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APPLIED RESEARCH
RICERCA APPLICATA
Batteri “buoni” contro patogeni negli ambienti di lavorazione
I batteri che causano malattie, come Escherichia coli O157:H7 e Salmonella enterica, potrebbero sopravvivere alla sanificazione negli impianti di lavorazione della carne bovina. Per questo il Dipartimento di agricoltura degli Stati Uniti (USDA), nello specifico il Centro di ricerca agricola (ARS), sta studiando come questo accada e cerca approcci per risolvere il problema.
E. coli O157: H7 (un E. coli che produce la tossina Shiga) e S. enterica sono due batteri patogeni causa di malattie di origine alimentare negli Stati Uniti. Poiché questi agenti patogeni possono far ammalare le persone attraverso il cibo contaminato, gli scienziati stanno ricercando modi efficaci ed economici per ridurre i rischi di contaminazione incrociata negli impianti di lavorazione degli alimenti.
In uno studio, gli scienziati americani hanno spiegato il comportamento di sopravvivenza di E. coli O157: H7 dopo l’esposizione a condizioni sfavorevoli come quelle create dalle procedure igienico-sanitarie di routine
Biofilm di salmonella su una superficie in acciaio inox. e come varia all’interno degli impianti di lavorazione della carne bovina che seguono protocolli di sanificazione simili. Risulta che, in determinate condizioni, gli agenti patogeni come E. coli O157: H7 e S. enterica entrerebbero in uno stadio dormiente o di “ibernazione”, formando un film sottile che consente loro di sopravvivere meglio su superfici dure come cemento o acciaio. Questo è chiamato biofilm batterico e non è visibile ad occhio nudo.
Una delle principali preoccupazioni è che i biofilm consentono ai batteri nocivi di sopravvivere meglio sulle superfici dure della struttura, contaminando potenzialmente il cibo e facendo ammalare i consumatori. È interessante notare che gli studi dimostrano che questi agenti patogeni non sopravvivono da soli. Dopo aver confrontato campioni provenienti da diverse strutture che seguono misure di pulizia simili ma sperimentano diversi livelli di agenti patogeni, gli scienziati hanno capito che più specie di batteri presenti nell’ambiente dell’impianto di lavorazione di ogni luogo potrebbero aumentare o ridurre la possibilità di un
agente patogeno di sopravvivere alle procedure di sanificazione. Lo fanno formando una comunità di biofilm (struttura mista di biofilm).
I ricercatori osservano le comunità singole di batteri ambientali che collaborano o competono ovunque con i patogeni. La collaborazione può portare a un’elevata prevalenza di patogeni in determinati distretti, ma una forte competizione può inibirne la sopravvivenza in altri. Poiché molti di questi batteri ambientali non sono dannosi per l’uomo o gli animali, se è possibile identificare le specie specifiche che inibiscono la formazione di biofilm patogeni, si possono utilizzare come probiotici (misure preventive) contro i batteri che causano malattie.
Intanto, alcuni studi pubblicati sul Journal of Food Protection da questo gruppo di ricerca mostrano che i disinfettanti multicomponente – un nuovo approccio multiforme che utilizza combinazioni di vari reagenti e trattamenti igienizzanti – potrebbero inattivare i biofilm formati da E. coli O157: H7 e S. enterica in modo più efficace, riducendo le possibilità che i patogeni sopravvivano agli interventi di pulizia negli impianti di lavorazione della carne bovina.
Sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere l’interazione di più specie di batteri presenti in diversi punti degli impianti di lavorazione e come essi variano da una struttura all’altra, in relazione a differenze di posizione, temperatura e altri fattori. Ci si domanda quindi se sia possibile sviluppare un approccio più rispettoso dell’ambiente ed economico contro i patogeni negli impianti di lavorazione degli alimenti. Si comprende quanto sia importante per l’industria alimentare disporre di misure che prevengano efficacemente la formazione di questi biofilm e riducano il rischio di contaminazione degli alimenti, proteggendo così la salute pubblica.
Effetto del plasma freddo sul colesterolo e sull’ossidazione dei lipidi della carne
Il plasma freddo a pressione atmosferica (CAP) è una nuova tecnologia non termica con potenziali applicazioni nell’inattivazione di microrganismi nei prodotti alimentari. Tuttavia, il suo impatto sulla qualità del cibo non è ancora completamente noto. Lo scopo di questa ricerca irlandese pubblicata su Foods è stato studiare l’impatto della tecnologia del plasma in-package sulla stabilità del colesterolo e dei lipidi totali in quattro diversi tipi di carne (manzo, maiale, agnello e petto di pollo). Inoltre, si sono studiati tutti i cambiamenti che intervengono nell’ossidazione lipidica primaria o secondaria, un fenomeno non desiderabile dal punto di vista salutistico. La CAP non ha avuto alcun impatto sul contenuto di colesterolo o lipidi. Tuttavia, nei campioni trattati sono stati trovati valori più elevati di perossido e di sostanze reattive all’acido tiobarbiturico (TBARS), indicando che il plasma può indurre l’accelerazione dell’ossidazione lipidica primaria e secondaria. Infine, il colore non è stato influenzato dal trattamento, confermando l’idoneità della tecnologia per i prodotti a base di carne.
Metodo semplice e rapido per confermare il trattamento termico di latte e derivati
In Giappone, la procedura di quarantena per l'importazione di prodotti lattiero-caseari è stata introdotta nel novembre 2017 e prevede il riscaldamento per 15 secondi a 72°C per l'inattivazione virale quando si importano latte o prodotti lattiero-caseari da regioni non esenti da afta epizootica. Il metodo IDF 63 è noto come uno dei metodi utilizzati per confermare la cronologia dei trattamenti termici del latte controllando l'attività della fosfatasi alcalina (ALP); tuttavia, questa procedura risulta complicata per l'ispezione quotidiana durante la quarantena. In questo lavoro giapponese pubblicato su Food Hygiene and Safety Science si è cercato di misurare l'attività dell'ALP in base alla quantità di sostanza fluorescente prodotta dalla reazione enzimatica. Latte e derivati di mucche, pecore e capre sono stati testati dopo trattamenti termici di diverso tipo. È stato confermato che l'ALP del latte trattato termicamente e dei prodotti lattiero-caseari derivati è stato inattivato sostanzialmente con lo stesso trattamento termico per 15 secondi a 72°C. Il metodo di misurazione stabilito in questo studio è più semplice, veloce e richiede una quantità di campione inferiore rispetto ad altri. Inoltre, il metodo è risultato applicabile anche per confermare la storia del trattamento termico di vari prodotti lattiero-caseari mettendoli in sospensione.
Sminuzzatura e funzionalità della mozzarella
La mozzarella a bassa umidità (LMMC) viene comunemente sminuzzata prima del confezionamento, ma gli effetti della sminuzzatura non sono completamente noti. L’International Dairy Journal ha pubblicato un lavoro australiano volto ad approfondire gli effetti di questo trattamento.
Sono stati studiati blocchi di LMMC prodotti industrialmente e sminuzzati per un periodo di 8 settimane di conservazione a 4°C. Il formaggio sminuzzato, analizzato a 15 giorni e a 8 settimane di età, rivestito con cellulosa microcristallina e conservato in atmosfera modificata (70% N2 e 30% CO2), presentava una microstruttura alterata dopo 8 settimane rispetto al formaggio a blocchi sottovuoto. In quest’ultimo caso il grasso formava una fase più dispersa. La proteolisi è risultata maggiore nei campioni sminuzzati ed è stato rilevato un livello più elevato di due proteasi batteriche. Nonostante queste differenze, la capacità di fusione e l’elasticità del blocco e dell’LMMC sminuzzata erano simili. La microstruttura e la funzionalità del formaggio sminuzzato a 15 giorni e conservato per altre 6 settimane si sono mantenute simili a quelle del formaggio sminuzzato dopo 8 settimane, suggerendo che esiste un periodo flessibile per il trattamento di sminuzzatura della mozzarella.
Campi elettrici pulsati e proprietà tecnologiche della carne di pollo
Il campo elettrico pulsato (PEF) è una tecnologia non termica sempre più interessante per l’industria della carne. Un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari Alma Mater Studiorum dell’Università di Bologna ha pubblicato su Foods uno studio volto a valutare l’effetto del PEF sulle principali proprietà tecnologiche della carne di pollo, indagando il ruolo dei parametri di processo più rilevanti come il numero di impulsi (150 vs 300 e 450 vs 600) e l’intensità del campo elettrico (0,60 contro 1,20 kV/ cm). I risultati hanno indicato che il PEF non esercita alcun effetto sul pH della carne e influisce solo leggermente sulla luminosità e sull’indice di giallo. I trattamenti PEF a bassa intensità hanno migliorato la capacità di ritenzione idrica della carne di pollo riducendo significativamente (p<0,001) la perdita di liquidi fino al 28,5% nei 4 giorni di conservazione refrigerata, senza danneggiare l’integrità e la funzionalità delle proteine. Inoltre, dall’analisi dei parametri di processo, è stato possibile evidenziare che l’aumento del numero di impulsi è più efficace nel ridurre la perdita di liquidi della carne piuttosto che il raddoppiare le intensità del campo elettrico.
Da un punto di vista industriale, i risultati di questo studio esplorativo hanno suggerito il potenziale del PEF nel ridurre la perdita di succhi all’interno della confezione, migliorando così l’accettazione del prodotto da parte dei consumatori.
Negli ultimi anni si è considerato il trattamento del latte a bassa temperatura e alta pressione (LTHP) in alternativa al trattamento termico tradizionale, che può potenzialmente ridurre la perdita di nutrienti.
Su Foods è stato pubblicato un lavoro cinese volto a valutare l’effetto del trattamento LTHP (-25°C, 100-400 MPa) sul comportamento di transizione di fase del latte congelato. Si sono studiati gli effetti letali e di danneggiamento dell’E. coli presente nel latte congelato indotti da diverse pressioni e numeri di ciclo, utilizzando mezzi di conteggio selettivi e non selettivi. Dai dati transitori tempo-temperatura-pressione raccolti è emerso che pressioni superiori a 300 MPa potrebbero indurre una transizione di fase da Ice I a Ice III. Il trattamento a -25°C e 300 MPa potrebbe determinare un effetto letale simile al trattamento con due cicli di 400 MPa a temperatura ambiente. Ciò significa che le condizioni LTHP possono abbassare la pressione di esercizio di almeno 100 MPa o ridurre il trattamento da due a un ciclo. L’aumento del numero di cicli di pressione ha potenziato gli effetti letali, che non sono stati additivi, ma ha determinato il passaggio da parte delle cellule danneggiate in cellule morte. La microscopia elettronica a trasmissione (TEM) e la microscopia elettronica a scansione (SEM) hanno fornito prove dirette della rottura della membrana cellulare e delle pareti cellulari nelle transizioni di fase. In combinazione con un dispositivo di raffreddamento interno appositamente progettato, ci si può aspettare che il processo LTHP rappresenti un’alternativa più interessante per il trattamento non termico del latte a livello industriale.