GIULIANA GEMELLI E FRANCESCO LANZA (A
CURA DI)
allenamento, calmo ma intenso e Rosario fu collaborativo anche se, ogni tanto, lo sentivo preoccupato e contratto. Bastava una carezza e riprendeva attento. Finito il lavoro tornai in scuderia dove mi aspettava Manzin e qualcun altro e la cosa finì lì. Più tardi, però, chiesi al caro Albino Garbari, grande uomo di cavalli, istruttore e capo della scuderia Olimpica: “Albino, perché la gente veniva dietro a me e Rosario?”. E lui: “Niente, niente...” Allora, incuriosito, insistetti e cedette raccontandomi la storia di Rosario, che aveva preso un vizio davvero brutto. Una volta arrivato giù ai campi di allenamento, dopo pochi minuti, si girava verso la scuderia e partiva pancia a terra, incurante del cavaliere! Anzi, più di una volta, era entrato al galoppo in scuderia: un vero rischio di far male a sé e all’uomo. Così, ultimamente, avevano smesso di allenarlo e faceva solo passeggiate e brucate di erba. Allora Albino mi chiese: “Ma tu, come hai fatto per averlo così tranquillo e collaborativo?”. “Niente!” risposi ed era vero. Ma quel niente, in realtà, era fatto di tante piccole azioni e gesti di rispetto e attenzione verso Rosario, frutto dell’amore che dobbiamo agli animali da un lato, e dall’altro degli insegnamenti di quel grande Maestro che era il Marchese Mangilli. Infatti lui mi aveva cambiato completamente da come ero prima di conoscerlo, insegnandomi che i cavalli ci capiscono immediatamente, ci pesano, ci misurano, da come ci muoviamo, come li tocchiamo e, soprattutto, come imponiamo il nostro corpo sulla loro schiena, come teniamo e usiamo le redini; come comunichiamo con loro, attraverso il corpo e le mani. Rosario in pochi secondi aveva capito che poteva fidarsi di me dalla gentilezza che il mio corpo gli aveva trasmesso. Istantaneamente mi aveva accettato e, in pochi mesi, è diventato un vincitore, felice di esserlo e di condividere le vittorie con il “suo” umano, qualificandosi per le Olimpiadi. 174