubai, Wallpaper, decorazione Notting Hill Londra.

L’uomo che sussurrava cortile della gioielleria forte carattere artigianale in foglia d’oro 24 carati, Crafts_Aprile_23_23.02.23_PerCiano.indd 30

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di Andrea Tomasi Fotografie di Andrea Borgini Crafts_Aprile_23_23.02.23_PerCiano.indd 31

30 L’uomo che sussurrava agli uccelli

Andrea Tomasi

38 Volano farfalle

Marina Jonna

46 Vetro specchio dell’anima

Jean Blanchaert

52 Nel mondo fantastico di Diego

Elena Agosti

58 Decori d’incanto

Sofia Catalano

Frutto di una sperimentazione creativa in costante evoluzione, decori di Pictalab hanno tutti una storia da raccontare, un significato speciale. Rappresentano l’universo di chi li abita, realizzando sempre atmosfere esclusive. 58

82 Il caleidoscopio della memoria

Stefania Montani

88 Quando una persona diventa un luogo

Andrea Sinigaglia

94 Il gioco della bellezza

Antonio Mancinelli

100 Doppia firma: il gioco si fa serio

Alessandra de Nitto

108 Animare, giocare, partecipare

Ugo La Pietra

8 indice
N°26
SEMESTRALE DELLA FONDAZIONE COLOGNI
116 English Version agli uccelli Dall’amore di un Maestro artigiano per la natura nascono spettacolari voliere e altre realizzazioni di grande poesia e sensibilità artistica. Nella Bottega di Betti si creano pezzi unici e sostenibili dall’anima speciale.

Caunes,

Le scultoree collezioni di Dolce&Gabbana sono il prodotto di una creatività audace ma giocosa, suggerita anche dall’espressiva matericità dei tessuti preziosi. Una ricerca estetica che si nutre di storia e storie del nostro Bel Paese e sul suo savoir-faire d’eccellenza.

DOPPIA FIRMA:

– continua Huizinga – il gioco ha rapporti col bello e col ritmo, con l’armonia con l’arte. Esso rimane come isolato dalle altre forme di pensiero, un’attività libera non può essere imposto né da necessità fisica né morale, si pone come alternativo alla vita ordinaria. Nel concetto di ludico c’è inventiva, estro, audacia. Si delinea così una modalità di conoscenza che si può definire “estetica”, ed è diversa da scienza e filosofia. Nell’estetica, l’apparenza la razionalità sono strettamente connesse unite da vari ponti culturali, in una dialettica dove ogni argomento riflette nel suo opposto contrari. Ma non è fondamentale che vi sia gara, competizione, voglia di primeggiare: l’elemento di comunanza tipico del gioco, per cui Platone l’avvicinava alla musica, alla danza, esula dalla contrapposizione di uno un altro. L’esperienza del gioco

MESTIERI D’ARTE & DESIGN. CRAFTS CULTURE

Semestrale – Anno 14 – Numero 26 - Aprile 2023 mestieridarte.it

DIRETTORE RESPONSABILE

Alberto Cavalli

DIRETTORE EDITORIALE

Franco Cologni

DIREZIONE ARTISTICA

Lucrezia Russo

CONSULENTE EDITORIALE

Ugo La Pietra

REDAZIONE

Susanna Ardigò

Alessandra de Nitto

Lara Lo Calzo

Francesco Rossetti

TRADUZIONI

Traduko

Giovanna Marchello (editing e adattamento)

PRESTAMPA E STAMPA

Grafiche Antiga Spa

MESTIERI D’ARTE & DESIGN. CRAFTS CULTURE

è un progetto della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte

Via Lovanio, 5 – 20121 Milano fondazionecologni.it

© F ondazione Cologni dei Mestieri d’Arte

Tutti i diritti riservati.

È vietata la riproduzione, seppur parziale, di testi e fotografie.

PUBBLICITÀ E TRAFFICO

Mestieri d'Arte Srl

Via Statuto, 10 - 20121 Milano

di Alessandra de Nitto

La settima edizione di "Doppia Firma. Dialoghi tra pensiero progettuale e alto artigianato", in mostra a Palazzo Litta per il Salone del Mobile 2023, ha come tema affascinante il ludico: da sempre presente nell’arte contemporanea nelle arti applicate, fuori da regole e schemi.

Il ludico spazia dal gioco all’umorismo, dall’ironia all’allusione, dalla metafora allo scherzo alla confusione consapevole, fino al rovesciamento di prospettive valori: in quest’area concettuale progettista il Maestro d’arte sono chiamati a esprimere la propria visione, nella contaminazione nella trasgressione, tra ironia divertimento, in una dimensione di totale piacere storico fondamentale testo sul tema, fenomeno del ludico scopre una costellazione ulteriore di riferimenti, che orbitano intorno all’allusione, che vanno dai concetti di gioco scherzo quelli delle varie forme di umorismo, quindi dell’arguzia e del comico (…) il ludico espresso soprattutto dalla capacità di contaminazione di fusione trasgressiva dei contenuti relativi al sapere alla memoria» Del Ludico. Dopo il sorriso delle avanguardie Milano, Mazzotta, 1982).

Lo Studiolo Ornitologico, voliera per canarini o Diamanti di Gould, realizzata da La Bottega di Betti per la sala Next of Europe di "Homo Faber Event 2022".

Andrea Borgini.

9 MESTIERI D’ARTE & DESIGN FONDAZIONE COLOGNI DEI MESTIERI D’ARTE I.P. MESTIERI D’ARTE DESIGN. CRAFTS CULTURE 26/2023 LUDICO
COPERTINA:
LUDICO IN
LE OPINIONI 16 Giocare per far giocare Ugo La Pietra 18 La fiaba dell’artigianato Eduardo Alamaro 114 Homo ludens Franco Cologni IL CALEIDOSCOPIO DELLA MEMORIA Emanuela Crotti esplora le idee di memoria e nostalgia, disponendo oggetti e immagini all'interno della resina fusa in intricati strati di forme sovrapposte che evocano ricordi ed emozioni. Creazioni di grande potenzialità espressiva che mutano tonalità e intensità a seconda della luce. di Stefania Montani Fotografie di Beppe Brancato circolo dei bassotti pittura. Base in metallo in una composizione legno, resina per l’arte, la visione dello spazio cristalli; corsetto tulle con riccioli scultorei lavorazioni manuali di Crafts_Aprile_23_23.02.23_PerCiano.indd 94 IL GIOCO della bellezza di Antonio Mancinelli Fotografie courtesy Dolce&Gabbana Gioco, cultura, esperienza. Il saper fare come laboratorio di gioiose sperimentazioni. Da oltre dieci anni, gli eventi di Alta Moda, Alta Sartoria e Alta Gioielleria di Dolce&Gabbana sono espressioni non solo del savoir-faire italiano ai suoi massimi livelli, ma anche il dipanarsi di una narrazione di moda che ha più che fare con la meraviglia della fiaba che con realismo della cronaca. E la meraviglia rappresenta la fonte primaria del gioco, la matrice originaria di una conoscenza da apprendere secondo dettami di San Tommaso D’Aquino, che affermava: «Coloro che non giocano mai non dicono mai qualcosa di gradevole peccano contro la verità» o portava filosofo tedesco Johan Huizinga scrivere nella prefazione di Homo ludens che «la civiltà umana sorge sviluppa nel gioco, come gioco.» Inoltre
Foto:
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paglia, che pone al centro con grande savoir-faire Philippe Garcia.
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il gioco si fa serio

Artigiani della parola

I caratteri tipografici fanno parte della collezione della Tipoteca Italiana. (www.tipoteca.it)

Architetto, da molti anni privilegia studi storicocritici sulle “arti estese” e, in particolare, sulla ceramica. Ha studiato i Musei Artistici Industriali dell'Ottocento e le annesse Scuole/Officine, in particolare l'esperienza di Napoli, curando mostre storiche. Il suo lavoro indaga sistematicamente la ceramica del Novecento a Vietri sul Mare.

Professore Ordinario di Design del Gioiello e dell’Accessorio Moda al Politecnico di Milano. Dal 2014 è direttore del Museo del Gioiello, all’interno della Basilica Palladiana di Vicenza, il primo museo italiano dedicato al gioiello.

Ricercatrice e storica dell'arte, affianca l'attività istituzionale alla libera professione curando mostre e pubblicazioni artistiche. È Direttrice e Conservatrice del Museo di Villa Lattes ad Istrana, è stata Conservatrice del Museo Civico della Ceramica di Nove e Direttrice Artistica di ViArt.

Gallerista, curatore, critico d’arte e calligrafo, da più di trent’anni conduce la galleria di famiglia fondata dalla madre Silvia nel 1957 e da sempre specializzata in materiali contemporanei. Dal 2008 è collaboratore fisso del mensile Art e Dossier (Giunti Editore). Nel 2018 è stato curatore della sala Best of Europe di Homo Faber Event alla Fondazione Cini, a Venezia.

Siciliana di nascita, milanese di adozione. Freelance da sempre, collabora con quotidiani e periodici, spaziando dalla moda alla bellezza, dal lifestyle alla cultura. Ama incondizionatamente gli animali, Leone dalla criniera grigia (ma non per questo spelacchiata!) vive con il leggendario gatto Arancino.

Giornalista e architetto, ha lavorato in diverse redazioni (La Mia Casa, Casaviva, Panorama.it, Icon Design) con una parentesi come autrice e corrispondente di R101. Dal 2019 collabora come free lance con Interni, Domus, AD, Home Italia e Home USA. Segue anche come design consultant l’inserto sul design di Grazia, oltre a sviluppare progetti di interior.

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Alba Cappellieri Jean Blanchaert Elena Agosti Eduardo Alamaro Marina Jonna

Artista, architetto, designer e ricercatore nella grande area dei sistemi di comunicazione.

La sua attività è nota attraverso numerose mostre, pubblicazioni, didattica nelle Accademie e nelle Università. Le sue opere sono presenti nei più importanti Musei internazionali.

Giornalista, ha pubblicato tre guide alle botteghe artigiane di Milano e una guida alle botteghe artigiane di Torino. Ha ricevuto il Premio Gabriele Lanfredini dalla Camera di Commercio di Milano per aver contribuito alla diffusione della cultura e della conoscenza dell'artigianato.

Giornalista professionista dal 1991, è stato caporedattore di Marie Claire fino a luglio 2021. Ora collabora con Repubblica, D La Repubblica delle Donne, Amica, Amica.it, Il Foglio e altre testate editoriali. Attento osservatore della moda come riflesso della società e dispositivo politico atto a spiegare le mutazioni culturali, ha insegnato e insegna in atenei pubblici e privati.

Cresciuta in un ambiente internazionale tra il Giappone, la Finlandia e l’Italia, appassionata di letteratura inglese, vive e lavora a Milano, dove si occupa da 30 anni di moda. Segue progetti culturali legati ai mestieri d’arte, collabora con alcune fondazioni ed è luxury goods contributor del mensile russo Kak Potratit

Laureato in Lettere alla Cattolica di Milano, ha conseguito un Master in Cultura dell’Alimentazione a Bologna e un MBA presso il MIP. Ha pubblicato: La Cucina piacentina (Tarka, 2016), Gusto Italiano (Plan, 2012) e Il vignaiolo Mestiere d'arte (Il Saggiatore, 2006). Dal 2004 insegna Storia della Cucina italiana presso ALMA, dove, dal 2013, è direttore generale.

Laureato in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo a Bologna, inizia la sua carriera come critico cinematografico. Dopo aver lavorato come caporedattore per diversi settimanali, nel 2018 inizia la sua collaborazione con la Michelangelo Foundation per la realizzazione della prima edizione di “Homo Faber”. Dal 2020 dirige la “Homo Faber” Guide, una piattaforma online che consente di scoprire artigiani d’eccellenza in Europa e in altri Paesi extra-europei.

13 MESTIERI D’ARTE & DESIGN
Ugo La Pietra Antonio Mancinelli Giovanna Marchello Stefania Montani Andrea Sinigaglia Andrea Tomasi

Oltre a una grande passione per il proprio mestiere, gli artigiani conservano una visione spontaneamente edificante del gioco che culmina in oggetti di grande abilità artistica e in cui la dimensione ludica coinvolge sia chi li crea sia chi li acquista.

Giocare per far giocare

Quando, alla fine degli anni Settanta, ho visto all’opera giovanissimi garzoni di bottega dei vasai salentini mentre realizzavano i fischietti in terracotta dipinta, mi sono reso conto per la prima volta di come si poteva “giocare facendo oggetti per far giocare”.

Sì, perché i fischietti salentini venivano realizzati dalle mani ingenue e cariche di fantasia dei bambini che “andavano a bottega”: oggetti/giocattolo pensati per essere venduti sulle bancarelle durante le feste patronali, che rappresentavano il regalo per i bambini che partecipavano all’evento collettivo carico di attività ludico-spettacolari, esaltato dalle grandi luminarie.

Quelle ingenue pratiche giovanili di bottega continuavano poi ad evolversi, portando il garzone verso la professione di vasaio che, nel tempo, conserva alla base del suo lavoro il piacere del gioco, dalla manipolazione della materia all’oggetto finito. Ho sempre scritto dell’artigianato artistico come di un’attività che produce oggetti non necessariamente funzionali, carichi di significati relativi alle varie culture e tradizioni che si sono evolute e rinnovate nel tempo. Ma ho sempre dimenticato di aggiungere che queste opere vengono prodotte, anche e soprattutto, attraverso una pratica dove l’artefice è colui che sa usare la materia, e la usa con la bravura e la passione di un “giocoliere”.

Chi ha avuto l’occasione di vedere il Maestro vetraio all’opera, ha potuto osservare con meraviglia come, con una mano, regga una lunga canna di metallo con una massa incandescente di vetro fuso appena uscita dal forno e, con l’altra, modelli attraverso due lunghe pinze e con rapidi gesti la materia per realizzare in pochi secondi un’anfora decorata con bordi merlettati; di fatto ha potuto assistere non solo alla creazione di un’opera d’arte ma anche ad un’attività fisico-ludica che caratterizza il lavoro dell’artigiano-artista.

L’oggetto, così definito, porta con sé tutte queste caratteristiche e le trasmette a chi poi lo possiederà, permettendogli di partecipare a suo modo e mantenere viva la dimensione ludicospettacolare della sua creazione. È ancora il bambino che ci aiuta a vedere e capire il rapporto che spesso abbiamo con gli oggetti a cui ci affezioniamo. Guardare la bambina che gioca con la propria collezione di bambole, e vedere come poi le conserva per godere della loro immagine una volta diventata adulta, è assimilabile alle pratiche che in quasi tutti i nostri spazi domestici caratterizzano l’uso delle mensole, vetrinette, librerie… dove collocare in bella vista i nostri oggetti d’affezione. Oggetti che sanno trasmettere tutto il valore artistico-fattuale dell’oggetto artigianale ma anche la loro carica ludica.

Oggi, la perdita di quasi tutti i rituali riferiti all’uso degli oggetti (che infatti ritroviamo nei tanti mercati dell’usato) e la grande quantità di oggetti di consumo, oltre alla crescita esponenziale degli oggetti-immagine che riempiono in modo sempre più vasto e indifferenziato i nostri dispositivi elettronici, ci portano a dimenticare la dimensione ludica degli oggetti, dimensione che riguarda sia chi li produce sia chi li possiede. In questo modo si va perdendo così forse l’aspetto più importante del nostro rapporto con gli oggetti significanti: da quello che ci riporta alle pratiche infantili, all’oggetto-regalo che ci riempie di sorpresa e di gioia, all’oggetto d’affezione con cui abbiamo passato i più bei giorni della nostra infanzia. •

16 OPINIONI
FATTO AD ARTE certifi c ato da ugo l a
pietra

certifi c ato da eduardo alamaro

In una società delle merci globali, il ludico è una delle vie più efficaci per arrivare presto e bene al cuore e al portafogli del consumatore. E ciò sin dalla prima esposizione universale, che si tenne a Londra nel 1851: tutto l’applicato dei mestieri e dell’artigianato d’arte cambiò.

La fiaba dell’artigianato

La Londra della regina Vittoria divenne il luogo metropolitano del primo grande esperimento di semplificazione, “giocattolizzazione” e “ludicizzazione” universale. Al confronto, il sistema di oggetti moda-design della “Milano da bere”, l’ultimo Novecento è una “pazziellart”. Ma tutto ha un costo. A Londra, nel 1851, ne fece le spese innanzitutto l’architettura, la madre delle arti, che venne messa da parte: il gran principe Alberto, mente universale, le preferì infatti l’arte pratica del suo giardiniere che chiamò a progettare il contenitore-espositore delle merci globali di sua Maestà Britannica, il Crystal Palace. E non solo. Le serre botaniche del giardiniere regale sono quindi il modello esemplare concettuale e fabbrile di una semplificazione universale efficace, rapida, facilmente montabile e smontabile. Una genialità, in corso.

Seguono a ruota i mobili e le pratiche cose dei pionieri americani viaggianti che sono la gran novità di quella modernità. Poi, sempre a Parigi, nel 1889 si innalzerà la torre d’acciaio dell’ingegner Eiffel che supererà in altezza le guglie di Notre Dame. Assalto al cielo, Dio è morto e con lui moribondo pare anche San Giuseppe artigiano: da quel KO il sacro non si rialzerà più. Tutto è merce veloce, usa e getta. Naturalmente e giustamente c’è resistenza, di gran qualità e di gusto British, come quella assoluta dei controcorrenti Ruskin e Morris. Ma il grande frullatore schiaccia tutto universale s’era messo beneficamente in moto, mischiando usi e costumi, gusti e disgusti, nord e sud, polentoni e maccheroni, genti e tradizioni diverse e talora opposte. Da tradire, da tradurre e aggiornare.

È per questa via spettacolare e profonda che si giunge alle ninfee giapponesi di Monet; poi al floreale, all’onirico di Freud, alla scoperta del primitivo e alla realtà potenziata dell’oggetto surreale applicato da subito alla comunicazione e alla propaganda politica e commerciale. Ullallà è una cuccagna! In Italia l’arte applicata che coglie meglio questo passaggio epocale è forse il libro, la letteratura per l’infanzia, la fiaba, erede del lungo mix orale-fabbrile est-ovest, oriente-occidente: dai tappeti volanti alle lampade di Aladino delle mille e una notte favolose manifatturiere. Arti applicate extralusso per far sognare, per farci volare, come sempre. Si pensi, ad esempio, che Augusto imperatore trionfante ad Azio pretese per sé – a norma di legge – solo «una schodella di sardonio et chalcidonio et agatha, entrovi più figure et di fuori una testa di Medusa,» cioè la magica Tazza Farnese, capolavoro della glittica ellenistica, che ora sta al MANN. Un incanto, meglio di Cleopatra!

E proprio in questa connessione incantevole e fiabesca, si situa il geniale Carlo Lorenzini detto il Collodi: egli s’inventa Mastro Geppetto artigiano e il suo discolo figlio-burattino di legno Pinocchio, fondante per l’idea stessa d’artigianato nel grande pubblico, ancor oggi. LorenziniCollodi conosceva molto bene – per vie fraterne – le manifatture artistiche, soprattutto quelle ceramiche della Ginori, che il fratello Paolo dirigeva. Per tal via egli partecipa al clima rivoluzionario delle grandi esposizioni universali in prima persona, a Parigi, nel 1867, per esempio: vede, sente, capisce e scriverà da par suo fiorentino la fiaba dell’artigianato, riconfezionandolo e reinventandolo ad arte per i bambini (e non solo, anzi) innestando in esso un oggetto artigiano magico e favoloso, solitario e geniale, miracoloso, assolutamente inedito. Bingo!

Ma quella fiaba di gran successo è talmente bella e convincente che convince e vince ancor oggi. Per chi ci crede, naturalmente. •

18 OPINIONI PENSIERO
STORICO

Album

di Stefania Montani

Akhal Tekè

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Una collezione di scarpe da sogno, impreziosita da ricami fatti a mano secondo l'antica arte italiana e realizzata con una tecnica bolognese davvero speciale, detta “a sacchetto”.

L'hanno creata nel 2015 Benedetta Bolognesi e Gaia Ghetti, due giovani amiche che, affascinate dai preziosi ornamenti della tribù Turkmen, hanno voluto riprodurli su diversi modelli di calzature. E si sono messe all'opera, coadiuvate da un piccolo laboratorio che dà vita ai loro disegni.

«Il nome che abbiamo dato alla nostra attività trae ispirazione da Akhal-Teke, il cavallo della tribù Turkmen che la tradizione vuole essere stato montato da imperatori e amazzoni e il cui manto era talmente liscio da sembrare fatto di seta,» racconta Gaia. «I Turkmeni vivono nel mezzo del deserto di Karakum, nella prospera oasi del Tekè nella Valle Akhal, e sono famosi per la magnificenza dei loro ricami e dei gioielli, che utilizzano anche per decorare le finiture dei cavalli. I loro ornamenti preziosi hanno sempre ispirato molte collezioni di pezzi unici e senza tempo, già nel passato.»

Facendo riferimento a questi decori, Gaia e Benedetta, che già avevano esperienza lavorativa nel campo

delle calzature, hanno iniziato a progettare le loro babbucce. «Il primo modello che abbiamo realizzato riproduce l'ornamento delle briglie del leggendario cavallo, per questo abbiamo deciso di dare il suo nome alla nostra collezione. Tutti i ricami sono realizzati a mano. Velluti, sete, satin e lino sono impreziositi con pietre, perline, fili metallici, filettature e rafia, elaborati con punti di ricamo rigorosamente fatti a mano. I modelli delle nostre calzature sono molti: alcuni sono piatti, come le babbucce, i sabot, le ballerine e gli stivali; altri hanno un tacco medio o basso, come ad esempio le decolleté, gli stivali e i texani. Per le lavorazioni delle ballerine utilizziamo il metodo detto “a sacchetto”, che consiste nell'applicazione separata della pelle, infilata come la sagoma di un guanto e chiusa come un sacchetto sul piede. La parte superiore della scarpa è completamente uniforme e garantisce il massimo della flessibilità e morbidezza.» Una tecnica antica, tipica della lavorazione bolognese di tradizione. «Abbiamo anche studiato un comfort supplementare dotando la scarpa di un cuscinetto in lattex in corrispondenza del tallone,» conclude Gaia Ghetti.

Antonia Sautter

San Marco 1286, Frezzaria

30124 Venezia Tel. +39 041 5232662 antoniasautter.it

La passione per lo studio della storia del costume, dei tessuti e degli antichi metodi di lavorazione accompagnati dall'amore per il mestiere artigianale, hanno reso Antonia Sautter un'eccellenza italiana famosa e riconosciuta in tutto il mondo. Nel suo laboratorio

nel cuore di Venezia vengono lavorate le sete e i velluti, con le antiche tecniche di tintura e stampa a mano, per dare vita a straordinari abiti, borse, scarpe, kimono, accessori per l'abbigliamento e per la casa. «Già da bambina ho iniziato a creare costumi, dopo aver appreso l'arte sartoriale da mia madre,» racconta la grande creativa. «Adoravo cucire. Il mio laboratorio era la soffitta della nostra casa di famiglia, a San Tomà, a Venezia, dove è tuttora l'atelier di sartoria. Non ho mai capito se fossero i sogni a influenzare la mia creatività, o la mia creatività a influenzare i miei sogni. Fatto sta che quel gioco di fanciulla ha disegnato il mio destino.» Dopo l'università a Ca’ Foscari e alcuni anni di lavoro a New York nel settore della moda, torna a Venezia e apre il suo atelier ideando la linea di moda Venetia. Ben presto però il suo lavoro evolve e inizia a creare eventi col nome di Antonia Sautter Creations & Events. Il fil rouge sono storie fantastiche, costumi preziosi e scenografie da mille e una notte che culminano nel 1994 con l'ideazione del Ballo del Doge, il Galà internazionale del Carnevale

di Venezia. «Ho scoperto la magia di ricreare epoche del passato collaborando con Terry Jones, che preparava un documentario storico per la BBC sulle crociate. Quel viaggio nel passato di Venezia mi ha appassionato fino a farmi desiderare di ricreare quelle atmosfere lontane, come i sontuosi banchetti del Settecento: così è nato il Ballo del Doge, che quest'anno festeggerà i trent'anni dalla prima realizzazione. Per questo evento confeziono tutti gli abiti non solo per gli artisti, circa un centinaio, ma anche per i miei clienti. Inoltre, creo anche le scenografie, coadiuvata da esperti del mestiere, scegliendo i soggetti e gli sfondi in legno, che vengono dipinti a mano, come per una rappresentazione teatrale. È il lavoro di un intero anno per un sogno che dura una sola notte. Nel 1999 ho avuto l'onore di essere scelta da Stanley Kubrick per la realizzazione delle maschere utilizzate nell'ultimo capolavoro del Maestro del cinema, Eyes wide shut.» Tanti i riconoscimenti, tra i quali quello di Cavaliere della Repubblica Italiana per ricompensare benemerenze acquisite verso la Nazione nel campo delle lettere, delle arti, dell'economia.

Cosimo De Vita

Via de' Bardi 30 50125 Firenze Tel. +39 393 2841149 cosimodevita.com

Un bisnonno che negli anni Venti realizzava le poltrone per le sale cinematografiche, un nonno architetto, un padre decoratore: con questi precedenti in famiglia, si può tranquillamente affermare che Cosimo De Vita è un figlio d'arte che ha respirato la creatività fin da bambino. «Ho capito che questo è un lavoro da cui non riesco ad allontanarmi. Ogni volta che ho provato ad accantonarlo sono sempre tornato sui miei passi. Come accadde in un pomeriggio quando, seduto sulle gradinate di Santo Spirito, mi venne un’idea che tramutai subito in disegno: lo schienale di una sedia che prende la forma della Basilica di Santo Spirito. Così è nato il progetto Cityng, una linea di sedute monumentali che parla di condivisione e appartenenza, composta da 16 sedie rappresentanti i monumenti simbolo del mondo,» racconta il

giovane artigiano. «Mi definisco un “artiginer”, un po' artigiano e un po' designer. La mia arte si sforza di trasformare un oggetto quotidiano in un’opera metafisica incorporando memoria ed esperienza nel design. La sedia diventa un oggetto simbolico, che racchiude la città e i suoi valori. Cityng è un viaggio tra Occidente e Oriente, tra tradizione e modernità; le sedie sono realizzate artigianalmente in legno massello, ma anche decorate da un pantografo a controllo numerico,» spiega Cosimo. Il suo laboratorio è un affascinante grande scantinato in via de’ Bardi a Firenze dove si trovano tutti gli strumenti del mestiere che Cosimo utilizza per realizzare le sue sedute. Per rifinire gli schienali si avvale dell'aiuto dell'azienda Savio Firmino, con la quale collabora. Così nascono le cupole della Basilica di San Marco, la facciata di Santo Spirito, di Santa Maria Novella, di Santa Croce e di San Lorenzo, le cuspidi di un minareto, le sagome delle pagode cinesi. «Ogni sedia è un esemplare unico e può essere modificata e personalizzata su richiesta del cliente,» spiega Cosimo. Il suo è il racconto di una grande passione unita a originalità e contemporaneità, per una storia che parte proprio da Firenze. Cosimo De Vita è stato al Salone del Mobile ospite di Rossana Orlandi.

Crizu

operiamo nessun taglio, nessuna “mutilazione”, solo tante pieghe che trasformano ogni volume in scultura, in lampada, in complemento d’arredo. Tutte le pagine vengono piegate a mano, una ad una, con arte e pazienza fino a quando il vecchio volume si trasforma in una nuova e meravigliosa scultura di carta,» spiega Anna. Vecchi manuali ed enciclopedie rinascono in sofisticati pezzi di design. «La forma cambia, ma il libro rimane intatto: lo si può ancora leggere e scorrere o, più semplicemente, si può ammirare la sua metamorfosi in oggetto d'arte e di design, rinnovato. Poetico nella sua semplicità.»

Un gioco di pieghe composte in modo da formare divertenti sculture di carta, artisticamente concepite. Un'idea nata per caso, in una galleria di New York, ammirando un libro cinese ritagliato al suo interno e trasformato in scultura. Così è nata l'avventura di Crizu, laboratorio artistico genovese aperto una ventina di anni fa da Cristina Corradi Bonino, abile restauratrice della carta, che ha deciso di dedicarsi alla metamorfosi dei libri, da sempre sua grande passione.

Oggi nell'atelier c'è Anna Bonino, figlia di Cristina, che ha raccolto il testimone di questo bellissimo progetto: abilissima nella tecnica appresa dalla madre e pervasa dalla sua stessa passione, continua con grande talento a creare questi magnifici pezzi unici.

Nel laboratorio, Anna svolge le fasi di piegatura e “messa in piega”, mentre a due abili artigiani è affidato il compito di realizzare le basi in legno delle singole creazioni e le teche in plexiglass.

«È appassionante dedicarsi alla metamorfosi dei libri, quelli destinati al macero, e farli rivivere in una nuova veste, mantenendone però l’integrità,» confida l'artigiana. «Non

Un paio d'anni fa ai libri scultura è stata affiancata anche una linea di gioielli, in edizione limitata, quali orecchini e collane. Composti da pagine alle quali vengono alternati vari materiali come perle, pietre dure, cristalli. «Per dare un ruolo anche alle pagine singole, recentemente abbiamo iniziato a creare dei petali di fiori,» conclude Anna Bonino. Tutte le creazioni di Crizu sono interamente realizzate a mano, in atelier. Sono ovviamente pezzi unici perché unici sono i libri che vengono utilizzati. «Questi oggetti sono intrisi di ricordi e diventano sempre più belli con il passare del tempo. Piegare le pagine è un po' come portare elementi di storia, di cultura e di bellezza al pezzo finito.»

Piazza Beccaria 6

21100 Varese

Tel. +39 0332 241227

Buosi store e B-Academy

Via Baracca 18

Venegono Superiore (VA)

Tel. +39 0331 857492 buosi.it

Denis Buosi è uno straordinario pasticciere che ha saputo sviluppare l'attività iniziata dai suoi genitori nel 1958, specializzandosi nella creazione di prodotti dolciari e di cioccolato, fino a vincere numerosi premi internazionali e aprire a Venegono Superiore, in provincia di Varese, la Buosi Academy per trasmettere il suo sapere alle nuove generazioni. Anzitutto ai suoi figli, Andrea e Lorenzo, che si sono già distinti nel firmamento culinario. «Nel nostro laboratorio selezioniamo le migliori eccellenze italiane come le mandorle della Val di Noto, i pistacchi di Bronte, le nocciole e i marroni del Piemonte,» spiega Denis. «I nostri prodotti di pasticceria sono preparati solo con ingredienti di primissima qualità, attentamente scelti e miscelati, senza utilizzo di grassi vegetali idrogenati, aromi chimici e alcun tipo di conservante. Cerchiamo

Denis Buosi

anche di valorizzare il territorio circostante utilizzando alimenti e ingredienti tipici come le pesche di Monate e il latte e la panna della centrale di Varese.»

Ma oltre alla sua attività nel campo della pasticceria e dell'insegnamento, Denis ha anche un'altra passione, decisamente ludica. Infatti, il Maestro Cioccolataio si diletta nel creare mille forme e silhouette che vanno dagli animaletti alle automobili, dagli stemmi alle lettere dell'alfabeto in cioccolato al latte o fondente.

Denis ha anche creato la linea

Giocolato all'interno della quale propone giochi quali la dama, gli scacchi, il circuito della Formula

Uno, attrezzi da lavoro realizzati interamente in cioccolato. Oltre a questi, Buosi confeziona anche scatole ad hoc, contenenti lettere di cioccolato, per formare dolci parole da regalare. La creatività di Denis Buosi non ha limiti: i soggetti spaziano dal tema natalizio a quello pasquale, dalla Festa della Mamma o del Papà, per finire con il salame di cioccolato. «Con il cioccolato si può realizzare qualsiasi forma: un logo aziendale, un oggetto o un accessorio di abbigliamento...

Basta creare uno stampo, scegliere la tipologia di cioccolato preferita e il gadget in cioccolato è fatto!»

Tra i corsi organizzati nell'ampio laboratorio a vista, ci sono anche quelli per bambini, che possono poi gustare i disegni da loro realizzati.

Villa Milano

Via San Carpoforo 3

20121 Milano

Tel. +39 02 804279 villa.it

Villa Milano è una storica oreficeria di Milano dove si possono trovare gioielli di straordinaria eleganza, molti dei quali realizzati con il tessuto Villa, un intreccio di fili d'oro brevettato da Giuseppe, figlio del geniale Benvenuto, bis bisnonno delle attuali proprietarie, che iniziò l'attività orafa nel 1876. Orafo, scultore e alchimista di grande fama, con le sue creazioni di gioielli e sculture partecipò alle grandi esposizioni universali dell'epoca vincendo la medaglia d'oro all'Expo di Parigi del 1889 grazie alla scultura cubo in argento scomponibile, modernissima per l'epoca. Di generazione in generazione la vena artistica della famiglia non si è mai estinta. Oggi a continuare l'attività sono Alice e Francesca Villa, figlie di Marco, che rappresentano la quinta generazione e proseguono con passione nella tradizione familiare. Da poco trasferita dalla storica sede di via Manzoni, la nuova boutique si trova in Brera, in via San Carpoforo: nel laboratorio a vista inaugurato nel 2021 si possono ammirare i maestri orafi che, muniti di minuscoli strumenti del mestiere, danno vita a meravigliosi bracciali, anelli, spille e collane con pietre preziose, molti dei quali creati su misura per i clienti. Tra le creazioni più particolari che continuano a rendere famosa la gioielleria ci sono i gemelli “dai mille volti”: in oro e

pietre dure, smaltati col muso di un bassotto, in osso con la sembianza di un cane carlino; animali di tutti i tipi, in pietra dura incisa e scolpita; con una foglia di edera, una sfera decorata e dipinta come una mappa geografica, con gli angioletti, con le conchiglie, con la pallina da golf, con una vela. Recentemente sono venuti ad arricchire la collezione anche elementi in alluminio, geodi, fossili in pietra lavica, meteoriti. Gemelli di ogni forma e materiale, creativi, ironici, giocosi, eleganti e raffinatissimi, con una tale varietà di soggetti e di fattura che è veramente difficile attuare una scelta.

Argenterie

Giovanni Raspini

Largo Torricelli 1

52041 Pieve al Toppo, Civitella in Val di Chiana (AR)

Tel. +39 057 5410330 giovanniraspini.com

Da oltre cinquant'anni

Giovanni

Raspini dà vita a preziosi manufatti che realizza nella sua terra, la Toscana, coadiuvato da esperti artigiani. I gioielli creati nei suoi laboratori si distinguono non solo per l’originalità, ma per quel pizzico di ironia e giocosità che sono alla base di ogni sua creazione. Come i bracciali con i coccodrilli, i charms con le rane, le spille con i granchi,

le cornici portafotografie costellate di margherite. «Quando ho deciso di dare un'impronta diversa alla mia produzione, agli inizi degli anni Novanta, ho creato le cornici Margherita: non immaginavo che avrei riscosso tanto successo,» confida il designer. Il dialogo fra la tradizione orafa italiana e il desiderio di proporre modelli sempre nuovi trova spazio nei suoi laboratori, dando vita a nuovi manufatti attraverso il fuoco e le sapienti mani degli artigiani. «Nei nostri laboratori scolpiamo idee per trasformarle in gioielli,» continua Raspini. «Creiamo i nostri oggetti a mano grazie a tecniche di lavorazione millenarie, in primis quella a cera persa. Nell'arte orafa, l'idea è come il vento di un'intuizione, un sogno a occhi aperti. Costruire un gioiello, per me, è come costruire una scultura in miniatura, equilibrata e perfetta in ogni sua parte.» Raspini ripercorre il suo passato: «Gli anni Novanta sono stati un momento di grande cambiamento per l’azienda, nata nel 1972; i charms, l’argenteria da tavola e da scrivania, sono diventati sempre più importanti nell’offerta del nostro brand e tra questi alcuni pezzi per l’arredo

quali le cornici Margherita, che incarnano perfettamente lo stile aziendale, tanto da diventare un best seller non solo in Italia.» È con il nuovo millennio però che la trasformazione dell’azienda si compie a pieno. Giovanni Raspini comincia a progettare e realizzare preziosi da indossare che, seguendo un'evoluzione partita dai charms, giungono a modelli più elaborati.

I gioielli in argento e in argento dorato assumono mille forme divertenti e perfette, dagli esemplari di diverse razze canine alle lucertole, dalle pantere alle rane e alle anatre, dalle coccinelle ai quadrifogli e ai fiocchi di neve. Creazioni uniche e preziose, straordinario connubio tra artigianalità, ironia e qualità made in Italy.

Ad affiancare nel lavoro Giovanni ci sono la figlia Costanza e il suo socio alter ego Claudio Arati, che condivide con lui la stessa passione. Sempre attento alle iniziative culturali, Raspini è promotore di mostre sulle tradizioni orafe e di varie manifestazioni volte a sostenere e a promuovere l'artigianato italiano.

Judith Sotriffer

Strada Pedetliva 18 39046 Ortisei (BZ) Tel. +39 333 4606593 giocolegnovalgardena.com

Judith Sotriffer è un'abilissima artigiana che ha deciso di riportare a nuova vita un'antica attività per la quale il suo Paese, Ortisei, era famoso fin dal Seicento.

«Nei secoli passati quasi tutti gli abitanti della Val Gardena lavoravano il legno, che era la prima fonte di reddito del Paese, ricco di boschi,» spiega Judith. «Molti di loro si erano specializzati nell'intaglio e nella realizzazione di giocattoli che

venivano venduti nei mercati e nelle fiere di molte città, anche straniere, con grande successo. Si pensi che le bambole della Val Gardena erano diventate famose anche in Olanda e che il Childhood Museum del Victoria & Albert di Londra ne ha in esposizione circa 130 esemplari, tra i quali 12 bambole appartenute alla regina Vittoria. Di fianco al Covent Garden c'è ancora un negozio che all'epoca vendeva le bambole della Val Gardena e che le vende ancora!» Figlia di un artista e della proprietaria di uno storico negozio di giocattoli a Ortisei, Judith Sotriffer è stata abituata fin da bambina ad apprezzare il bello.

«Io sono sempre stata affascinata da questi giochi-sculture, così ho deciso di riportare in vita la nostra antica tradizione, fiorente fino agli anni Trenta del secolo scorso. Poi sono arrivate le bambole in cellulosa e i peluche che hanno soppiantato i giocattoli in legno. In casa avevamo alcuni esemplari di bambole: ho cominciato a smontarle, per scoprire come erano state fatte, mi sono documentata studiando sui libri, poi ho aperto un laboratorio nel 1985 e mi sono messa all'opera.»

Già all'ingresso del laboratorio si viene avvolti dal profumo della colla e del cirmolo mescolati insieme. Sugli scaffali un'infinità di pinocchi, cavallini e bambole dalla faccia tonda, sorridenti, dinoccolate e sottili, realizzate a mano una per una. Di tutte le misure. Sui tavoli da lavoro sgorbie, lime, raspe, scalpelli, pennelli, barattoli di colori, colla. E un tornio per modellare. Capelli e scarpe nere, calzine bianche, occhi azzurri: ogni bambola gardenese è composta da ben 17 parti. Judith intaglia ogni singolo pezzo, dipinge, fissa con la vernice i colori, assembla, fino a dar vita ai suoi pezzi unici. Che sono richiesti da varie parti del mondo, dall'America alla Svezia fino all'Australia e alla Nuova Zelanda. «La bambola non è solo un giocattolo, è un'amica con la quale ci si confida. È il primo approccio ludico di un bambino, la prima arte che lo fa riflettere, che ne stimola la fantasia. È come un amuleto affettuoso, conosciuto fin dall'epoca degli Etruschi, da tenere stretto a sé: con un pizzico di magia,» conclude sorridendo Judith Sotriffer.

L'Arcolaio

64100

Tel. +39 0861 587095

Olga: +39 392 7931430 larcolaio.it

ma sempre jacquard, sulla storica tela Pienza.»

Diverse sono le proposte de L'Arcolaio: la linea Identity, dove vengono sperimentate le costruzioni jacquard e le varie tinture; la linea Ambienti Italiani dove le artigiane si dilettano a raccontare, attraverso tessuti jacquard o ricamati, suggestioni del nostro Bel Paese; e la linea Alma, concepita durante la primavera del 2020, per tradurre in tessuto l'esigenza di leggerezza rispetto alla cupezza di quel momento storico.

Tra i motivi decorativi, spiccano i polipi giganti, gli ombrelloni, i pesci e le sirene, i cervi, le stelle marine, i volti di donne. Un universo giocoso, da realizzare anche su misura.

Olga, Chiara e Mariana Perticara sono tre sorelle che hanno ereditato dal nonno Antonio, oltre all'azienda con una decina di telai, anche la passione per la tessitura con un chiodo fisso per le fibre naturali, le costruzioni jacquard dei tessuti e i manufatti tessili ricercati. Racconta Olga: «Nonostante i nostri settant'anni di tradizione familiare alle spalle, noi sorelle amiamo metterci in gioco e sperimentare tecniche diverse come il ricamo, la tintura e la stampa, con lo scopo di creare qualcosa di originale. Sentiamo che i tessuti jacquard appartengono al nostro DNA, ma amiamo i tessuti di ogni genere, purché originali e sostenibili. Lavoriamo con il lino, il cotone, la canapa e la lana.» Tra le ultime creazioni de L'Arcolaio ci sono i cipressi della Val d’Orcia: «Sono venuti fuori da un telaio, con tante armature diverse, nel tentativo di replicarne l’unicità; poi, dopo pochi anni, sono diventati ricami, quasi stilizzati, per rendere l'immagine del loro stagliarsi sull’orizzonte; da un anno sono anche stampati,

Conclude Olga: «È incredibile come da un diverso intreccio di fili possano nascere sempre cose nuove e originali. Abbiamo letteralmente rimesso mano a quello che tesseva nostro nonno – riproponendo lo stesso intreccio di ordito e trama – e abbiamo provato a dare un senso contemporaneo. Ci sentiamo delle privilegiate per aver avuto la fortuna di incontrare, nel corso degli anni, artisti di una rara sensibilità che collaborano con noi, quali Elisabetta Bovina e Carlo Pastore, di Elica Studio, e Monica Zani. Insieme a loro abbiamo inventato tanti nuovi motivi per le nostre tele.»

Ottavia Moschini

10, Avenue Junot

75018 Parigi

Tel. +33 06 24484933

ottaviamoschini.com

Piena di idee e di iniziative, Ottavia Moschini è una giovane decoratrice sempre in giro per il mondo. Munita di pennelli e di colori, è in grado di cambiare volto alle pareti trasformando anche le stanze più anonime in ambienti da sogno. Dai castelli in Austria, Bavaria, Francia alle abitazioni milanesi, dai grandi alberghi di Parigi, Firenze e Venezia ai casali in Toscana fino a Soho (New York). Nel 2007 ha diretto il padiglione del Libano alla cinquantaduesima Biennale di Venezia.

«Ho sempre avuto la passione per il disegno,» ci racconta Ottavia. «Fin da bambina copiavo quadri a olio e dipingevo porcellane. Poi grazie agli anni a bottega dal Maestro Melli che mi ha portato a restaurare il Mantegna, alla scuola Van Der Kelen-Logelain in Belgio e a corsi specifici alla Royal Academy di Londra ho messo a fuoco quello che avrei voluto fare “da grande”.»

Oggi che le sue abilità tecniche si sono arricchite di esperienza e affinate, l'abile pittrice è in grado non solo di realizzare qualunque decoro su pareti, stoffe, carte, ma anche di consigliare i disegni appropriati per rendere più

armoniosa una casa. «Il mio è un mestiere ludico,» racconta. «Già il fatto di trasformare le pareti, di creare degli effetti ottici che ingannano la vista ha in sé un pizzico di giocosa ironia. Una decorazione molto apprezzata anche dai bambini, che a volte sono i destinatari dei dipinti. Spesso “sfondiamo le pareti” disegnando intere foreste, oppure serre con piante esotiche: un modo di giocare con l'habitat ricostruendolo su misura. Dopo aver elaborato il progetto con il committente e creato il bozzetto, procedo dipingendo con i colori direttamente sulle pareti o sulla carta, senza tratteggiare prima un disegno. Per dare maggiore spontaneità all'opera. Molti lavori vengono oggi realizzati su pannelli di carta per permettere eventuali spostamenti in ambienti diversi,» conclude Ottavia Moschini. «Per me oltre a un lavoro il mio è un gioco,» confessa sorridendo la straordinaria artigiana che ha appena finito di riprodurre degli elaborati disegni con ogni tipo di vegetazione e insetti su delle tele in seta destinate a sostituire delle tende ormai lacerate dal tempo che erano state ideate dall'architetto Mongiardino. E forse è questo il segreto del suo successo: vivere la sua arte come un gioco e trasmettere gioia.

Studio Elica

Via San Felice 48

40122 Bologna

Tel. +39 348 3825919 elicastudio.it

La curiosità è la loro molla che quotidianamente, da quasi quarant'anni, li spinge a sperimentare materiali, forme, a elaborare disegni e decori, spaziando nei campi più svariati del design e dell'artigianato.

Elisabetta Bovina e Carlo Pastore si sono incontrati a Faenza, alla Scuola superiore di ceramica, e da allora hanno iniziato una collaborazione e un sodalizio, di lavoro e di vita, che non ha mai smesso di crescere. Il loro quartier generale è una storica vineria nel centro di Bologna: l'insegna del 1928 riporta ancora la scritta La Vinicola. Oltre l'ingresso una serie di stanze e stanzette dove avvengono le diverse fasi delle creazioni di ceramica, la cottura nei quattro forni ad alta temperatura, i torni per modellare l'argilla, i tavoli per la pittura. Racconta Elisabetta: «Nelle cantine sottostanti abbiamo

spesso organizzato eventi, mostre collettive di artisti, spettacoli. Perché amiamo sperimentare e siamo innamorati di tutti i materiali, mai fissati su uno solo. Il nostro lavoro è un mezzo per esprimerci, per raccontare delle storie. Per alcune delle nostre creazioni abbiamo preso spunto dal gioco della Smorfia con i cuori napoletani. L'idea è l'utilizzo di un'icona pop come il cuore reinterpretato con richiami anatomici e fortemente italiano.» Nell'ampio laboratorio si possono ammirare i loro vasicuore, con tanto di arterie in bella vista per acqua e fiori, e poi piedi, mani, parti del corpo umano. Il tutto riveduto con sapienza, fantasia e tanta ironia da questi straordinari designer e maestri artigiani. Abilissimo nella decorazione è Carlo Pastore, vero artista del pennello, mentre Elisabetta cura la creazione materica degli oggetti.

I loro clienti sono cittadini del mondo: dal Giappone agli Stati Uniti, dagli Emirati Arabi al nord Europa.

Unusual Bouquet

Via del Montano 24 04010 Giulianello (LT) Tel. +39 347 8648041 bouquetalternativi.it

«Fin da bambina volevo diventare artista: adoravo disegnare. Ma la vita mi ha fatto fare un percorso molto contorto prima di farmi trovare la strada giusta e la mia vera passione.» Chi parla è Jessica Ciaffarini, giovane maestra artigiana dalla creatività straordinaria, che riesce a dare vita a meravigliosi bouquet senza recidere nessun fiore. “Ho troppo rispetto e amore per la natura per tagliare dei fiori che sarebbero destinati a morire dopo poche ore,» confida Jessica, nel suo luminoso atelier di Giulianello, antico borgo in provincia di Latina al confine con i Castelli romani. «Dopo l'accademia di Belle Arti e la scuola di fotografia ho cominciato a seguire dei corsi di tecnica giapponese, Somebana, e a impratichirmi nel “Fommy modellabile”, la plastilina leggerissima e facile da plasmare. A poco a poco ho iniziato a dare vita ai miei fiori. E non solo per

abbellire abiti e cappelli, come nella moda in voga nell'Ottocento, ma anche per creare bouquet per le spose, confezionati su misura.» Rose, camelie, peonie, lilium, foglie verdi: i suoi fiori sembrano tutti appena colti tanto sono pieni di sfumature di colore e con petali impalpabili. Sono realizzati a mano, uno per uno, nel suo laboratorio, dipinti con pigmenti di origine vegetale, plasmati in forme particolari così da farli vivere. «Utilizzo per lo più stoffe pregiate provenienti da atelier di alta moda, oppure recuperate da aziende che lavorano con l’impegno di non impattare troppo sul nostro ambiente, spesso anche scarti di tessuti che ritaglio e faccio rivivere sotto altre forme.» Un altro tipo di bouquet da sposa che Jessica realizza è il bouquet di carta, con carte professionali e di alta qualità nel rispetto dell’ambiente per una filiera più sostenibile. Creazioni non solo esteticamente belle, ma anche giocose ed ecologiche. Con Jessica Ciaffarini collabora Francesco Russotto, compagno di vita e di lavoro, affermato fotografo: insieme creano bellissimi quadri con composizioni floreali, anche celebrativi.

PAGINA ACCANTO: Pagoda è la prima voliera che Maurizio Betti ha realizzato nel 2008. A pianta ottagonale, color carta da zucchero e bianco antico, la voliera è presente nel cortile della gioielleria Villa Milano, in via San Carpoforo 4, in occasione del Salone del Mobile 2023: l’incontro tra queste due realtà dal forte carattere artigianale è nato durante Homo Faber Event 2022 a Venezia.

QUI: La voliera La Nera è dotata di fontanella con acqua corrente e illuminazione interna, il tetto è decorato con piume modellate a mano in pastiglia e rivestite in foglia d’oro 24 carati, l’intera struttura è rifinita a sandracca.

L’uomo che sussurrava agli uccelli

Dall’amore di un Maestro artigiano per la natura nascono spettacolari voliere e altre realizzazioni di grande poesia e sensibilità artistica. Nella Bottega di Betti si creano pezzi unici e sostenibili dall’anima speciale.

31 MESTIERI D’ARTE & DESIGN

Sin da bambino, Maurizio Betti aveva chiaro in testa che la sua vita sarebbe stata in simbiosi con la natura. «Non mi piaceva andare a scuola, quando terminavano le lezioni correvo a casa, buttavo la sacca dei libri a terra e uscivo fuori a giocare nei campi, poco importa quale stagione fosse. E poi c’erano la primavera e l’estate, che trascorrevo a fare il bagno nel fiume o con il nonno giardiniere nelle ville dei ricchi a raccogliere foglie e a osservare gli uccelli, da subito la mia passione. Quando vangava la terra, nonno tirava fuori un po’ di argilla e mi diceva sempre: «Maurizio, fammi un gazot,» che nel nostro dialetto significa passerotto. E io mi mettevo lì a modellare con le mie mani.»

A 15 anni, Betti trova lavoro in una ditta artigianale di decorazioni in stucco e gesso grazie al padre Pasquale, restauratore di vasi antichi presso il museo comunale di Rimini. «Tranne una piccola parentesi come artigiano indipendente, alla fine ci resto fino a 40 anni, quando sento che è arrivato il momento di dare vita a qualcosa di mio.» La svolta ha gli occhi di una donna iscritta alla stessa associazione culturale che Maurizio frequenta nel tempo libero, anche lei decoratrice:

tra i due nasce un sodalizio personale e professionale che dura tutt’ora. «Fu così che nel 2000 Loredana e io creammo la Bottega di Betti, il nostro atelier. Inizialmente restammo nel solco dei rispettivi mestieri, occupandoci principalmente di decorazione d’interni, poi cominciammo a realizzare i primi mobili in legno. Io mi occupavo della struttura, Loredana delle parti esterne. Fino a quando un nostro cliente non si presentò da noi con un pappagallino che i suoi genitori non volevano più in casa.»

Per Maurizio e Loredana quello è un punto di svolta, anche se non lo sanno ancora: i due artigiani avevano già realizzato “casette” rudimentali per ospitare gli uccelli del loro giardino durante la nidificazione, ma non con i dettagli e l’attenzione che riponevano per i loro mobili. «Non volevamo chiuderlo dentro una brutta gabbia di metallo, volevamo che avesse un luogo confortevole dove cercare riparo che fosse al contempo un bell’oggetto da guardare. Il risultato mi convinse che quella poteva essere una nuova strada professionale e così nel 2008 iniziammo a proporre alle fiere anche alcuni nidi. Purtroppo l’accoglienza dei compratori fu inizialmente tiepida, ma noi

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non ci demoralizzammo. Finalmente ricevemmo la telefonata di una signora di Milano che aveva visto i nostri lavori a un mercatino a Rimini: ci chiese se eravamo in grado di pensare ancora più in grande e di creare una voliera.» Loredana si mette a disegnare il progetto, Maurizio a lavorare il legno: dopo alcuni mesi il risultato è talmente soddisfacente da spingere i due a realizzarne un’altra per presentarsi sul mercato con una nuova offerta commerciale. «Fu così che ci rendemmo conto che c’era un interesse concreto. Bisogna tenere conto che per realizzare un modello semplice ci vogliono almeno due mesi, per uno più complesso anche il doppio, il che significa che non abbiamo bisogno di tanti ordini perché non saremmo in grado di gestirli.»

Il tempo è una componente fondamentale nel lavoro di Maurizio e Loredana, anche perché le loro voliere sono vere e proprie case piene di confort per i loro abitanti: il ricambio di acqua è costante, ci sono luci affinché gli uccelli non restino al buio più del tempo naturale, lampade riscaldanti per i giorni più freddi, strutture che permettono ai volatili di giocare. «Il primo pensiero

QUI: La Bottega di Betti a Santarcangelo di Romagna, dove le competenze e i saperi si tramandano da tre generazioni, è il luogo dove Maurizio e Loredana creano le numerose invenzioni di fantasia che arredano e decorano terrazze e giardini.

33 MESTIERI D’ARTE & DESIGN
PAGINA ACCANTO: Studi e bozzetti a colori di voliere realizzati da Loredana Cangini, compagna di Maurizio Betti nel lavoro e nella vita.

quando affrontiamo un nuovo progetto è il loro benessere. Fosse per me gli uccelli dovrebbero vivere liberi nel loro habitat, ma finché la legge consente di vendere animali esotici tanto vale dare la possibilità a chi se lo può permettere di lasciar perdere le gabbie di metallo per qualcosa di più bello e spazioso.»

Spazioso ma non certo non come lo Studiolo Ornitologico che il duo creativo di Sant’Arcangelo di Romagna ha presentato alla seconda edizione di Homo Faber, un progetto imponente (2,80 metri di altezza, 1,95 di lunghezza e 1,2 di profondità) che ha richiesto oltre sei mesi di lavoro e che ad oggi rappresenta il loro capolavoro. «Quella voliera mi ha fatto perdere il sonno!

C’erano giorni in cui guardavo Loredana e le chiedevo: «Non avremo esagerato questa volta? Riusciremo a realizzare una cupola di legno così grande?» Alla fine ce l’abbiamo fatta, ma quando siamo arrivati a Venezia per montare l’opera in

sito un’altra angoscia mi ha attraversato: cosa c’entravamo noi, semplici artigiani del legno, accanto ad artisti di fama internazionale del vetro e della ceramica? Al di là del ritorno d’immagine e dell’aumentato interesse commerciale che Homo Faber ha sicuramente provocato, essere considerati a nostra volta artisti è stata la cosa che più ci ha commossi e gratificati.»

Al successo veneziano è poi seguito il riconoscimento come Maestro d’Arte e Mestiere, un traguardo che per Maurizio rappresenta un nuovo punto di partenza. «Sto già pensando alla prossima sfida. Mi piacerebbe collaborare con qualche designer per realizzare una voliera completamente diversa, dalle linee più contemporanee. Un vero pezzo di design che dimostri la poliedricità dell’oggetto.» Una prova che, ne siamo sicuri, quel bambino che realizzava passerotti con l’argilla supererà un’altra volta. •

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PAGINA ACCANTO: Lo Studiolo Ornitologico è una voliera per canarini o Diamanti di Gould dotata di fontanella con acqua corrente e illuminazione interna. Alla base sono collocati i dipinti di canarini e le bacheche illuminate contenenti un piccolo museo naturalistico ornitologico. È stata realizzata in occasione di Homo Faber Event 2022. QUI: Maurizio Betti durante l’alloggiamento dell’arredo della voliera Lo Studiolo Ornitologico

La Voliera degli

Innamorati è una voliera da camera realizzata per ospitare una coppia di inseparabili. Internamente rivestita in lamierino e sormontata da una scultura in ceramica raffigurante la coppia di ospiti, è dotata di tendine in seta per garantirne la privacy.

QUI: Barnaba Fornasetti nella sua cucina a tema farfalle. In mano, un bastone da passeggio vintage di Fornasetti con l’impugnatura a forma di lettera F in ottone. Sedie e tavolo di Fornasetti Ultime notizie Foto: Matteo Cherubino.

I lineamenti di Lina Cavalieri, musa di Piero Fornasetti per la serie Tema e Variazioni di cui questo vaso fa parte, sono giocosamente reinterpretati su questa ceramica decorata a mano.

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PAGINA ACCANTO: Vaso Farfalle

Volano farfalle

Un viaggio all’interno dell’Atelier

Fornasetti dove i mobili, gli accessori e le porcellane prendono vita grazie a un immaginario potente che non smette di affascinare e sorprendere.

Fornasetti, un nome che evoca decorazioni mai convenzionali, ironiche e provocatorie. Sinonimo di immagini surreali e mondi fantastici che diventano arte. Iniziamo così il nostro viaggio tornando alle sue origini, negli anni Quaranta, quando Piero Fornasetti, artista eclettico e raffinato tra i più prolifici del Novecento, decide di dar vita all’omonimo Atelier di Milano per realizzare il suo sogno: quello di produrre industrialmente oggetti di uso comune impreziositi da una componente decorativa, artigianale, in grado di trasformarli in veri e propri pezzi d’arte.

Un luogo, il suo Atelier, in cui la creatività diventa libera di fluttuare tra immaginazione, sogno, gioco, follia e applicazione pratica, e dove prendono forma oggetti e decori grazie alle sapienti mani degli artigiani. «Ogni singola immagine è un’ispirazione, un punto di partenza che può dar vita a infinite variazioni,» come Piero Fornasetti raccontava. Escono così dalla sua fertile matita volti, parti di corpo, farfalle, civette, capitelli, il sole, le carte da gioco, gli arlecchini, gli autoritratti, che si posano su mobili, complementi e porcellane, dando vita a quella magia unica che, da allora a oggi, non smette di stupire. Tra questi temi, il più famoso è il volto incantevole di una donna con il suo sguardo magnetico: si tratta di Lina Cavalieri, artista di fama internazionale, vissuta a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Dapprima soubrette,

poi soprano e infine attrice cinematografica, rimase celebre come “la donna più bella del mondo”. Le proporzioni auree e l’espressione enigmatica di Lina Cavalieri diventano così protagoniste del tema più duraturo di Fornasetti, a tal punto che oggi se ne contano quasi 400 variazioni: ora ammiccante, misteriosa, stupita, sorridente, con i baffi alla Chaplin, gli occhiali o la corona, ora sotto forma di farfalla, mongolfiera, caramella, o ancora, come tatuaggio sul braccio di un marinaio e luna nascosta tra le nuvole.

Nasce così lo stile Fornasetti, ludico, saturo di spirito e umorismo, il cui principio è quello della “follia pratica”, cifra inconfondibile dell’Atelier, grazie al quale il linguaggio decorativo fornasettiano viene applicato a oggetti d’uso comune, che si fanno portatori di messaggi artistici pur mantenendo la loro funzione pratica. I mobili e i complementi di Fornasetti sono il risultato di una lunga lavorazione eseguita manualmente: la decorazione è trasferita su una superficie

39 MESTIERI D’ARTE & DESIGN

laccata mediante serigrafia, la tecnica di stampa nata in Francia negli anni Dieci e adottata già da Piero Fornasetti per la realizzazione delle sue creazioni in sostituzione della litografia. Anche il colore è applicato manualmente dai pittori dell’Atelier, che seguono meticolosamente i bozzetti originali dell’epoca. La superficie decorata e laccata viene lasciata asciugare tra una mano e l’altra per alcuni mesi, processo che sigilla il decoro conferendo all’oggetto la tipica lucentezza e piacevolezza al tatto. Ogni pezzo risulta prezioso e inconfondibile, come anche le porcellane, interamente decorate e dipinte a mano tramite l’applicazione dei decori in serigrafia, prima della cottura a forno. L’eredità di Piero Fornasetti e i principi che hanno dato vita all’Atelier sono gli stessi che animano oggi il figlio Barnaba, attuale Direttore Artistico: quella passione che dalla testa si trasferisce alle mani in una continua sintesi di pensiero e azione resta infatti alla base di tutti i prodotti creati dall’Atelier. Insieme al senso del ludico, costante imprescindibile del lavoro di Piero Fornasetti prima e del figlio oggi. Come racconta lo stesso Barnaba: «Il decoro ci invita alla fantasia e, come il gioco, ci fa evadere dalle cose che ci circondano. Posso dire che tutta la mia vita è un gioco a tempo pieno. Giocare è

diventata una professione, a tal punto che anche i miei hobby, come per esempio la musica, stanno entrando a farne parte. È come essere in una grande ludoteca.» Se dovesse descrivere Fornasetti con due aggettivi, quali sceglierebbe? «Libero, dagli stereotipi estetici imperanti, dalle mode e dalle etichette. Mio padre mi ha insegnato a lottare per l’autonomia di pensiero e a resistere al conformismo. Ciò non significa assenza di metodo e di regole, perché queste, contrariamente a quel che pensiamo, sono essenziali per far viaggiare libera la fantasia. Il secondo aggettivo è ironico, perché l’estetica di Fornasetti è un’estetica ironica che attinge, in modo colto e consapevole, a secoli di storia visiva: una sorta di remix di figure che fanno parte dell’immaginario collettivo.»

Lasciamo l’Atelier consapevoli che qui si crea basandosi su due risorse particolarmente preziose oggi: il tempo e il saper fare. Non c’è nulla, infatti, che venga realizzato seguendo una tabella di scadenze predeterminata ma solo ascoltando il ritmo interiore di un tempo dettato dal cuore e dalla passione, che attraverso i gesti viene trasferito agli oggetti. Un tempo non definibile che diventa la dimensione necessaria a far sì che ogni opera sia compiuta al meglio. Chapeau! •

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PAGINA ACCANTO: Cabinet rialzato Fondo marino. Legno stampato, laccato e dipinto a mano, base in ottone. Le magiche atmosfere dei fondali marini impreziosiscono questo mobile con variopinte forme di spugne e coralli. Il tema del trompe l’oeil è caro a Fornasetti.

QUI: Candelabro Sul Tardi Peccato originale con fragranza Frutto Proibito Ceramica e ottone. L’inedito design e la fragranza, racchiusa nella mela, si incontrano in un’esperienza sensoriale che sembra sospendere il tempo.

41 MESTIERI D’ARTE & DESIGN

QUI: Consolle Serratura. Impreziosito dal volto misterioso di Lina Cavalieri intravisto da una serratura, questo mobile contenitore è realizzato in legno stampato e laccato a mano nell’atelier di Fornasetti a Milano.

PAGINA ACCANTO: Sul tappeto Peccato originale un ironico serpente, originariamente disegnato da Piero Fornasetti negli anni Cinquanta per un vassoio, su un fondo di foglie, esaltato dall’unione di lana neozelandese e seta delicata.

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PAGINA ACCANTO: Fase della stesura a mano del colore nell’atelier Fornasetti, Milano. Nello specifico, il pittore sta colorando il cabinet piccolo poliedro Musciarabia con rose che fa parte delle novità proposte in occasione della Milan Design Week 2023.

QUI: Le reinterpretazioni del volto della cantante lirica Lina Cavalieri da parte di Fornasetti danno vita alla serie Tema e Variazioni e fanno di questo piatto in porcellana decorato a mano un oggetto imperdibile per collezionisti e amanti dell’arte. Le forme circolari e le superfici piane danno grande risalto ai decori dell’Atelier, come nel caso del vassoio Ortensia (in basso) in metallo serigrafato, dipinto e laccato a mano.

45 MESTIERI D’ARTE & DESIGN

QUI: Opera Blu, alta 41 cm, in vetro soffiato, è impreziosita con decori in oro graffito. Frutto di straordinaria maestria, i pezzi di Cesare Toffolo da decenni sono esposti in musei, gallerie e collezioni private di tutto il mondo.

PAGINA ACCANTO: L’anfora Ambra, alta 35 cm, è in vetro soffiato lavorato interamente a mano libera da Cesare Toffolo.

Vetro SPECCHIO DELL’ANIMA

Discendente da una famiglia di Maestri vetrai, la soffiatura del vetro non ha segreti per Cesare Toffolo. Le sue opere, esposte in numerosi musei, sono frutto di una tecnica impeccabile e soprattutto di una vivida fantasia, forza trainante delle sue colorate creazioni.

di Jean Blanchaert Fotografie di Cesare Toffolo

«Io non creo le mie opere per gli altri ma per me stesso. Esse sono lo specchio della mia anima, di come sono, dell’ambiente in cui vivo, di quello che respiro. Sono i miei sogni e i miei incubi. Nei miei vetri c’è Venezia e il Rinascimento, ma c’è anche l’uomo contemporaneo che convive con la storia.» Cesare Toffolo è nato a Murano, ha sempre respirato l’aria della laguna e con essa l’essenza del vetro. Suo nonno e suo padre hanno lavorato nelle famose fornaci di Murano. E non hanno soltanto lavorato, ma sono stati degli innovatori. Suo nonno Giacomo per molti anni fu primo Maestro alla Venini. Il padre Florino segue le orme di Giacomo e diventa, già diciasettenne, Maestro di bicchieri alla Venini. Partecipa come soldato alla Seconda guerra mondiale e, non avendo aderito alla Repubblica di Salò, trascorre un anno e mezzo di prigionia in Germania dove viene destinato, insieme a un altro muranese, al laboratorio di chimica. Qui, nelle interminabili giornate di detenzione, affina la tecnica del vetro soffiato a lume. Florino Toffolo continuerà a perfezionarsi anche una volta rientrato a Murano. Fu il primo

Maestro vetraio a realizzare soffiati notevolmente più grandi della normale produzione a lume.

Si dice che gli artigiani siano anche molto ludici. Trascinati dalle loro sapienti mani e dell’ispirazione del momento, creano senza pensare, guidati da una forte spontaneità. Cesare Toffolo di questo aspetto ludico è un campione. Naturalmente, se uno non conosce la grammatica, non può scrivere un racconto, senza avere nozioni delle tecniche del vetro è impossibile creare un’opera bella, bisogna essere padroni a occhi chiusi di tutti i fondamentali, quelli che Cesare Toffolo aveva imparato da suo nonno e da suo padre. Alla prematura scomparsa di quest’ultimo, fu il Maestro Livio Rossi, amico di famiglia, a prendere per mano il tredicenne Cesare e a diventare suo mentore, consigliere di vetro e di vita.

La sua fantasia è stata ed è ancor’oggi la forza trainante della sua opera. Si siede al tavolo di lavoro nelle prime ore del mattino, quando la mente è appena uscita dal mondo onirico. Plasmando il vetro con la fiamma, trasferisce in un’opera il sogno vivido, ancor fresco di fase REM. Nascono così, a volte,

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oggetti lillipuziani (vasi, bicchieri, anfore e alzate colme di frutta) e piccoli uomini che sembrano usciti dalla penna di Jonathan Swift, nei Viaggi di Gulliver. Cesare Toffolo riesce a questo punto a essere un miniaturista medievale, la sua sfida è applicare le antiche tecniche di lavorazione, per esempio quella cinquecentesca della filigrana, anche per creare, all’occorrenza, oggetti sempre più minuscoli. Per farlo, usa gli strumenti classici del lavoro in fornace e sperimenta tecniche mai utilizzate prima nella lavorazione alla fiamma. La sua è una ricerca continua. «Questa, per me, è una cosa normale, la monotonia mi ucciderebbe professionalmente e mentalmente.»

Cesare Toffolo, la cui essenza è totalmente muranese, ha sparso in modo centrifugo in tutto il mondo quest’identità.

Nel 1991, all’età di 30 anni, grazie al Maestro Lino Tagliapietra che era già noto internazionalmente, è stato invitato a tenere corsi alla Pilchuck Glass School di Seattle e, successivamente, al Niijima Glass Art Center a Tokyo, al Corning Museum of Glass di New York, alla Penland School of Crafts nel North Carolina, al Toyama Institute of Glass

PAGINA ACCANTO: Le Figure veneziane, alte 15 cm, sono un omaggio alla tradizione in maschera che caratterizza la popolazione lagunare.

QUI: I Funamboli, in vetro soffiato interamente a mano libera e foglia d’oro, come tutte le altre opere di Cesare Toffolo, sono realizzate in un palazzo della storica Fondamenta dei Vetrai. Foto: Studio Immagine.

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e al Kanazu Forest of Creation Foundation in Giappone. Questi viaggi nei cinque continenti hanno restituito a Murano un uomo rinnovato, pieno di colori e di immagini prima inconcepibili.

L’esperienza americana è stata una svolta significativa per Cesare. A Pilchuck, incontra altri grandi artisti come Dale Chihuly, Dante Marioni, Richard Marquis e acquisisce senza accorgersene una mentalità di approccio al vetro più artistica. Il nuovo pensiero è semplicemente creare. Con questa nuova consapevolezza, una volta tornato a Murano, realizza il suo primo pezzo nuovo, un’anfora che versa acqua in un bacile. Tutto in vetro, getto d’acqua compreso. La sicurezza tecnica ha permesso al Maestro Toffolo di eseguire delle opere vitree, con la padronanza di chi sa scrivere in vetro e sa scrivere molto bene. È come se intingesse un pennino nell’inchiostro.

Nel suo laboratorio, sull’isola di Murano, Cesare Toffolo è oggi affiancato dai suoi figli, Emanuel ed Elia, ai quali ha insegnato le tecniche vetrarie, lasciandoli però liberi di procedere per la loro strada. La quarta generazione è già all’opera. •

QUI: Cesare Toffolo con le sue miniature in vetro soffiato in filigrana lavorato a mano libera: queste Gemme lagunari (altezza variabile dai 6 ai 16 cm) sono da intendersi come antichi ricordi posizionati in un contesto contemporaneo.

PAGINA ACCANTO: Nella clessidra Granelli di sabbia al posto dei canonici granelli di sabbia ci sono figure umane scolpite in vetro. La maestria di Cesare Toffolo raggiunge qui alti virtuosismi.

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QUI: Diego Poloniato, Giostra di soldatini, arcicuco, 2010, semirefrattari policromi cotti ad alte temperature, greificati e trattati con ossidi puri.

Foto: Bozzetto.

PAGINA ACCANTO: Diego Poloniato, Albero della vita, scultura con cuchi, 2015, semirefrattari policromi cotti ad alte temperature, greificati e trattati con ossidi puri.

Foto: Chiara Bordignon

Nel mondo fantastico di Diego

Le abili mani di Diego Poloniato plasmano fantasiosi fischietti in terracotta appartenenti alla cultura popolare veneta. Dalle forme svariate e curiose e dalle caratteristiche sfumature cromatiche, i “cuchi” sono oggetti giocosi, portafortuna e scaccia malinconia.

53 MESTIERI D’ARTE & DESIGN

QUI: Diego Poloniato, Soldati napoleonici “a cavallo”, arcicuco, 2020-21, semirefrattari policromi cotti ad alte temperature, greificati e trattati con ossidi puri.

Foto: Chiara Bordignon.

PAGINA ACCANTO: Diego Poloniato mentre modella un cuco nel suo laboratorio a Nove (VI).

Foto: Bibo Cecchini.

Dal nome un po’ bizzarro, i cuchi sono i fischietti di terracotta tipici della tradizione di Nove, un piccolo paese in provincia di Vicenza. Piccole sculture zoomorfe fischianti, probabilmente inventate per imitare il canto degli uccelli o per allontanare gli spiriti cattivi, e soprattutto un gioco variopinto per i più piccoli. Probabilmente i primi giocattoli sonori dell’antichità, spesso raffigurano il cuculo e ne imitano il canto con il suono bitonale, allegoria del risveglio della natura.

Diego Poloniato è un MAM-Maestro d’Arte e Mestiere per la ceramica, e, oltre a essere un meticoloso modellatore, è specializzato proprio nella creazione di cuchi e arcicuchi. Galletti, ussari a cavallo, pagliacci, pinocchi e animali di ogni specie e forma sono i suoi soggetti prediletti. Entrare nel laboratorio di Diego è un’esperienza unica e immersiva, in qualsiasi direzione si rivolga lo sguardo, mille occhioni di ceramica guardano il visitatore. Le sue creazioni possono essere piccolissime e stare nel palmo di una mano, fino ad arrivare a macro-opere che a fatica usciranno dall’atelier. Il file rouge è il suono, ogni opera ha il suo timbro, la sua tonalità distintiva.

In Veneto il cuco era l’umile e al contempo prezioso giocattolo per i bimbi, ma anche infallibile richiamo d’amore: si comprava per pochi centesimi alle sagre paesane, come racconta Mario Rigoni Stern: «Davanti a queste esposizioni di fischietti, i giovanotti si fermavano per scegliere uno o più cuchi da regalare alle ragazze, e prima di porgerlo lo soffiavano per sentire il suono. (…) tutti questi suoni dei fischietti di terracotta, le voci, le risa, componevano una sinfonia primaverile viva e palpitante dopo il lungo inverno.» Si racconta difatti che i giovani innamorati donavano un cuco all’amata, e se ricambiati ricevevano da lei un uovo sodo variopinto. La credenza che il fischietto sia apotropaico non è solo veneta: in Inghilterra si muravano i fischietti nella cappa del camino per tenere lontani gli spiriti maligni, in Baviera venivano messi nella culla dei bambini per proteggerli. Nel laboratorio di Diego Poloniato i cuchi sono realizzati completamente a mano con semirefrattari policromi cotti ad alte temperature, greificati e trattati con ossidi puri. Ogni opera è unica, frutto della fantasia e dell’estro creativo di Diego.

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QUI: Diego Poloniato, Totem zoomorfo, arcicuco, 2008, semirefrattari policromi cotti ad alte temperature, greificati e trattati con ossidi puri.

Foto: Bozzetto.

PAGINA ACCANTO: Diego Poloniato, Torneo medioevale, 2000, scultura in semirefrattario cotto ad alta temperatura, greificato e trattato con ossidi puri.

Foto: Elena Agosti.

I suoi “pezzi forti” sono i cavalieri e gli ussari, talvolta resi con plasticità realistica, altre volte con tono satirico e irriverente, come d’altronde vuole la tradizione locale. Difatti, dopo il sanguinoso passaggio di Napoleone nel 1796, l’iconografia del fischietto s’arricchì con i soldati napoleonici a cavallo di un cuco, e molto frequentemente di una gallina… Troviamo quindi Napoleone in veste di maresciallo di campo, il corazziere col pennacchio e il mammalucco, ossia il mercenario egiziano, tutti in uniforme completa e comodamente accovacciati su dei pollastri. Nella seconda metà dell’Ottocento lo stesso outfit si estende anche al carabiniere.

Diego ha imparato l’arte dal padre Domenico, abilissimo modellatore, che già nella seconda metà del Novecento produceva giganteschi arcicuchi, ed è stato proprio questo il suo apprendistato: guardare e aiutare il padre, imitare i movimenti delle sue mani, l’impugnatura delle stecche, provare e riprovare. Oggi è Diego a insegnare ai più piccoli l’arte di far fischiare la terra, dalla preparazione della pallina alla creazione della cassa armonica e dei fori che permetto l’insufflazione e

il frangersi dell’aria che genera il fischio. Un terzo foro per la bitonalità e poi, sempre a crudo, tutti quei dettagli che rendono il fischietto una vera e propria opera d’arte. L’arcicuco è un cuco di grandi dimensioni formato da numerosi fischietti inseriti in un’unica camera d’aria che fa da cassa armonica, di produzione tipicamente novese. Esistono anche rari esemplari di “cuca col segreto” o “cuca bufona” con due fori vicini all’imboccatura, uno comunicante col dispositivo sonoro, l’altro con una camera a sé stante contenente talco o cenere: chi soffia si riempirà gli occhi di polvere.

Diego è stato tra i fondatori del Gruppo Cucari Veneti che dal 1996, in collaborazione con l’Associazione Nove Terra di Ceramica, si occupa di promozione e didattica di tale arte.

I suoi cuchi sono esposti nei maggiori musei tematici d’Italia: in primis a Nove e al Museo dei cuchi di Cesuna ad Asiago, ma anche a Matera, Rutigliano, Cerreto Sannita, Ronco Biellese e Castellamonte.

Ma se volete veramente immergervi nel suo magico mondo andate a trovarlo a Nove in via Astronauti: sarà un vero e proprio viaggio nello spazio, quello della poesia... •

57 MESTIERI D’ARTE & DESIGN

Decori d’incanto

di Sofia Catalano Fotografie di Max Pescio

Frutto di una sperimentazione creativa in costante evoluzione, i decori di Pictalab hanno tutti una storia da raccontare, un significato speciale. Rappresentano l’universo di chi li abita, realizzando sempre atmosfere esclusive.

QUI: Bespoke Handpainted Wallpaper, peonie su fondo bronzo a pigmento metallico per The Arts Club Dubai, commissionato da DimoreStudio.

PAGINA ACCANTO: Bespoke Handpainted Wallpaper, decorazione pittorica “pop garden” per il ristorante Brasseria Notting Hill a Londra.

«La dimensione ludica è pervasiva della nostra attività. Cosa altro è essere creativi? Giocare con il colore, le forme, gli strumenti, fare della propria passione un lavoro, che piace, gratifica e diverte.» Parola di Orsola Clerici che, insieme a Chiara Troglio, nel 2007 ha fondato a Milano Pictalab, laboratorio-atelier dove un team di decoratori, pittori e artigiani altamente qualificati trasforma i sogni in realtà. L’obiettivo è quello di accontentare il cliente che riesce a “giocare” con la sua casa, con il suo spazio, trasformandolo e rendendolo consono alle sue esigenze estetiche. E sono fiori, righe, geometrie, paesaggi, pattern e molto altro a nobilitare gli spazi e creare atmosfere esclusive. Orsola e Chiara dipingono a mano sulle pareti, sulla carta, sui soffitti e sui complementi d’arredo, alimentate non solo dalla passione, ma anche da una curiosità intrinseca che le porta a sperimentare tecniche nuove. «Le prime volte che abbiamo stampato su carta era come se “forzassimo” la nostra artigianalità e manualità. Eravamo abituate a fare tutto a mano e lo strumento meccanico ci

spiazzava, ma poi lo abbiamo ripensato come uno strumento come gli altri: rullo, pennello, stencil, in fondo non era altro che riprodurre i disegni che realizziamo a mano, in maniera digitale, tutto qui. Si scansiona ad alta risoluzione, si rielaborano i file e poi si stampa. Altre volte invece usiamo tavolette grafiche e disegniamo al computer. Ci siamo modernizzate e usiamo le tecniche digitali non solo nella creazione e nella progettazione, ma anche nella realizzazione, ovviamente quando si può ed è richiesto, e nulla toglie al risultato definitivo, anzi.» Infatti: è il caso del Portaluppi Herbarium, nella casa degli Atellani, in Corso Magenta a Milano. Il lavoro è stato fatto in collaborazione con Nicolò Castellini Baldissera, bisnipote di Portaluppi. «Abbiamo deciso di realizzare la riproduzione della decorazione dell’ingresso per valorizzarne la bellezza, nel rispetto dei dettagli pittorici. Basandoci su un rilievo fotografico, eseguito ad hoc, abbiamo studiato, innovato e dipinto singolarmente le piante, l’erba e il tendaggio. Ogni elemento è stato poi digitalizzato con

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Bambù (qui) e ramificazioni (pagina accanto), entrambi dipinti a mano su fondo lavorato ad effetto délabré Decorazione on-site, per lo store Henry Beguelin di Milano.

l’obiettivo di proporre una decorazione stampata su carta da parati che fosse modulare e personalizzabile, coniugando l’esperienza artigianale all’utilizzo delle nuove tecnologie.» Obiettivo raggiunto. Come sempre. «Ma non è così scontato,» sottolinea Orsola. «Il nostro impegno nell’accontentare il cliente a volte si scontra proprio con la sua richiesta. Per esempio: una volta ci è stato chiesto di dipingere sopra la testata di un letto una veduta del Vesuvio in eruzione, con tanto di lapilli infuocati in versione gigante. Panico. Ma poi il divertimento è stato proprio lo studio, la full immersion nelle gouaches napoletane, nella loro tecnica di pittura, nella riproduzione in versione enorme di questa sorta di cartoline dell’Ottocento, tipiche dei Gran Tour, preziose documentazioni della scuola pittorica napoletana. Il risultato ci ha stupite, siamo riuscite ad andare oltre il kitsch spinto, quasi trash, e a realizzare infine una bella cosa. Super ludico!» Così come è sempre divertente immergersi nell’atmosfera da favola quando si dipinge la camera dei bambini: e sono tendoni da cui sbucano animali, foreste incantate, paesaggi

da sogno. «Un’esperienza simile è stata la collaborazione con Vincenzo D’Ascanio nel 2021. Abbiamo ricreato, nel suo spazio, la storia de La casa di Anna, una nonna milanese che ospitava per Natale la sua nipotina. Una fiaba narrata stanza dopo stanza, persino con una filastrocca dipinta sul muro.»

Una magia. «Si, perché non c’è niente di più bello di un cliente che si fida, che ci lascia fare, che osa senza paura di sbagliare. Un esempio? Fabrizio Ferri a Pantelleria. Lavorare con lui è stata gioia autentica. Del resto, è un artista, e come tale comprende e capisce chi fa il nostro mestiere.»

Un mestiere che si svolge “sul posto”, ma che spesso si concretizza nel loft-laboratorio a Milano, uno spazio luminoso e immaginifico dove si progetta e si realizza, un luogo dove l’immaginazione e la creatività si concretizzano anche su legno, vetro, carta, grazie a tantissime tecniche sia artigianali che digitali. Per risultati unici e personalizzati, capaci di soddisfare i clienti più esigenti e, perché no, i “sognatori” che vogliono visualizzare la loro parte di personalità più giocosa, e armonizzare la loro casa al loro “sentire”. Audacia ludica da premiare. •

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QUI: Decoro della collezione Naif per l’ingresso dell’appartamento di Nicolò Castellini Baldissera a Milano. Decorazione on-site. PAGINA ACCANTO: Le fondatrici Orsola Clerici e Chiara Troglio presso l’atelier Pictalab a Milano. Sono presenti alcuni esempi di carte da parati della collezione Portaluppi Herbarium prodotte in collaborazione con Nicolò Castellini Baldissera e presentate ad "Alcova" durante il Salone del Mobile 2022.

Decoro della collezione Fabric Patterns presente nell’ingresso di un appartamento meneghino progettato da Places Milano. Decorazione On-site.

Collana Zip trasformabile in bracciale (pagina accanto), 1954. Oro giallo, platino, rubini, diamanti. Collezione Van Cleef & Arpels.

IL GIOCO PREZIOSO

della metamorfosi

di Alba Cappellieri Fotografie courtesy Van Cleef & Arpels

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Fin dalla sua fondazione, nel 1906, la Maison Van Cleef & Arpels si è sempre distinta per i gioielli trasformabili di grande successo. Capolavori di eleganza e ingegno che si adattano con estro ai desideri di chi li porta.

Un collier principesco ispirato all’eleganza Art Déco: 2.456 diamanti che con i loro 163,62 carati illuminano lo spazio intorno, 37 elementi mobili, 15 variazioni di forma, 55 modi diversi di indossarlo… Il Maharaja Set è uno degli ultimi capolavori trasformabili di Van Cleef & Arpels, il gioielliere che ha spinto la trasformabilità oltre il virtuosismo fino a renderla arte. La si poteva ammirare nell’esposizione “Van Cleef & Arpels: Time, Nature, Love”, al National Museum di Riyad (Arabia Saudita) fino al 15 aprile 2023. Non deve stupire l’attenzione della Maison francese per questa tipologia di preziosi. Van Cleef & Arpels ha fatto della metamorfosi il segno della sua incomparabile maestria, fin dagli anni Venti, quando la direttrice creativa Renée Puissant, figlia dei fondatori Estelle Arpels e Alfred Van Cleef, ha interpretato lo spirito di un tempo effervescente e progressista come quello dei Roaring Twenties creando gioielli che mutavano magicamente: tiare in collane, collane in bracciali, pendenti in orecchini, anelli in pendenti, in un ars combinatoria che soddisfaceva la voglia di novità delle donne e univa tecnica e creatività, funzione e sicurezza, progresso ed

eleganza. Le innovazioni del secolo breve sono state interpretate da Van Cleef & Arpels in meccanismi tecnicamente sofisticati e articolati che, grazie alla loro invisibilità, hanno donato alle donne il piacere ludico di poter cambiare e personalizzare i gioielli senza per questo alterare la grazia sofisticata delle creazioni della Maison.

I gioielli sono sempre sopravvissuti al tempo per la preziosità dei loro materiali e pertanto sono sempre stati usati da generazioni diverse che li adattavano alle nuove mode e alle nuove necessità. Il concetto dei bijoux trasformabili nasce dall’idea di parure che si sviluppò in Francia a partire dalla sfarzosa vita di corte e dei balli che rappresentavano il centro della vita mondana del regno del Re Sole. I fasti di Versailles imponevano numerosi cambi d’abito e gioielli preziosi per esaltare volti e décolleté, esibire il prestigio sociale di chi li indossava e, al contempo, dialogare con la ricchezza decorativa dei damaschi, dei velluti, dei pizzi e dei broccati delle mise di principi e principesse. Per eventi eccezionali come incoronazioni e celebrazioni l’aristocrazia chiedeva i gioielli in prestito ai gioiellieri. Nel secolo successivo, con l’introduzione dell’industrializzazione e di nuove tecniche orafe, i gioiellieri crearono oggetti preziosi che, con l’aiuto di clip, fermagli e staffe, potevano assumere forme e tipologie diverse. L’eredità di questi straordinari artigiani è stata raccolta da Van Cleef & Arpels, in quanto, come afferma Lise Macdonald, Van Cleef & Arpels Director

67 MESTIERI D’ARTE & DESIGN

Patrimony and Exhibitions, «Al centro dello stile della Maison c’è una caratteristica singolare: la trasformazione o metamorfosi. Esempi significativi sono il collier Zip del 1951 o la collezione Passe-Partout del 1938 che sono diventati icone senza tempo di Van Cleef & Arpels.»

La collezione Passe-Partout è un esempio di morbidezza, eleganza e versatilità, ispirata dai temi della maglia e della catena, in auge in quegli anni, quando, con l’Esposizione Internazionale delle Arti e delle Tecniche nella Vita Moderna, nel 1937 a Parigi, il commissario Paul Léon volle rilanciare la preziosità decorativa dei gioielli che le geometrie Déco avevano fatto dimenticare. Van Cleef & Arpels creò un gioiello trasformabile con una tecnica innovativa brevettata nel 1938: una catena in tubo gas d’oro che può essere indossata come collier, come sautoir, bracciale o cintura grazie a due clip sotto le quali è nascosto un sistema di binari metallici che le fa scivolare sulla catena, bloccandola nella posizione desiderata. Le clip si staccano, si possono indossare separatamente come spille – fino a 5 – o come orecchini, e sono decorate con eleganti motivi floreali in rubini e zaffiri blu e gialli. La tecnica del tubo gas si basa su bande di metallo flessibili ed è una tecnica molto complessa che rende gli oggetti particolarmente versatili. Pratica e fantasiosa, la collezione Passe-Partout ha dimostrato come un gioiello prezioso possa anche essere un accessorio gioioso e personalizzabile, capace di dialogare con gli abiti in numerose interpretazioni.

L’icona della maestria di Van Cleef & Arpels è il mitico collier Zip, un capolavoro per la prodezza tecnica della sua cerniera dai denti d’oro a incastro e dall’apertura regolabile. La perfetta sintesi di creatività e innovazione, uno dei gioielli

più significativi della storia del gioiello del Novecento il cui aspetto più sorprendente è proprio la trasformabilità. Infatti, come una vera cerniera lampo, ha un cursore a forma di nappa d’oro intrecciato che permette di chiuderlo e farlo così divenire bracciale. Ispirata alle cerniere delle giubbe dei marinai e degli aviatori, la zip era passata da elemento funzionale ad accessorio moda grazie ad Elsa Schiaparelli, che nel 1935 propose una collezione dove tutti gli abiti avevano cerniere lampo a vista. Fu un successo immediato e le richieste stupirono la stessa stilista che nella sua autobiografia, Shocking life, del 1954, scrisse: «Le zip erano dappertutto, si vedevano su ogni vestito, perfino sugli abiti da sera.» Se tutte le donne apprezzarono i vestiti zippati della Schiaparelli fu Wallis Simpson, la Duchessa di Windsor, a coglierne l’innovazione con la consueta lungimiranza, commissionando a Renée Puissant una zip preziosa, pensata inizialmente per chiudere un abito da sera dallo scollo profondo sulla schiena. Era il 1938, la guerra incombeva e la complessità tecnica di una zip, che nel frattempo si era trasformata da semplice chiusura a collier, richiese molti

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PAGINA ACCANTO:

Gioiello Passe-Partout trasformabile in collana, bracciale o cintura, con clip amovibili, 1939. Oro giallo, rubini, zaffiri gialli e blu. Collezione Van Cleef & Arpels.

QUI: Collana d’ispirazione indiana trasformabile in due bracciali, clippendente amovibile, 1971. Oro giallo, 44 smeraldi incisi per un totale di 478 carati, diamanti. Collezione Van Cleef & Arpels.

69 MESTIERI D’ARTE & DESIGN

Spilla Oiseau e pendente Walska, 1971-72. Oro giallo, smeraldi, zaffiri, diamanti gialli e bianchi, un diamante giallo taglio briolette di 96,62 carati. Collezione Van Cleef & Arpels. La spilla Oiseau interpreta la tradizione dei gioielli trasformabili distintiva di

Van Cleef & Arpels: le ali si separano e possono essere indossate come orecchini, la coda diventa una clip, mentre il diamante giallo, a sua volta, si trasforma in pendente. Questo diamante eccezionale è appartenuto alla cantante d’opera polacca Ganna Walska.

anni di sperimentazioni e di tentativi. Ma con coraggiosa determinazione la Maison ci riuscì nel 1951, lasciando il mondo a bocca aperta per innovazione e maestria. La collana Zip di Van Cleef & Arpels è un capolavoro di ingegno creativo e manifatturiero oltre che un’icona del design. Dopo anni di studi e prototipi, la sua trasformabilità è affidata a pezzi piccolissimi d’oro, i denti della cerniera, disposti a intervalli regolari su un lato, in modo da incastrarsi con quelli dell’altro lato e permettendo una rapida apertura e chiusura. Altri due capolavori sono stati realizzati entrambi nel 1971, la spilla Oiseau e pendente Walska e il collier di smeraldi incisi, due stupefacenti creazioni. La spilla raffigura un pavone in volo ed è uno degli ordini speciali più singolari nella storia della Maison. Esalta un diamante giallo taglio briolette da 96,62 carati noto come “Walska Briolette” perché negli anni Trenta questa gemma apparteneva alla cantante Ganna Walska, che la indossava come ciondolo. Nel 1971, il diamante giallo venne venduto a un’asta di Sotheby’s a New York e pochi mesi dopo comparve sulla copertina del catalogo Van Cleef & Arpels, racchiuso nel becco di un pavone che sorvola Place Vendôme.

Il nuovo proprietario aveva commissionato alla Maison una spilla da donare a sua moglie per la nascita del figlio. Il prezioso pavone è un capolavoro di trasformabilità: le ali possono essere staccate e indossate come orecchini, la coda diventa una spilla, mentre il diamante giallo può abbellire il collo come pendente. Nello stesso anno la Maison ricevette un altro ordine speciale dal Principe Karim Aga Khan da donare a sua moglie, la Begum Salimah Aga Khan. Nata Sarah Croker Poole, in India nel 1940, durante gli ultimi giorni dell’Impero Britannico, era ammirata per la sua bellezza e per la sua eleganza. Appassionata di arte e di gioielli, la principessa ha raccolto un’importante collezione di preziosi. Questa impressionante collana, appositamente commissionata dal marito, è una di queste creazioni. Il suo valore e la sua singolarità risiedono nelle pietre preziose che la adornano: più di 745 diamanti per un totale di 52 carati illuminano 44 smeraldi incisi del XVIII secolo per un peso complessivo di oltre 470 carati. Trasformabile in girocollo, due bracciali e una clip, questa collana è uno spettacolare esempio dell’arte della metamorfosi portata ai vertici della meraviglia da Van Cleef & Arpels. •

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Maharaja

Oro bianco, diamanti per un totale di 163,62 carati. Questo sontuoso collier comporta 37 elementi mobili, 15 variazioni di forma e 55 modi diversi di indossarlo. Collezione privata.

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Set , 2019.

Tiara trasformabile in collana, 1976. Platino, oro bianco, 144 diamanti taglio rotondo, a goccia e navette per un totale di 77,34 carati. Indossata dalla principessa Grace di Monaco in occasione del matrimonio della figlia Carolina con Philippe Junot. Collezione Van

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Cleef & Arpels.

Spilla fiore, 1938. Platino, oro bianco, zaffiri, diamanti. Il fiore centrale, in zaffiri e diamanti, può essere rimosso e indossato da solo come spilla. Collezione Van Cleef & Arpels.

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IL LEGNO SI FA GIOCO

di Giovanna Marchello

Fotografie courtesy Andrea Zambelli

Nato dalla collaborazione con la storica ditta

Hermelin di Milano e realizzato artigianalmente con un mix di legni

italiani e dell’Amazzonia, il tavolo da biliardo

Black Light Tropics è stato costruito intorno al concetto di un design leggero, elegante e contemporaneo.

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La filosofia progettuale di Andrea

Zambelli, sviluppata nell'ambito della collaborazione con Nat Wilms in Hlllsideout e che prosegue oggi nel suo percorso personale, esprime la necessità di realizzare opere di design funzionali e durabili, dalla forte dimensione ludica, in cui il recupero di oggetti antichi e reinventati assume un ruolo centrale.

Nel suo cammino professionale, Andrea Zambelli ha sviluppato un approccio al mestiere che abbraccia solide competenze artigianali e una precisa visione progettuale. Muove i primi passi nella natia Bologna: quando è ancora un giovane studente universitario, apprende tutti i segreti del legno andando a bottega da un antiquario-restauratore, capisce che quella è la sua strada, lascia gli studi e, finita la formazione, apre un atelier tutto suo. Un percorso durato 15 anni, durante il quale comincia a sperimentare con materiali diversi, come la resina e il cemento, che insieme alle tecniche costruttive antiche del legno diventano il punto di partenza del suo linguaggio espressivo. Il desiderio di aprire i suoi orizzonti e trovare nuovi stimoli creativi lo porta a Berlino, dove nel 2009 fonda Hillsideout in partnership con Nat Wilms, artista laureata in Scultura all’Accademia di Belle Arti di Bologna e specializzata presso la Universität der Künste di Berlino.

«La nostra visione,» spiega Zambelli, «era in contrasto con quella del mondo effimero del design, che ogni anno ti impone di sfornare pezzi nuovi. Volevamo realizzare oggetti veri, materici, che durano nel tempo. E dare una storia

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a ogni pezzo.» Dal loro sodalizio prendono vita progetti che coniugano in modo organico non solo le dimensioni dell’invenzione e del saper fare, ma anche del gioco. Un gioco fatto di accostamenti di materiali e colori, di oggetti antichi recuperati e reinterpretati in un’ottica contemporanea, di allegorie e simbolismi. Come la Social Love Thonet bench nata durante il lock-down del 2020. Nelle Thonet originali è inserita una seduta in acrilico con un mosaico di tasselli colorati ricoperti in resina trasparente. Rappresenta il distanziamento sociale, con una parte più maschile e una più femminile, a generare un armonico disequilibrio.

Ma anche di giochi veri e propri, come il tavolo da biliardo Mexico, che creano nel 2014 per la galleria Rossana Orlandi. Del 2017 il primo biliardo della serie Black Light Tropics costruito, sempre in collaborazione con la storica ditta

Hermelin di Milano, al rientro da una residenza in Brasile, nel quale mescolano un certo stile neoclassico europeo con il caos di San Paolo. Nella stessa serie realizzano anche un paravento con inserti in vetro di Murano ispirato agli ultimi indigeni

Caduvei della giungla brasiliana. Quando viene appoggiato sopra il biliardo, lo trasforma in un tavolo monumentale. L’esplorazione della dimensione ludica abbraccia altre creazioni,

tra cui Chaturanga, che si rifà alle origini degli scacchi quando, nel VII secolo, un maharaja indiano che aveva perso un figlio in battaglia riesce, attraverso il gioco, a non pensare alla sua morte. La metafora della guerra si concretizza nelle gambe del tavolo, formate da quattro proiettili in legno tornito. E ancora, la valigetta-scacchiera con pedine in stile Bauhaus che all’interno contiene una tavola da backgammon. Realizzato come tutto il catalogo di Zambelli in legno proveniente dagli scarti della produzione industriale in Brianza, anche questo pezzo riflette la filosofia del recupero e del riuso. Così come il calciobalilla Futbolin, nato dall’incontro con lo scultore Michele Balestra. Tornando in Italia, Zambelli decide di stabilirsi a Milano perché, spiega, «Berlino è diventata una specie di Silicon Valley, non è più stimolante da un punto di vista creativo. Qui invece c’è tutto: gli artigiani, il territorio e la dimensione più piccola, che rende tutto più accessibile.» Proprio da Milano riparte l’avventura di Andrea Zambelli Design, in un percorso di introspezione dal quale sbocciano nuove creazioni come l’orologio alto due metri che viene presentato al Salone del Mobile di quest’anno. «Riguarda il mio senso del cambiamento, della mia percezione del tempo. Le linee rette della base rappresentano Hillsideout, mentre le linee stondate,

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PAGINA ACCANTO: Nata dall’incontro con lo scultore Michele Balestra, Futbolin è un’opera d’arte maestosa e funzionale, che celebra il centesimo anniversario della nascita dell’inventore del calcio balilla.

QUI: Il tavolo da gioco Chaturanga è caratterizzato dalle gambe tornite nella forma di proiettili e i pezzi degli scacchi realizzati in stile Bauhaus.

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più morbide e organiche, appartengono al mio pensiero di oggi, che non avrei potuto condividere con altri.» Altrettanto articolato il messaggio del paravento Tela Do Nascer Do Sol, nel quale i vetri di Murano realizzati dal Maestro vetraio Raffaele Darra riprendono le sfumature dell’alba che Zambelli vedeva quando, durante il periodo Covid, usciva di casa in bicicletta per andare in laboratorio. Al centro del paravento si trova uno specchio-spia: se la luce è forte da un solo lato ci si può specchiare ma chi sta dall’altra parte, al buio, vede senza essere visto, creando un intrigante divertissement. Schiettamente giocosa invece la scacchiera/backgammon da appendere, ideata da Zambelli insieme al figlio di sei anni, che ha disegnato il cane i cui occhi e denti sono rappresentati sul lato backgammon. «Mi piaceva l’aspetto pittorico, dove la bellezza del quadro deriva dalla composizione dei colori naturali dei vari legni.»

Andrea Zambelli guarda al futuro con curiosità. Non fa programmi, perché sa che ci pensa la vita a scombinarli. «Ma di una cosa sono certo,» dice. «Voglio continuare a evolvermi senza scendere a compromessi, senza tradire quello che ho in testa. So già che questo mi porterà a percorrere la strada più accidentata, ma è il prezzo che si deve pagare per essere liberi.» •

PAGINA ACCANTO: Nata durante il lock-down del 2020, Social Love Thonet bench garantisce il distanziamento tra due persone anche quando si siedono insieme.

QUI: Scacchiera/backgammon da appendere come un quadro. Foto: Andrea Zambelli. In basso, ritratto di Andrea Zambelli, ideatore del progetto Hillsideout con Nat Williams. Foto: Giorgio Possenti.

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riprendono le sfumature dei colori dell’alba, mentre lo specchio al centro crea un effetto “vedo/non vedo”.

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Foto: Rossana Orlandi. Il paravento Tela Do Nascer Do Sol è stato realizzato da Andrea Zambelli in collaborazione con il Maestro vetraio Raffaele Darra. I vetri di Murano

IL CALEIDOSCOPIO DELLA MEMORIA

Emanuela Crotti esplora le idee di memoria e nostalgia, disponendo oggetti e immagini all'interno della resina fusa in intricati strati di forme sovrapposte che evocano ricordi ed emozioni. Creazioni di grande potenzialità espressiva che mutano tonalità e intensità a seconda della luce.

PAGINA ACCANTO:

Dettaglio del coffee table

Il circolo dei bassotti, in resina epossidica, collage materico e pittura. Base in metallo dorato. Oggetti, simboli e colori vengono disposti in una composizione circolare e fluttuano nella trasparenza della resina, combinandosi in un girotondo cromatico.

QUI: Il tavolo rotondo

Particelle di cosmo è composto da top in legno, resina per l’arte, corda in ottone vintage, pietre dure, una piccola collezione di scarabei turchesi e perle dorate.

L’arredo esprime

la visione dello spazio e dei pianeti di Emanuela Crotti.

L’immagine di Emanuela Crotti riflessa nel cabinet Il sacro fare : il mobile, dalla struttura in legno, ottone e plexiglass, all’interno si apre a un infinity mirror che porta all’infinito la

luce e gli elementi naturali presenti sulle ante, ed è costituito da elementi naturali. L’opera vuole rappresentare l’incontro tra il fare della natura e il fare dell’uomo.

Creativa, inquieta e curiosa artista, più volte premiata, Emanuela Crotti ha sempre sperimentato nuove strade nel campo dell’arte, attraversando numerose correnti artistiche: dal figurativo all’astrattismo al minimalismo zen, fino ad arrivare alle sue ultime creazioni, per le quali utilizza come base la resina insieme a diverse tecniche, come la pittura, la fotografia, la grafica, il collage materico. Da anni si dedica alla creazione di complementi d’arredo: tavoli, armadi, specchiere, lampade, sgabelli, piatti, tappezzerie, tessuti, tappeti, uniti da un unico comun denominatore: la sua straordinaria fantasia. «Il mio lavoro consiste nel raccogliere una moltitudine di oggetti, preziosi e non, che inserisco nei piani dei tavoli, nelle ante degli armadi, assemblandoli con la resina. Il mio laboratorio è una specie di caverna di Alì Baba dove conservo tutto ciò che mi colpisce e mi affascina andando in giro per i mercatini del mondo,» ci confida l’eclettica artista, artigiana, designer. «Quando lavoro, dispongo gli oggetti scelti per la composizione sui piani da decorare: questa è una fase di ricerca cromatica e di genere, molto complessa, sicuramente la più creativa. Quando sono soddisfatta, fotografo l’insieme e tolgo dai ripiani tutto il materiale per stendere un primo

strato di resina. I tempi di asciugatura sono lunghi, ci vogliono almeno 24 ore, trascorse le quali inserisco tutti gli oggetti scelti in precedenza sulla superficie, seguendo la foto scattata, e stendo una seconda colata di resina. Gli strati possono anche essere molteplici. I miei pezzi finiti raggiungono spessori molto alti, fino a 20 centimetri, e questo mi permette di ottenere una profondità che trascina letteralmente dentro l’opera.»

I collage di Emanuela sono fatti dei materiali più vari e bizzarri: dalle pietre semipreziose alle caramelle, dalle medicine ai cuori sacri, dai souvenir trovati in paesi lontani ai ciondoli in metalli preziosi, dalle conchiglie ai coralli. Questa vulcanica artista ha sperimentato diverse tecniche, mettendo a frutto le sue esperienze del passato, fino a realizzare dei complementi d’arredo artigianali davvero unici ed estremamente poetici. Continua a raccontare: «Mi piace dare nuova vita a oggetti che ne hanno già avuta una loro, perché fusi con gli altri danno origine a qualcosa di altro da sé. Compro oppure prendo dalla natura circostante quello che colpisce la mia immaginazione. Se devo preparare un pezzo a tema, mi capita anche di acquistare degli oggetti specifici per quel lavoro. Mi piace cambiare funzione o ubicazione degli oggetti che trovo.»

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Dettaglio del tavolo

Coral table dalla forma organica in metallo, resina per l’arte, elementi naturali ed elementi forgiati a mano in ceramica, in silicone, schiuma. Coralli, conchiglie e madrepore: un omaggio alla barriera corallina, ricordandone la bellezza e la fragilità.

La collezione Una questione naturale, che ha presentato qualche anno fa durante il Salone del Mobile alla galleria di Rossana Orlandi, ci parla di barriera corallina da proteggere e da amare, di boschi dove passeggiare per rigenerarsi e dove contemplare forme straordinarie di insetti e farfalle, la bellezza del fogliame, dei funghi e dei fiori. Per nutrire la nostra parte spirituale. Tanti elementi che compongono il suo Coral Table sono naturali (conchiglie, coralli,

sassi, etc.) ma altri, come gli anemoni di mare, sono eseguiti e colorati da lei, totalmente a mano. «È stato un lungo e complicato lavoro ma mi ha dato l’opportunità di studiare e approfondire questo incredibile ecosistema che mi ha continuamente stupita con le sue forme e i suoi colori, come fossero quadri d’avanguardia. Viviamo in un equilibrio precario e fragile, dobbiamo risvegliare coscienze e governanti... Io nel mio piccolo ci provo!» Tra i progetti

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futuri di Emanuela Crotti c’è la trasformazione del suo laboratorio in una piccola scuola dove poter trasmettere ai giovani la sua esperienza formatasi con la sua ricerca artistica: «Sperimentare con i giovani nuove strade, motivarli a ricercare e a non fermarsi davanti alle difficoltà e trovare quel contatto con se stessi che è il motore per creare qualcosa di personale e unico”, conclude l’eclettica e fantasiosa artista artigiana. •

QUI:

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PAGINA ACCANTO: Il cabinet L’abbraccio, in legno curvato e laccato, è composto da resina epossidica, collage materico, ceramica, pittura. Il cabinet Ode alla lentezza, in legno, plexiglas e ottone, presenta due ante composte da 350 gusci di lumache di terra raccolte a Ibiza da Emanuela Crotti.

QUANDO UNA PERSONA DIVENTA UN LUOGO di

Andrea Sinigaglia

PAGINA ACCANTO:

“Il barman visto…” è una celebre illustrazione prodotta nell’Istituto Maggia di Stresa, sacro tempio della mixology e prima Scuola alberghiera d’Italia.

Persino nella più antica

Scuola alberghiera d’Italia, all’interno della più geniale collezione di manifesti didattici che sia mai stata concepita, il barman è visto, tra le altre inquadrature, come un giocoliere o un giocherellone. Ma questa etichetta, questo epiteto cosa ci dice di lui e di noi?

QUI: La gestualità, nel suo rituale svolgimento rappresenta, l’ingrediente più personale che ogni barman è in grado di esprimere durante la realizzazione di un cocktail. Foto: Bartenders Academy Italia.

Ma guardatelo… è uno che gioca.

C’è un punto in cui il dissetarsi si tramuta in giostra e in questo spazio la persona si espande e diventa luogo. Il barman è un luogo, un pop up, una creatura evocata e tutta intessuta di ironia, di sarcasmo, di confidenza, è un croupier della relazione che tiene il banco e distribuisce le carte, le mischia innanzitutto, poi le distribuisce, e rilancia. Lui è quello che si muove e agita, noi siamo quelli seduti di fronte ma lui in realtà è il punto fermo, noi quelli in transito; si susseguono contraddizioni, si sciolgono inibizioni. È una partita che ci aggrada. La parola “spirito” con riferimento alle bevande l’hanno coniata gli arabi, maestri della distillazione, la parte volatile nell’alambicco è l’anima della materia al-kuhl. Lo spirito, alcool.

È un’esperienza dello spirito che coinvolge e sconvolge talvolta il corpo, quella che cerchiamo osservando la maestria di un barman. Per arrivare però alla sintesi del sorso va attraversato tutto lo spettacolo del percorso e il ludico rito che parte da un primo imbarazzo della scelta o da un sapere già che l’opzione ricadrà ancora una volta sul “solito” per vedere questa volta l’effetto che fa. C’è la preparazione, ci sono le bottiglie, le loro forme, i brand, c’è tutto il mondo che è lì composto e distillato, silenzioso, ma basta togliere un tappo e si è trasportati in un’isola caraibica, in Francia o chissà dove. Agrumi, foglioline e tanti altri “pezzi di lego”, c’è la gestualità, e gli attrezzi indispensabili per l’alchemica pozione, c’è il sorriso esperto e fiero del professionista della miscelazione e i nostri occhi che assistono a un lavoro fatto per noi e solo per noi su misura, adesso. Le nostre orecchie sentono i rumori della macchinazione che si va animando: vetro, acciaio, suoni di

oggetti che si svitano, si versano, entrano in scena e tornano rapidamente al loro posto, ordinate, a volte cozzano tra loro bottiglie ma sempre dignitosamente. E tutto è dentro a una danza di profumi, non mancano mai gli agrumi, ci sono le spezie e ovviamente le essenze che ci rapiscono. I bicchieri hanno forme appropriate e dedicate, c’è un codice quasi d’onore per tutto, pure per le decorazioni anche quando si tratta di un ombrellino di carta e questo rende la retorica dello show profonda, ci domanda rispetto ma non ci impone serietà. Ed ecco infine, appunto, quando iniziamo noi il tatto e il gusto, la nostra parte di protagonismo, il bicchiere è servito e tutto questo magma di emozioni è stato gestito necessariamente sottozero grazie al grande attore non protagonista, il ghiaccio che incapsula il materiale “esplosivo” in una dimensione di controllo: il ghiaccio è il grande vettore, è una materia su cui pattinare anche se siamo lì e lo teniamo in pugno con le nostre dita fredde, freddissime. L’assaggio, l’emozione, un sospiro, si spera un sorriso, una scoperta o una conferma non importa, un grazie al barman, e avanti un altro, un altro cliente o un altro giro, qualcosa è innescato, il gioco è fatto ed è appena iniziato, abbiamo tra le mani un oggetto di espressamente fatto solo per noi. Ludico nel suo etimo significa giocoso, libero. Questo spazio, che il barman crea o diventa, incarna o inscena è quella porzione, quel sorso appunto di giocosa libertà di cui abbiamo tanta sete nelle nostre vite adulte o nelle nostre giovani notti. È un gioco ma non è uno scherzo, è un’arte e un mestiere: ci sono dei maestri anche in questo campo e ci piace qui indicarne quattro che dedicano la loro vita e attività con passione a questo mondo. •

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PAGINA ACCANTO E IN ALTO: Alcuni signature drink. Il termine cocktail rimanda al francese coquetier, un contenitore per uova che nella New Orleans dell'Ottocento veniva usato dal farmacista Antoine Amédée Peychaud per somministrare miscele alcoliche e liquori di sua creazione. Foto: Bartenders Academy Italia.

A SINISTRA: Una delle iconiche tavole provenienti dalla Scuola di Stresa, uno degli esempi più celebri e storici di formazione nel campo dell’ospitalità e della mixology.

Il capitano Pietro Ricci, un uomo di mare con il dono di un talento nel disegnare, insieme all’allora preside della Scuola di Stresa, Albano Mainardi, realizzarono nella prima metà del Novecento una serie di tavole didatticamente avveniristiche che ancora oggi adornano i corridoi della più blasonata Scuola alberghiera d’Italia, l’Istituto Maggia di Stresa. Queste immagini sono tratte dalla mostra “Lezioni a regola d’arte” realizzata in ALMA, presso il Palazzo ducale di Colorno nel 2009.

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DOM COSTA, SALVATORE CALABRESE, BALDO BALDININI

E AGOSTINO PERRONE sono ad oggi i "magnifici quattro" della mixology premiati come Maestri d'Arte e Mestiere da Alma e Fondazione Cologni. Il Premio MAM è stato loro conferito sulla base delle indicazioni della Commissione ALMA per i Mestieri

del Gusto e Arte dell'Ospitalità, sezione speciale del Premio MAM-Maestro d'Arte e Mestiere. Un riconoscimento che premia l'eccellenza in tutti gli ambiti dell'artigianato artistico e dell'enogastronomia, decretando i nostri grandi Maestri del fare, fiori all'occhiello dell'Italia nel mondo.

DOM COSTA

Nasce in Calabria, cresce a Torino e fin da giovanissimo inizia a viaggiare per il mondo a bordo di navi da crociera: visita 65 Paesi, prepara drink dall’Alaska all’Equatore e da Capo Nord allo Stretto di Magellano. Dopo tanto girovagare torna in Italia, a Genova, dove lavora come consulente per aziende di distillati italiane e straniere. Attualmente è mixology manager presso Velier, dopo essere stato per anni il bartender del famoso cocktail bar Liquid di Alassio. Foto: Martina Manelli.

SALVATORE CALABRESE

Con oltre 40 anni di esperienza nel settore dell’ospitalità, Salvatore Calabrese, conosciuto come «The Maestro», è uno dei baristi più rispettati al mondo. Nel 1980 si trasferisce a Londra, al bar del Duke’s Hotel, dove si fa notare per il suo talento, e diventa famoso per il suo Martini cocktail. Appassionato di cognac, ne diventa in breve tempo uno dei massimi esperti mondiali, punto di riferimento nel settore, in particolare per il mercato di nicchia dei cognac extra-speciali.

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BALDO BALDININI

Se si volesse identificare con una metafora ciò che rappresenta Baldo Baldinini per il mondo della mixology, sarebbe quello che è un direttore d’orchestra per la musica, interprete e creatore. Infatti, Baldinini opera come compositore di accordi aromatici, tra le sue colline romagnole, immerso nelle ampolle del suo atelier, creando spirits ma soprattutto vermouth tra i migliori al mondo.

Foto: Enrico Robusti.

AGOSTINO PERRONE

Originario di Maslianico, poco lontano dalle sponde jet setter di Cernobbio, Perrone inizialmente ha un approccio timido, seppur curioso, come la sua indole, al mondo dei cocktail. Un lavoro giusto di appoggio per pagarsi gli studi della tanto amata fotografia, insomma nulla di impegnativo se non fosse per quell’alchimia tra spirits, jigger e shaker che ipnotizza questo talentuoso Maestro. Lo trovate al Connaught bar a Mayfair, Londra. Foto: Leonardo Filippini.

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Dolce&Gabbana, Alta

Moda Siracusa 2022. Da sinistra, abito in velluto lurex drappeggiato con cintura e corsetto in pelle laminata ricamata con motivi in filigrana e cristalli; corsetto in tulle con stecche dorate e fuseaux in jersey ricamati con riccioli scultorei di ispirazione barocca realizzati con speciali lavorazioni manuali di tessuto in lamé.

IL GIOCO della bellezza

Le scultoree collezioni di Dolce&Gabbana sono il prodotto di una creatività audace ma giocosa, suggerita anche dall’espressiva matericità dei tessuti preziosi. Una ricerca estetica che si nutre di storia e storie del nostro Bel Paese e sul suo savoir-faire d’eccellenza.

Gioco, cultura, esperienza. Il saper fare come laboratorio di gioiose sperimentazioni. Da oltre dieci anni, gli eventi di Alta Moda, Alta Sartoria e Alta Gioielleria di Dolce&Gabbana sono espressioni non solo del savoir-faire italiano ai suoi massimi livelli, ma anche il dipanarsi di una narrazione di moda che ha più a che fare con la meraviglia della fiaba che con il realismo della cronaca. E la meraviglia rappresenta la fonte primaria del gioco, la matrice originaria di una conoscenza da apprendere secondo i dettami di San Tommaso D’Aquino, che affermava: «Coloro che non giocano mai e non dicono mai qualcosa di gradevole peccano contro la verità» o portava il filosofo tedesco Johan Huizinga a scrivere nella prefazione di Homo ludens che «la civiltà umana sorge e si sviluppa nel gioco, come gioco.» Inoltre – continua Huizinga – il gioco ha rapporti col bello e col ritmo, con l’armonia e con l’arte. Esso rimane come isolato dalle altre forme di pensiero, è un’attività libera e non può essere imposto né da necessità fisica né morale, si pone come alternativo alla vita ordinaria. Nel concetto di ludico c’è inventiva, estro, audacia. Si delinea così una modalità di conoscenza che si può definire “estetica”, ed è diversa da scienza e filosofia. Nell’estetica, l’apparenza e la razionalità sono strettamente connesse e unite da vari ponti culturali, in una dialettica dove ogni argomento si riflette nel suo opposto e contrari. Ma non è fondamentale che vi sia gara, competizione, voglia di primeggiare: l’elemento di comunanza tipico del gioco, per cui Platone l’avvicinava alla musica, alla danza, esula dalla contrapposizione di uno a un altro. L’esperienza del gioco

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non è solo di un “partecipare”, ma di un “far parte di”, è il rapporto di un’essenziale ricerca identitaria di un Paese come di un individuo. Da persone “serie” pensiamo spesso ai creativi d’alto lignaggio come Domenico Dolce e Stefano Gabbana attribuendo loro il compito del couturier come professionista tanto compassato quanto onnipotente, mentre gli artefici della Bellezza sono fantasiosi, originali, capaci di realizzare e di far realizzare con le mani veri e propri capolavori portatili, siano abiti, gioielli, orologi, accessori. A tutto questo, si aggiunge anche un tratto che trasforma il pensiero creativo in azione connessa al genius loci di ogni città dove si svolgono i loro maestosi défilé: l’ultimo si è svolto a Siracusa, ma prima c’è stata Venezia, Palermo, Agrigento, Capri, Portofino, Como, Napoli, Milano… Una sorta di Grand Tour ottocentesco dove «vogliamo raccontare uno stile di vita e far vivere ai nostri clienti, amici e alla stampa internazionale un’esperienza unica; siamo felici di dare la possibilità di conoscere il meglio che l’Italia ha da offrire,» hanno dichiarato i due designer. Condizione necessaria perché al gioco si aggiunga il sapere è la presenza di interlocutori. In ogni città dove sono state presentate le collezioni che celebrano il saper fare, s’intessono conversazioni con chi ha fatto del lavoro manuale la sua ragione di vita che Dolce&Gabbana spingono a superare i propri limiti, invitano a “mettersi in gioco” con loro, per l’appunto. «Per noi è importante che le collezioni siano una narrazione del posto e non estemporanee. Troviamo la location, ne studiamo la storia, la geografia, le leggende, le tradizioni, la cucina. Non tralasciamo nulla. Vogliamo sapere, conoscere

tutto quello che c’è attorno, oggi, ieri e sempre. La scelta del tema di collezione va quindi in parallelo con il luogo che abbiamo scelto.» A Venezia, per esempio «mai avremmo saputo come rendere su di un abito l’effetto di un vetro molato se non lo avessimo visto fare. Per le creazioni ispirate alle lavorazioni di Murano, c’è stato uno sperimentare ogni giorno. Ogni attimo. Anche aggiungendo o sottraendo, consapevoli che non tutto si può fare, come l’abito interamente in vetro che era troppo delicato per andare in passerella. Ma allo stesso tempo siamo riusciti a realizzarne quattro che sembrano bicchieri di cristallo.» Mostrare il miracolo nel quotidiano, far scivolare il senso di un oggetto in un altro contesto è pratica difficilissima da concretizzare, ma che Dolce&Gabbana porta avanti con soave ostinazione. Con la loro metodologia progettuale, infatti, sottendono che l’ironia e il gioco siano da un lato esercizi estetici che si fissano nel ricordo come eventi sensibili, esperienze emotive e spirituali e le rappresentazioni che ne vengono prodotte sono quindi cultura che può essere tramandata. Dall’altro lato il gioco possiede una essenziale proprietà che consente la ripetizione, di riprendere nuovamente quella regolarità, cioè le regole del gioco sono una costante di cui le molte partite sono tante varianti. Quindi anche ciò che rende costante un gioco, le sue regole, si fissa e si tramanda come cultura. Cultura del sapere e del saper fare, erede di una competenza che permette anche un’interpretazione dell’artigianato come forma di costante tensione evolutiva. Adottare una metodologia ludica non vuol dire annullare l’impegno, ma attivare una ricerca dell’interessante. •

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PAGINA ACCANTO: La sartorialità di Dolce&Gabbana si esprime attraverso le mani dei suoi artigiani specializzati nel ricamo d’alta moda.

QUI: Dolce&Gabbana, Alta Moda Venezia 2021, dettaglio di abito in georgette interamente ricamato con paillettes e cannettes.

PAGINA ACCANTO: Dolce & Gabbana, Alta Moda Venezia 2021. In senso orario, abito ricamato con cristalli, resine, lamine di paillettes ed elementi in plexiglass incisi e tirati a mano; abito corsetto in rete lurex ricamato con cristalli, pizzo chiacchierino e broccato lurex; pantaloni in georgette interamente ricamati con paillettes e specchietti; abito corsetto steccato in crinolina lurex ricamato con cristalli, resine, lamine di paillettes ed elementi in plexiglass incisi e tirati a mano.

QUI: Dolce&Gabbana, Alta Moda Siracusa 2022, giacca e minigonna in broccato lurex ricamate con broccato lurex e cristalli, velo in tulle illusion e pizzo.

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Pierre Marie e Lison de Caunes, The Sun Chest , Francia, 2022. Scrigno realizzato con intarsio di paglia, che pone al centro del sontuoso decoro il tema del sole. La poesia e la fantasia decorativa del designer francese si sposano felicemente con il grande savoir-faire artigiano dello storico atelier parigino. Foto: Philippe Garcia.

il gioco si fa serio

La settima edizione di "Doppia Firma. Dialoghi tra pensiero progettuale e alto artigianato", in mostra a Palazzo Litta per il Salone del Mobile 2023, ha come tema affascinante il ludico: da sempre presente nell’arte contemporanea e nelle arti applicate, fuori da regole e schemi.

Il ludico spazia dal gioco all’umorismo, dall’ironia all’allusione, dalla metafora allo scherzo alla confusione consapevole, fino al rovesciamento di prospettive e valori: in quest’area concettuale il progettista e il Maestro d’arte sono chiamati a esprimere la propria visione, nella contaminazione e nella trasgressione, tra ironia e divertimento, in una dimensione di totale piacere e libertà creativa. Come osservava Ernesto L. Francalanci in uno storico e fondamentale testo sul tema, «Il fenomeno del ludico scopre una costellazione ulteriore di riferimenti, che orbitano intorno all’allusione, che vanno dai concetti di gioco e scherzo a quelli delle varie forme di umorismo, e quindi dell’arguzia e del comico (…) il ludico è espresso soprattutto dalla capacità di contaminazione e di fusione trasgressiva dei contenuti relativi al sapere e alla memoria» (Del Ludico. Dopo il sorriso delle avanguardie, Milano, Mazzotta, 1982).

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DOPPIA FIRMA: di Alessandra de Nitto

Le 22 coppie di designer e maestri d’arte invitate da Michelangelo Foundation, Fondazione Cologni e Living a partecipare a questa inedita sfida creativa unendo le proprie visioni e competenze, secondo il format ormai consolidato e molto apprezzato di Doppia Firma, hanno declinato il tema con la più grande libertà espressiva, che si concretizza in tipologie, materiali, colori, dando vita a una ricca e sorprendente serie di complemeni d’arredo e oggetti iconici, alcuni dei quali creati ad hoc per l’evento. Molti i nomi di progettisti prestigiosi, tra cui Luca Nichetto, Chris Wolston, Supertoys Supertoys, Adam Nathaniel Furman, Victor Cadene, Giampiero Bodino, Matteo Cibic, Lucia Massari, Jaime Hayón, e altri designer di fama internazionale, che hanno lavorato con maestri d’arte e manifatture d’eccezione, come De Castelli, Barbini Specchi Veneziani, Emaux de Longwy, Craman Lagarde, Simone Crestani, Lunardelli Venezia, Ceramiche Gatti, Lladró e molte altre.

Doppia Firma valorizza da sempre l’unione tra l’innovazione del design e la tradizione dei grandi maestri d’arte. Qui il ruolo del progettista e del Maestro interagiscono, si integrano

e si relazionano con pari dignità autoriale (da cui il principio appunto della “doppia firma”). Materiali e tecniche si incontrano dando vita a nuove interpretazioni di pezzi funzionali o decorativi. Il percorso narrativo si snoda anche quest’anno nelle magnifiche sale del piano nobile di Palazzo Litta, scenografico scrigno barocco nel cuore della città e prestigiosa sede del Segretariato regionale del Ministero della Cultura. Al centro del cortile d’onore seicentesco del Richini, la grande opera site-specific realizzata dal Maestro milanese dell’arte dei metalli e delle pietre Gianluca Pacchioni, che ha collaborato con l’impresa artigiana veronese Girasole Pietre Naturali, specializzata nella ricerca e nella lavorazione della pietra, raccogliendo il prezioso patrimonio della tradizione territoriale. Protagonista d’eccezione del monumentale spazio l’artista artigiano, vero demiurgo erede della tradizione rinascimentale, esprime qui, con la potenza plastica che connota le sue opere, la forza e l’intensità dell’azione creativa, che scaturisce dall’incontro fra arte e ispirazione, talento e originalità, nel segno di un grande saper fare artistico e tecnico.

Nell’appartamento nobile di Palazzo Litta, presso il quale

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è allestita Doppia Firma, il motivo portante del ludico è declinato con sorprendente libertà inventiva e con una grande ricchezza di citazioni, commistioni e spunti, all’insegna di una creatività sempre fuori dagli schemi.

Il rimando al gioco è ricorrente, ma sempre interpretato con ironia e leggerezza, spesso in un certo senso fuori scala rispetto al vero: come nella grande scultura in ceramica ispirata alle formine dei bambini sulla spiaggia, di Atelier Biagetti e Ceramiche Gatti. E per fare solo alcuni esempi, è ancora l’infanzia a ispirare forme e colori della collezione di vasi in vetro decorati con le decalcomanie dei piatti della nonna che evocano fiabe, personaggi amati e ricordi, creati dal designer ceco Frantisek Jungvirt con Ajeto Glass Studio. Così pure i danesi Mardahl e Friborg si divertono creando una collezione di vasi stravaganti, giocosi e gioiosi, morbidi alla vista e colorati come marshmallows.

Sfumature e forme di colore giocose, modulabili, caratterizzano l’emozionante lampada scultorea in vetro immaginata da Adam Nathaniel Furman e realizzata da Curiousa. Jamie Hayón, con la manifattura spagnola Lladró, ha creato in seducenti

PAGINA ACCANTO: Helle Mardahl e Jørn Friborg, Candy Collection, Danimarca, 2022. Collezione di vetri colorati soffiati, realizzati in toni pastello. Le opere in vetro lucido rimandano in modo affascinante al mondo dell’infanzia e in particolare alle caramelle, pezzi d’arte giocosi progettati per portare gioia e bellezza nella vita quotidiana.

Foto: Alastair Philip Wiper

QUI: František Jungvirt e Ajeto Glass, Decal Vases , Repubblica Ceca, 2018. Collezione di vetri colorati soffiati, con decalcomanie e lustro dorato. Le opere evocano i tradizionali decori dei salotti della nonna e le fiabe care alla nostra infanzia, suscitando emozioni e ricordi.

Foto: Anna Pleslova

103 MESTIERI D’ARTE & DESIGN

e delicate tonalità pastello la collezione Embraced in porcellana: protagonista un personaggio uscito dai giochi infantili tra ironia e tenerezza, che si abbraccia avvolgendosi completamente su se stesso e rappresenta perfettamente l’idea di prendersi cura amorevolmente di sé. Adriana Gómez e Yecid Robayo Ruiz, colombiani, hanno invece attinto alla loro tradizione e al territorio scegliendo la figura dell’armadillo, animale che vive in tutta l’America Latina e che molto spesso compare in storie e canzoni popolari, per dare vita alla loro originalissima poltroncina in frassino, teak e tessuto, mentre Victor Cadène, artista e illustratore, ha disegnato per la storica

Maison Thévenon un giocoso e prezioso paravento in legno, lino stampato e ottone, con un raffinato decoro orientalista ispirato ai dipinti di Ingres o Matisse, sorta di ode alle delizie dell’“ozio mediterraneo”.

Il ludico si declina anche in modo spaesante nel rovesciamento della realtà e della funzione dell’oggetto: è il caso del palloncino che non vola del duo di designer austriaci Yvonne Brunner & Daniel Zeisner, con l’atelier Breitwieser: una lampada minimalista dove il palloncino,

nella realtà leggerissimo, è bloccato a terra da una grossa pietra, apparentemente contro ogni logica.

Trompe l’œil e falsi materiali rappresentano un’ulteriore declinazione ludica, più contemporanea e concettuale: i pavimenti di Palazzo Litta trovano nuova vita nel progetto del paravento di Giampiero Bodino, realizzato in metallo da De Castelli, mentre gli svizzeri Philippe Kramer e Atelier B realizzano un tavolo corredato di lampada e vaso in legno e materiali sintetici, ceramica e metallo, dove la tecnica del finto marmo, finemente dipinto, e il trompe l’œil concorrono a creare l’inganno sensoriale e percettivo, giocando sapientemente con la verosimiglianza.

Senza dimenticare la felicità del fare, l’amore per i materiali e la maestria: tra gli esempi forse più riusciti l’incantevole creazione di Pierre Marie, che per il suo progetto sceglie Lison de Caunes, maestra parigina dell’intarsio in paglia. Grazie al suo savoir-faire unico il favoloso mondo del designer francese, innamorato del decoro e del colore, trova espressione in una boite en marqueterie che evoca l’oro, il lapislazzuli e i legni più pregiati, diventando scrigno prezioso e sorprendente. •

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PAGINA ACCANTO: Philippe Cramer e Atelier B, Marmor Stupor, Svizzera, 2022. Tavolo in legno con vaso in ceramica, lampada in acciaio e specchio: l’opera esplora l’arte del trompe l’oeil in marmo applicato a diversi materiali, in uno stile minimale ma sensuale, che evoca un arredamento d’interni surrealista liberamente ispirato a René Magritte e Salvador Dalì.

Foto: Jess Hoffman.

QUI: Daniel Zeisner e Yvonne Brunner con Breitwieser, (K) not flying, Austria, 2023. L’opera gioca con la percezione di materiali e pesi in modo affascinante, fondendo decoro e funzione in un modo unico, catturando l’immaginazione e incoraggiando un cambio spiazzante di prospettiva.

Foto: Courtesy Daniel Zeisner &  Yvonne Brunner.

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PAGINA ACCANTO: Victor Cadene x Maison Thevenon, La Paresse, Francia, 2023. Paravento in lino e legno, con decori in pittura a mano. Questo schermo giocoso, che rielabora magistralmente modelli del XVIII secolo, ha un medaglione centrale che invita chi lo utilizza a farsi osservare, incorniciato come in un ritratto. Foto: Mathieu Mamousse Richer.

QUI: Jaime Hayón x Lladró, Embraced, Spagna, 2022. Collezione di tre sculture in porcellana dipinta e smaltata, monocromatiche (rosa e giallo) o con piccoli disegni. Il designer realizza con la storica Maison spagnola questo piccolo personaggio poetico e giocoso, simbolo di amor proprio. Foto: Courtesy Lladró.

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QUI E PAGINA ACCANTO:

Alcuni esemplari della famosa ricerca di Riccardo Dalisi sulla “caffettiera napoletana”, che ha ricevuto il Compasso d’oro nel 1981. Un concentrato di fantasia, poesia di un grande protagonista e interprete del design italiano che coniuga ricerca artistica e saper fare artigianale. Fin dagli anni Settanta, nel suo atelier-bottega di rua Catalana a Napoli, Riccardo Dalisi ha creato oggetti e prototipi in rame sbalzato, coinvolgendo le botteghe dei lattonai della zona che stavano chiudendo per mancanza di lavoro, e i ragazzi del quartiere, in un progetto artistico e sociale.

ANIMARE,giocare, PARTECIPARE

Il poliedrico architetto, designer e scultore di fama internazionale Riccardo Dalisi ha sempre messo al centro della sua ricerca l’uomo e la sua interazione con la società. Da qui il suo impegno nei quartieri poveri di Napoli: un riscatto sociale tramite il valore tangibile dell’esperienza.

di Ugo La Pietra Fotografie Archivio Riccardo Dalisi

Riccardo Dalisi diceva: «animazione è un termine astuto uscito dall’alveo cinematografico e teatrale per dialogare nella didattica e nelle operazioni estetiche, nel lavoro di quartiere, nel design e nell’architettura.»

Sono ormai diversi anni che il lavoro di Dalisi viene storicizzato all’interno di quel movimento di design radicale che ebbe la sua massima definizione attraverso l’esperienza condotta nell’ambito della Global Tools, contro-scuola di architettura fondata nel 1973, di cui Dalisi è stato uno dei principali animatori. Dalisi, fin dagli anni Settanta, prediligeva le strade e i cortili di Napoli alle pareti del suo studio: usciva nella città e praticava “il gioco del fare”. Le sue teorie, messe in pratica nel territorio, fecero nascere quello che passò alla storia come “design povero”, una pratica progettuale realizzata attraverso esperienze di didattica spontanea di gruppo. Dalisi portava, ai ragazzi di Napoli del quartiere Traiano, strutture da assemblare per costruire oggetti e spazi attraverso una pratica collettiva che si basava soprattutto sul gioco. Un’attività ludica espressa negli spazi urbani che Dalisi cercava di orientare verso una “grammatica generativa”: un percorso progettuale che lo pone come uno degli esponenti più significativi non solo del design radicale ma anche dell’arte nel sociale.

Dalisi, anche da vecchio, aveva conservato la gioia nel fare,

come un bambino che ama giocare e si stupisce ogni volta di fronte a ciò che è uscito dalle sue mani. Nelle sue lezioni universitarie chiamava questa pratica “geometria generativa”: un tentativo di controllare il gioco delle trasformazioni nello spazio. Il suo rapporto con l’artigianato, e con il pensare e realizzare attraverso la collaborazione con gli artigiani, ha mantenuto sempre questa base di pratica creativa: realizzava così oggetti come “strumenti di partecipazione” facendo nascere un design dell’imprevedibilità.

Con questo atteggiamento, oltre al suo impegno sociale con i bambini dei quartieri Traiano e Ponticelli, Dalisi ha realizzato oggetti seduttivi come le sue particolari caffettiere, rivisitazioni della tradizionale caffettiera napoletana. Oggetti che nascono come “burattini” per il gioco del teatro domestico. La caffettiera diventa così un personaggio: Pulcinella, Totò, Pinocchio…

E proprio la caffettiera di latta, attraverso il gioco innescato da Riccardo Dalisi, come un bambino che con la fantasia riesce a trasformare in “altro” qualsiasi oggetto domestico, è potuta diventare “tutto”, addirittura un monumento cittadino (in una versione di grande formato).

Con la fantasia, Dalisi è riuscito, sempre attraverso il gioco, a trasformare qualsiasi oggetto in un giocattolo, con il contributo e la partecipazione dell’artigianato locale di quartiere. •

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PAGINA ACCANTO:

Un momento di “design partecipato”, laboratori sociali nei quartieri di Napoli nei quali Riccardo Dalisi coinvolgeva bambini e ragazzi del quartiere.

QUI: Pulcinella, una reinterpretazione della caffettiera napoletana che nelle mani di Dalisi diventa personaggio di un teatrino domestico legato al genius loci del territorio.

QUI: Un’altra interpretazione della caffettiera napoletana. Un esempio di “design ultra poverissimo” di Riccardo Dalisi che grazie a lamierino, un paio di forbici e un po’ di colore è stato capace di creare mondi ed esperienze.

PAGINA ACCANTO: Le esperienze di Riccardo Dalisi nei quartieri di Napoli rimangono tra i migliori esempi di “arte per il sociale” attuata valorizzando le risorse, umane, culturali e sociali, del luogo dove venivano praticate.

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113 MESTIERI D’ARTE & DESIGN

testimo n iato da franco cologn i

Il gioco ci aiuta a capire, oggi più che mai, come resistere al torpore dell’assertività e della noia per ritrovare invece la gioia della scoperta, l’entusiasmo per la sfida, il brivido di affrontare ogni giorno qualcosa di nuovo sapendo di possedere gli strumenti giusti.

Homo ludens

Per vivere liberi e felici, scrivevano i Padri della Chiesa, si deve sacrificare la noia: e non sempre è un facile sacrificio. Perché la noia porta con sé anche qualcosa di rassicurante, di scontato, di ripetitivo, che in questi tempi di incertezza sembra quasi consolarci. Ma la noia porta con sé pure malinconia, inerzia e disagio: caratteristiche molto contemporanee, purtroppo, e legate a quel vizio che sempre i Padri della Chiesa chiamavano “acedia”. Accidia, diciamo noi oggi: vedere il bene, avere la possibilità di essere felici, ma abbandonarsi alla noia per il timore di non farcela. O, come si dice con una felice metafora: per la paura di mettersi in gioco.

Il gioco è da sempre una metafora per tanti tipi di azioni: gli scacchi, in fondo, sono una prova di intelligenza tattica su un piccolo campo di battaglia. I giochi di carte sono spesso basati su strategie e astuzie. Quelli da tavola prevedono alleanze, previsioni, una certa spregiudicatezza. E tutti, in generale, comportano un fattore decisivo, soprattutto in questi tempi in cui i social media, anziché connetterci, ci isolano sempre più nei nostri micromondi: la relazione. Si può giocare da soli, come ci accadeva ogni tanto da bambini: ma giocare con qualcuno è sempre più bello, proprio perché – come ricorda la sapienza popolare – giocando si impara.

Lo sanno bene i matematici e gli economisti, che per lavorare sui loro complicati sistemi si rifanno spesso a quella che è universalmente nota come “teoria dei giochi”: e nel corso dei decenni sono stati ben undici gli economisti legati a questi “giochi”, certo meno spensierati dei nostri, che sono stati insigniti del Premio Nobel. Proprio perché il gioco è simulazione, proiezione, scambio: necessità di regole ma anche di fantasia, altrimenti non ci si diverte. E il gioco diventa una chiave molto seria, ma non priva di una certa leggerezza, per costruirsi la propria via nel mondo del lavoro: lo sanno bene non solo gli artisti, che con la dimensione del ludico descrivono la realtà in termini ironici, ma anche i maestri d’arte, che hanno acquisito una tale competenza tecnica da poter ormai dimenticare la fatica della mano, e godersi la felicità del fare.

Il lavoro non è un gioco: è impegno, a volte è addirittura sacrificio, e soprattutto è un’attività che stimola la nostra intelligenza e valorizza la nostra umanità. Non siamo insetti, ma esseri umani: trasformiamo creativamente il mondo intorno a noi per rappresentarci in esso in maniera consapevole. Ma per i maestri artigiani, il lavoro ha sempre la stimolante energia del ludus: giocare non per perdere tempo o per ingannare la noia, ma per sperimentare un modo più felice di agire, di migliorare, di guadagnarsi la vita, di dare a questa vita la giusta leggerezza che permette di sostenerne la gravitas, la parte seria (e non noiosa) che pure ci è necessaria. Proprio questo mantiene giovane il loro cuore, elastica la loro mente, vivaci i loro occhi.

Il mondo anglofono ha un solo verbo per indicare sia l’azione del giocare, sia quella del suonare, sia quella del recitare: play. In spagnolo, suonare si dice tocar: e mi piace questa vicinanza al tatto, al fare con le mani. In italiano abbiamo parole preziose e diverse, ma che sintetizzano le altre due tradizioni linguistiche proprio con il concetto di gioco: un momento in cui si inventa, si apprende, si crea qualcosa di bello e memorabile, e si vince la noia che rende tutto banale. «Vuoi giocare con me?» chiedono i bambini. I maestri artigiani non hanno mai smesso di chiederlo: ai materiali, alle tecniche, alla storia, ai clienti. Sta a noi rispondere, per fare in modo che questo ludus magnifico del ben fatto all’italiana possa sempre trovare giocatori entusiasti e appassionati. Cosa si vince? Molto semplice: la bellezza. C’è mai stato premio più ambito? •

114 OPINIONI
RI-SGUARDO

PLAYING FAVOURS THE BOLD Alberto

We tend to assume that the act of playing is completely unfettered by any kind of convention. All too often, the more playful aspects of our lives are relegated to the scraps of time we manage to carve out in between our other obligations, which, by contrast, we define as serious. But playing is, in fact, a very serious business, which calls for rules and imagination in order to unfold its evocative and even educational potential.

Not only is it important to be familiar with the rules, respecting them and being able to change them. At times, knowing how to add a touch of irreverent creativity and smart irony to our playful interactions also means that we can transform playfulness into a highly evolved system of communication. Because to entertainment (which is necessary to keep attention levels high), it introduces an element of knowledge and acquisition of skills. So much so that true masters say that we actually learn by having fun. This fun can also be provocative, but it always requires the freedom to choose the moves we make. Indeed, being free does not only mean that we are not subject to someone who tyrannises us. Above all, it means that we are entitled to choose, that we are allowed to express our natural inclination, that we have an alternative. Craftsmanship, namely the activities that enable us to transform matter creatively and consciously, generating something extraordinary entirely with our own hands, is no longer a necessity. Yet we feel that we cannot live without it. Because when we make something “manually”, we are not just performing an action, we are enjoying it. We feel fulfilled. We are happier, and therefore more cheerful (and perhaps more playful).

This issue of Mestieri d’Arte & Design, dedicated to the theme of playfulness, is an invitation to always appreciate and pursue the extraordinary freedom to choose, to create an alternative path and be bold enough to play with ideas, techniques and materials, mastering a craft to express new meanings that will always refresh the way we perceive things and reactivate our minds.

Playfulness is an important component of contemporary art and a metaphor for the belligerent nature of human beings, but also for the way we relate to one another. This playfulness is represented by the master craftspeople and designers selected for this issue in a somewhat unexpected way. You will read genuine stories of people who have succeeded in turning their passion for “playing” into a code that has helped them to break away from banality, to rediscover the joy of making things.

Fornasetti’s surreal and at the same time familiar evocations, Dalisi’s geometric games, the irony of everyday life that Manuela Crotti imbues with enchantment, Betti’s fairy-tale constructions. And again, the handmade games “for grown-ups” that convey the preciousness of shared moments, the kaleidoscope of colours of mixologists, the protean beauty of Van Cleef & Arpels jewellery, and the dialogues between craftspeople and designers that we will showcase at the Salone del Mobile though the Doppia Firma project. To rediscover the power of adopting a playful approach to our lives involves understanding the brave choice all these masters have made: namely, to take responsibility for transforming their lives, and their work, into a game of chess played against themselves, their talents, and the rules of the game. So that the element that still makes the Mona Lisa fascinating - her smile - always returns to our faces.

Enjoy your reading!

THE PLAYFUL NATURE OF OBJECTS

Ugo La Pietra

At the end of the 1970s, when I first saw the young apprentices in the workshops of Salento potters making painted terracotta whistles, it dawned on me that one could actually “play whilst making objects to play with”. Those whistles were made by the inexperienced but imaginative hands of children

who were in the process of learning a craft. The toys were meant to be sold on market stalls during local festivals festooned with bright lights, and were given as a gift to children taking part in a collective event full of fun and games. Those early experiences in the workshops would then continue to evolve, leading the apprentices towards the potter’s profession, which, over time, preserved the pleasure of play, from the manipulation of the material to the finished object. I have always written about artistic craftsmanship as an activity that produces objects that are not necessarily functional, but are nonetheless rich in meaning, related to the many cultures and traditions that have evolved and renewed over the course of time. But I always forgot to add that these works are produced, above all, through a practice where the artisan is the one who knows how to handle the material, and does so with the skill and passion of a juggler.

Anyone who has had the chance to see a master glassblower at work will have witnessed in awe how in one hand he holds a long metal cane with molten glass just out of the furnace, while the other hand moulds the glowing mass with two long tongs and quick movements. In the space of mere seconds, he creates an amphora decorated with frilly edges. The onlooker has not only witnessed the creation of a work of art, but also the physical and playful workmanship of the artisan-artist. The object embodies all these characteristics, conveying them to those who will later own it, thereby enabling them to participate in their own way and keep the playful and spectacular dimension of his creation alive.

Again, it is the child who enables us to see and understand the relationship we often develop with the objects we are most attached to. Watching a little girl playing with her dolls, and seeing how she treasures them to enjoy them again as an adult, is comparable to the practice of using shelves, display cabinets, bookcases in our homes... places where we keep our cherished objects on show. Objects that communicate all the artistic and practical value of a handcrafted work, but also their playful nature.

With the progressive disappearance of almost all the rituals related to the use of objects (which we now find in many second-hand markets) and the huge quantity of consumer goods, in addition to the exponential growth in imageobjects that fill our electronic devices in an increasingly vast and indiscriminate manner, we are forgetting the playful nature of objects, a dimension pertaining both to those who produce them and to those who own them.

As a result, we are possibly losing the most important aspects of our relationship with meaningful objects: from the one that takes us back to our infancy, to the gift that fills us with surprise and joy, to the cherished object with which we spent the best days of our childhood.

THE FAIRY TALE OF CRAFTSMANSHIP

Playfulness is a very serious matter, as we all know. In a society based on global goods, being playful is one of the most effective ways to get straight to the heart and wallet of consumers. This has indeed been the case since the first Great Exhibition, held in London in 1851, which radically changed the very application of the arts and crafts. Queen Victoria’s London became the metropolitan setting for the first large-scale experiment in simplification, of an approach that turned everything into a “game”. By comparison, the fashion/ design objects of the late 20th century that characterised what is known as “Milano da bere” (Ed. a term that describes the vibrant and hedonistic Milanese social life in the 1980s) was merely art tinged with madness.

But everything comes at a cost. In Paris, also in 1851, it was architecture, the mother of all arts, that was put aside. Prince Albert, the universal mastermind, preferred the practical art of his gardener, whom he called to design the Crystal Palace, a display-case for Her Majesty’s global goods. And not only that. The botanical greenhouses of the King’s gardener became the conceptual and tangible model of a universal simplification that is effective, quick, easy

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ENGLISH VERSION

to assemble and dismantle. Sheer genius, which is still in progress. This was followed soon after by the furniture and practical items of the travelling American pioneers, who were the great novelty of the modern age. Still in Paris, in 1889, engineer Eiffel’s steel tower was erected, surpassing in height the spires of Notre Dame.

The sky was no longer the limit. God was dead, and Saint Joseph the craftsman was also on his deathbed: indeed, after that knockout, sacred art was never to rise again. Everything became fast and disposable.

Naturally, and rightly so, this trend met the resistance of high-quality British taste, represented first and foremost by Ruskin and Morris. But the great universal all-crushing blender was set in motion, mixing customs and traditions, tastes and dislikes, north and south, different and sometimes opposing cultures and heritage. All there waiting to be betrayed, translated and updated. This spectacular and far-reaching journey led right up to Monet’s Japanese waterlilies, then to Freud’s interpretation of dreams, followed by the discovery of the primitive world and of the heightened reality of the surreal object applied to communication and political and commercial propaganda. A veritable cornucopia!

In Italy, the applied art that captured most effectively this landmark transition is perhaps children’s literature, which inherited the blend of oral and manual elements from the East and the West: from flying carpets to Aladdin’s lamp of the fabulous Thousand and One Nights of the crafts. Ultra-luxurious applied arts are designed, as always, to make us dream, to make us fly. Augustus, the emperor who triumphed at Actium, requested - in accordance with the law - only “a bowl made of sardonyx, chalcedony and agate, with several figures inside and a Gorgon’s head on the outside”. It became known as the magical Farnese Cup, a masterpiece of Hellenistic glyptic art, now at the National Archaeological Museum of Naples. Utterly enchanting, even better than Cleopatra!

In this fascinating and fairy-tale connection arises the genius of Collodi, Carlo Lorenzini’s nom de plume: he made up the story of Mastro Geppetto the carpenter and of Pinocchio, his mischievous wooden puppet-son. To this day, a cornerstone of the very concept of craftsmanship in the general public. Lorenzini-Collodi was well acquainted with the artistic manufactories through his brother Paolo, who managed the Ginori factory. Thanks to this, he personally took part in the revolutionary climate of the Great Universal Exhibitions. In 1867, for example, while in Paris he saw, heard, understood and wrote his fairy tale on craftsmanship in his own Florentine style, repackaging and reinventing it as an art for children (and adults, too). Onto this tale he grafted a magical handcrafted object that was fabulous, miraculous and absolutely unprecedented. Bingo! That highly successful fairy tale proved so beautiful and convincing that to this day it continues to conquer hearts and minds. For those who believe in it, of course. The end.

ALBUM

Stefania Montanari

Akhal Tekè

Corso Como 10, Milan

Akhal Tekè is a collection of charming shoes adorned with handmade embroidery, in keeping with this time-honoured Italian art, all made using the special slip-lasting technique from Bologna known as “a sacchetto”. The venture was established in 2015 by Benedetta Bolognesi and Gaia Ghetti, two young friends who, fascinated by the exquisite ornaments typical of the Turkmen tribe, wanted to reproduce them on a variety of shoe models. So, they set to work, assisted by a small workshop where their designs come to life. “We named our business after Akhal-Teke, the horse of the Turkmen tribe that, according to legend, was mounted by emperors and amazons and whose coat was so smooth that it seemed to be made of silk,” Gaia explains. “The Turkmen live in the

heart of the Karakum desert, in the prosperous Teké oasis deep inside the Akhal Valley. They are renowned for their stunning embroidery and jewellery, which they also use to decorate the finishes donned by their horses. Even in the past, these precious ornaments have inspired many collections of unique and timeless creations.” Drawing inspiration from these decorative elements, Gaia and Benedetta, who had previously gained experience working in the shoe industry, started to design their own carpet slippers. “Since the first model we made reproduced the bridle decorations of the legendary horse, we decided to name our collection after it,” continues Gaia. “All our embroideries are handmade. Velvet, silk, satin and linen are embellished with gems, beads, metallic yarns, threads and raffia, using exclusively hand-embroidery stitches. We produce many footwear models. Some are flat, such as the carpet slippers, sabots, ballerinas and boots. Others have a medium or low heel, such as the pumps, boots and cowboy boots. For the ballerinas we use the slip-lasting ‘a sacchetto’ method: the leather is applied separately, then slipped on like a glove and closed over the foot like a pouch. The upper part of the shoe is completely seamless and guarantees maximum flexibility and softness.” This is an age-old technique, typical of traditional Bolognese workmanship. “We also devised a solution for additional comfort by equipping the shoe with a latex cushion under the heel,” concludes Gaia.

10corsocomo.com/akhal-teke-shoes

Antonia Sautter

San Marco 1286 Frezzaria (Venice)

Tel. +39 041 5232662

Antonia Sautter’s passion for the history of costume, textiles and traditional production methods, together with her love for craftsmanship, have contributed to making her a world-famous and acclaimed Italian excellence. In her atelier, located in the heart of Venice, age-old hand-dyeing and printing techniques transform silks and velvets into extraordinary dresses, bags, shoes, kimonos, clothing and home accessories. “I started making costumes from an early age, having learnt dressmaking from my mother,” says the talented artist. “I loved sewing. I used to work in the attic of our family home in San Tomà, in Venice, where the dressmaking atelier is still situated to this day. I have never really understood whether my creativity was influenced by my dreams, or the other way round. In any case, what started as a childhood game ended up determining the course of my whole life.” After graduating from Ca’ Foscari University and working for a few years in New York in the fashion industry, she returned to Venice where she opened her atelier and launched her fashion range called Venetia. Her work soon evolved, however, and she started to create events under the name Antonia Sautter Creations & Events. The common thread throughout her work took the form of fantastical stories, exquisite costumes and sets inspired by the Thousand and One Nights. In 1994, this culminated in the creation of the Ballo del Doge, the international Venice Carnival gala. “I discovered the magic of recreating bygone eras while collaborating with Terry Jones, who was working on a historical documentary on the Crusades for the BBC. That journey into Venice’s past fascinated me to the point that I wanted to evoke those distant atmospheres, such as the sumptuous banquets of the 18th century. This is how the Ballo del Doge came to be, and this year marks its 30th anniversary. For this event I make all the clothes not only for the hundredodd performers, but also for my customers. I also create the sets, assisted by experts in the field, selecting the subjects and the wooden backdrops, which are all hand-painted, just like they would be for a theatrical performance. A whole year’s work for a dream that lasts only one night,” the designer reveals. “In 1999, I had the honour of being chosen by Stanley Kubrick to make the masks used in his last masterpiece, Eyes Wide Shut.” Antonia has received countless awards, including that of Cavaliere della Repubblica Italiana, to acknowledge her achievements in the fields of literature, the arts and the economy. antoniasautter.it

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Cosimo De Vita

Via de’ Bardi 30, Florence Tel. +39 393 2841149

His great-grandfather used to make armchairs for cinema theatres in the 1920s, his grandfather was an architect, and his father was a decorator. With this background, Cosimo De Vita was undoubtedly born into the arts, and has breathed creativity since childhood. “I came to realise that I can’t get away from this profession. Every time I have tried or even thought of doing something else, I always ended up coming back. One afternoon after work, for instance, I was sitting on the steps of the Santo Spirito Basilica when an idea came to me that I immediately turned into a design: the backrest of a chair inspired by the architecture of the church. This is how the Cityng project was born: a range of monumental seats that express sharing and belonging, consisting of 16 chairs that represent the world’s most iconic monuments,” says the young artisan. “I consider myself an ‘artisaner’, part artisan and part designer. My practice is aimed at transforming an everyday object into a metaphysical creation by merging memory and experience into the design. The chair thus becomes a symbolic object, incorporating the city and its values. Cityng is a journey between East and West, between tradition and modernity. The chairs are handcrafted from solid wood and decorated by a numerically-controlled pantograph,” Cosimo explains.

His workshop, a charming and spacious basement in Florence’s Via de’ Bardi, treasures all the tools that Cosimo uses to make his chairs. To finish the backrests, he collaborates with the company Savio Firmino. This is how he creates the domes of San Marco’s Basilica, the façades of Santo Spirito, Santa Maria Novella, Santa Croce and San Lorenzo, the pinnacles of a minaret, the silhouettes of Chinese pagodas. “Each chair is unique and can be modified and customised to the clients’ request,” says Cosimo. His story originates in Florence, and combines a great passion with originality and contemporaneity. Cosimo De Vita was hosted by Rossana Orlandi at the Salone del Mobile. cosimodevita.com

Crizu

Corso Magenta 31, Genova

Tel. +39 338 8366521

An interplay of folds arranged to form amusing artistic paper sculptures. An inspiration that was hatched by pure chance, in a New York gallery, while admiring a Chinese book that had been cut out and turned into a sculpture. This is how the adventure of Crizu began, an artistic workshop established in Genoa some 20 years ago by Cristina Corradi Bonino, a skilled paper restorer, who decided to concentrate on the metamorphosis of books, which have always been her great passion. Cristina’s daughter Anna Bonino now runs the business, having taken over the baton of this wonderful project. Skilled in the techniques she was taught by her mother and driven by the same passion, Anna continues to create these magnificent unique pieces with remarkable talent. In the atelier, she takes care of the pleating and “styling” of the books, while two skilled artisans make the wooden bases and the plexiglass cases to display each creation. “It’s very inspiring to work on the metamorphosis of volumes that are bound to be destroyed and bring them back to life in a new guise, whilst preserving their integrity,” the artisan explains. “We don’t cut or ‘mutilate’ them. We just fold them, so that each volume becomes a sculpture, a lamp, a piece of furniture. All the pages are individually folded by hand with skill and patience, until the old volume is transformed into a new and magnificent paper sculpture.” Old handbooks and encyclopaedias are brought back to life in the form of sophisticated designer objects. “Even though the form changes, the book remains intact: you can still read and flick through it. Or you can just admire its metamorphosis into a renewed designer and artistic object, so poetic in its simplicity.” A couple of years ago, these sculptural books were complemented by a limited-edition jewellery range of earrings and necklaces, consisting of

pages alternating with a variety of materials such as pearls, semi-precious stones and crystals. “In order to repurpose also single pages, we have recently started to create flower petals,” Anna Bonino concludes. Crizu creations are all entirely handmade inside the atelier. Needless to say, they are one-off pieces just like the books of which they are made. “These objects,” says Anna, “are full of memories and they become more and more beautiful as time goes by. Folding pages is a bit like merging elements of history, culture and beauty in the finished piece.” crizu.it

Denis Buosi

Piazza Beccaria 6, Varese

Tel. +39 0332 241227

Buosi store and B-Academy

Via Baracca 18, Venegono Superiore (Varese)

Tel. +39 0331 857492

Denis Buosi is an accomplished pastry chef who has specialised in the creation of confectionery and chocolate products, thus developing with increasing success the business his parents started in 1958. The recipient of numerous international awards, he has also established the Buosi Academy in Venegono Superiore, in the province of Varese, to pass on his skills to the next generation and, first and foremost, to his sons Andrea and Lorenzo, who have already distinguished themselves in the culinary empyrean. “In our laboratory, we select Italy’s finest products, such as almonds from Val di Noto, pistachios from Bronte, hazelnuts and chestnuts from Piedmont,” Denis explains. “Our pastry products are made only with the highest quality ingredients, carefully selected and blended, without hydrogenated vegetable oils, chemical flavourings or any preservatives. We also do our best to showcase the local area by using typical foodstuffs and ingredients, such as peaches from Monate and milk and cream from Varese’s central dairy.” Aside from his work in the field of confectionery and teaching, Denis has another passion, which is most definitely playful. The Master Chocolatier delights in creating shapes and forms in milk or dark chocolate, ranging from animals to cars, from coats of arms to letters of the alphabet. Denis has also created the Giocolato range, containing games such as checkers, chess, the Formula One track and work tools entirely made of chocolate. In addition to these, Buosi also makes custom-made boxes with chocolate letters to compose sweet words to give as a gift. Denis Buosi’s creativity knows no bounds: his subjects include everything from Christmas to Easter, Mother’s Day or Father’s Day, and even chocolate salami. “Any shape can be made out of chocolate: a company logo, an object or a clothing accessory.... All you have to do is create a mould, choose your favourite type of chocolate and the item is done!” The courses he organises in his spacious workshop are addressed also to children who, after the lesson, can enjoy tasting the designs they have made. buosi.it

Villa Milano

Via San Carpoforo 21, Milano

Tel. +39 02 804279

Villa Milano is a well-established goldsmith’s shop offering outstandingly elegant jewellery, including many made using the famous “Villa mesh”, a weave of gold threads patented by Giuseppe, son of the ingenious Benvenuto, great-great-grandfather of the current owners, who started the business in 1876. A goldsmith, sculptor and alchemist of great renown, Benvenuto took part in the great World's Fairs of the period with his jewellery and sculptural creations, winning a gold medal at the Paris Expo of 1889 with his modular cube sculpture in silver, which was very modern for that time. From generation to generation, the family’s artistic flair has never died out. Today, Marco’s daughters Alice and Francesca Villa, who represent the fifth generation, continue the family tradition with unabated passion. The boutique was recently relocated from its historical seat in Via Manzoni to Via San Carpoforo, in

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Milan’s Brera district. In the workshop, inaugurated in 2021, visitors can admire the master goldsmiths who, armed with the tiny tools of the trade, craft wonderful bracelets, rings, brooches and necklaces, many of which are custommade, featuring exquisite gems. Amongst the most striking creations that continue to characterise the jewellery are the cufflinks “with a thousand faces.” Made of gold and semi-precious stones, they feature many different subjects: the enamelled snout of a dachshund or a pug dog in bone, animals of all sorts in engraved and carved semi-precious stones, an ivy leaf, a sphere decorated and painted like a geographical map, angels, shells, golf balls and sails. Aluminium, geodes, lava stone fossils, meteorites have also been recently introduced into the collection. Cufflinks of all shapes and materials that are creative, ironic, playful, yet elegant and refined, made in such a variety of subjects and techniques that it is truly challenging to make a choice. villa.it

Argenterie Giovanni Raspini

Largo

Torricelli 1, Pieve al Toppo, Civitella in Val di Chiana (Arezzo)

Tel. +39 057 5410330

For over 50 years, Giovanni Raspini has been creating precious artefacts in Tuscany, his beloved homeland, assisted by expert craftspeople. His jewels and charms, which are all crafted in his workshops, stand out not only for their originality but also for that touch of playfulness and irony that characterise his production. These include bracelets with crocodiles, charms with frogs, brooches with crabs and photo frames studded with daisies. “When I decided to change the style of my production, in the early 1990s, I created the Margherita frames. I had no idea that I would meet with such success,” the designer reveals. Thus, the dialogue between Italy’s goldsmithing tradition and his desire to continuously present new designs is nurtured in his creative workshops, resulting in new artefacts obtained through the use of fire and the skilful hands of his artisans. “In our workshops we transform ideas into jewellery,” continues Raspini. “We create our objects by hand using age-old processes, first and foremost the lost-wax technique. In jewellery making, an idea is like the wind of intuition, a daydream. It is unique and cannot be repeated. To me, creating a piece of jewellery is like carving a miniature sculpture, wellbalanced and perfect in every detail.” Raspini recounts his past: “The 1990s were a time of great change for the company, which was established in 1972. Charms, tableware and desktop silverware have become increasingly important in our brand’s range of products, which include some decorative items such as the Margherita frames, which perfectly embody the company’s style, to the point of becoming a best-seller not just in Italy.” However, it was in the new millennium that the company’s transformation really got underway. Giovanni Raspini began to design and produce jewellery that, following an evolution that originated with charms, developed into more elaborate models. The silver and gold-plated jewellery began to take on a variety of playful and perfect designs, from different dog breeds to lizards, from panthers to frogs and ducks, from ladybirds to four-leaf clovers and snowflakes. Unique and precious creations, born from an extraordinary combination of craftsmanship imbued with wit and Italian-made quality. Giovanni is flanked by his daughter Costanza and Claudio Arati, his associate and alter-ego, who shares his same passion. Always sensitive to cultural initiatives, Raspini promotes exhibitions on goldsmithing traditions and numerous events aimed at supporting and promoting Italian craftsmanship. giovanniraspini.com

Judith Sotriffer

Strada Pedetliva 18, Ortisei (Bolzano)

Tel. +39 333 4606593

Judith Sotriffer is a talented craftswoman who has decided to revive an ancestral craft that her village, Ortisei, has been famous for since the 17th century.

“In past centuries, almost all the inhabitants of Val Gardena were woodworkers, which was the primary source of income in an area rich in forests,” Judith explains. “Many specialised in carving and making toys that were sold, with great success, in markets and fairs in many cities, also abroad. The dolls from Val Gardena were famous even in Holland, and the Childhood Museum at London’s Victoria & Albert Museum has some 130 on display, including 12 dolls that belonged to Queen Victoria. Right next to Covent Garden there is a shop that used to sell Val Gardena dolls in those days and still does to this day!” The daughter of an artist and of the owner of a historic toy shop in Ortisei, Judith Sotriffer was brought up appreciating beauty. “I have always been fascinated by these toy-sculptures, so I decided to revive our long-standing tradition, which thrived until the 1930s, when cellulose dolls and plush toys appeared, and supplanted wooden toys. We had a few doll specimens at home: I started to take them apart, to find out how they were made. I researched and studied their history in books, eventually opening a workshop in 1985 and setting to work.” Upon entering the workshop, one is immediately enveloped by the smell of glue and pinewood. On the shelves sit countless Pinocchios, little horses and smiling, round-faced, slender dolls of all sizes, all handmade one by one. The workbenches are full of gouges, files, rasps, chisels, brushes, tins of paint and glue. And a lathe for turning the wood. Sporting black hair and shoes, white socks and blue eyes, each Val Gardena doll consists of no less than 17 parts. Judith carves each piece before painting and fixing the colours with varnish, and assembles the parts to create her unique dolls. Orders come in from all over the world, from America to Sweden, and as far as Australia and New Zealand. “The doll is not just a toy, it is a friend you can confide in. It is a child’s first approach to playfulness, the first artform that makes them think, stimulating their imagination. It is like a beloved amulet, known since Etruscan times, to be held close to one’s heart: with a pinch of magic,” Judith Sotriffer concludes with a smile.

giocolegnovalgardena.com

L’Arcolaio

Via Giovanni Fabbri

Zona Industriale Sant’Atto

64100 Teramo

Tel. +39 0861 587095

Olga, Chiara and Mariana Perticara are three sisters who have inherited from their grandfather Antonio not only the company with its dozen looms, but also a passion for weaving and a penchant for natural fibres, Jacquard designs and refined textile products. “Even though we have a 70-year family tradition behind us,” explains Olga, “my sisters and I enjoy pushing boundaries and experimenting with different techniques such as embroidery, dyeing and printing, with the goal of creating something original. Jacquard fabrics belong to our DNA, but we love textiles of all kinds, provided they are original and sustainable. We work with linen, cotton, hemp and wool.” L’Arcolaio’s latest creations include the cypress trees of the Val d’Orcia. “At first they were made on a loom with many different weaves, in an attempt to replicate their uniqueness. A few years later, they became almost stylised embroideries, to render their silhouettes against the horizon. Last year we also started printing them, but always in Jacquard, on the historic Pienza cloth.” L’Arcolaio offers a wide range of products: the Identity range experiments with Jacquard constructions and various dyes; in the Ambienti Italiani range, the artisans take pleasure in portraying impressions of our beautiful nation using Jacquard or embroidered fabrics; and the Alma line, conceived in the spring of 2020, which translates into fabric the urge for lightness in contrast to the gloom of that historical moment. The decorations that adorn their tablecloths and towels include giant octopuses, beach umbrellas, fish and mermaids, deer, starfish and women’s faces. A playful universe designed to bring a cheery touch to their customers’ homes, and which can also be made to measure. “It’s always

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fascinating to see how new and original ideas can emerge simply by weaving threads in different ways,” concludes Olga. “We literally reworked what our grandfather used to create: using the same warp and weft, we try to give it a contemporary twist. Over the years, we have had the privilege of crossing paths with artists of rare insight, such as Elisabetta Bovina and Carlo Pastore of Elica Studio, and Monica Zani. These collaborations have resulted in many new patterns for our fabrics.”

larcolaio.it

Ottavia Moschini

10 Avenue Junot, Paris

Tel. +33 06 24484933

Always on the move, Ottavia Moschini is a young decorator brimming with ideas and initiative. Equipped with brushes and paint, she manages to transform the most anonymous rooms into dreamlike environments. She has worked in castles in Austria, Bavaria and France and homes in Milan, in grand hotels in Paris, Florence and Venice and country estates in Tuscany and Soho (New York). In 2007, she directed the Lebanese pavilion at the 52nd Venice Biennale. “I was always passionate about drawing,” Ottavia tells us. “Even as a child, I used to copy oil paintings and decorate porcelain. Later, thanks to the years I spent restoring works by Mantegna in Maestro Melli’s workshop, studying at the Van Der Kelen-Logelain school in Belgium and eventually taking specialised courses at the Royal Academy in London, I gradually worked out what I really wanted to do.” Now that her technical skills have been enriched and honed by experience, the skilled decorator can not only create any decoration on walls, fabrics, paper, but also advise on the most appropriate designs to make a house more harmonious. “’My work is very playful,” she explains. “The very fact of transforming walls, of creating optical effects that deceive the eye, carries within it a pinch of playful irony. Decoration is also much appreciated by children, who are sometimes the recipients of my paintings. We often ‘break through the walls’ by painting entire forests, or greenhouses full of exotic plants: it’s a way of playing with our habitat by recreating it in a different scale. After discussing the project with the client and developing the sketch, I paint directly on the walls or on paper, without outlining the design first. This allows me to be more spontaneous. Many of my works are now executed on paper panels so that they can be moved to different locations,” Ottavia concludes. “It’s not just my job, but also a game,” admits the talented craftswoman with a smile. She has just finished creating elaborate designs, containing all kinds of vegetation and insects, on silk curtains that will replace the weather-worn ones originally designed by architect Mongiardino. And perhaps this is the secret of her success: living art as a game that brings joy. ottaviamoschini.com

Studio Elica

Via

San Felice 48, Bologna

Tel. +39 348 3825919

For almost forty years, curiosity has been the driving force that has inspired them to experiment with materials and shapes, creating designs and decorations across the most diverse fields of design and craftsmanship. Elisabetta Bovina and Carlo Pastore first met in Faenza, at the Scuola Superiore di Ceramica. Their partnership, involving both their work and personal lives, has never stopped growing since. Their headquarters are located in a historical wine shop in the centre of Bologna: the signboard, dating back to 1928, still bears the name La Vinicola. Beyond the front door are a succession of bigger and smaller rooms where the different phases of their ceramic creations take place: the four high-temperature kilns where the objects are fired, the lathes where the clay is modelled, the work tables where the decorations are painted. “We often hold events in the cellars, as well as collective exhibitions of artists and performances. That’s because we enjoy experimenting and are in love with all materials, never obsessing over just one. Our work is the way in which we express ourselves and tell stories. Some of our creations are inspired

by the traditional Neapolitan Smorfia game. Our idea is to use a pop icon like the heart reinterpreting it with anatomical and strongly Italian references.” Visitors to their spacious workshop can admire their heart-shaped vases featuring arteries for water and flowers. Along with feet, hands and other parts of the human body, revisited with great skill, imagination and a pinch irony by these extraordinary designers and master artisans. Carlo Pastore, a true artist of the brush, is skilled in decoration, while Elisabetta takes care of the actual production of the objects. Their customers are citizens of the world: from Japan to the USA, from the United Arab Emirates to northern Europe. elicastudio.it

Unusual Bouquet

Via del Montano 24, Giulianello (Latina)

Tel. +39 347 8648041

“I always wanted to be an artist, even as a little girl. I loved drawing, but life took me down a very twisted path before I could find my true calling.” These are the words of Jessica Ciaffarini, a young master artisan endowed with an extraordinary creativity, who manages to craft wonderful bouquets without cutting a single flower. “I respect and love nature to such an extent that I cannot conceive cutting flowers that would die after a few hours,” Jessica reveals in her bright atelier in Giulianello, an ancient village in the province of Latina, very close to the Castelli Romani. “After graduating from the Academy of Fine Arts and photography school, I started taking courses in the Japanese technique called Somebana, as well as becoming familiar with ‘modelling Fommy’, a very lightweight plasticine that is easy to mould. I gradually started to bring my flowers to life, and not only to adorn dresses and hats, as was the fashion in the 19th century, but also to craft custom-made bouquets for brides.” Roses, camellias, peonies, liliums and green leaves: her flowers are so full of different shades of colour and delicate petals that they look as if they have just been picked. Completely handmade in her workshop, they are painted with natural pigments and fashioned into wonderful shapes. “I use mainly high-quality fabrics from haute couture ateliers, or recycled from companies committed to limiting their impact on our environment. Just as often, they can be scraps of fabric that I cut out and reinvent in other forms.” Jessica also specialises in paper wedding bouquets made from high-quality paper sourced from suppliers that produce in an environmentally friendly way. Thus, her creations are not only aesthetically beautiful, but also playful and sustainable. Francesco Russotto, an established photographer, is Jessica Ciaffarini’s partner in life and work: together they create splendid pictures with floral compositions, also to celebrate special occasions. bouquetalternativi.it

BIRD WHISPERER

Andrea Tomasi

From a very early age, Maurizio Betti had it clear in his mind that he would live his life in harmony with nature. “I didn’t like going to school. As soon as classes were over, I would run home, throw my satchel on the floor and go out to play in the fields, regardless of the season. And I would spend spring and summer swimming in the river, or with my grandfather, who used to work as a gardener in the villas of wealthy people, where I’d collect leaves and watch the birds, which were my passion right from the start. When he was digging the soil, grandpa would hand me some clay and tell me: ‘Maurizio, make me a gazot,’ which in our dialect means sparrow. And I’d sit there modelling one with my hands.”

At the age of 15, thanks to his father Pasquale, a restorer of antique vases at the Municipal Museum of Rimini, Betti found a job in an artisan workshop making stucco and plaster decorations. “Except for a brief interlude as a self-employed artisan, I ended up staying there until I turned 40, when I understood the time had come to start something of my own.” The turning point was triggered by a

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ENGLISH VERSION

woman who belonged to the same cultural association that Maurizio attended in his free time. Like him, she was a decorator. A personal and professional partnership was established between them, which continues to this day. “So it was that in 2000 Loredana and I set up our atelier La Bottega di Betti. Initially we stayed in the groove of our respective crafts, dealing mainly with interior decoration. Then we started making our first wooden furniture. I was in charge of the framework, Loredana of the exterior parts. Until one of our customers came to us with a small parrot that his parents no longer wanted at home.”

This was a watershed, though Maurizio and Loredana didn’t know it at the time. The two artisans had already made rudimentary “houses” for the birds nesting in their garden, but not with the same attention to detail that they put into their furniture. “We didn’t want to confine the bird inside an ugly metal cage. We wanted it to have a comfortable shelter that would also be a beautiful object to look at. The result convinced me that this could be a new line of work for us, so in 2008 we started exhibiting some of our nests at trade fairs. Unfortunately, they did not prove a hit right away, but we didn’t let this put us off. Eventually, we received a phone call from a lady in Milan who had seen our work displayed in Rimini. She asked us if we could scale it up and create an aviary for her.”

Loredana set about designing it, while Maurizio handled the carpentry. After a few months, the outcome was so rewarding that it encouraged them to create another one to sell. “That’s how we realised that there was a tangible interest. You have to bear in mind that it takes at least two months to make a simple model, for a more complex one even twice as long. That’s why we don’t really need that many orders, because we wouldn’t be able to manage them anyway.”

Time is key in Maurizio and Loredana’s work, not least because their aviaries are proper homes designed with their inhabitants’ comfort in mind. The water is changed constantly, there are lights so that the birds don’t stay in the dark more than they normally would in their natural environment, there are heating lamps for the coldest days, and structures with which the birds can play. “Our main concern when we tackle a new project is their well-being. I believe that birds should live free in their own habitat, but so long as it is legal to sell exotic animals, we might as well offer those who can afford it the opportunity to ditch their metal cages for something more beautiful and spacious.”

Spacious but certainly not as roomy as the Studiolo Ornitologico (Ornithological small studio) that the creative duo from Sant’Arcangelo di Romagna presented at the second edition of Homo Faber. An imposing project (2.80 metres in height, 1.95 in width and 1.2 in depth), which took over six months to complete and that to date represents their masterpiece. “I actually lost sleep over that aviary! There were days when I’d look at Loredana and ask her: ‘Did we go too far this time? Will we be able to make such a big wooden dome?’ In the end we succeeded, but when we arrived in Venice to install it on site, another apprehension crossed my mind: how do we, simple woodworkers, fit in with internationally renowned glass and ceramics artists? Beyond the fact that Homo Faber contributed to raising our profile and generating interest in potential customers, the one thing that moved and gratified us most was to be considered as artists.”

The success in Venice was followed by Fondazione Cologni’s MAM (Master of Arts and Crafts) award, an accolade that represents a new milestone for Maurizio. “I’m already thinking about our next challenge. I’d like to collaborate with a designer to create a completely different aviary, with more contemporary features. A true designer piece demonstrating the versatile nature of the object.” A test which, we are confident, the boy who used to make sparrows out of clay will pull off once again.

FLUTTERING BUTTERFLIES

Marina

The name of Fornasetti evokes unconventional, tongue-in-cheek and thoughtprovoking decorations. A byword for surreal imagery and fantasy worlds that

turn into art. Let us begin our journey by going back to its origins in the 1940s, when Piero Fornasetti, an eclectic, refined artist and one of the most prolific of the 20th century, set up his eponymous atelier in Milan to make his dream come true: produce everyday objects industrially and make them precious by adding a decorative, artisanal component that would turn them into true works of art. His atelier was a place where creativity was free to roam between imagination, dreams, game, madness and practical application, and in which objects and decorations were brought to life by the expert hands of his craftspeople. In the words of Piero Fornasetti: “Every single image is a source of inspiration, a starting point that can give rise to an infinite number of variations.” His prolific pencil yielded faces, body parts, butterflies, owls, capitals, the sun, playing cards, harlequins and self-portraits, which settled on furniture, accessories and porcelain, generating a unique magic that, from then on, has never failed to amaze. The most famous of these themes is the enchanting face of a woman with a magnetic gaze: her name was Lina Cavalieri, an artist of international standing who lived at the turn of the 20th century. Initially a showgirl, then a soprano and eventually a film actress, she rose to fame as “the most beautiful woman in the world”. Lina Cavalieri’s perfect proportions and enigmatic expression became the protagonists of Fornasetti’s most enduring theme, which now counts almost 400 variations: coquettish, mysterious, surprised, smiling, sporting a Chaplinesque moustache, spectacles and a crown, or in the form of a butterfly, a hot-air balloon, a candy, or even as a tattoo on a sailor’s arm and a moon half-hidden by the clouds. This is how the Fornasetti style originated: playful, brimming with wit and humour, and based on the guiding principle of “practical madness”, a distinctive feature of the atelier, thanks to which Fornasetti’s decorative language is applied to everyday objects that convey artistic messages while maintaining their practical function. Fornasetti’s furniture and accessories are the result of a long process entirely carried out by hand. The decoration is transferred onto a lacquered surface by means of silk-screen printing, a technique that was developed in France in the 1910s and was used early on by Piero Fornasetti for his creations in lieu of lithography. The colour is also applied manually by the workshop’s painters, who follow the original sketches meticulously. Between each coating, the decorated and lacquered surface is left to dry for several months, a process that seals the decoration, giving the object its typical shine and tactile pleasantness. Each piece is exquisite and unmistakable, just like the porcelain, which is entirely hand-painted with silk-screen decorations before the object is fired in the kiln.

Piero Fornasetti’s legacy and the founding principles of his atelier continue to inspire his son Barnaba, who is now the brand’s Artistic Director: the passion that flows from head to hands in a seamless convergence of thought and action remains at the heart of all the products created in the atelier. Together with the sense of playfulness, this is a fundamental feature of Piero Fornasetti’s work before and of his son today. As Barnaba himself explains: “Decoration invites us to use our imagination and, just like playing, makes us escape from everything around us. I can truly say that my whole life is a full-time game. Playing has become my profession, to such an extent that even my hobbies, such as music, are also becoming part of it. It’s like living in a gigantic playroom.”

If you were to describe Fornasetti with two adjectives, which would you choose? “Free: from prevailing aesthetic stereotypes, fashions and labels. My father taught me to fight for freedom of thought and to oppose conformism. This doesn’t mean that one should work without methodology or rules because, unlike what one may think, they are essential for imagination to roam freely. The second adjective is ironic: because Fornasetti’s aesthetic approach draws on centuries of visual history in a learned and conscious way. Like a remix of characters that are part of our collective imagination.”

We step out of the atelier well aware that in this place the creative process is based on two resources that are particularly precious today: time and expertise. Nothing is made according to a fixed timetable, but only following the inner tempo dictated by heart and passion, which is conveyed to the objects through

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the hands. A time that cannot be defined, and becomes the dimension that is necessary to ensure that each work is executed to the highest of standards.

WHEN GLASS IS THE MIRROR OF THE SOUL Jean

“I don’t create my works for other people, but for myself. They are the reflection of my soul, of the way I am, of the environment I live in, of what I breathe. They represent my dreams and my nightmares. In my glass works you can find Venice and the Renaissance, but also contemporary man who lives within history.”

Born in Murano, Cesare Toffolo has always breathed the air of the lagoon and, with it, the very essence of glass. Both his grandfather and father worked in the famous Murano glassworks. But they didn’t just work there, they were also innovators.

For many years, his grandfather Giacomo worked as “primo maestro” at the Venini furnace. His father Florino followed in Giacomo’s footsteps and, at the age of seventeen, became a “master of glasses” at Venini. He served as a soldier in the Second World War and, having refused to join the Republic of Salò, he spent a year and a half imprisoned in Germany, where he was assigned, together with a fellow Muranese, to the chemistry laboratory. During their interminable days of confinement, they worked on refining the technique of lamp-blown glass. Florino Toffolo continued to perfect this technique upon his return to Murano, becoming the first master to create lamp-blown objects that were considerably larger than the standard production.

It has been said that artisans can also be very playful. Driven by their skilful hands and a flash of inspiration, they create without thinking, guided purely by their natural spontaneity. Cesare Toffolo has no rivals when it comes to playfulness. Obviously, just as it is impossible to write a story if one does not know any grammar, by the same token it is impossible to create a fine work of art without a thorough knowledge of the different glass techniques, which Cesare Toffolo had been taught by his grandfather and father. Upon the latter’s untimely death, it was Maestro Livio Rossi, a family friend, who took 13-year-old Cesare under his wing, becoming his mentor and advisor in both glass and life. His creativity was, and continues to be, the driving force behind his work. He sits down at his workbench in the early hours of the morning, when his mind has just emerged from the world of dreams. Shaping the glass with the flame, he transposes his vivid dreams, still fresh from the REM phase, into his work. This gives origin, at times, to Lilliputian objects (vases, glasses, jugs and fruit-filled risers) and tiny men who seem to have stepped out of Jonathan Swift’s pen in Gulliver’s Travels. Cesare Toffolo manages to work like a medieval miniature artist. His challenge is to use time-honoured production techniques, such as 16th-century filigree, to create increasingly tiny objects. To do this, he uses tools traditionally used in furnaces, and experiments with techniques never used before in lampworking. His work is an ongoing research. “It’s quite normal for me. Monotony would kill me both professionally and mentally.”

A Muranese through and through, Cesare Toffolo has spun this identity all over the world. In 1991, aged 30, thanks to Maestro Lino Tagliapietra, who was already well-known at an international level, he was invited to hold lectures at the Pilchuck Glass School in Seattle and later at the Niijima Glass Art Center in Tokyo, the Corning Museum of Glass in New York, the Penland School of Crafts in North Carolina, the Toyama Institute of Glass and the Kanazu Forest of Creation Foundation in Japan. His travels across the five continents have brought back to Murano a refreshed man, full of colours and images that would have previously been inconceivable. The American experience was a major turning point for Cesare. At Pilchuck, he met great artists of the calibre of Dale Chihuly, Dante Marioni and Richard Marquis, and without even realising it, he developed a more artistic approach to glass. His new mindset

was simply to create. Armed with this new awareness, on returning to Murano he produced his first new work: an amphora pouring water into a basin. All made of glass, including the pouring water. Thanks to his technical expertise, Maestro Toffolo can create masterpieces with the confidence of someone who knows how to write in glass, and very well too. It is as if he were dipping a quill into ink. In his workshop on the island of Murano, Cesare Toffolo is now joined by his sons, Emanuel and Elia, to whom he has taught his glassmaking techniques, while leaving them free to go their own ways. The fourth generation is already at work.

INSIDE DIEGO’S FANTASY WORLD

Elena Agosti

The cuchi, with their bizarre name, are terracotta whistles traditionally made in Nove, a small town in the province of Vicenza. These small animal-shaped whistling sculptures, whose original purpose was to imitate the singing of birds or to ward off evil spirits, are above all a colourful amusement for children. In all likelihood, they were the first musical toys in ancient times. They often represent the cuckoo and imitate its chirping with a two-tone sound, an allegory of the awakening of nature.

A recipient of Fondazione Cologni’s MAM (Master of Arts and Crafts) award for ceramics, Diego Poloniato is a dedicated artisan who specialises in the creation of cuchi and arcicuchi. Cockerels, mounted hussars, clowns, Pinocchios and animals of all species and shapes are his favourite subjects. Stepping into Diego’s workshop is a unique and immersive experience: in whatever direction one turns one’s gaze, a thousand ceramic eyes stare back at the visitor. His creations can be tiny enough to fit in the palm of a hand, right up to large-scale works that hardly leave the workshop. The underlying theme is always sound, each work having its own distinctive tone.

In Veneto, the cuco was not just a modest and at the same time precious toy for children. It was an infallible love call too, which could be bought for a couple of coins at village fairs. As Mario Rigoni Stern recounts: “Young men would stop in front of the stalls to pick out one or more ‘cuchi’ to present young maidens of their liking. Before offering them to the girls, they would blow them to hear their sound. (...) The combination of whistles, voices and laughter composed a living and vibrant spring symphony after the long winter months.” It is said that when a young man gave a cuco to his beloved, if she accepted, he would receive a painted hard-boiled egg in return. Yet the belief that the whistle has an apotropaic effect is not limited to the Veneto region: in England, whistles were walled up in chimneys to fend off evil spirits, and in Bavaria they were placed in children’s cradles to protect them.

In Diego Poloniato’s workshop, cuchi are entirely handmade with polychrome semi-refractory clays that are fired at high temperatures, and subsequently vitrified and finished with pure oxides. Each work is unique, being the result of Diego’s imagination and creative flair. His “signature pieces” are horsemen and hussars, sometimes rendered with realistic precision, at other times with a satirical and irreverent twist, in keeping with local tradition. Indeed, after Napoleon’s bloody campaign in 1796, the iconography of the whistle was enriched with Napoleonic soldiers riding a cuco, and most often a hen...

We thus find Napoleon in full field marshal garb, plumed cuirassiers and mamluks (the Egyptian mercenaries), all in full regalia and comfortably crouched on chicken. In the second half of the 19th century, the same outfit was also extended for the Carabinieri military police.

Diego was taught the craft by his father Domenico, a highly skilled modeller, who was already producing large-scale arcicuchi in the second half of the 20th century. His apprenticeship consisted in observing and helping his father, imitating the movements of his hands, how he gripped the sticks, trying over and over again. Today, Diego is the one who teaches children the art of turning clay into whistles, from the preparation of the ball to the creation of the sound

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box and the holes through which the air is blown to generate the whistling sound. A third hole is added to obtain the two-tone sound and then, always before the piece is fired, all those details are added that make the whistle a true work of art. Typical of Nove, the arcicuco is a large cuco made of numerous whistles inserted into a single air chamber that acts as a sound box. There are also rare examples of cuca col segreto or cuca bufona, with two holes near the mouthpiece, one communicating with the sounding device, the other with a separate chamber containing talcum powder or ash: whoever blows the whistle will have their eyes filled with dust.

Diego was one of the founders of Gruppo Cucari Veneti, which has been involved, in collaboration with the Associazione Nove Terra di Ceramica, in the promotion and teaching of this art since 1996. His cuchi are exhibited in Italy’s major thematic museums: principally in Nove and at the Museo dei cuchi di Cesuna in Asiago, but also in Matera, Rutigliano, Cerreto Sannita, Ronco Biellese and Castellamonte.

But if you really want to immerse yourself in his magical world, you should go and visit him in Nove, in Via Astronauti: you will experience a journey into poetry...

ENCHANTING DECORATIONS

Sofia

“Playfulness pervades our work. After all, that’s what being creative is all about. Playing with colour, shapes, tools. Turning one’s passion into a profession that pleases, gratifies and entertains.”

This is Orsola Clerici’s philosophy, who in 2007 founded Pictalab in Milan together with Chiara Troglio. An atelier-workshop where a team of highly qualified decorators, painters and craftspeople turns dreams into reality. Their aim is to please the customer who knows how to “play” with his or her home, transforming it to meet their aesthetic needs. Flowers, stripes, geometric shapes, landscapes, patterns and much more enrich each space, creating exclusive atmospheres. Orsola and Chiara hand-paint walls, paper, ceilings and furnishings, driven not only by their passion, but also by an intrinsic curiosity that leads them to experiment with new techniques.

“The first times we printed on paper it felt like betraying our craftsmanship and manual skills. We were used to doing everything by hand, and using a mechanical instrument unsettled us. But then we started thinking of it as any other tool: roller, brush, stencil, in the end it was just a way of reproducing digitally the drawings we drew by hand. We scan them in high resolution, reprocess the files and then print them. At other times we use graphic tablets and draw digitally. We have modernised our work and we use digital techniques not only in the creative and design phases, but also in the execution, naturally only when it is possible and necessary. Nothing diminishes the final result, quite the opposite, in fact.”

The Portaluppi Herbarium, located in the Atellani home in Milan’s Corso Magenta, is a fine example of this approach. The project was carried out in collaboration with Nicolò Castellini Baldissera, Portaluppi’s great-grandson.

“We decided to reproduce the decoration in the hall to enhance its beauty, while respecting its pictorial details. A specific photographic survey enabled us to study, innovate and paint the plants, grass and drapery individually. Combining artisan experience with the use of new technologies, each element was then digitalised in order to create a decoration printed on wallpaper that would be modular and customisable.” As always, they hit their goal.

“But it’s not always that straightforward,” Orsola points out. “Now and then our commitment to please our customers clashes with their requests. We were once commissioned to paint a supersized rendition of Mount Vesuvius erupting, with flaming lava and all, over the headboard of a bed. We panicked. But in the end, we thoroughly enjoyed the experience, immersing ourselves in Neapolitan gouaches, in their painting technique, in the reproduction of 19th-

century postcards, so typical of the Grand Tours, which provide an invaluable documentation of the Neapolitan school of painting. The result surprised us: we managed to overcome the risk of being kitsch, almost trash, and achieve a beautiful result. It was great fun!”

Likewise, it is always enjoyable to immerse oneself in a fairy-tale atmosphere when painting children’s rooms with little mice, animals, enchanted forests, dream landscapes appearing from behind the curtains. “Our collaboration with Vincenzo D’Ascanio, in 2021, was a similar experience. We recreated the story of ‘Anna’s House’, a Milanese grandmother who was hosting her granddaughter for Christmas. The tale unfolded room after room, even with a nursery rhyme painted on the wall.” Sheer magic. “Yes, because there is nothing better than a client who trusts us, who lets us work, who dares without fear of making mistakes. An example? Fabrizio Ferri in Pantelleria. Working with him was a joy. But then, he is an artist, and as such he understands and appreciates what our work is about.”

Their work is carried out onsite, although it often materialises in their Milanese workspace, a luminous and imaginative loft where imagination and creativity are transferred on wood, glass and paper thanks to many artisanal and digital techniques. For unique and customised results, which can satisfy the most discerning customers and, why not, also the “dreamers”, who want to reveal the more playful side of their personality and make their home a reflection of how they feel. A playful but daring approach that deserves to be rewarded.

PRECIOUS TRANSFORMATIONS

Alba

A regal necklace inspired by Art Deco elegance: three rows of diamonds, whose 164 carats light up the space around them, 37 moving elements, 16 variations in shape, 55 different ways of wearing it... The Maharaja Set is one of the latest transformable masterpieces by Van Cleef & Arpels, the jeweller who pushed this concept beyond virtuosity, transforming it into an art in its own right. It was possible to admire the necklace in the “Van Cleef & Arpels: Time, Nature, Love” exhibition, open until 15 April at the National Museum in Riyadh. The French Maison’s dedication to transformable jewellery should come as no surprise. Van Cleef & Arpels has made transformability the hallmark of its matchless craftsmanship since the 1920s, when creative director Renée Puissant, daughter of founders Estelle Arpels and Alfred Van Cleef, interpreted the effervescent and progressive spirit of the Roaring Twenties by creating jewels that could magically transform themselves: tiaras into necklaces, necklaces into bracelets, pendants into earrings, rings into pendants, thus fulfilling women’s desire for novelty whilst combining technique and creativity, function and safety, progress and elegance. The innovations introduced in the 20th century were interpreted by Van Cleef & Arpels in technically sophisticated and complex mechanisms that, thanks to their invisibility, enabled women to indulge in the playful pleasure of changing and customising their jewellery without altering the sophisticated grace of the Maison’s creations. Jewels have always withstood the test of time on account of their priceless nature. Accordingly, throughout the ages, different generations have adapted them to new fashions and needs. The idea of transformable jewellery originated with the concept of the parure, which developed in France during the reign of the Sun King, when lavish court ceremonies and balls were the height of social life. The pomp of Versailles imposed many dress changes and exquisite jewellery to set off faces and necklines, exhibit the social prestige of the wearer and, at the same time, interact with the decorative richness of the damasks, velvets, lace and brocades worn by princes and princesses. For exceptional events such as coronations and celebrations, the aristocracy would borrow jewellery from jewellers. In the ensuing century, with the advent of industrialisation and new goldsmithing techniques, jewellers started to create exquisite objects that, with

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the help of clips, buckles and clasps, could take on different shapes and uses. As Lise Macdonald, Van Cleef & Arpels Director of Patrimony and Exhibitions, explains, the legacy of these extraordinary artisans has been taken up by the Maison because, “at the heart of Van Cleef & Arpels’ style is a distinctive feature: transformation or metamorphosis. Two of the most representative examples are the Zip necklace created in 1951 and the Passe-Partout collection of 1938, which have become timeless icons of Van Cleef & Arpels.”

An example of suppleness, elegance and versatility, the Passe-partout collection was inspired by the themes of mesh and chain, in vogue at that time. On the occasion of the International Exposition of Art and Technology in Modern Life held in Paris in 1937, commissioner Paul Léon wanted to put back in the spotlight the decorative preciousness of jewels that Deco geometries had pushed out of the picture. Van Cleef & Arpels created a transformable piece of jewellery with an innovative technique patented in 1938: a flexible gold tubogas that can be worn as a necklace, a choker, a bracelet or a belt thanks to a hidden rail system that allows two clips to slide on the chain, securing it in the desired position. The clips are detachable and can be worn separately as brooches - up to five - or earrings. They are decorated with elegant floral motifs with rubies and blue and yellow sapphires. The tubogas technique is very complex, and is based on flexible metal bands that make objects adaptable and versatile. Practical and imaginative, the Passe-Partout collection has shown how a precious piece of jewellery can also be a playful and customisable accessory, which can interact with clothes in a variety of different variations.

The icon of Van Cleef & Arpels’ craftsmanship and transformability is the legendary Zip necklace, a masterpiece in terms of the technical skill behind its interlocking gold-toothed zipper and adjustable opening. The Zip is the perfect synthesis of creativity and innovation, one of the most significant creations in the history of 20th century jewellery of which the most surprising aspect is precisely its transformability. Like a real zipper, it has a slider in the shape of a plaited gold tassel with which it can be closed and turned into a bracelet. Inspired by the ones on sailor and aviator jackets, the zipper went from being a functional element to a fashion accessory thanks to Elsa Schiaparelli, who, in 1935, presented a collection in which all the dresses sported visible zippers. It proved an instant hit, and the demand surprised the designer herself, who wrote in her 1954 autobiography Shocking life: “Zippers were everywhere, you could see them on every dress, even evening gowns.” While women admired Schiaparelli’s zipper dresses, it was Wallis Simpson, the Duchess of Windsor, who picked up on the innovation with her customary foresight, and asked Renée Puissant to make a precious zipper, originally intended to close a dinner dress with an open back. That was in 1938. War was looming and the technical complexity of a zipper, which in the meantime had morphed from a simple fastener into a necklace, took many more years of experiments, trials and errors. In 1950, the Maison bravely succeeded in its feat, leaving the world openmouthed by the necklace’s level of innovation and craftsmanship. Van Cleef & Arpels’ Zip is a masterpiece of creative and crafting ingenuity as well as a true design icon. After years of research and prototypes, its transformability was entrusted to tiny gold parts, the zipper’s teeth, arranged at regular intervals on one side, so that they could interlock with those on the other side, making it possible to open and close it rapidly.

Two other masterpieces of transformability appeared in 1971: the Walska brooch and the necklace with engraved emeralds, two stunning creations combining creativity, craftsmanship and transformability. The Walska brooch portrays a stork in flight and is one of the most unusual bespoke orders in the Maison’s history. It adorns a 96.62-carat yellow briolette-cut diamond known as the “Walska Briolette” due to the fact that in the 1930s this gemstone belonged to singer Ganna Walska, who wore it as a pendant. In 1971, the yellow diamond was sold at a Sotheby auction in New York, and a few months later it reappeared on the cover of a Van Cleef & Arpels catalogue, held in the beak of a stork flying over Place Vendôme. The new owner had commissioned the Maison

to make a brooch for his wife as a gift for the birth of their son. The precious stork is a masterpiece of transformability: the wings can be detached and worn as earrings, the tail can be turned into a brooch, and the yellow diamond can be worn as a pendant around the neck.

In the same year, the Maison received another special order: a gift from Prince Karim Aga Khan for his wife, Begum Salimah Aga Khan. Born Sarah Croker Poole in India in 1940, during the last days of the British Empire, she was admired for her beauty and elegance. Passionate about art and jewels, the princess had an important collection of precious jewellery. This awesome necklace, expressly commissioned by her husband, is one such creation. Its value and uniqueness lie in the precious gems adorning it: more than 745 diamonds, for a total of 52 carats, illuminate 44 engraved 18th-century emeralds, totalling more than 470 carats. Transformable into a choker, two bracelets and a clip, this necklace is a spectacular example of the art of metamorphosis elevated to the highest levels of excellence by Van Cleef & Arpels.

PLAYING WITH WOOD

In the course of his career, Andrea Zambelli has developed an approach to his craft that embraces sound woodworking skills and a focused design vision.

Zambelli took his first steps in his hometown, Bologna. While he was a young university student, he acquired all the secrets of cabinetmaking during an apprenticeship in the workshop of an antique dealer and restorer. He soon realised that this was his calling, left his studies and, after finishing his training, opened his own workshop. A process that lasted 15 years, during which he began to experiment with different materials, such as resin and cement, which, together with ancestral wood construction techniques, became the basis of his signature style. His desire to broaden his horizons and find new creative stimuli led him to Berlin, where, in 2009, he founded Hillsideout in partnership with artist Nat Wilms, who graduated in Sculpture from the Academy of Fine Arts in Bologna and further specialised at the Universität der Künste in Berlin.

“Our vision,” explains Zambelli, “is opposed to that of the ephemeral world of design, which compels you to churn out new items every year. We wanted to make real objects of substance that are built to last. And we wanted to give each piece a story of its own.” Their partnership yielded projects that combine not only the spheres of invention and know-how, but also of playfulness. A game based on the combination of materials and colours, on antique objects recovered and reinterpreted in a contemporary perspective, on allegories and symbolism. Like the Social Love Thonet bench conceived during the 2020 lock-down to represent social distancing. Acrylic seats with a mosaic of coloured tiles covered in transparent resin are inserted into original Thonet chairs. One seat is more masculine and the other more feminine, generating a harmonious imbalance. But their production also includes actual games, such as the Mexico billiard table created in 2014 for the Rossana Orlandi gallery. The Black Light Tropics series made its debut in 2017, on their return from a residency in Brazil. Built in collaboration with the legendary Hermelin company in Milan, this billiard table merges a European neoclassical style with the chaos of São Paulo. The series includes also a screen made with Murano glass inserts inspired by the last Caduvei natives of the Brazilian jungle. When placed over the billiard table, it transforms it into a monumental table.

The exploration of the playful dimension spans across other creations, including Chaturanga, inspired by the origins of chess. In the 7th century, an Indian Maharaja who had lost his son in battle managed, through the game of chess, not to think about his death. The metaphor of war is embodied in the table legs, turned in the shape of bullets. And again, the chess case with Bauhaus-style pieces that contains a backgammon board on the inside. Like the rest of Zambelli’s production, it is made using the offcuts coming from industrial production in

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Brianza, and reflects his philosophy of recovery and upcycling. Just like Futbolin, the table soccer born from the encounter with sculptor Michele Balestra. Back in Italy, Zambelli decided to settle in Milan because, he explains, “Berlin has become a kind of Silicon Valley, no longer stimulating from a creative point of view. Here, instead, there is everything I need: the artisans, the territory and the smaller size, which makes everything more accessible.” It is precisely from Milan that the adventure of Andrea Zambelli Design has started anew, on a journey of introspection that has yielded new creations, such as the two-meterhigh clock that will be presented at this year’s Salone del Mobile. “It’s about my sense of change, my perception of time. The straight lines of the base represent Hillsideout, while the rounded, softer, more organic lines belong to my current mindset, which I could not have shared with others.”

The screen Tela Do Nascer Do Sol conveys an equally complex message: Murano glass panes made by master glassmaker Raffaele Darra evoke the shades of colour that Zambelli used to see at daybreak, when he would cycle to the workshop during the Covid lockdown. In the middle of the screen is a spy-mirror: if the light is strong only on one side, you can see your reflection, but those on the dark side can see you without being seen, creating an intriguing divertissement In contrast, the chess and backgammon board, designed to be hung up on a wall, is overtly playful. It was designed by Zambelli together with his sixyear-old son, who drew the dog whose eyes and teeth are stylised on the backgammon side. “I was interested in the pictorial aspect, in which the beauty of the picture derives from the arrangement of the natural colours of the different kinds of wood.”

Andrea Zambelli looks to the future with a curious eye. He makes no plans, because he knows that life will mess them up. “But of one thing I am sure,” he says. “I want to keep evolving without compromising, without betraying my ideas. I know that this will take me down the roughest road, but that’s the price you have to pay to be free.

KALEIDOSCOPE OF MEMORIES

Stefania Montani

A creative, restless and curious artist, Emanuela Crotti has received numerous awards. She has always experimented with new approaches to art, embracing a variety of currents: from figurative to abstract art, to Zen Minimalism, right up to her latest creations, which are based on the use of resin combined with a wide range of techniques, including painting, photography, graphic design and textured collages.

For many years she has been focusing on the creation of furnishing items. Tables, cabinets, mirrors, lamps, stools, plates, upholstery, fabrics, carpets, all of which are characterised by a single common denominator: her extraordinary imagination. “I spend a long time collecting a multitude of objects, both precious and not, which I incorporate into table tops and cupboard doors, assembling them with resin. My workshop is like Ali Baba’s cave, a place where I store everything that strikes me while travelling around the world’s flea markets,” confides the eclectic artist, craftswoman and designer.

“When I work, I arrange the objects on the surface I want to decorate. This phase of chromatic and material research is very complex, and certainly the most creative. When I’m happy with the result, I photograph the composition and remove all the material from the surface to apply a first layer of resin. It takes at least 24 hours to dry, after which I place all the previously chosen objects on the surface, using the photograph as a guide, and apply a second coat of resin, overlapping many different layers. My finished pieces can be very thick, up to 20 centimetres, and this allows me to achieve a depth that literally drags you into the work”.

Emanuela’s collages are fashioned from a varied and eclectic combination of materials: from semi-precious stones to sweets, from medicines to sacred hearts,

from souvenirs found in faraway countries to pendants in precious metals, shells and coral. Drawing on her past experience, over the years this creative artist has experimented with many techniques to handcraft truly unique and extremely poetic furnishing elements.

“I enjoy giving new life to objects that have already had one of their own,” she continues, “because by merging them with other pieces they give rise to something different. I buy things or take them from the nature surrounding me, depending on what strikes my imagination. If I have to stick to a theme, I may also purchase specific items for that work. I like to change the purpose or location of the objects I find.” The collection entitled Una questione naturale, which was presented a few years ago at the Rossana Orlandi gallery during the Salone del Mobile, reminds us of coral reefs that need to be protected and loved, of woods where we can enjoy a regenerative walk and where we can contemplate extraordinary insect and butterfly species, the beauty of the foliage, mushrooms and flowers. In this way we can nourish our spirit. Many elements that make up her Coral Table are natural (shells, corals, stones, etc.) but others, such as the sea anemones, are entirely made and coloured by herself. “It has been a long and complicated process, but it has given me the opportunity to study and delve into this incredible ecosystem that continues to amaze me with its shapes and colours, like avant-garde paintings. We live in a precarious and fragile balance, we need to awaken consciences and policymakers... in my own small way that’s what I’m trying to do!”

Emanuela Crotti’s future plans include turning her workshop into a small school where she can pass on the experience she has gained through her artistic research: “In order to experiment with young people in new ways, to encourage them to keep exploring and not to stop in the face of difficulties, and to find the connection with themselves that is the driving force behind creating something personal and unique,” concludes the eclectic and imaginative artisan and artist.

A SIP OF PLAYFUL FREEDOM

Just look at him – he is playing.

At a certain point, quenching one’s thirst becomes a carousel and, in this space, the person expands and turns into a place. The bartender is a place, a pop-up, a creature conjured up and imbued with irony, sarcasm, confidentiality. He is a croupier of relationships, in charge of the gambling table: someone who shuffles and deals the cards, and raises the stakes. He is the one who stirs and shakes, while we are the ones sitting across from him. In reality, he is the linchpin, and we are just passing through. Contradictions flow thick and fast, and our inhibitions melt away. This is a match we enjoy playing. The word spirit, in reference to drinks, was coined by the Arabs, who were masters of distillation. The volatile part in the alembic is the essence of the material known as al-kuhl: alcohol, the spirit.

When we watch a skilled bartender at work, we are engaging in an experience of the spirit that sometimes involves and overwhelms the body. However, before we arrive at actually sipping the drink, which is the essence of the experience, we have to go through the whole performance. The game begins with our initial embarrassment over the choice, although some of us know that the option will once again fall on the “usual”, just to see what effect it will have on us this time. The preparation, the bottles, their shapes, the brands: an entire world is there, composed and distilled, silent, and all it takes to whisk us off to a Caribbean island, to France or heaven knows where, is to remove a cork.

Citrus fruits, leaves and many other “Lego bricks”, such as the gestures and the tools with which the alchemic potion is concocted. There is the knowing and proud smile of the mixology expert, and our eyes that witness a creation made just for us, tailored to our tastes. Our ears hear the noises of the preparation

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that is coming to life: glass, steel, things being unscrewed and poured, taking the stage before they quickly and tidily return to their place. Bottles occasionally knock against one another, but always in a dignified manner. Everything takes place within a dance of aromas, where citrus fruits are everpresent, together with spices and, of course, essences that spirit us away. Drinking glasses have the right shape and specific purpose, a code of honour that applies to everything, including the decorations, even when it’s just a paper parasol. Which is what makes the rhetoric of the show so intense, demanding respect but not imposing us to take things too seriously.

At last, our turn to play our part in the show begins when the glass is served us and we start to feel and taste. This whole magma of emotions has been managed at a sub zero temperature thanks to ice, the great supporting actor that encapsulates the “explosive” material in a controlled dimension. Ice is the great medium, it is something on which we can skate, even though we are just holding it in our hands with icy-cold fingers.

The tasting, the excitement, then a sigh, hopefully also a smile: it doesn’t matter whether it’s a discovery or a confirmation. We thank the bartender, and then it’s time to start all over again with another customer or another round. Something has triggered, the game has just begun, and we are holding a drink made expressly for us.

In its etymology, the term “ludic” means playful, free. This space, which the bartender creates or turns into, embodies or stages, is that portion, that sip of playful freedom that we crave for in our adult lives or in our youthful nightlife. It is a game but not a trick, it is both an art and a craft. There are masters in this field too, and we are proud to mention four of them here, who dedicate their lives with passion to this universe.

Dom Costa, Salvatore Calabrese, Baldo Baldinini and Agostino Perrone are the "fab four" of mixology who have so far received the MAM (Master of Arts and Crafts) Prize awarded by ALMA and the Fondazione Cologni. The MAM Prizes are assigned according to the recommendations of the ALMA Commission for The Professions in the field of Gastronomy and Hospitality, a special category within the MAM programme. This award acknowledges excellence in every field of artistic craftsmanship and of food and beverage, giving recognition to the greatest representatives of Italian savoir-fare in the world.

Dom Costa

Born in Calabria but raised in Turin, at a very young age he started travelling the world on cruise ships. He visited 65 countries, mixing drinks from Alaska to the Equator and from the North Cape to the Strait of Magellan. After much roaming, he moved back to Italy, to Genoa, where he worked as a consultant for Italian and international spirits producers. After serving many years as bartender at the renowned Liquid cocktail bar in Alassio, he is currently mixology manager at Velier.

Salvatore Calabrese

Having notched up over 40 years of experience in the hospitality industry, Salvatore Calabrese, aka “The Maestro”, is one of the world’s most respected bartenders. In 1980, he moved to London, to the bar of the Duke’s Hotel, where his talent was spotted, and he became famous for his Martini cocktails. A Cognac enthusiast, he quickly became one of the world’s leading experts and a reference point in the field, particularly for the niche market of extra-special Cognacs.

Baldo Baldinini

If we were to define with a metaphor what Baldo Baldinini represents in the world of mixology, we would say that he is an orchestra conductor, a performer and a creator. Indeed, among his hills in Romagna, amidst the ampoules of his atelier, Baldinini composes aromatic arrangements, creating spirits and, above all, some of the world’s finest vermouths.

Agostino Perrone

Hailing from Maslianico, not far from the jetsetter shores of Cernobbio, Perrone initially took a timid, albeit curious, approach to the world of cocktails. At first it was just a part-time job to pay for his studies in photography, which was his passion. But the alchemy between spirits, jiggers and shakers ended up mesmerising this talented Master. He currently works at the Connaught Bar in Mayfair, London.

MASTERPIECES OF BEAUTY

Playfulness, culture, experience. Expertise takes the form of a workshop of joyful experimentation. For over ten years, Dolce & Gabbana’s Alta Moda, Alta Sartoria and Alta Gioielleria events have been the expression not only of Italian savoir-faire at its finest, but also the unfolding of a way of narrating fashion that has to do more with the wonder of a fairy tale than the realism of the headlines. For wonder is the primary source of playfulness, the original source of wisdom that deserves to be learnt according to the precepts of St Thomas Aquinas, who stated: “Those who never play and never say anything pleasant commit a sin against truth.” It also led Dutch philosopher Johan Huizinga to write, in his preface to Homo Ludens, that “human civilisation arises and develops through playing, as a game.” Huizinga also claimed that playing is associated with beauty and rhythm, with harmony and art. It stands isolated from other forms of thought, a free activity that cannot be imposed neither by a physical nor a moral necessity. It represents an alternative to ordinary life. The concept of playfulness embraces inventiveness, creativity and audacity. It defines a cognitive approach that differs from science and philosophy and which, in its transition from theory to practice and in the categories it embraces, qualifies as “aesthetics”. Appearance and rationality are closely linked and united by cultural bridges, in a dialectic in which every topic is reflected in its opposite. But there is no need for competition, nor the desire to shine. Typically, playing generates fellowship, and for this reason Plato associated it with music and dance, in a way that does not require one to be pitted against the other. The experience of playing is not just about “taking part in”, but about “being part of” something: the essential quest for identity that is sought both by a nation and an individual. We tend to bestow exceptional designers such as Domenico Dolce and Stefano Gabbana the role of dignified and almighty couturiers. Whereas the creators of Beauty are actually imaginative, original, capable of conceiving authentic handmade masterpieces, whether they are clothes, jewellery, watches or accessories. In addition to this, a feature that transforms creative thought into action is connected to the genius loci of the cities where their majestic shows are staged: the last one was held in Syracuse, but before that came Venice, Palermo, Agrigento, Capri, Portofino, Como, Naples, Milan... A kind of 19th-century Grand Tour in which “we want to convey a lifestyle and offer our customers, friends and the international press a unique experience. We are delighted to give them the chance to get to know the best that Italy has to offer,” stated the two designers. A prerequisite for combining play with knowledge is the presence of interlocutors. In every city where the collections celebrating savoir-faire have been presented, conversations are held with the very people who have made craftsmanship their raison d’être, and who are encouraged by Dolce & Gabbana to go beyond their limits, inviting them to “play the game” with them.

“We want our collections to tell the story of a place and nothing is left to chance. We find the location, study its history, geography, legends, traditions and cuisine. Down to the smallest detail. We want to know and understand everything that revolves around it, today, yesterday and always. The theme of the collection therefore goes hand in hand with the location we have chosen. In Venice, for example, we would never have known how to reproduce the effect of ground glass on a dress if we hadn’t seen an artisan doing it. The

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creations inspired by the craftsmanship of Murano required us to experiment every day, every moment. It involved adding and subtracting, aware that not everything can be done, like the dress made entirely of glass that was so delicate that it could not be worn on the catwalk. At the same time, we managed to create four dresses that looked like crystal glasses.” Revealing the miracle in everyday life, allowing the meaning of an object to slide into another context, is a very difficult exercise, but Dolce & Gabbana pursue it with gentle determination. Through their design approach, on the one hand they suggest that irony and playfulness are aesthetic exercises that remain impressed in our memory as sensitive events, emotional and spiritual experiences, and that the representations that derive from them become culture that can be passed on. On the other hand, the game possesses an essential feature that allows it to be repeated, thus resuming its regularity. In other words, the rules of the game are a constant of which the many matches are as many variations. Thus what makes a game constant, namely its rules, is also fixed and handed down in the form of culture. The culture of knowledge and know-how, the legacy of competence that allows craftsmanship to be interpreted as a constant form of evolutive drive. Adopting a playful methodology does not mean neglecting one’s commitment. It means engaging in a quest for those things that are meaningful.

DOPPIA FIRMA: SERIOUS GAMES

Alessandra de Nitto

The seventh edition of Doppia Firma. Dialogues between design and artisanal excellence, which will be staged at Palazzo Litta on the occasion of the 2023 Salone del Mobile in Milan, focuses on the fascinating theme of playfulness: a concept that has always been a feature of contemporary and applied arts, yielding very interesting and often original projects, unfettered by rules and conventions. Indeed, playfulness can embrace everything from game to humour, from irony to allusion, from metaphor to jest, to conscious confusion, right up to the overturning of perspectives and values. In this conceptual area, designers and master artisans are called upon to express their personal vision, drawing on cross-pollination and transgression to combine irony and amusement, in a dimension of unrestricted pleasure and creative freedom. As Ernesto L. Francalanci observed in a fundamental essay on the subject: “The phenomenon of playfulness uncovers a broader constellation of references, which orbit around the concept of allusion, ranging from the notions of playing and joking to that of the various types of humour, and therefore of wit and comicality (...) playfulness is expressed above all by the power of cross-pollination and transgressive fusion of contents related to knowledge and memory.” (Del Ludico. Dopo il sorriso delle avanguardie, Milan, Mazzotta, 1982).

The 22 creative couples of designers and master artisans invited by the Michelangelo Foundation, Fondazione Cologni and Living to take part in this new creative challenge, combining their visions and skills according to the well-established and much-appreciated format of Doppia Firma, have interpreted the theme with the greatest expressive freedom. These collaborations manifest themselves in different forms, materials and colours, giving rise to a rich and surprising range of furnishing accessories and iconic objects, some of which were specifically created for the event. Luca Nichetto, Chris Wolston, Supertoys Supertoys, Adam Nathaniel Furman, Victor Cadene, Giampiero Bodino, Matteo Cibic, Lucia Massari, Jaime Hayón and other designers of international standing have worked alongside famed master artisans and manufacturers, such as De Castelli, Barbini Specchi Veneziani, Emaux de Longwy, Craman Lagarde, Simone Crestani, Lunardelli Venezia, Ceramiche Gatti, Lladró to name just a few.

Doppia Firma has always championed the alliance between design innovation and the heritage of great master artisans. This is where the roles of designers and

craftspeople intersect, complement each other, and both parties work with the same authorial dignity (hence the principle of the “double signature”). Materials and techniques come together to generate new interpretations of functional or decorative objects. This year, the narrative path unfolds once again through the magnificent halls of the main floor of Palazzo Litta, a magnificent Baroque jewel in the heart of the city, which is also the prestigious headquarters of the Regional Secretariat of the Ministry of Culture.

The 17th-century cour d’honneur designed by Richini will host a large site-specific artwork crafted by Milanese master sculptor Gianluca Pacchioni, who specialises in stone and metal, in collaboration with Girasole Pietre Naturali, an artisan laboratory in Verona dedicated to the research and processing of stone in keeping with the rich local heritage. The exceptional artisan-artist, a veritable demiurge and heir to the Renaissance tradition, will have the opportunity to express, with the sculptural energy that characterises his works, the strength and intensity of his creative process, arising from the convergence of art and inspiration, talent and originality, in the name of his great artistic and technical expertise. In Palazzo Litta’s piano nobile, where Doppia Firma is staged, the motif of playfulness is developed with surprising inventive freedom and a great wealth of references, mixtures and inspirations, in the name of a creativity that knows no bounds.

The recurrent reference to playfulness is always interpreted with irony and levity, often on a larger-than-life scale, as in the case of the oversize ceramic sculpture by Atelier Biagetti and Ceramiche Gatti inspired by children’s beach moulds.

Childhood also inspires the shapes and colours of the collection of glass vases, created by Czech designer Frantisek Jungvirt with Ajeto Glass Studio, which are decorated with decals of grandmother’s plates evoking fairy tales, beloved characters and memories. Likewise, the Danish Helle Mardahl and Jørn Friborg play creating a collection of extravagant and joyful vases: they look soft and colourful like marshmallows.

Playful, modular shapes and shades of colour characterise the moving sculptural glass lamp imagined by Adam Nathaniel Furman and made by Curiousa. Jamie Hayón and the Spanish manufactory Lladró created the Embraced porcelain collection in charming, delicate pastel tones: the star is a character who has stepped straight out of children’s games and who, marrying irony and tenderness, wraps itself around its own body, offering the perfect portrayal of loving care for ourselves.

Adriana Gómez and Yecid Robayo Ruiz, from Colombia, have drawn on their tradition and local territory to create their highly original ash, teak and fabric armchair based on the figure of the armadillo, an animal that inhabits all of Latin America and often appears in popular stories and folk songs. Victor Cadène, artist and illustrator, has designed a playful and exquisite screen in wood, printed linen and brass for the historic Maison Thévenon, featuring a refined orientalist decoration, a sort of ode to “Mediterranean idleness”, inspired by the paintings of Ingres and Matisse. Playfulness is expressed also in a baffling way by overturning reality and the function of an object. This is the case of the balloon that does not float designed by Austrian duo Yvonne Brunner & Daniel Zeisner and crafted by the Breitwieser atelier: a minimalistic lamp in which a very light balloon is secured to the ground with a large stone, apparently against all rational logic.

Trompe l’œil and faux materials provided yet another more contemporary and conceptual interpretation of playfulness. The floors of Palazzo Litta find new life in Giampiero Bodino’s windscreen, which De Castelli has crafted in metal. While Swiss designer Philippe Kramer and Atelier B have created a table with a lamp and vase made of wood and synthetic materials, ceramic and metal, where the technique of finely painted faux marble and trompe l’œil combine to create a sensorial and perceptive deception.

Never forgetting the pleasure of making things, the love of materials and craftsmanship, one of the most successful examples is the enchanting project that Pierre Marie entrusted to Lison de Caunes, a master of straw marquetry in Paris. Thanks to her unique savoir-faire, the fabulous world of the French

127 MESTIERI D’ARTE & DESIGN ENGLISH VERSION

designer, who loves decoration and colour, has found its expression in a boite en marqueterie evoking gold, lapis lazuli and the finest woods, to create a precious and surprising treasure chest.

INSPIRE, PLAY, PARTICIPATE Ugo La Pietra

Riccardo Dalisi once said that “animation is a clever concept that has moved out of the film and theatre industires to enter into a dialogue in educational and aesthetic operations, in the city quarters, in design and architecture.” Dalisi’s work has been historicised within the radical design movement that reached its highest expression through the projects undertaken within Global Tools, a counter-school of architecture founded in 1973, of which Dalisi was one of the driving forces. Since the 1970s, Dalisi preferred the streets and courtyards of Naples to the walls of his studio: he would go out into the city and play “the game of doing things”.

His theories, which were put into practice in the local communities, yielded what went down in history as “poor design”, an approach to design carried out through spontaneous group educational experiences. Dalisi used to bring the children of the Traiano quarter in Naples structures that, once assembled, would create objects and spaces based on a collective practice that rested primarily on games. This playful activity was expressed in urban spaces that Dalisi sought to steer towards a “generative grammar”: a design process that made him one of the most significant exponents not only of radical design but also of art in the social sphere. Even in old age, Dalisi retained the joy of making, like a child who enjoys to play and is amazed time and again at what his hands have made. In his university lectures, he called it “generative geometry”: an attempt to control the game of transformations in space. His close ties with craftsmanship, designing and crafting through collaborations with artisans, ensured the foundation at the base of creative practice. He thus made objects intended as “instruments of participation”, giving rise to an unpredictable form of design.

This approach, combined with his social commitment to the children of the Traiano and Ponticelli quarters, allowed Dalisi to create captivating objects such as his distinctive coffee makers, revisitations of the traditional Neapolitan coffee maker. Objects that were conceived as “puppets” for the household theatre game. The coffee maker thus became a character: Pulcinella, Totò, Pinocchio... Like a child who can transform any domestic object into “something else” using his imagination, Riccardo Dalisi’s playfulness turned the tin coffee maker into “everything”, including a city monument (in a supersized version). Using his imagination and always through the medium of play, Dalisi managed to transform any object into a toy with the contribution and participation of local craftspeople.

HOMO LUDENS Franco Cologni

The Church Fathers wrote that if we are to live freely and happily, we must sacrifice boredom. Not always an easy task. Because boredom also involves some kind of reassurance, a feeling that things are predictable and repetitive, something that in these times of uncertainty seems almost to comfort us. Boredom, however, also brings with it a sense of despondency, passiveness and distress: sadly, features that are very widespread these days, and which are linked to the deadly sin that the Church Fathers called “acedia”, or sloth as we call il today. We see the beauty of life, we have the chance to be happy, but choose to abandon ourselves to boredom for fear of not achieving it. Or, as we say with a fitting metaphor: the fear of stepping up our game. The game metaphor is perhaps the most suited to help us understand how it

could be possible, even and especially in this day and age, to resist the lethargy of assertiveness and boredom, and recover the joy of discovery, of relishing a challenge, the thrill of tackling something new every day, knowing that we are equipped with the right tools.

Playing has always been a metaphor for many kinds of actions: the game of chess, after all, is a test of tactical intelligence on a small-scale battlefield. Card games are often based on strategy and ingeniousness. Board games call for alliances, foresight, and a certain degree of recklessness. On the whole, they all involve a decisive factor, especially in our times, when social media increasingly isolate us in our own microworlds, instead of connecting us: human relationships. We could play on our own, as we sometimes did as children. But playing a game with someone else is always more enjoyable, for the very reason that - as popular wisdom reminds us - we learn through playing.

Mathematicians and economists are well aware of this fact, and to tackle their complicated systems they often adopt what is known as “game theory”. Over the decades, no fewer than eleven economists that employ these “games”, albeit less carefree than our own, have been awarded the Nobel Prize. Just because games are all about simulation, projection and exchange: games need rules but also imagination, otherwise there’s no fun.

Playing can also be a very serious way to find our way in the working world, but not without a certain degree of light-heartedness. This concept is familiar not only to artists, who use the dimension of playfulness to portray reality in an ironical perspective, but also by master artisans, whose technical expertise is such that they can overlook the physical effort involved and simply enjoy the pleasure of making.

Work is not a game. It is commitment, sometimes even self-sacrifice. Above all, it is an activity that stimulates our intelligence and boosts our humanity. We are not insects, but human beings: we transform the world around us creatively in order to represent ourselves consciously. But for master artisans, work always has the stimulating energy of ludus: to play not in order to pass time or to alleviate boredom, but to experience a happier way of behaving, of improving, of earning a living, of giving life the right degree of levity that enables us to withstand its gravitas, i.e. the serious (and never boring) aspect of our lives that we need. This is what keeps their hearts young, their minds resilient, their eyes alive. The English-speaking world indicates the act of playing a game, playing an instrument, and a theatrical performance with the same term. In Spanish, to play an instrument is said tocar. I like how close this is to the Italian word for touching, doing something with the hands. In Italian, we have different and beautiful words that summarise the other two idioms with the concept of play: a moment in which we invent, learn, create something beautiful and memorable, and overcomes the boredom that makes everything commonplace. “Do you want to play with me?” children ask. Master artisans have never stopped putting that same question to materials, techniques, history, customers. It is up to us to answer, so that the wonderful ludus of fine Italian craftsmanship can continue to find keen and enthusiastic players. What do we win? Very simple: beauty. Can there be a more desirable prize?

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