Bergamo Salute - 2021 - 61 - luglio/agosto

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IN ARMONIA

PSICOLOGIA

La sindrome della capanna Come vincere la paura di uscire di casa ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Dopo mesi di lockdown totale o parziale, “chiusure” in casa per proteggersi dalla pandemia, ora sembra davvero arrivato il momento in cui si può ricominciare a vivere un po’ di normalità. Per alcuni significa tornare in ufficio dopo un lungo periodo smartworking, per tutti poter uscire a cena o per un aperitivo, rivedere amici e parenti e dedicarsi di nuovo a una vita sociale e di relazioni non più “virtuali”. Ma se nella maggior parte dei casi questa “novità” è accolta con un senso di liberazione, per alcune persone prevale il timore e l’ansia di uscire dalla propria abitazione, considerata finora il “rifugio” per eccellenza. È la sindrome della capanna, anche detta del prigioniero. «Alcune persone dopo un lungo isolamento obbligato si chiudono al mondo esterno e le mura della casa diventano l’estensione delle proprie angosce. Non si tratta di un disturbo mentale, ma si collega a un lungo periodo di ritiro forzato (a volte anche connesso ad una malattia)» dice la dottoressa 30 | Bergamo Salute | Luglio/Agosto 2021

Claudia Maggio, psicologa e psicoterapeuta. «Di solito rimaniamo “sigillati” in casa per questioni legate alla nostra salute o a quella di un proprio caro, per gravi questioni climatiche o comunque per situazioni temporanee di qualche ora o al massimo di qualche giorno. L’isolamento domiciliare diventa allora il luogo per la nostra tutela, che ci assicura da situazioni a rischio. Se però il periodo di “clausura domiciliare” si prolunga per molto più tempo, ritornare alla normalità, dopo una privazione sociale che ci ha colpiti in molteplici contesti potrebbe non sempre rappresen-

Secondo un’indagine Uil, la metà dei dipendenti - ma la percentuale sale all’80% tra bancari e assicurativi - non vuole assolutamente rientrare in ufficio, dopo i mesi di smartworking”

tare un momento liberatorio, ma sviluppare vissuti di angoscia e paura. Il desiderio di non uscire, anche quando non vi è più alcuna minaccia esterna effettiva, è un’inversione di marcia che costituisce un rischio per la sopravvivenza». Dottoressa Maggio, come è possibile che dopo un isolamento obbligato diventi così difficile rientrare alla normalità? Di solito la lunga attesa che ci separa da ciò che prima rappresentava la quotidianità veicola un desiderio del poter essere e agire “come prima”, ma non sempre è così. Innanzitutto, l’isolamento forzato è connesso al concetto di rischio. La segregazione imposta mette poi in discussione o meglio rivoluziona alcuni principi che fanno parte della nostra cultura e società, come l’immagine di una collettività che crea e offre legami di forza e di potere, rispetto allo stare da soli. Bisogna anche aggiungere che l’era dei social ha sviluppato


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