GIULIANA GEMELLI E FRANCESCO LANZA (A
CURA DI)
Più importante, meno importante, stiamo davvero ancora considerando questa scala di valori? Ve lo dico onestamente guardandovi negli occhi. Noi pazienti ce ne fottiamo delle scale. Abbiamo bisogno di vivere al meglio anche quando stiamo peggio. E credetemi se mollo io mollate anche voi. Io mi chiamo Stefania e ho 35 anni. Quando mi sono ammalata ne avevo 28. Linfoma di H, chemio resistente. Ho passato tanto tempo in ospedale e a casa altrettanto, chemio, terapie sperimentali, due trapianti, e poi ancora terapie per salvarmi dal trapianto stesso. Sono stata fortunata però perché ho trovato medici eccellenti, ospedali all’avanguardia, e ho avuto accesso a protocolli innovativi e super ristretti, ho avuto fortuna perché ho trovato subito il mio donatore e la conoscevo da quando era nata e io avevo solo 5 anni. Sono stata fortunata perché non mi è mai mancato nulla. Supporto medico e psicologico, ma soprattutto amore e progettualità. Amici, famiglia, la mia gatta e la possibilità di fare sempre nei limiti del consentito esperienze che mi hanno permesso di guardare oltre la mia malattia, di sentirmi altro rispetto alla mia malattia e se ciò non bastasse di usare la mia malattia per diventare altro e costruire altro. Perché quando ti ammali non sei solo un numero incasellato in delle statistiche, sei una persona, con tutti i suoi bisogni che rimangono, anzi a volte urlano, necessitano spazio. Negarli, nel limite del possibile è a mio parere non idoneo alla terapia, al percorso di cura, alla guarigione. Aggiungere invece che sottrarre. Fare spazio. Curare a 360 gradi. Credere che la scienza è la base solida che permette di poter continuare a vivere. A vivere appunto. Vita, fatta di tutto quello che la vita è. Imparare a sopravvivere e uso questo termine non a caso, sopravvivere alla malattia e a volte addirittura imparare a conviverci, anche per sempre. Ci sono malattie che fanno parte della vita delle 168