GIULIANA GEMELLI E FRANCESCO LANZA (A
CURA DI)
ne di una relazione sicuramente più misurabile, e cioe’ del rapporto umano che si stabilisce (o non si stabilisce) con ogni paziente, teoricamente con ogni essere umano con cui entriamo in relazione. Questo fatto, chiaramente e inescusabilmente, dipende da ognuno di noi. A Medicina insegniamo ai nostri studenti ad operare in maniera obiettiva, a non lasciarsi condizionare dall’emotività, e questo e’ verissimo, soprattutto per le discipline chirurgiche o dove sono necessarie decisioni rapide, in acuto. Ma questo non vuol dire insegnare il cinismo, reprimere l’umanità che impregna qualsiasi rapporto medico paziente sano. Dobbiamo insegnare questo: l’equilibrio tra oggettività- imparzialità e sensibilità-compassione. Il medico non deve essere un tecnologo o un affarista, ma appunto un medico, con scienza bilanciata a coscienza, sensibilità e compassione. Solo cosi’ possiamo formare dei medici completi e orgogliosi del proprio ruolo nella società. Pero’ molti nostri colleghi questo purtroppo non lo fanno: si ricoprono di una impermeabilità totale al vissuto del paziente: per loro trattasi di un cliente, di un caso, di un soggetto di sperimentazione, di una fonte di guadagno, perfino di un potenziale elettore; tutto tranne che una persona. E’ possibile in questi casi sentire, percepire l’unicità delle persone, quella unicità che persiste anche dopo la loro morte, dopo il loro passare in un’altra dimensione ? NO ! Quindi in questo caso quale unicità avrà avuto anche la loro esistenza ? Forse avranno avuto posizioni prestigiose, fatui onori e medagie comprate soggiogandosi ai potenti di turno. Scivoleranno via nel tempo come l’acqua sui tetti, senza lasciar traccia, come se la loro esistenza fosse stata davvero senza scopo. Ma il mondo non e’ diviso cosi’ chiaramente, manicheamente. Spesso si infila in tutto cio’ la falsa compassione, quella usata, come dire, per altri scopi, politicamente direbbero alcuni. Questa falsa compassione e’ come una 130