STORIA
Un passo tra il nulla e il tutto Garmush 20 anni dopo: il ricordo di un’avventura “meravigliosa”, la Spedizione Chiantar, premiata anche con il riconoscimento Paolo Consiglio come migliore spedizione tecnica ed esplorativa del 2000 di Alberto Peruffo*
A
quel tempo la fotografia digitale quasi ancora non esisteva. E infatti quella che vedete è la scansione di una vecchia diapositiva. Racconta, ritrae, la discesa dal Garmush 2, cima dedicata a Renato Casarotto, in Hindu Raj, sponda finale dell’Hindu Kush pakistano. Fu una spedizione meravigliosa. Correva l’anno 2000. Nella precedente spedizione Karambar 1997, sempre guidata dal montecchiano Franco Brunello, fu individuata una zona di montagne, al confine tra Pakistan e Afghanistan, praticamente inesplorata, tra cui svettava su tutte la mole bianca del Garmush 2. Svettava ancor più del vicino Garmush 1, più alto di qualche decina di metri e già salito nel 1976 dall’unica spedizione, austriaca, che era entrata furtivamente in zona. Si decise quindi di tornare in Pakistan e di tentare. Con noi, a guidare la parte geografica e culturale, tra toponimi e idiomi delle remote valli Hunza, il Prof. Luciano Chilese. La parte alpinistica la guidava invece sempre il citato Brunello, mitico capospedizione della Sezione del Cai di Montecchio Maggiore, oggi ottantenne e ancora in attività, celebre per la sua resistenza e stoicità alpinistica, ma anche per il suo impegno in Perù, nei rifugi andini. ARIA BUONA, MA CON POCO OSSIGENO Furono scalate moltissime montagne, credo mai così tante in una spedizione esplorativa, mettendo piede in ben cinque bacini glaciali e circa quattro Seimila (uno era sotto di pochi metri) e non so quanti Cinquemila e cime minori. Il tutto 52 / Montagne360 / novembre 2020
in preparazione, si sperava, dell’obiettivo principale. Franco Brunello, Silvano Sella, Giuseppe “Beppino” Peruffo, Gino Broca, i vecchi del Cai di Montecchio, comunque fortissimi per testa e determinazione, molto più dei semplici arrampicatori, dei veri e propri muli d’alta quota, si avvicinarono alla grande montagna, aprendoci la strada, mentre noi giovani eravamo impegnati su altre magnifiche montagne di Seimila metri. Quando tornammo al campo base, ci furono due sorprese. La prima. Trovammo due stelle dell’alpinismo internazionale, oramai attempate: l’americano Carlos Buhler (che fu poi nostro compagno di spedizione nell’esplorazione Rakaposhi-Batura) e il russo Ivan Dusharin. La settimana precedente avevano salito una bella cima in Hindu Raj e avevano buttato l’occhio e l’orecchio sul Garmush 2. Avendo saputo che c’era
gente in zona, una zona un tempo vietata per ragioni soprattutto politiche, pensarono bene di fare un salto su e di vedere che aria tirava. La seconda. Tirava aria buona. Ma con poco ossigeno per respirarla tutti insieme… Si fa per dire, ma anche no. In effetti, la seconda sorpresa fu che la squadra perlustrativa guidata da Brunello rientrò al base con una notizia negativa: «Abbiamo raggiunto la sella da dove inizia la cresta e questa risulta impossibile, troppo piena d’incognite, lunghissima». Lapidario, il giudizio collettivo. In particolare del vecchio Gino Broca. Ricordo le sue parole come fosse ieri. Lo dissero davanti a tutti, pure davanti a Carlos e Ivan, i quali avrebbero tuttavia voluto tentare. Noi obiettammo, risoluti, che prima avremmo voluto tentare noi, giovani, e nel caso fossimo falliti, potevano