femminile
di Fabio Appetiti
La bella storia di Aida Xhaxho
Il lungo viaggio di Aida, azzurra di Tirana Mi ricordo bene quella sera di cinque anni fa al Foro Italico, anche se in verità nel caos della serata (c’era davvero tantissima gente) non avevo percepito appieno il valore storico e sportivo di quella partita. L’ho rivissuto nelle parole di Aida Xhaxho, calciatrice nazionale di futsal, quando ne ho ascoltato l’emozione e anche la fatica per arrivare a quella "notte magica", che ha rappresentato la prima volta della Nazionale di Calcio a 5 femminile. E Aida, per arrivare a quell’esordio in maglia azzurra, di strada ne ha fatta davvero tantissima arrivando in Italia all’età di 7 anni dalla sua città natale, Tirana capitale dell’Albania. Un viaggio cominciato per seguire il papà, che due anni prima era arrivato in Italia per cercare un lavoro e garantire un futuro migliore a lei, alla sua mamma ed ai suoi due fratelli. La sua storia non può che cominciare da qui. È una bellissima storia di sport e di integrazione visto che lei, pur senza dimenticare la sua terra di origine, ormai è orgogliosamente italiana. “Io sono nata in Albania e sono arrivata in Italia all’età di 7 anni, insieme alla mia mamma ed ai miei due fratelli. Mio padre, come tanti nel mio Paese in quegli anni, decise di emigrare in Italia ed era partito due anni prima per trovare lavoro e dare una prospettiva a tutti noi. Papà è un grande lavoratore ed io, sinceramente, non ricordo in 26 anni di vita che abbia preso un solo giorno di ferie. Ha fatto sacrifici enormi pur di garantire una vita serena a tutti noi. Mia madre però ne ha fatti altrettanti;
i due anni trascorsi a Tirana senza mio padre non furono affatto semplici, di fatto mandava avanti da sola l’intera famiglia. Successivamente abbiamo raggiunto papà a Folignano, vicino ad Ascoli Piceno, dove c’era anche una piccola comunità di albanesi. Lì ho avuto la possibilità di cominciare dall’inizio il ciclo scolastico e questo ha reso tutto più facile per me, a differenza dei miei fratelli, che purtroppo si inserirono solo a cicli scolastici iniziati”. Come comincia il tuo amore per il calcio? “Come spesso succede a noi ragazze, ho cominciato con i miei fratelli a giocare a calcio. In verità, qualche volta ho causato anche qualche litigio familiare, perché i loro amici chiamavano me e non loro per giocare! Un giorno il papà di un mio amichetto che faceva l’allenatore, vedendomi giocare, mi chiese di andare ad allenarmi nella sua scuola calcio, dove poi sono rimasta per 4 anni giocando con i miei coetanei maschi. Devo ammettere di essere stata anche fortunata, perché sia mio padre che mia madre hanno sempre assecondato questa passione, all’epoca non era come oggi, c’erano ancora pregiudizi sulle ragazze che giocavano a calcio. Io mi allenavo la sera e mio padre, appena terminato il suo turno di lavoro, mi accompagnava al campo, qualche volta si alternava anche con i miei fratelli. Tutti mi sono stati sempre vicino”.
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La crescita è stata veloce, a 14 anni eri già in serie B “Sì, a 14 anni sono passata in una squadra di Calcio femminile di Serie B, il Picenum di Ascoli Piceno. All’epoca non c’erano settori giovanili, quindi io giocavo con la prima squadra ed insieme a ragazze di 25- 30 anni. A parte il primo giorno, in cui l’emozione mi aveva bloccato lo stomaco (complice anche un hot dog mangiato pochi minuti prima a dire il vero…) non ho avuto alcun problema ad integrarmi. Ho giocato 4 anni lì, poi a seguito di una partita di play off con la Imolese che fu promossa in A2, i dirigenti di questa squadra mi cercarono insistentemente ed io alla fine accettai con gioia questo passaggio. Frequentavo allora il quarto superiore e mi allenavo durante la settimana con la squadra del mio paese, poi tutti i week-end mi trasferivo ad Imola. Così è cominciata la mia avventura. Iniziarono anche le prime convocazioni in Nazionale U17, ma non avevo la cittadinanza e non potevo giocare. Questa cosa mi dispiaceva molto, anche se mai nessuno del mondo del calcio mi ha fatto sentire discriminata anzi, tutt’altro, però c’era questo limite normativo. Ci fu anche