sociale Centro Servizi per il Volontariato PerugiaTerni con il Patrocinio del Comune
Edizione 2022
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Quaderni del
Cesvol
Centro Servizi Volontariato Umbria
Sede legale: Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia
tel 075 5271976
www.cesvolumbria.org
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Edizione ottobre 2022
Coordinamento editoriale di StefaniaIacono Soggetto dell’immagine di copertina e quarta di copertina: Gianina Ciosu
Disegni all’interno del testo di Maria Cristina Palmerini
Stampa Digital Editor - Umbertide
Per le riproduzioni fotografiche, grafiche e citazioni giornalistiche appartenenti alla proprietà di terzi, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire. È vietata la riproduzione, anche parziale e ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzato.
ISBN 9788831491372
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I QUADERNI DEL VOLONTARIATO UN VIAGGIO NEL MONDO DEL SOCIALE PER COMUNICARE IL BENE
I valori positivi, le buone notizie, il bene che opera nel mondo hanno bisogno di chi abbia il coraggio di aprire gli occhi per vederli, le orecchie e il cuore per imparare a sentirli e aiutare gli altri a riconoscerli. Il bene va diffuso ed è necessario che i comportamenti ispirati a quei valori siano raccontati.
Ci sono tanti modi per raccontare l’impegno e la cittadinanza attiva. Anche chi opera nel volontariato e nell’associazionismo è ormai pienamente consapevole della potenza e della varietà dei mezzi di comunicazione che il nuovo sistema dei media propone. Il Cesvol ha in un certo senso aderito ai nuovi linguaggi del web ma non ha mai dimenticato quelle modalità di trasmissione della conoscenza e dell’informazione che sembrano comunque aver retto all’urto dei nuovi media. Tra queste la scrittura e, per riflesso, la lettura dei libri di carta. Scrivere un libro per un autore è come un atto di generosa donazione di contenuti. Leggerlo è una risposta al proprio bisogno di vivere il mondo attraverso l’anima, le parole, i segni di un altro. Intraprendendo la lettura di un libro, il lettore comincia una nuova avventura con se stesso, il libro viene ospitato nel proprio vissuto quotidiano, viene accolto in spazi privati, sul comodino accanto al letto, per diventare un amico prezioso che, lontano dal fracasso abituale, sussurra all’orecchio parole cariche di significati e di valore.
Ad un libro ci si affeziona. Con il tempo diventa come un maglione che indossavamo in stagioni passate e del quale cerchiamo di privarcene più tardi possibile. Diventa come altri grandi segni che provengono dal passato recente
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o più antico, per consegnarci insegnamenti e visioni. Quelle visioni che i cari autori di questa collana hanno voluto donare al lettore affinché sapesse di loro, delle vite che hanno incrociato, dei sorrisi cui non hanno saputo rinunciare. Gli autori di questi testi, e di tutti quelli che dal 2006 hanno contribuito ad arricchire la Biblioteca del Cesvol, hanno fatto una scelta coraggiosa perché hanno pensato di testimoniare la propria esperienza, al di là di qualsiasi tipo di conformismo e disillusione. Il Cesvol propone la Collana dei Quaderni del Volontariato per contribuire alla diffusione e valorizzazione della cittadinanza attiva e dei suoi protagonisti attraverso la pubblicazione di storie, racconti e quant’altro consenta a quel mondo di emergere e di rappresentarsi, con consapevolezza, al popolo dei lettori e degli appassionati. Un modo di trasmettere saperi e conoscenza così antico e consolidato nel passato dall’apparire, oggi, estremamente innovativo.
Salvatore Fabrizio Cesvol Umbria
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VITA CONTADINA di FRANCO PILATO
Dedicato ai miei genitori, Fiore e Amelia e ai miei zii, Giuseppe e Aldovina, con i quali ho vissuto tutta la vita e ho condiviso i primi dieci anni in un sereno ambiente contadino, per avermi insegnato i veri valori della vita.
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Franco Pilato è un grande esempio e fonte di ispirazione per tutti noi, pertanto è un onore, in qualità di Sindaco, avere l’opportunità di ribadirlo anche in questa splendida occasione.
Sant’Ignazio di Antiochia diceva: “si educa molto con quello che si dice, ancor più con quel che si fa, molto più con quel che si è”. Una sintesi perfetta per descrivere al meglio Franco che, nonostante sieda in carrozzina sin da giovane a seguito di un incidente automobilistico, non si è mai arreso e al contrario è continuamente da stimolo per gli altri, grazie al suo impegno attivo su vari fronti della vita sociale. Come nel caso di questo testo che ricorda i tempi passati della vita contadina. Un libro veramente prezioso soprattutto per i giovani, come memoria di usi, tradizioni e vita vissuta della generazione dei loro nonni e bisnonni. Una fotografia di un sapere semplice e antico che sta scomparendo insieme al suo passato e che grazie a Franco le giovani generazioni potranno custodire e ritrovare.
Grazie di cuore per questo ulteriore dono di te alla nostra comunità.
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Il Sindaco Fausto Risini
Franco Pilato è senza dubbio un “personaggio” pievese. A Città della Pieve tutti conoscono Franco grazie al lavoro svolto sino alla pensione ma ancor più per essere persona molto attiva nella vita sociale della comunità. Questo attivismo si è sviluppato in tante iniziative a fine benefico tra le quali possiamo annoverare quella di scrittore.
Quando parlando con Franco è emerso che stava lavorando ad un nuovo testo riguardante la vita contadina ed i suoi valori intorno alla metà del secolo scorso, ci siamo resi disponibili come Associazione ad aiutarlo in questa pubblicazione ed abbiamo, per questo, aderito all’iniziativa del Cesvol Umbria sede di Perugia “Invito a proporre”, idee e contenuti per pubblicazioni su tematiche sociali e di interesse per il Volontariato. Siamo certi che leggendo queste pagine tutti possano ritrovare una serie di valori che sono alla base della nostra società ed uno stimolo per conservarli e tramandarli, nella speranza di costruire una società sempre migliore. Caro Franco siamo sicuri che tutti apprezzeranno questa tua nuova iniziativa, noi come fratelli di Misericordia vogliamo ringraziarti con il nostro antico motto CHE DIO TE NE RENDA MERITO.
Fabio Sberna
Governatore della Venerabile Confraternita della Misericordia di Gesù e S. Giovanni Decollato di Città della Pieve
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Prefazione
Negli anni ‘50 la maggior parte della popolazione italiana era occupata nell’agricoltura. Con questo mio scritto intendo far conoscere ai giovani e far ricordare ai meno giovani quali erano i valori della civiltà contadina, valori fondanti di una società laboriosa e parsimoniosa, regolata dall’avvicendarsi delle stagioni, dove tutto era a misura d’uomo. Oggi il nostro modo di vivere in una società di consumi sfrenati, basata sull’usa e getta, ha poco da lasciare e tramandare alle generazioni future alle quali, al contrario dovremmo consegnare un mondo più sano, più pulito e vivibile come i nostri antenati hanno fatto con noi.
Quello contadino era un mondo in cui tutto si condivideva, dai dolori alle gioie, dove nessuno era mai solo, bastava una parola di conforto o una di apprezzamento di un vicino.
La famiglia patriarcale assicurava che le persone meno giovani avessero un’importanza e una considerazione che oggi purtroppo si sta perdendo: a loro si chiedevano consigli per tutto, perché possedevano un’esperienza di vita ed una saggezza tramandata da generazioni. Le piccole cose avevano un valore e quel poco che si aveva veniva conservato religiosamente, aggiustato e riparato all’infinito, perché tutto era prezioso, anche quello che oggi potremmo considerare banale.
I contratti di mezzadria
Le persone che lavoravano e vivevano in campagna facevano una vita dura e faticosa, poiché la maggior parte dei lavori veniva eseguita a mano ed in alcuni casi con il solo aiuto del bestiame.
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Le persone che lavoravano la terra erano mezzadri, cioè lavoravano un podere per conto di qualcun altro tramite contratto di mezzadria e a condizioni gravose. C’era anche una esigua parte di coltivatori diretti che lavoravano un podere proprio.
Tra le condizioni del contratto vi erano soprattutto degli obblighi, come fornire al padrone per ogni ricorrenza religiosa le primizie del tempo e un certo numero di animali da cortile, uova, pollame e conigli, e in alcuni casi anche un agnello. Per Natale i mezzadri dovevano donare anche dei capponi, sapientemente preparati da una donna che li castrava con una delicata operazione chirurgica, cosa che sapevano fare in pochissime, tanto che la donna esperta in questa pratica lo faceva per tutti i contadini del vicinato ed in alcuni casi anche per quelli più lontani.
Il contadino era inoltre obbligato a fornire gratis delle giornate lavorative al padrone del fondo.
Il contratto era regolato da ferree regole redatte in un libretto colonico, ove erano riportati lo stato economico del fondo, gli animali, le attrezzature, i foraggi. Il libretto era aggiornato da una persona di fiducia del proprietario del podere, il cosiddetto fattore. Il mezzadro aveva l’obbligo di mantenere gli attrezzi in perfette condizioni, affinché fossero sempre pronti all’uso e non deteriorati. Ciò avveniva con l’aiuto di un fabbro per le parti metalliche, mentre in alcuni casi, per le parti in legno, si chiedeva l’aiuto di un contadino che si intendeva un po’ di falegnameria.
Al contadino erano richieste specifiche abilità, tra cui quella di prendersi cura degli animali e intuire il momento adatto per la riproduzione, che avveniva portando gli
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animali da un altro contadino che aveva tori e verri. Alcune volte quest’ultimo si trovava abbastanza distante e si doveva persino attraversare il bosco. A fecondazione avvenuta con esito positivo, il contadino dell’animale fecondato doveva aver cura che la gestazione procedesse regolarmente e al momento del parto cercare di essere presente stando alzato anche di notte, se necessario, per aiutare l’animale nella fase finale del parto. Il contadino doveva inoltre capire quando gli animali non stavano bene e, se era il caso, ricorrere al veterinario, cosa che si faceva con parsimonia, poiché erano spese straordinarie che non sempre erano ben accette dal padrone del fondo. Il rapporto tra il contadino e l’animale era vitale perché gli animali erano forza lavoro e alimento.
(Patto Generale di Mezzadria e Esempi di libretti dei conti sociali -Vedere Appendice)
Il carro era il mezzo di trasporto e di comunicazione più usato, nei campi serviva per trasportare la merce, era anche utilizzato per matrimoni e feste, per trasportare i morti, per i traslochi.
Carro con buoi per il trasporto merci
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Ruoli e famiglia
Le famiglie contadine erano spesso numerose, avevano una struttura definita. In cima alla piramide vi era il capo famiglia, che regolava e stabiliva le attività familiari assegnando ad ogni membro un compito.
Tutti avevano un valore. Contrariamente ad oggi, le persone più anziane godevano di una posizione rispettabile nella famiglia, poiché custodivano il segreto di molte tradizioni tramandate nel tempo.
Anche i più piccoli avevano il loro compito, che generalmente era quello di badare agli animali: i bambini più piccoli badavano alle oche e ai polli, mentre i più grandi alle pecore e ai maiali che dovevano portare al pascolo nei prati e nel periodo invernale dentro il bosco, dove si trovavano ghiande e alcune piante sempreverdi. Inoltre era compito dei bambini nutrire gli animali procurando il cibo per le giornate piovose in cui non si poteva uscire al pascolo.
Vi era poi la massaia, cioè colei che regolava l’attività della casa gestendo anche la dispensa familiare. Tra i suoi compiti vi erano quelli di fare il pane, preparare la pasta in casa e fare il formaggio. Quest’ultima attività richiedeva particolare esperienza e pratica, poiché per far cagliare il latte si aggiungeva un’erba che andava sapientemente dosata. La massaia inoltre gestiva le finanze della casa, vendendo ad esempio alcuni capi di pollame e uova per poter acquistare i beni di prima necessità di cui aveva bisogno per la cucina. Un altro compito importante era preparare le conserve per l’inverno, avendo cura di scegliere i migliori pomodori e le migliori verdure da conservare sott’aceto. La conservazione dei pomodori avveniva con molta cura, come ad esempio fare grossi
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grappoli legati con lo spago, che venivano appesi al soffitto della dispensa e usati in particolari occasioni, come feste e ricorrenze, per preparare delle pietanze speciali.
Il pane era l’alimento fondamentale e indispensabile, la massaia lo preparava con attenzione per almeno una settimana. Il pane rimaneva sempre fragrante.
La pasta fatta in casa veniva preparata di solito per le grandi occasioni, le massaie erano generalmente molto brave nel realizzare grandi sfoglie spianate perfettamente.
La massaia fa la pasta
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Alcuni utensili da cucina
L’acqua che si utilizzava per cucinare e bere veniva reperita presso una fonte potabile; la si portava a casa in brocche di coccio tenute in bilico sulla testa contemporaneamente a due secchi, uno per mano. Invece, per lavarsi, l’acqua veniva attinta alla fonte più vicina e ci si lavava in una grande tinozza.
Il trasporto dell’acqua e la cura degli animali
Quando la massaia doveva fare il bucato, si organizzava nel seguente modo: prendeva tutti gli indumenti e la biancheria di casa e li poneva in un ampio recipiente di coccio forato, facendo attenzione ad alternare uno strato di indumenti ad uno strato di cenere, e così via fino a colmarlo, successivamente vi versava dell’acqua bollente fino a che l’acqua che usciva dai fori non tornava limpida, quindi procedeva al risciacquo presso un’altra fonte dove erano poste delle pietre su cui sfregare gli indumenti, infine i panni lavati venivano stesi sul prato vicino, poiché i fili ancora erano molto rari. Tutte queste operazioni avvenivano in due giorni distinti perché, trattandosi di grandi quantità di indumenti, il filtraggio richiedeva un giorno intero, il secondo giorno si procedeva invece al risciacquo e alla stesura dei panni.
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All’epoca si mirava all’autosufficienza: pertanto ogni componente della famiglia era specializzato in un lavoro, come fabbricare zoccoli e scarpe, intrecciare ceste e perfino in lavori di sartoria. Vi era anche qualcuno in grado di tagliare i capelli, e i ragazzini avevano l’incombenza di andare a raccogliere erbe e funghi per la famiglia.
La famiglia contadina era un gruppo unito e solidale. C’erano momenti in cui tutti si ritrovavano insieme, per esempio durante i pasti tutti dovevano essere presenti. Anche le veglie erano forme di vita condivisa con racconti degli anziani e incontri tra i giovani.
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Le lavandaie
Il camino
Le nascite avvenivano rigorosamente a casa solitamente con l’aiuto di una levatrice o di una donna più anziana. I battesimi, le cresime e le comunioni, si festeggiavano con pranzi preparati dalle donne della famiglia, anche i matrimoni si festeggiavano in casa, il primo pranzo veniva offerto dalla famiglia della sposa, poi con un corteo ci si trasferiva a casa dello sposo dove si concludeva la giornata con una grande cena e balli che si protraevano per tutta la notte.
Società del riuso
Nella civiltà contadina tutto veniva usato e riciclato, non si sprecava nulla, persino l’acqua della lavatura dei piatti veniva utilizzata per dare da bere ai maiali.
Quando si macellavano conigli e polli, le loro pelli e le loro piume venivano conservate. Le piume si utilizzavano
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per fare cuscini, mentre le pelli, riempite di paglia per non farle attaccare, venivano lasciate essiccare e quindi vendute.
Si aveva cura di selezionare i semi di tutte le piante e di conservarli gelosamente per poi seminarli l’anno successivo al momento più opportuno. Il grano veniva vagliato con un setaccio, che ne eliminava tutte le impurità, da una persona chiamata “conciatore” e ciò che restava erano i semi da utilizzare l’anno successivo. Inoltre era in uso togliere i semi dalle zucche, farli asciugare al sole per poi venderli.
Gli abiti venivano riusati, rivoltati e passati ad altri famigliari.
Ogni malanno aveva la sua erba, che veniva accuratamente raccolta al momento opportuno e conservata religiosamente dalla donna più anziana di casa, la quale si occupava di dispensarla nel momento del bisogno, ma sempre con parsimonia, perché nella civiltà contadina non si sprecava nulla e tutto aveva un valore ed un utilizzo. Le case
Le case coloniche avevano due piani collegati da una scala esterna con loggia. Il piano terra era occupato dagli animali, al piano rialzato vi era l’abitazione del contadino. In tutte le case c’era una stanza con una botola nel pavimento che portava direttamente nella stalla degli animali, perché, al minimo rumore sospetto, il contadino doveva precipitarsi e verificare lo stato del bestiame. Se si erano slegati, doveva rimetterli al loro posto e quindi svolgere una mansione pericolosa perché
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talvolta gli animali erano irrequieti.
La vita domestica ruotava intorno alla grande cucina di cui il focolare rappresentava il cuore. Il camino occupava quasi una parete e aveva ai lati delle panche, dove ci si sedeva durante le lunghe serate invernali, quando gli anziani raccontavano storie, aneddoti e “profacole” la cui origine si perdeva nella notte dei tempi. Si cantavano anche filastrocche o si inventavano racconti con protagonisti tratti dal mondo soprannaturale: fantasmi, spiriti e animali parlanti.
Gli anziani con le lacrime agli occhi raccontavano che sin dalla tenera età erano costretti a rendersi utili nel podere e in alcuni casi venivano addirittura mandati in altri poderi per svolgere la mansione del garzone, quindi non frequentavano la scuola e di conseguenza non sapevano né leggere né scrivere e spronavano i giovani ad andare a scuola volentieri.
Accanto al focolare si trovava la madia dove veniva riposto il pane a lievitare. C’erano poi le stanze per dormire che ospitavano più persone.
I servizi igienici non esistevano se non in rari casi, quindi tutti erano tenuti ad arrangiarsi dove potevano e, quando l’inverno arrivava e non era possibile uscire a fare i bisogni all’aperto, si utilizzava la stalla degli animali. Spesso porte e finestre erano in pessime condizioni, tanto da far passare il freddo d’inverno ed il caldo d’estate e, nei casi peggiori, perfino il tetto aveva lo stesso problema.
Per scaldare il letto si utilizzava “il prete”, uno strumento di legno ricurvo ai lati, alto al centro, dove si posizionava un braciere di terracotta o di metallo ripieno delle braci del camino. Si collocava nel letto poco prima di andare
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a dormire, facendo particolare attenzione per evitare di danneggiare il letto con la brace, poiché il materasso, nella maggior parte dei casi, era fatto di cartocci di granturco o di lana.
“Il prete” per scaldare il letto
In camera per l’igiene personale
Ci si copriva con qualche coperta e nelle sere più fredde si aggiungevano anche gli indumenti indossati il giorno.
I casali di allora oggi sono stati ristrutturati e sono diventati case di villeggiatura di stranieri o di personalità di spicco del mondo dello spettacolo, della finanza o della politica, ed alcuni sono stati convertiti in agriturismi.
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Fiere e mercati
I mercati settimanali erano l’occasione per andare in città. Cocci, stoffe, pelli, polli e conigli erano generalmente le merci di scambio. C’erano poi le fiere per la compravendita di animali dove agivano i sensali, cioè intermediari e stimatori. I sensali potevano anche valutare i poderi e stimare quali contadini potevano essere adatti per uno specifico fondo.
Le fiere erano occasioni di contatti e scambi. Era tipico trovare i cantastorie: persone che raccontavano in maniera romanzata fatti di cronaca più o meno recenti.
Una delle fiere più importanti e rinomate era quella di Santa Caterina, che aveva luogo il 25 novembre, data in cui i padroni dei poderi davano l’autorizzazione ai contadini di iniziare la raccolta delle olive.
Riti, abitudini e segni
Le ricorrenze religiose erano momenti rituali caratterizzati da usanze particolari. Era in uso fare il fuoco dell’Ascensione, si preparava una catasta di legna che veniva accesa nella notte della festa. I ragazzini si davano da fare a chi faceva il fuoco più grande e si innalzavano fuochi sui poggi. Gli adulti vigilavano onde evitare che si sviluppassero incendi.
Il cibo connotava le feste più importanti. Il cappone era associato al Natale; le uova, l’agnello e la pizza erano i cibi pasquali. L’uva attaccata nel canniccio veniva usata in parte per il vinsanto, quella che rimaneva si mangiava a Natale.
Nella settimana precedente alla Pasqua si facevano alcune
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processioni per benedire le campagne: la domenica delle palme si benedivano rametti di olivo che poi venivano posti sopra i pagliai, nei campi di grano e nei mucchi di grano, come protezione dalle intemperie.
Sempre per Pasqua era anche in uso seminare e preparare vasi di coccio con fiori o altre piante ornamentali facendo una specie di gara per offrire alla parrocchia i vasi più belli che avrebbero ornato il percorso della processione religiosa.
I lutti famigliari erano resi manifesti esibendo particolari segni. Gli uomini utilizzavano una fascia sulla manica o un bottone, entrambi di colore nero, da mettere sugli abiti; le donne vestivano di nero e generalmente usavano gli indumenti che già possedevano e che si tingevano in casa per l’occasione.
La società contadina era superstiziosa. Si osservavano segni del bene e del male. Si cercava di propiziarsi il bene. Si temeva il malocchio, cioè le cattive influenze che potevano portare negatività.
Nonostante la vita in campagna fosse dura e faticosa, si trovava il modo per alleggerirla facendo dei giochi popolari di diversa natura. Uno dei più comuni era il gioco del ruzzolone fatto con una forma di formaggio che si faceva rotolare lungo la strada. Colui che arrivava primo in fondo alla strada con la forma di formaggio vinceva e condivideva il premio con tutti i partecipanti. La festa finale era annaffiata da un buon fiasco di vino.
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Calendario agricolo
La vita dei contadini era scandita dall’alternarsi delle stagioni e dalle condizioni meteorologiche. Osservare la natura e cercare di prevedere il tempo erano elementi necessari per le attività quotidiane. Così il contadino aveva acquisito una sapienza tradizionale che gli permetteva di fare previsioni meteorologiche. Aveva anche sistemi di previsione come per esempio, all’inizio dell’anno, si prendevano dei veli di cipolla, tanti quanti i mesi dell’anno, e si ponevano sul davanzale di una finestra con sopra del sale. In base a come il sale reagiva si faceva la relativa previsione. Inoltre erano tenute in considerazione le fasi lunari ed era in base ad esse che si seminava, si raccoglieva, si piantava, si fecondava, si tramutava il vino.
C’erano inoltre storie, proverbi e filastrocche. Una filastrocca molto simpatica per la Candelora, che si celebra il 2 febbraio, era:
“Per la Candelora o che nengua o che piova dell’inverno semo fora, sole solicello 40 giorni più d’inverno.“
Anche se può sembrare paradossale, il più delle volte le previsioni erano veritiere.
Quando pioveva o nevicava non si poteva lavorare nei campi, però i contadini erano comunque attivi e occupati in diverse incombenze.
Gli uomini si dedicavano ad intrecciare canestri e contenitori da usare poi per il trasporto di olive, erbe e quant’altro, mentre le donne filavano la lana, ricavata dalle loro pecore, per farne maglie, calze, guanti e cuffie.
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L’anno era segnato da un vero e proprio calendario di lavori:
Dicembre/Gennaio uccisione del maiale
Febbraio/Marzo potatura delle viti e degli olivi Aprile/Maggio falciatura del fieno
Giugno/Luglio mietitura e trebbiatura del grano Agosto/Settembre preparazione del terreno e vendemmia
Ottobre/Novembre semina di grano e cereali Novembre/Dicembre raccolta delle olive
Nei primi giorni dell’anno il contadino iniziava la potatura delle piante, che necessitava di una certa esperienza, perché richiedeva una selezione accurata dei rami da tagliare e di quelli da non eliminare. In particolare modo era richiesta abilità nel potare le viti, in quanto secondo il loro vigore dovevano essere lasciati più o meno “occhi” prima di cominciare il processo di piegatura dei capi e legatura ad un filo, facendo attenzione a non romperli.
Quando nei filari c’era uno spazio vuoto tra una vite ed un’altra, si piegava un capo fino a terra e si interrava, facendo uscire fuori l’ultimo pezzo all’altezza di dove mancava la vite. L’anno successivo si sarebbe avuta una vite autonoma.
Si procedeva poi alla pulizia sotto i filari delle viti togliendo le erbacce e allentando il terreno per le piogge primaverili, in un secondo momento avveniva la “scacchiatura”, che consisteva nel togliere le “femminelle”, cioè capi che non producevano grappoli, e alcune foglie per permettere ai grappoli di ricevere abbastanza sole per una perfetta maturazione.
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Successivamente si iniziava a falciare l’erba per fare il fieno. Questo lavoro era particolarmente faticoso perché veniva fatto a mano con l’uso di una falce, che andava sapientemente manovrata con la forza delle braccia e facendo roteare anche il busto con movimenti che andavano da sinistra a destra e viceversa.
Il mietitore
Una volta falciato il fieno, si aspettavano un paio di giorni perché si seccasse, sperando che non piovesse perché si sarebbe rovinato, quindi si caricava sul carro, si trasportava nell’aia e si ammucchiava a forma di cono con un palo in mezzo. L’operazione non era facile, considerando lo sforzo fisico necessario per dargli una forma e far sì che non cadesse.
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Si procedeva poi al trattamento antiparassitario delle viti, degli olivi e delle piante da frutto, utilizzando il rame e lo zolfo.
A primavera inoltrata si iniziava a preparare l’orto, seminando i semi che erano stati conservati accuratamente dall’anno precedente.
Tra le piante dell’orto solitamente non mancavano: pomodori, peperoni, melanzane, cipolle, insalata, patate, legumi, meloni e cocomeri.
Seguiva poi la mietitura del grano, anch’essa fatta a mano con la falce, stando ricurvi sotto il sole cocente, dalla mattina alla sera tardi, senza interrompere il lavoro. L’unico momento di pausa era quando si mangiava, all’ombra di qualche albero.
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mietitura
La
Per comporre i fasci si intrecciavano alcuni steli di grano e poi si faceva la legatura, in modo da avere fasci più o meno uguali.
A fine giornata il grano veniva radunato in covoni trasportando i fasci sulle spalle.
Si procedeva poi a trasportare i fasci tramite un carro trainato da buoi sul piazzale antistante l’abitazione, dove si sarebbe proceduto alla trebbiatura, che era il momento culminante dell’anno agricolo.
Il pagliaio
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L’aia
Scorgendo la trebbiatrice, che con il suo color rosso acceso attirava l’attenzione, i bambini strillavano di gioia e le persone più anziane spesso si commuovevano.
Quando si iniziavano le operazioni, tutti i contadini del vicinato si riunivano in gruppi con compiti differenti. Alcuni uomini si dedicavano a porgere i fasci del grano al macchinista che li inseriva nella trebbiatrice, altri provvedevano a sistemare la paglia e altri ancora portavano le balle del frumento al coperto.
Siccome la trebbiatura avveniva a luglio/agosto, il caldo era torrido e l’aria, impregnata dalla polvere del grano, era irrespirabile. Quindi i ragazzini giravano continuamente con delle fiasche di acqua e di vino per fornire un ristoro ai lavoratori.
Erano considerati di grande importanza i manutentori e gli imboccatori della trebbiatrice, azionata da una cinghia fatta girare velocemente da un trattore. Durante i pranzi questi operatori avevano un tavolo riservato al coperto e
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La trebbiatura
venivano servite loro le migliori pietanze.
Comunque la trebbiatura, nonostante la fatica, era una grande festa, perché si facevano dei grandi pranzi, accuratamente preparati dalle massaie che si mettevano all’opera qualche giorno prima, quando iniziavano a macellare una grossa parte degli animali da cortile per poi cucinarli, nei diversi modi. La carne era accompagnata da pasta, pane e dolci.
Si procedeva quindi alla preparazione del terreno, arando le stoppie e i prati con aratro trainato dai buoi.
Questo lavoro, che richiedeva un notevole impegno fisico, veniva svolto da una sola persona.
Il bifolco era colui che si occupava della stalla, nutrendo e accudendo gli animali, che venivano spazzolati, lavati e con l’aiuto di un fabbro ferrati.
Un altro momento importante era la vendemmia, ma prima che si iniziasse, una persona esperta sceglieva accuratamente i grappoli migliori che erano destinati alla maturazione speciale su cannicci e quindi successivamente usati per il vinsanto. Le vinacce erano usate notte tempo per la grappa.
Si procedeva poi a cogliere tutta l’uva che veniva posta nei canestri poi versati sui bigonci e portati al casolare.
L’uva veniva pigiata dalle ragazze che salivano a piedi nudi nei tini colmi, quindi veniva macinata e posta in un grande tino a fermentare per alcuni giorni, dopo di che si toglieva il mosto travasandolo in botti e aspettando che diventasse vino.
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La pigiatura dell’uva
In cantina
Una volta finita la vendemmia, si procedeva alla raccolta del granturco che si trasportava al coperto e quindi alla scartocciatura e intrecciatura delle pannocchie, che venivano poste ad asciugare al sole, alcune sopra una tettoia, altre in trecce appese a un palo.
Quando il granturco era asciutto, si effettuava la sgranatura, operazione che avveniva tramite l’utilizzo di un ferro del caminetto o di una zappa, il cui manico veniva tenuto fermo sedendocisi sopra, con la lama verso l’alto su cui le pannocchie venivano strisciate.
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La scartocciatura
Iniziava quindi la semina del grano, spianando e affinando la terra con l’erpice. Dopo questa operazione, si gettavano i semi e si ripassava di nuovo con l’erpice per interrarli.
Ultima, ma non meno importante, era la raccolta delle olive. Il lavoro avveniva manualmente, riponendo i frutti in un cesto che era legato alla vita. Non veniva sprecata neanche un’oliva, perché tutte le sere si procedeva a raccogliere meticolosamente le olive cadute, quindi si trasportavano le cassette a casa, ove avveniva una setacciatura grossolana per togliere foglie e terra. Infine le olive venivano riposte in una stanza per poi essere portate al molino e molite.
Era uso comune, dopo aver riportato l’olio a casa, fare
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una grande bruschettata annaffiata dal vino novello.
Tra la fine del vecchio anno e l’inizio del nuovo, avveniva la macellazione del maiale per uso familiare. Era fatta da un contadino che aveva la capacità e gli strumenti adatti. Dopo la macellazione venivano sezionate e preparare le parti per la stagionatura e la conservazione.
Era l’atto finale di un lavoro iniziato nei primi mesi dell’anno con la selezione del più bel maialino, che veniva particolarmente curato affinché crescesse robusto, ma senza ingrassare, cosa che invece avveniva da ottobre in poi, nutrendolo con beveroni a base di semola, farina, ghiande e granturco.
I contadini amavano la terra, piantavano degli alberi sui greppi per non farli franare, avevano cura delle strade interpoderali, drenavano accuratamente i campi facendo delle forme per far scolare l’acqua che andava a defluire in un fosso anch’esso rigorosamente pulito.
Anche noi dovremo imparare a rispettare ed amare la natura poiché è dalla terra e dai suoi frutti che prendiamo il sostentamento per nutrirci e l’ossigeno indispensabile alla respirazione.
Fortunatamente nelle nostre zone ci sono vari giovani, alcuni dei quali imprenditori, che si dedicano all’agricoltura sempre più spesso nel rispetto della biodiversità.
Conoscere e vedere una giovane donna che, pur avendo avuto varie esperienze lavorative in diversi settori e paesi d’Europa, oggi si occupa di agricoltura e sapere che questa attività le ha permesso di trovare la sua dimensione umana, in quanto il lavoro anche se faticoso è svolto in un clima di serenità e condivisione, rallegra
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anche chi la conosce e le sta vicino.
Lo dimostra il fatto che questa ragazza, immagine di copertina, ha un viso rilassato e grandi occhi che rispecchiano la serenità e la tranquillità del suo animo, aspetti che non ha mai trovato in altri ambienti di lavoro.
Ciò conferma e avvalora quanto affermato.
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APPENDICE
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Patto Generale di Mezzadria 1934 e Esempi di libretti dei conti sociali
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Foto d’epoca di
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Maria Santa Piccini Giancarlo Rossi Elena Sonnati
di Maria Santa Piccini
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di Giancarlo Rossi
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di Elena Sonnati
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Vita contadina vista dai giovani di oggi attraverso rappresentazioni grafiche
Consiglio Comunale dei Ragazzi e delle Ragazze
Istituto Comprensivo “Pietro Vannucci”
Città della Pieve
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Bianca Tiberti
Ludovica Catena
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Michele Porcu
Emma Mugnari
Federico Caneschi
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Giorgia Quarto
111
Viola Caciotti
Giacomo Tavanti
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Elena Sonnati
Samuele Frullano
Elisa De Nigro
Maria Cesaretti
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Bianca
Ringraziamenti
Un ringraziamento particolare alla professoressa Ivonne Fuschiotto che ha curato la revisione, ha seguito le varie fasi della realizzazione e ne ha permesso la pubblicazione. Si ringraziano inoltre: Gianina Ciosu, Maria Luisa Meo, Maria Cristina Palmerini, Lucia Zugarini, Maria Cristina Lombardi, Marcello Galeotti, Maria Santa Piccini, Lina Fioretto, Ivano Rossi, Giancarlo Rossi, Rosita Ricci, Mario Marco Marroni, Consiglio Comunale dei Ragazzi e della Ragazze - Istituto Comprensivo “Pietro Vannucci”, Venerabile Confraternita della Misericordia di Gesù e S. Giovanni Decollato di Città della Pieve, Comune di Città della Pieve, Cesvol Umbria - Perugia
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INDICE
Prefazione p.8
I contratti di mezzadria p.8
Ruoli e famiglia p.11
Società del riuso p.15
Le case p.16
Fiere e mercati p.19
Riti, abitudini e segni p.19
Calendario agricolo p.21
Patto Generale di Mezzadria
Esempi di libretti dei conti sociali p.35
Foto d’epoca p.99
Vita contadina vista dai giovani di oggi
attraverso rappresentazioni grafiche p.107
Ringraziamenti p.114
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Appendice