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Lo strumentario chirurgico
Colonna laparoscopica 4K 3D ICG 99
Ottiche laparoscopiche UltraHD, diametro 5mm e 10mm, 30° e 0°, ICG compatibile
Le ottiche laparoscopiche compatibili con tecnologia 4K e ICG, con diametro 5 e 10mm e angolo di visione 0° e 30° rispettivamente e attacco standard per tutte le teste di telecamera delle principali marche, sono da considerarsi a tutti gli effetti delle ottiche a Ultra Definizione. Sono inoltre dotate di filtro ottico dedicato alla visualizzazione in fluorescenza del verde di indocianina (ICG).
Tali ottiche elevano il contrasto e la riproduzione del colore, ottenendo una qualità di immagine notevole.
Rispetto alle normali ottiche, sono caratterizzate da lenti asferiche che assicurano immagini prive di distorsioni.
Utilizzano inoltre la tecnologia dell’ED-Glass per trasmettere le immagini alla testa della telecamera dove il sensore trasduce l’immagine analogica in digitale.
Caratteristiche principali: – Lenti in vetro ED: con la nuova tecnologia ED-Glass le immagini risultano estremamente definite, poiché si ha una miglior correzione delle aberrazioni ottiche. In tal modo si ottiene una risoluzione globale più alta;
– Massimo campo visivo di un’ottica in commercio (88°): campo visivo più grande del 20% rispetto alle tradizionali ottiche HD; – Completa autoclavabilità: riduzione degli sprechi grazie alla completa riutilizzabilità delle ottiche;
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Fondamentali in Chirurgia
– Immagini prive di distorsioni: immagini nitide, anche in corrispondenza dei bordi. Nessun effetto vignettatura o effetto a barilotto;
– Buona illuminazione anche sui bordi: le ottiche UltraHD garantiscono una distribuzione uniforme della luce nella regione periferica; – Visione in modalità infrarosso: le ottiche ICG sono progettate per filtrare i riflessi della luce di stimolo a infrarosso e per essere utilizzate con tale modalità.
Capitolo 6
Lo strumentario chirurgico
Raffaele Macarone Palmieri*, Marco Usardi**, Edoardo Virgilio*** *già Direttore UOC Chirurgia Oncologica **Product Manager ***Assegnista di ricerca in Chirurgia Generale, Dipartimento di Scienze Medico-Chirurgiche e Medicina Traslazionale, Facoltà di Medicina e Psicologia, Università Sapienza di Roma
Una breve storia recente
La professionalizzazione ‘moderna’ del mestiere artigianale del chirurgo nasce nel Medioevo con la tradizione orale che diventa scritta, la teoria e la pratica medico-chirurgica che tendono a separarsi. Verso l’anno Mille l’attività medico-chirurgica è svolta principalmente da religiosi, i monaci benedettini in particolare, e da collettivi di arte medica come ad esempio i mitici quattro fondatori della Scuola Medica Salernitana – un ebreo, un arabo, un greco e un latino – che ebbe, soprattutto nel XII e XIII secolo, il suo massimo fulgore, prima della decadenza a partire dall’inizio del XIV. Nel 1163, nel Concilio di Tours, viene chiaramente affermato che Ecclesia abhorret a sanguine e così i medici dell’epoca, il più spesso uomini di Chiesa, non poterono più praticare la chirurgia, pertanto relegata per secoli a un rango inferiore rispetto alla Medicina. Di più, nel 1215 il Concilio Lateranense IV interdice esplicitamente ai preti la Chirurgia nella Constitutio XVIII: De iudicio sanguinis et duelli clericis interdicto. “… nec illam chirurgiæ artem subdiaconus diaconus vel sacerdos exerceant quæ ad ustionem vel incisionem inducit…” Federico II di Svevia, nel 1231, porta a 5 anni lo studio della Medicina nell’Università da lui fondata a Napoli nel 1224 e, lungimiranza sua, vi include anche lo studio della Chirurgia.
Finalmente, nel 1268, la professione del ‘chirurgo’ comincia a caratterizzarsi e a differenziarsi grazie a Jean Pitard il quale viene nominato primo ‘chirurgicus/cerusicus’ di Luigi IX di Francia, Saint-Louis; il Re Santo fonda anche la Confrérie de Saint-Côme et Saint-Damien che distingue i chirurghi “en robe longue” che portavano l’abito lungo per dimostrare che avevano studiato ed erano ‘certificati’ da un esame fatto da Pari che se ne assumevano il diritto e la responsabiltà e i chirurghi “en robe courte” i quali, insieme ai barbieri, non erano ‘certificati’; la conoscenza del latino era imperativa nell’art. 30 e ogni primo lunedi di ogni mese dovevano visitare gratuitamente chi si fosse presentato nella Chiesa di San Cosma. Nel 1270, a Venezia venne creata la Corporazione dei Barbieri con 8 caratterizzazioni
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professionali progressive, gli 8 Colonnelli. Successivamente a Montpellier veniva emanato un decreto che sanciva l’attività di barbator et sanguinator. Sono lunghi anni di conflittualità tra medici accademici, confraternite di chirurghi e consorterie di barbieri, che a Parigi assumono le caratteristiche della triangolarità; a Londra, invece, il conflitto è binario tra medici e chirurghi ‘certificati’ da un lato e barbieri-chirurghi e barbieri dall’altro: nel 1368 viene costituita in Inghilterra la Guild of Surgeons Within the City of London e nel 1376 viene creata e adottata una Carta di Comunità dei Barbieri. Nel 1541 Enrico VIII, proprio lui, fonda la Company of Barber-Surgeons di Londra dall’unione della Worshipful Company of Barbers e la Guild of Surgeons (1); i primi praticavano la piccola chirurgia mentre i chirurghi, più eruditi e ‘certificati’, effettuavano procedure più impegnative come amputazioni e interventi soprattutto in corso di eventi bellici.
Ambroise Paré, chirurgo dell’Hôtel-Dieu di Parigi e del Re Enrico II e di altri tre Re che gli succedettero, pur osteggiato dai Professori dell’École de Médecine, viene nominato nel 1554 Maître Chirurgien della Confraternita dei Santi Cosma e Damiano. Jean-Louis Petit, allievo di Littré, ottiene nel 1700 la sua Maîtrise en Chirurgie, diventa finalmente membro dell’Académie Royale des Sciences nel 1715 e viene nominato Direttore della neo-istituita Académie Royale de Chirurgie, nel 1731, da Luigi XV; nel 1743 con decreto reale, avviene a Parigi la dissociazione tra Barbieri e Chirurghi. Il tutto grazie al successo di un intervento di Petit sul Re per una invalidante e refrattaria fistola perianale che i Medici Accademici non riuscivano a guarire. Due anni più tardi, nel 1745, Re Giorgio II a Londra emula il Borbone: i Chirurghi vengono separati dai Barbieri e costituiscono la Company of Surgeons che nel 1800 diventa il Royal College of Surgeons. Così sono nati i Chirurghi dei Lumi, è risultata chiara con drammatica evidenza, soprattutto durante le guerre Napoleoniche e durante tutti gli eventi bellici successivi, l’importanza di questa nuova professionalità che coniuga la Theoria alla Praxis; come non ricordare Dominique Jean Larrey, il Chirurgo dell’Imperatore, Chirurgien-en-Chef de la Grande Armée, il quale nella battaglia alle porte di Mosca effettuò per ininterrotte 24 ore oltre 200 amputazioni di arti con una durata media di 1 minuto ciascuna e con una mortalità perioperatoria straordinariamente bassa per il tempo: del 30%! Fu inventore anche del Triage e delle Ambulances Volantes. Questa è la bellissima e affascinante storia recente della nostra professione che si è guadagnata sul campo, nonostante i numerosi ostacoli che sono stati frapposti da molti, la dignità che merita. Rimangono dei ricordi di questa Storia, soprattutto nel mondo Anglo-Sassone: nel Regno Unito, dove i Medici Internisti vengono chiamati Doctor mentre i Chirurghi talora, e a me è successo in sala operatoria a Guildford, solo Sir e negli Stati Uniti resistono al di fuori dei Barbershop, soprattutto quelli più di tendenza, i Barber’s Pole vale a dire quelle insegne con strisce elicoidali in continuo movimento: rosse, bianche e blu che, secondo le più accreditate spiegazioni, stanno a indicare il rosso, il sangue
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arterioso, e il blu, il sangue venoso, che poteva scorrere in quei locali per salassi o pratiche invasive di altro genere, mentre il bianco i bendaggi.
Per quanto riguarda lo strumentario chirurgico nella storia occidentale della Chirurgia a noi più vicina, a seguito degli scavi archeologici nella nostra Penisola, ci sono giunti numerosi strumenti chirurgici dell’antichità romana. dell’epoca pre- e para-Galenica, prevalentemente da due Domus, le più importanti: la Casa del Chirurgo di Pompei, datata tra il IV secolo a.C. e il 79 d.C. e la Casa del Chirurgo di Rimini, datata al II secolo d.C.
La Casa del Chirurgo di Pompei (bottega II 1, 1.13, nota come “Caupona di Hermes”) è una casa di epoca romana sepolta durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell’antica Pompei. Si tratta di una delle abitazioni più antiche della città e deve il suo nome proprio al ritrovamento, al suo interno, di circa 40 attrezzi chirurgici, sia in ferro sia in bronzo, come sonde, cateteri, forcipi, pinze e bisturi, conservati allo splendido Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
La Domus del Chirurgo di Rimini, del II secolo d.C., scoperta a fine anni Ottanta e inaugurata il 7 dicembre 2007, racchiude al suo interno strutture, mosaici, intonaci, arredi e suppellettili ma soprattutto un eccezionale corredo chirurgico visibile al Museo Civico, costituito da circa 150 strumenti, pinze, bisturi, scalpelli, bilance e misurini in bronzo e in ferro, tra cui il famoso ‘Cucchiaio di Diocle’ che Eutyches, il chirurgo, utilizzava per estrarre le punte di freccia dalla carne; questo strumentario merita una visita.
Lo strumentario chirurgico di oggi
La storia ha tracciato il sentiero, ora vediamo come la chirurgia dell’ultimo secolo e mezzo ha affrontato continui e radicali mutamenti. Quali sono le innovazioni produttive, nello sviluppo degli strumenti chirurgici, che la ricerca e l’evoluzione delle conoscenze mediche e tecnologiche ci hanno messo progressivamente a disposizione? La massima priorità, in tema di dispositivi medici, è la qualità, che va ricercata anche al di là dei requisiti di legge, nelle varie fasi di progettazione, sviluppo, produzione, adattamento alla funzione con strumenti ‘fatti a regola d’arte’, finitura, ispezione finale e marcatura.
Il successo di qualsiasi procedura chirurgica deriva dalla precisione e dalla continuità del suo atto, ma anche dalla perfezione dello strumentario chirurgico utilizzato. Negli ultimi anni sono state emanate delle apposite norme (International Organization for Standardization, ISO; Comité Européen de Normalisation, CEN; norme elaborate dal CEN, EN; Ente Nazionale Italiano di Unificazione, UNI; Deutsches Institut fur Normung, DIN) atte a definire e controllare i materiali chirurgici in commercio.
La scienza dei materiali per la realizzazione di uno strumento chirurgico è passata dalla pietra, al rame, al bronzo, al ferro, all’acciaio cromato e infine
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all’acciaio inossidabile ad alta lega. La lega è una miscela tra 2 o più metalli con non-metalli che si mischiano e si solidificano in una unica fusione. Elementi di lega sono: il Carbonio, che determina la durezza e rigidità alla lega, deve esser presente nello 0.3 – 0.4 %; il Cromo, che contrasta e riduce la corrosione, migliora la durezza, la tempra e la resistenza alla trazione, in almeno il 10.5% ma che le Aziende di qualità, utilizzano nel 13% e più; il Molibdeno, che aumenta la durezza e la stabilità alla corrosione e anche la malleabilità, nello 0.4 – 0.6%; il Vanadio, che contribuisce alla resistenza all’usura e al calore, aumenta la malleabilità, nello 0.1% circa. La bonifica è un trattamento fondamentale di calore che rende lo strumento duro e resistente all’usura: nella fase di tempra, l’acciaio viene infornato a circa 1050 °C e raffreddato bruscamente di solito con olio, ma anche con acqua o aria; subito dopo la tempra, si procede alla fase di rinvenimento, dove l’acciaio viene riscaldato tra 250 e 350 °C per molte ore. L’esecuzione di queste due fasi ne programmano la durezza, l’elasticità e la robustezza necessarie all’uso.
Lo strato passivo di Ossido di Cromo, che si forma durante la fase finale di produzione, attraverso la passivazione per la combinazione tra Cromo e Ossigeno dell’aria, ha uno spessore di circa 1 micron ed è molto resistente, rendendo così l’acciaio inossidabile e refrattario agli agenti corrosivi, tra cui l’apparente e innocuo NaCl che determina quei puntini neri che talora osserviamo sui nostri ferri o addirittura danni irreparabili, con profonde ed estese perforazioni. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, lo strato passivo che ricopre lo strumento continua a crescere con il tempo, quindi quanto più a lungo si utilizzano gli strumenti, tanto più spesso diventa lo strato passivo e minore il rischio di corrosione: pertanto se uno strumento nuovo di alta qualità presenta segni di corrosione, non osservabili in strumenti più vecchi, dobbiamo domandarci se, nel ciclo di utilizzo, vi siano stati momenti di errore di ritrattamento o stazionamento in soluzioni con Cloruri. Residui, colorazioni, macchie e pellicole di ruggine non costituiscono di per sé segni di danno allo strumento e possono essere di solito eliminati. I danni allo strumentario sono determinati dalla corrosione – che si differenzia in 5 tipologie: corrosione profonda/perforante, tenso-corrosione, da contatto, da sfregamento, superficiale o ruggine secondaria – e si realizza con una perdita di funzionalità o la rottura. Quest’ultima può avvenire anche per altre cause, insite nel materiale e nella lavorazione oppure per forze esterne lievi ma costanti o importanti seppur temporalmente limitate, che di regola indicano un uso non corretto dello strumento. Uno strumento di qualità ha un costo maggiore rispetto a quelli ordinari, quindi, optando per prodotti di prima scelta, di Aziende storicamente di qualità e avvalendosi di una manutenzione, programmata e tempestiva in caso di anomalie riscontrate, effettuata esclusivamente presso Aziende competenti, certificate e autorizzate, il risparmio è garantito. Ho il ricordo di ferri a basso costo prodotti in Paesi asiatici in via, ormai avanzata, di svi-
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luppo, utilizzati durante missioni umanitarie fatte in ospedali di chirurgia di guerra con ICRC o in programmi di assistenza sanitaria con UNICEF, che a volte si rompevano durante l’uso, pur non essendo “vecchi” né apparentemente usurati.
Infine, prima della sterilizzazione, che voglio ricordarlo non vuol dire aver raggiunto la assoluta assenza di funghi, batteri e virus ma l’abbattimento della carica batterica al di sotto di 1/10-6, è necessario controllare gli strumenti; voglio ricordare che la detersione/disinfezione e il lavaggio meccanico o manuale, in una parola la pulizia, demandata agli OSS o ai Colleghi Infermieri, costituisce il primo passo della sterilizzazione. Un dettaglio fondamentale di questa fase è la lubrificazione delle parti in attrito per movimento di forbici, pinze, divaricatori, portaaghi e altro, che, se ben lubrificate, porteranno a una durata, funzionalità e maneggevolezza dello strumento a lungo nel tempo. Per il seguito, le Centrali di Sterilizzazione sono fornite di appropriate Guide elaborate da qualificati gruppi di lavoro, aggiornate e condivise, fornite dalle Ditte produttrici di strumentario chirurgico su come eseguire correttamente il trattamento degli strumenti.
Nella chirurgia d’elezione, in quella d’urgenza nonché in quella ambulatoriale, l’operatore deve poter contare sulla massima funzionalità e affidabilità della complessa macchina “operatoria”. Al tradizionale strumentario chirurgico, che comprende bisturi, pinze e portaaghi, va sempre e inderogabilmente richiesta la stessa funzionalità e affidabilità delle apparecchiature tecnico-scientifiche più moderne; solo il perfetto equilibrio tra questi fattori è in grado di contribuire attivamente al miglioramento delle performance operatorie.
Lo strumentario chirurgico di più frequente uso
Comprende, volendo riassumere e per una questione di brevità: bisturi, forbici, pinze, pinze emostatiche, pinze porta-tamponi e per medicazioni, divaricatori, sonde e spatole, cannule e tubi di aspirazione, portaaghi, strumenti per chirurgia toracica e vascolare, per chirurgia gastro-entero-colo-rettale, per chirurgia epato-bilio-pancreatica e per chirurgia urologica e ginecologica (2–4).
Verrà indicato per ogni ferro: il nome e l’eventuale eponimico, le indicazioni standard, le dimensioni, l’estremità funzionale. Chiamare con certezza del suo nome un ferro è una questione di professionalità sostanziale, non formale; nonostante lo facesse talora mon Maître, Frédéric Saegesser di Losanna, per il quale ho tuttora una venerazione professionale e umana particolare che chiedeva ‘Ma pince!’ intendendo la O’Shaugnessy – a differenza di Gianfranco Fegiz, sempre preciso e rispettoso dei nomi degli strumenti – ritengo che sia importante che una équipe chirurgica parli tutta la stessa lingua e che questa lingua nasca da uno studio condiviso di come, perché e con cosa si sta eseguendo una procedura.
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Per alcuni Maestri della Chirurgia, rimasti famosi per aver inventato o progettato strumenti chirurgici che tuttora quotidianamente utilizziamo, ho voluto ricordare il loro nome e cognome, la loro immagine fotografica e una breve storia della loro esperienza chirurgica e talora umana, anche per evitarne la offensiva storpiatura del cognome che vediamo talora scritta o vocalizzata per alcuni di essi, come Halsted, Mikulicz, Kocher e altri ancora.
Strumenti chirurgici taglienti
Sono considerati tali, tutti quegli strumenti impiegati per la incisione di tessuti. I principali strumenti appartenenti a tale tipologia sono indubbiamente i bisturi e le forbici.
Bisturi
Utilizzati principalmente per l’incisione cutanea ma anche per incidere o sezionare tessuti molli, visceri, organi o vasi. Sono diversi per impugnatura, dimensioni, lunghezza e forma. Attualmente vengono utilizzati i bisturi pluriuso in metallo a lama intercambiabile come anche quelli monouso già predisposti di lama. Le impugnature dei bisturi pluriuso attualmente usate in chirurgia appartengono al tipo Bard-Parker, n.3 e 4 il più spesso, su cui sono inserite diverse numerazioni di lame quali 10, 11, 15, 22, 24, etc.
Inoltre, esistono bisturi con impugnature delicate che vengono impiegati per interventi di microchirurgia. Le lame si differenziano per forma e taglio: possono essere panciute, lanceolate o a punta. Le lame panciute sono utilizzate principalmente nelle incisioni cutanee dell’addome e del torace etc. Alcune, come ad esempio quelle 15, sono utilizzate per incisioni delicate cutanee. Le lame puntute sono utilizzate per incisioni di ascessi, vasi, vie biliari e a volte la cute (Figura 1).
Le lame sono inserite sull’impugnatura del bisturi in modo alquanto semplice: tenendo fermo con una mano il manico, si introduce nella scanalatura della parte superiore del manico stesso la lama desiderata, afferrandola con due dita dalla parte opposta al tagliente e, con lieve pressione verso il basso, la si incastra nella scanalatura. La rimozione della lama segue la procedura contraria, facendo leva sulla base della stessa. Si consiglia di utilizzare uno strumento appositamente dedicato a questa funzione, per afferrare, inserire e rimuovere la lama ed evitare spiacevoli e pericolosi incidenti da contaminazione e da taglio.
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Figura 1. Bisturi.
1a. Standard pieno, n. 3 e n. 4, 13 cm; standard pieno lungo, n. 3 e n. 4, 21 cm. 1b. Varie tipologie di lame da inserire sul manico. 1c. Varie tipologie di bisturi monouso.
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Forbici
Strumenti taglienti anch’essi, si differenziano tra loro per forma, lunghezza, robustezza e angolatura.
Vengono utilizzate per la dissezione di tessuti, vasi, visceri e per il taglio di fili di sutura e presidi. Sono formate da due branche articolate, la cui parte anteriore presenta la forma tagliente mentre quella posteriore l’impugnatura ad anelli.
Vengono prodotte principalmente in 4 modalità differenti: le tradizionali o standard in acciaio classico martensitico, le performanti con 1 o 2 anelli lucidi o black, supercut e con gli anelli gold , le ceramicate completamente nere, rivestite con materiali che consentono una performance e funzionalità ancora migliori e infine quelle da taglio di sutura, con un anello lucido/nero e uno gold, dedicate a questa funzione. Quelle performanti, tra cui le gold e le supercut presentano lame di taglio in Carburo di Tungsteno che garantisce una maggior durata di superficie di taglio, migliore esecuzione di taglio e lama di taglio affilabile. Le ceramicate possiedono un rivestimento esterno che riduce il riflesso della luce e una migliore efficacia della lama di taglio, grazie alla presenza di una lavorazione e di un rivestimento sulla lama stessa che riduce lo scivolamento del tessuto. In ultimo quelle da taglio di sutura, che hanno lame in Carburo di Tungsteno per trattenere il filo e un’affilatura estremamente resistente e permettono di sezionare le suture senza sforzo, evitando l’utilizzo delle forbici per il tessuto sopra descritte, assai più precise e delicate.
Di regola sono impugnate con le falangi distali del primo e quarto dito negli anelli e con il secondo e terzo dito che, poggiando sulla branca posteriore della forbice, fungono da stabilizzatore per garantire il controllo dello strumento e la direzione di taglio. Il taglio, in genere, è eseguito con la punta della forbice in posizione quanto più verticale per garantire la totale visione di ciò che si seziona e mai in posizione orizzontale poiché, in questo modo, non è visibile la porzione sottostante di ciò che si seziona.
Le forbici adoperate nella chirurgia addominale sono differenti, tra le più comunemente utilizzate distinguiamo: – Forbici di Mayo: utilizzate per la dissezione di tessuti il più spesso robusti, il taglio di fili di sutura e di presidi chirurgici e l’implantologia. La
Mayo è l’unico strumento personale dell’Infermiere Strumentista. Possono essere rette o curve. Hanno una lunghezza più frequentemente utilizzata tra i 14.5 e i 23.5 cm; – Forbici da dissezione tipo Metzenbaum: eleganti, delicate, più sottili della
Mayo per l’isolamento e la dissezione. Hanno una lunghezza più frequentemente usata dai 14.5 ai 31 cm; – Forbici per resezione rettale di Heald; – Forbici vascolari De Bakey, con angolatura più frequentemente usata, 45°/60° – Potts-Smith 25°/40°/60°: indicate nella chirurgia vascolare per la sezione di vasi. Hanno lunghezza dai 17.5 ai 20 cm per quanto riguarda
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le DeBakey, solitamente di 18.5 cm per quanto riguarda le Potts-Smith (Figura 2).
Figura 2. Forbici.
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2a. Forbici di Mayo rette (in figura) o curve, tipo standard, con Carburo di
Tungsteno nelle estremità operative oppure con taglio ondulato/taglio coltello oppure taglio ondulato/taglio forbici oppure in Carburo di Tungsteno con taglio tipo coltello/taglio ondulato, 14-23 cm. 2b. Forbice per dissezione di Metzenbaum curve in acciaio oppure con
Carburo di Tungsteno nelle estremità operative oppure con taglio ondulato/taglio coltello oppure taglio ondulato/taglio forbici oppure in Carburo di Tungsteno con taglio coltello/taglio ondulato oppure in Carburo di Tungsteno con taglio coltello/ondulato ceramicate, 18-31 cm. 2c. Forbici per la chirurgia del retto di Heald, curve, , 32 cm. 2d. Forbici per dissezione di DeBakey curve, 18-20 cm. 2e. Forbici curve per sezionare legature sintetiche con lama dentata – forbice dell’Infermiere Strumentista –, 14-23 cm.
Pinze
Sono considerate tali un numero diversificato di strumenti chirurgici. Le pinze si possono così riassumere: – Pinze da dissezione; – Pinze da presa; – Pinze emostatiche; – Pinze ferma-teli.
Pinze da dissezione.
Le pinze da dissezione si dividono in: pinze chirurgiche, pinze anatomiche, pinze vascolari o atraumatiche, pinze per coagulare. Possono variare la loro lunghezza e se ne trovano di corte, medie, lunghe e lunghissime, in base alla profondità dell’intervento chirurgico.
Le pinze chirurgiche sono munite di presa dentata; vengono impiegate nella prima fase dell’intervento chirurgico, ossia l’incisione, e nell’ultima parte, la sutura; vengono utilizzate dalla cute sino alla fascia e al muscolo e viceversa. Per la loro caratteristica, appunto la dentatura, non sono correttamente utilizzate su organi o visceri. Esempi: pinze di Durante, di lunghezza compresa tra i 14.5 e i 25 cm; pinze di Adson chirurgiche di lunghezza compresa tra i 12 e 15 cm.
Le pinze anatomiche hanno la caratteristica di possedere sulla punta una scanalatura, filettatura, orizzontale atta a facilitare la presa. Sono utilizzate per la presa di tessuti delicati e visceri. Esempi: il modello standard ha lunghezza variabile tra i 10.5 cm e i 30 cm; pinze di Adson, a impugnatura più ampia e punta più sottile hanno una lunghezza variabile tra i 12 cm e i 15 cm; pinze Semken-Taylor a punta più sottile hanno lunghezza variabile tra i 12.5 e i 17 cm, con punta di spessore massimo di 1 mm.
Le pinze vascolari sono dette anche atraumatiche per la caratteristica scanalatura longitudinale sul morso. Sono principalmente adatte per la presa di vasi, nervi e strutture delicate. In chirurgia possono essere sostituite dal
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chirurgo con pinze molto più delicate, o addirittura da microchirurgia, in quelle suture anastomotiche che lo richiedano. Esempio: pinze di DeBakey o di Cushing, di lunghezza variabile tra i 16 e i 24.5 cm con mini profilo da 1 a 2.8 mm. Possono essere anche in Titanio, materiale più costoso, ma più leggero e più resistente.
Le pinze per coagulazione sono pinze rivestite, tipo Rees, che hanno la caratteristica di avere un’impugnatura isolante; servono a coagulare il tessuto afferrato con la pinza stessa, attraverso l’ausilio dell’elettrobisturi. Possono essere mono o bipolari. Quelle bipolari il più spesso sono “a baionetta”, in modo da consentire un miglior campo visivo dell’area di emostasi. Hanno lunghezza compresa fra 8.5 e 23 cm.
Le pinze passafili o cistico o, data la loro forma, “a L”. Ne esistono di vari tipi e misure, con impugnatura ad anelli, cremagliera e morso. Sono utilizzate su strutture anatomiche particolarmente delicate per il passaggio di reperi o fili per legatura. Esempi: pinze di Baby-Adson, di lunghezza di 18 cm; pinze di lunghezza variabile di Overholt, di O’Shaugnessy e di Desjardins.
Pinze emostatiche.
Anch’esse caratterizzate dall’impugnatura ad anelli e dalla cremagliera, si differenziano invece per emostasi temporanea e definitiva. Possono avere diversa lunghezza: baby, corte, medie, lunghe, lunghissime. Inoltre sono distinte in curve e rette. L’azione emostatica definitiva è data dall’azione traumatica di strumenti chirurgici che favoriscono, alla chiusura della cremagliera, la trombosi locale dei vasi. Esempi: pinze di Kocher, curve o rette, hanno scanalatura trasversale lungo tutto il morso, con “dentini” finali in chiusura, e lunghezza compresa tra i 14 e i 26 cm; pinze di Péan o di Crile, curve o rette, sono simili alle Kocher, ma senza dentatura finale; pinze di Kelly, curve o rette, hanno scanalatura trasversale solo nella parte terminale del morso e una lunghezza compresa tra i 14.5 e i 16 cm; pinze di Halsted-Mosquito, curve o rette, con o senza “dentini” finali in chiusura, hanno scanalatura trasversale lungo tutto il morso e lunghezza variabile tra i 10 e i 12 cm.; le pinze di Faure curve e con dentini 1:2 finali in chiusura sono state ideate per l’emostasi dell’arteria uterina.
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4a. Pinza emostatica „Mosquito“ di Halsted, retta (in figura) o curva, senza e con dentini 1:2, a zigrinatura orizzontale e completa delle branche, 14-20 cm. 4b. Pinza emostatica di Kelly, retta (in figura) e curva, senza denti, a zigrinatura orizzontale parziale – distale delle branche, 14 cm. 4c. Pinza emostatica di Péan, retta (in figura) o curva, senza denti, a zigrinatura orizzontale e completa delle branche, 14-17 cm. 4d. Pinza emostatica di Crile, retta (in figura) o curva, senza e con dentini 1:2, a zigrinatura orizzontale e completa delle branche, 14 cm. 4e. Pinza emostatica di Kocher, retta (in figura) o curva, con dentini 1:2, a zigrinatura orizzontale e completa delle branche, 13-18 cm.
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4f. Pinza emostatica di Heiss e per dissezione/legatura di Overholt o di
O’Shaugnessy, curva e di ampiezza variabile, senza denti, a zigrinatura orizzontale e completa delle branche, 23-26-30 cm. 4g. Pinza emostatica di Faure per arteria uterina, curva con dentini 1:2, a zigrinatura orizzontale e completa delle branche, 21 cm.
Pinze da presa e altre.
Le pinze da presa sono quegli strumenti chirurgici caratterizzati da un’impugnatura ad anelli, dalla cremagliera, dalla punta a morso distinto, a dentellatura o a zigrinatura. La loro funzione principale è quella di poter afferrare e trazionare i tessuti con azione atraumatica e a scarso effetto lesivo del morso.
Si distinguono tra loro:
Pinze di Foerster: pinze da presa per tampone e spugne;
Pinze di Duval – Babcock – Allis: triangolari – ovalari – a linea.
Enterostato di Kocher, retto o curvo, e le pinze per anastomosi gastrointestinali gemelle di Lane, vero ‘dinosauro’ della chirurgia digestiva open. La vidi utilizzare l’ultima volta, al mio rientro a Roma dalla Svizzera, a inizio anni ’80; infine la pinza per rimozione dei calcoli biliari di Desjardins.
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Figura 5. Pinze da presa.
5a. Pinza da presa e trazione su tessuti e visceri a dentatura atraumatica sul margine distale libero a cerchio, di Babcock, a triangolo, di Duval, a linea, di Allis, 15-20-25-30 cm. 5b. Pinza per tamponi e da presa di Foerster, retta (in figura) o curva, con morso liscio o a zigrinatura orizzontale e completa degli occhielli, 18-25 cm. 5c. Pinza enterostato, di Kocher, retta (in figura) o curva, con 2 mini-profili longitudinali completi, 21 – 23 cm. 5d. Pinze per anastomosi gastrointestinali gemelle di Lane, rette (in figura) o curve, da solidarizzare con vite con multipli mini-profili longitudinali completi, 30 cm. 5e. Pinza da calcoli biliari di Desjardins, a estremità libera ovoidale per ogni branca, 23 cm.
Pinze fissateli
Le pinze fissateli sono strumenti ormai storici in sala operatoria, per fermare la teleria pluriuso nella preparazione del campo chirurgico. Se ne distinguono di vari tipi: le pinze fissateli di Backhaus, con una lunghezza da 9 a 16 cm, e le pinze fissateli di Bernhard, con una lunghezza di 16.5 cm. Con l’avvento della teleria monouso in carta e adesivi, il loro utilizzo dovrebbe essere attualmente scomparso.
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Figura 6. Pinze fissateli.
6a. Pinza fissateli di Backhaus a morso acuto, 11-16 cm. 6b. Pinza fissateli di Berhard, retta, a morso acuto, 16 cm.
Divaricatori
I divaricatori si differenziano in divaricatori retrattori e divaricatori autostatici. Di entrambe le categorie se ne trovano di svariate forme, misure e meccanismi. La loro funzione è di ottenere un’esposizione favorevole del campo operatorio. I divaricatori retrattori sono maneggiati da assistenti del chirurgo operatore, mentre i divaricatori autostatici mantengono autonomamente la posizione impostata.
Tra i divaricatori retrattori più usati si annoverano: – Divaricatori von Volkmann: acuti e smussi, a più digitazioni da 1 a 6 per sottocute; – Divaricatori Gil -Vernet: a forma di sella, ad asta malleabile specifico per urologia e via biliare; – Divaricatori Richardson – Eastman: composto da una coppia di divaricatori diseguali. Per uso parietale superficiale e a media profondità; detto simpaticamente a Roma “Maleppèggio” come il noto strumento muratorio; – Divaricatori di Fritsch: per uso addominale parietale e sottocostale; – Divaricatori di Farabeuf – Mathieu – Roux:: parietali superficiali; – Divaricatori di Deaver – Doyen – von Mikulicz-Radecki – St. Mark’s/Heald: addominali per grandi profondità;
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Figura 7. Divaricatori parietali superficiali.
7a. Divaricatori cutanei/sottocutanei di von Volkmann, a denti 1:2:3:4:6:, a punta smussa o acuta, 21 cm. 7b. Divaricatori parietali in set di 3, di Roux, curvi alle estremità, diseguali, 15-17 cm. 7c. Divaricatori parietali in set di 2, di Farabeuf, curvi alle estremità, diseguali, 26 cm.
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Figura 8.: Divaricatori retrattori addominali.
8a. Divaricatori parietali in set di 2 di Richardson-Eastman, curvi alle estremità, braccio 26 – 28 cm, profondità e spessore delle valve variabile. 8b. Divaricatore parietale addominale di von Mikulicz-Radecki, Doyen,
Kocher e Kelly, simili a quelli di Deaver e Harrington, che sono più curvi e più sottili; lunghezza 25 cm., spessore e profondità, rispettivamente da 2 a 18 e da 6 a 20 cm. 8c. Divaricatore addomino-pelvico di St. Mark’s/Heald lunghezza di 2326-28 cm., valva di 6-18 cm., sagomata alla estremità libera curva con riduzione dello spessore a circa 4 cm. con profondità di circa 5 cm.
Dei divaricatori autostatici ne citeremo solo alcuni. Escludendo il divaricatore costale di Finochietto, usato prettamente per la chirurgia toracica, i più utilizzati sono: – Divaricatore di Adson: cutaneo/sottocutaneo a denti a punta acuta con apertura a cremagliera; – Divaricatore di Parks: ano-rettale a cremagliera con 2 valve laterali ondulate e 1 valva inferiore;
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– Divaricatore di Gosset: addominale, 16,5 cm., completo di un paio valve laterali dritte e una valva centrale a L o solo due valve laterali arcuate, baby 12 cm. o standard 14 cm; apertura max 16 cm; – Divaricatore di Balfour: addominale, 20 cm., caratterizzato da un’apertura a branca laterale su due binari, con possibilità di aggiunta di una valva centrale a sella; apertura max 19 cm; – Divaricatore di Kirschner: addominale, 30x24 cm., con telaio a cerchio, con 4 valve parietali, standard o per pazienti obesi o per intestino e vescica; – Sistema di divaricatore di Rochard: costituito da 2 morsetti fissaggio, 2 bracci di fissaggio laterali, una barra trasversale esagonale, 2 carrucole mobili, un supporto per divaricatori, uno o più divaricatori dai 5 ai 16 cm.
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Figura 9.: Divaricatori autostatici.
9a. Cutaneo /sottocutaneo di Adson, con lame 3:4 a punta acuta o smussa, 8-13 cm. 9b. Ano-rettale di Parks, a cremagliera con 2 valve laterali ondulate e 1 valva inferiore di 9,5 cm di lunghezza e 7,5 cm di spessore. 9c. Addominale di Gosset, completo di un paio di valve laterali di 6.5 cm. di profondità e 3.5 cm. di spessore e di una valva centrale a L di 6.5 e 6.0 cm. rispettivamente. 9d. Addominale di Balfour, completo di un paio di valve laterali di 6 e 8 cm. di lunghezza e 3 cm. di spessore e di una valva centrale a sella di 7 e 8 cm. rispettivamente. 9e. Addominale di Kirschner su telaio ovalare con dimensioni di 30 per 24 cm., con fino a 4 valve a sella o a L. 9f. Sistema di Rochard, composto da 2 morsetti di fissaggio al letto operatorio, 2 bracci di fissaggio laterali, una barra trasversale esagonale, 2 carrucole mobili, un supporto per divaricatori, fino a 3 divaricatori di uguale profondità 5 cm. e diverso spessore 10-12-16 cm.
Portaaghi – Strumenti necessari in chirurgia per la sutura manuale con ago, anch’essi caratterizzati da impugnatura ad anelli, cremagliera, corpo e morso.
Quest’ultimo può avere inserti in Carburo di Tungsteno per una migliore presa e tenuta sull’ago. Hanno lunghezza, peso, robustezza e dimensioni del morso differenti, che andranno di volta in volta scelti dal chirurgo se-
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condo la profondità addominale, il viscere, la robustezza dei piani, il tipo d’ago. La particolare tipologia del morso consente la tenuta dell’ago nelle differenti dimensioni e fogge. A tale proposito distinguiamo: – Portaaghi delicati; – Portaaghi intestinali; – Portaaghi da parete; – Portaaghi da cute.
I portaaghi delicati hanno impugnatura, manico e morso di ridotto spessore e altrettanta leggerezza. Forniscono all’operatore ottima manualità e precisione, e consentono una sensibilità estrema nella sutura. Sono impiegati nelle suture di strutture e tessuti delicati come visceri, vasi, etc. Se ne trovano in commercio di vari modelli distinti per lunghezza, forma, cremagliera, impugnatura, dimensioni e angolatura del morso. Esempio: portaaghi di Crile-Murray.
I portaaghi intestinali sono quelli necessari per le suture o anastomosi manuali intestinali. Hanno lunghezza e dimensioni del morso diverse secondo il segmento intestinale interessato e la profondità addominale: corti in superficie, medi e lunghi in profondità. Possono essere robusti o delicati a seconda del tipo e del calibro dell’ago da montare. Il portaaghi intestinale classico è il Mayo-Hegar, che ha una lunghezza variabile tra i 14.5 e 30.5 cm.
I portaaghi da parete sono portaaghi per la sintesi di strutture robuste come la parete addominale o toracica. Hanno impugnatura, morso e dimensioni resistenti, capaci di montare aghi di grosso calibro. Un portaaghi da parete è il Mayo-Hegar; meno utilizzati, seppur robusti, sono i portaaghi di von Langenbeck e Mathieu a cremagliera interna a scatto.
I portaaghi da cute sono impiegati per la sintesi cutanea. Sono paragonabili ai portaaghi da parete, ma ne differiscono per le dimensioni più ridotte.
Particolarmente utili in determinate procedure con ridotta possibilità di movimento per il passaggio dell’ago, sono i portaaghi di Finochietto, Heaney, Johnson e Stratte fino a 27 cm, con morso curvo.
Una nota speciale va ai portaaghi con forbice inclusa di Foster-Gillies e Gillies, che consentono di lavorare con un operatore in meno, nei casi di urgenza o di realtà da campo.
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Figura 10. Portaaghi chirurgici.
10a. Portaaghi di Crile-Murray, a morso compatto, con strie longitudinali, delicato, 15 cm. 10b. Portaaghi di Mayo-Hegar, a morso con strie longitudinali, fenestrato nella porzione centrale. Due modelli, uno delicato e uno robusto, 15-30 cm. 10c. Portaaghi di Stratte, Heaney, Johnson, Finochietto, più o meno angolati all’estremità libera del morso, compatto o fenestrato a strie longitudinali (Johnson e Finochietto ), 21 – 27 cm. 10d. Portaaghi di Gillies a morso curvo fenestrato, con lama associata per eseguire contestualmente sezione delle suture, 16 cm.
Aghi per sutura
Sono strumenti chirurgici usati per la sutura diretta. Generalmente sono di acciaio con una percentuale di carbonio e anche rivestiti in nichel per renderli più resistenti. Se ne trovano in commercio di varia misura, forma e rotondità.
Sono costituiti da: – punta; – corpo; – coda.
La punta è indispensabile per facilitare la perforazione e la penetrazione dell’ago all’interno del tessuto; può essere appuntita o smussa. La forma della punta varia: conica, a lama e a tronco di piramide.
Il corpo serve per l’allocazione dell’ago al porta-aghi. Visto in sezione può essere rotondo, triangolare, rettangolare, pentagonale o esagonale. Generalmente, la maggior parte degli aghi hanno corpo e sezione circolare per ridurre al minimo il diametro del foro d’ingresso.
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Fondamentali in Chirurgia
La coda rappresenta la parte terminale dell’ago e ha il compito di trasportare il filo. Di coda ne esistono di due tipi: quella degli aghi tradizionali e quella degli aghi atraumatici.
Gli aghi tradizionali sono aghi con la caratteristica di essere molto resistenti. Sono riutilizzabili previa sterilizzazione e non più usati nell’attuale pratica chirurgica. Tali aghi sono costituiti da una cruna semplice o flessibile e fissurata posteriormente su cui, con lieve pressione, si posiziona il filo desiderato.
Gli aghi atraumatici sono i più comunemente usati e diffusi in chirurgia. Hanno la caratteristica di avere la coda a forma cilindrica cava che continua con il filo di sutura senza variarne il calibro. Questo consente una minore atraumaticità al passaggio dell’ago sul tessuto. Per la loro caratteristica di continuità tra ago e filo sono prettamente aghi monouso.
Secondo la curvatura che possiedono, gli aghi si distinguono essenzialmente in tre tipi: – Aghi retti: per suture manuali; – Aghi mezzi-curvi; – Aghi curvi.
Gli aghi retti sono attualmente utilizzati esclusivamente per il confezionamento di borse di tabacco per le anastomosi meccaniche. Sono poco utilizzati per le suture manuali tissutali e per le anastomosi intestinali. Sono detti manuali perché non sono montati su portaaghi.
Gli aghi mezzi-curvi hanno forma a slitta e sono prettamente utilizzati nelle suture superficiali, cutanee.
Gli aghi curvi sono i più utilizzati in chirurgia, hanno raggi di curvatura diversi secondo il tipo di sutura, prevalentemente mezzo-cerchio.
Queste ultime due tipologie di aghi devono sempre essere montati su portaaghi.
Gli aghi 3/8 sono utilizzati per suturare la cute o piani non molto profondi; 1/2 per suture interne o piani profondi; 5/8 per piani molto profondi o accessi difficoltosi e stretti. L’ago deve penetrare nel tessuto da suturare preferibilmente con un’angolatura di 90° per ridurre al minimo la dimensione del foro di entrata.
COME MONTARE l’AGO SUL PORTA-AGHI: il portaaghi deve afferrare l’ago a 1-2 cm circa dall’estremità del morso nel punto di passaggio tra 1/3 medio e 1/3 prossimale dell’ago. Il movimento sull’asse portaaghi-mano-avambraccio deve essere rotatorio e deve accompagnare la curvatura dell’ago riprendendo la punta in uscita, non il corpo come orribilmente talora si vede fare…
Ciotole
Pur non essendo un vero e proprio strumento chirurgico, fanno parte del tavolo operatorio. Sono contenitori in genere di forma tonda e reniforme, di diversa misura e capienza; indispensabili durante l’atto chirurgico per
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il contenimento di soluzioni o disinfettanti occorrenti o tamponi rotondi o elastici o nastri.
Clip e posa-clip
Le clip sono dei presidi chirurgici predisposti per l’occlusione dei vasi e/o la marcatura di segmenti anatomici/istologici. Se ne trovano in commercio sia in Titanio sia in acciaio, ma anche in materiale plastico. La loro applicazione avviene previo l’utilizzo di strumenti chiamati posa-clip, di varia forma e lunghezza, con morso sottile, medio o grande, a seconda del tipo di clip da applicare. Di posa-clip in commercio si trovano oltre a quelle pluriuso, riutilizzabili previo sterilizzazione, anche monouso in materiale plastico, contenenti all’interno clip, di norma in numero di 20, già predisposte per l’uso.
Chirurghi che hanno lasciato il proprio nome a strumenti chirurgici tuttora abitualmente in uso in Chirurgia.
Alfred W. ADSON (1887-1951) Componente dello Staff della Mayo Clinic fin dal 1917 e all’Università del Minnesota a Rochester, fino al 1946 come Professore di Neurochirurgia. Presidente della Society of Neurological Surgeons nel 1932/1933. Ideò le forbici, i divaricatori e le pinze che portano il suo nome.
Donald C. BALFOUR (1882 – 1963) Canadese, fu presentato nel 1907 ai fratelli Mayo e divenne Assistente di Anatomia Patologica e nel 1909 Junior Surgeon; nel 1910 sposò Carrie Mayo, figlia di William, e nel 1912 fu nominato Chief di una Divisione di Chirurgia Generale alla Mayo Clinic. Si interessò prevalentemente di chirurgia dello stomaco e del duodeno, su cui scrisse una monografia. Disegnò numerosi strumenti chirurgici tra cui il divaricatore addominale a tre valve, due laterali e una centrale, un tavolo operatorio e vetri di sala operatoria.
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George W. CRILE (1864 – 1943) Tra i co-fondatori della Cleveland Clinic nel 1921. Pioniere della Chirurgia, si occupò del trattamento delle infezioni e dello shock, di anestesia, di emotrasfusioni e di chirurgia toracica. Recentemente gli è stato intitolato un cratere lunare circolare di 9 km di diametro nel Palus So. Una nota pinza emostatica senza denti, retta o curva, a zigrinatura orizzontale per tutta la lunghezza delle branche, porta il suo nome.
Harvey W. CUSHING (1869 – 1939) Collaborò con Ernest Codman alla Ether Chart, una delle prime schede anestesiologiche, alla quale aggiunse la misurazione della pressione arteriosa osservata a Pavia con lo sfigmomanometro di Scipione Riva Rocci. Allievo di Halsted al Johns Hopkins Hospital di Baltimora. Intraprese il Tour europeo dapprima presso Theodor Kocher a Berna; tornò a Baltimora nel 1902 e nel 1912 fu nominato Professore di Chirurgia all’Università di Harvard. Descrisse la nota malattia e sindrome di Cushing, condizione patologica endocrina della ipofisi e del surrene. Rivoluzionò la Neurochirurgia, inventò il bisturi elettrico in collaborazione con il fisico William Bovie. Nel 1933 fu nominato Professore di Neurologia a Yale.
Michael E. DeBAKEY (1908 – 2008) Uno dei fondatori della moderna Cardiochirurgia, realizzatore di un cuore artificiale. Nel 1953 eseguì con successo la prima endoarterectomia carotidea nel suo ospedale, il Methodist Hospital. Successivamente, nel 1964, ha eseguito per primo il bypass aorto-coronarico. Numerosissimi sono gli strumenti – forbici, ferri delicati atraumatici, come pinze da dissezione e clamp vascolari – che portano il suo nome.
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Eugène-Louis DOYEN (1859 – 1916) Chirurgo privato a Parigi con clientela benestante. Tecnicamente abile e innovatore, molti strumenti tra cui un divaricatore addominale autostatico, portano tuttora il suo nome. Antesignano della fotografia e della cinematografia in chirurgia, produsse numerosi film di tecnica chirurgica tra cui una craniotomia, una isterectomia addominale, un intervento di separazione di gemelli siamesi uniti nel processo xifoideo dello sterno.
Francesco DURANTE (1844 – 1934) Siciliano di Letojanni, dal 1877 Direttore della Clinica Chirurgica dell’Università di Roma, alloggiata presso l’Ospedale San Giacomo. Nel 1897 inaugurò il Policlinico Umberto I di Roma, dove diresse fino al 1919 la Clinica Chirurgica e dove si conserva un busto bronzeo in suo onore. Co-fondatore nel 1882 della Società Italiana di Chirurgia, ne fu successivamente Presidente. Massone e Senatore, laico anti-clericale, del Regno d’Italia durante la XVI legislatura. Nel 1898 pubblicò il suo trattato di Chirurgia. Porta il suo nome la pinza chirurgica con denti, tuttora largamente in uso. Louis H. FARABEUF (1841 – 1910) Professore di Anatomia a Parigi nel 1887, descrisse il triangolo nella regione laterale del collo, con base superiore costituita dal nervo ipoglosso, vena giugulare interna posteriormente e vena faciale comune anteriormente. Inventore di un certo numero di strumenti chirurgici, pinze e divaricatori.
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Jean-Louis FAURE (1863-1944) Chirurgo, Professore di Clinica Ginecologica a Parigi nel 1918, Presidente della Société Francaise de Chirurgie nel 1925. Partecipa alla spedizione polare in Groenlandia nel 1932 guidata da Jean-Baptiste Charcot con la nave Pourquoi Pas?. Conclude la sua vita come Vigneron nella tenuta paterna, dove viene attualmente prodotto un Bordeaux Gran Cru Classé, de Saint-Emilion. Ideò la pinza curva a denti con zigrinatura totale orizzontale per ‘mordere’ e interrompere l’arteria uterina.
Enrique FINOCHIETTO (1881 – 1948) Argentino, dopo un lungo Tour in Europa e negli Usa, in particolare presso la Mayo Clinic, ritornò a Buenos Aires dove fu nominato Chief della Chirurgia al Rawson Hospital, dove lavorò con i fratelli Miguel Angel e Ricardo. Nel 1922 Presidente della Società di Chirurgia di Buenos Aires. Avido fan del Tango, fu molto amico di Julio de Caro, che compose per lui nel 1925 Buen Amigo. Nel 1929 riparò, per primo in Argentina con successo, una ferita d’arma da fuoco del cuore in un minorenne. Nel 1936 ideò il divaricatore costale con valve laterali che porta tuttora il suo nome, associato a quello di DeBakey che vi apportò piccole modifiche; viene ricordato anche per lunghe pinze da dissezione e legatura.
Antonin GOSSET (1872 – 1944) Chirurgien-Chef all’Hôpital Salpêtrière a Parigi; Professore di Clinica Chirurgica dal 1920. Presidente della Société Française de Chirurgie e Presidente-Fondatore della Société d’Anesthésiologie. Porta il suo nome il divaricatore autostatico parietale a due valve laterali.
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William S. HALSTED (1852 – 1922) Fu Visitor nel suo Tour europeo di 2 anni di tutti i più grandi Chirurghi dell’epoca, fu soprattutto allievo di Theodor Billroth, padre della Chirurgia Gastrica, di Edoardo Bassini, di Jan Mikulicz, di Richard von Volkmann. Fu tra i primi chirurghi americani a praticare interventi sulla colecisti per calcolosi biliare. Mise a punto una nuova tecnica di ernioplastica inguinale e fu il più importante precursore della terapia chirurgica radicale del cancro della mammella, con la tecnica di mastectomia ancora oggi riconosciuta secondo Halsted. Nel 1882 effettuò una dei primi interventi in USA sulla colecisti a sua madre sul tavolo della cucina di casa: una ostomia rimuovendo 7 calcoli; la madre guarì. “Maniaco” dell’anti-sepsi e della asepsi preoperatoria, nel 1889 commissionò, alla Goodyear, guanti di gomma per proteggere le mani della sua nurse. Nel 1888 si trasferì nel Maryland a Baltimora, presso la Johns Hopkins University, dove divenne Professore di Clinica Chirurgica e fu uno dei Big Four insieme a Osler, Internista; Kelly, Ginecologo; Welch, Patologo, Morì per le complicanze di un intervento di coledocolitotomia per calcolosi del coledoco, residua ad una colecistectomia. Lo ricordiamo per le piccole pinze emostatiche Halsted-Mosquito con e senza denti, curve o rette, a zigrinatura orizzontale per tutta la lunghezza delle branche e altri strumenti che portano il suo nome.
Richard J. HEALD (1936-) Professore di Chirurgia all’Università di Southampton; Consultant Surgeon, Basingstoke and North Hampshire Hospital, NHS Foundation Trust; Direttore della Pelican Cancer Foudation. Pioniere della TME e padre della intuizione dell’Holy Plane nella Chirurgia del Cancro del Retto nel 1988. Presidente del Colorectal Group allo Champalimaud Foundation for the Unkown in Lisbona. Tutti i chirurghi che si sono occupati della chirurgia del retto hanno avuto occasione di incontrarlo nell’Hampshire o in eventi congressuali. La lunga forbice curva per la chirurgia del retto e un divaricatore pelvico tipo St. Mark’s portano il suo nome.
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Alfred H.L. HEGAR (1830 – 1914) Professore di Clinica Ostetrica e Ginecologica all’Università di Friburgo in Germania è noto per i dilatatori uterini e per il segno clinico di rammollimento del collo dell’utero, diagnostico di gravidanza. Molti portaaghi prendono il suo nome.
Howard A. KELLY (1858 – 1943) Ginecologo statunitense, insieme a William Osler, William Halsted e William Welch costituì i Big Four, fondatori del Johns Hopkins Hospital di Baltimora in Maryland. Innovò il cistoscopio, modificò le pinze emostatiche con e senza denti, curve o rette, con sola mezza branca distale zigrinata orizzontalmente.
Emil Theodor KOCHER (1842 – 1917) Bernese, Professore di Clinica Chirurgica all’Università di Berna nel 1872. Introdusse l’antisepsi in Svizzera. Nel 1878 eseguì per primo la tiroidectomia per gozzo e, in pochi anni, ne eseguì oltre 2000 interventi. Ultimo Chirurgo a essere insignito del
Premio Nobel per la Medicina nel 1909 per i suoi
studi sulla fisiopatologia della ghiandola tiroide. È stato uno dei Padri della Chirurgia moderna. Ricordiamo tuttora nella quotidianità delle sale operatorie la sua pinza emostatica a denti, curve o rette, a zigrinatura orizzontale per tutta la lunghezza delle branche e altri ferri.
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Fratelli MAYO: il US Postal Service l’11 settembre 1964 stampò un francobollo da 5 cents dedicato ai 2 fratelli Mayo, entrambi facenti parte della Loggia 21 di Rochester, GL Minnesota.
William J. MAYO (1861 – 1939) Fu fra i primi chirurghi ad eseguire un’appendicectomia. Fu fra i quaranta fondatori della Society of Clinical Surgery nel 1903 e fondò con il fratello Charlie il Saint Marys Hospital a Rochester nel Minnesota, poi diventato la Mayo Clinic. Operò costantemente al Saint Marys Hospital quasi esclusivamente con il fratello Charles, prevalentemente in Chirurgia toracica e pelvica. La sua mortalità perioperatoria nell’appendicectomia si ridusse al di sotto dell’1%. Numerosi strumenti chirurgici, i più noti sono le forbici e porta-aghi, prendono il suo nome. Nel 1931, intervistato dal NYT predisse che nel 2011 la speranza di vita dell’uomo nei Paesi sviluppati avrebbe superato i 70 anni. “ We think of truth as something that is invariable, but add a new circumstance and we have a new truth”.
Charles H. MAYO (1865 – 1939) Operava quasi costantemente insieme al fratello Will; si dedicò prevalentemente alla Chirurgia Oculistica e alla Neurochirurgia. Fondò con il fratello maggiore il Saint Marys Hospital a Rochester nel Minnesota, poi diventato la Mayo Clinic. Nel 1916 affermò: “The keynote of progress…is system and organization – in other words team work”.
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Myron METZENBAUM (1876 – 1944) Nel 1910 si specializza in ORL, presso la Crile Clinic, poi diventata Cleveland Clinic. Creatore, per necessità, delle famose leggere ed eleganti forbici Metz, a causa delle sue mani piccole e del ridotto e angusto spazio di utilizzo di forbici più grandi durante gli interventi di tonsillectomia.
Johann von MIKULICZ-RADECKI (1850 – 1905) Studente in Medicina e poi Assistente di Theodor Billroth a Vienna, di nobile famiglia polacca nell’Impero Asburgico. Parlava più lingue e quando gli si domandava di quale nazionalità fosse, rispondeva : Surgeon. Professore di Clinica Chirurgica a Cracovia nel 1882, a Koenisberg nel 1887, a Breslavia nel 1890. Innovatore in Chirurgia, contribuì enormemente allo sviluppo della chirurgia oncologica dell’apparato digerente, soprattutto colica: nel 1885 fu il primo a suturare un’ulcera gastrica perforata, nel 1886 resecò per primo un segmento esofageo, nel 1903 rimosse un segmento colico sinistro sede di neoplasia. Numerosi i suoi interventi eponimici: piloroplastica e stritturoplastica intestinale. Cultore dell’antisepsi, adottò il lavaggio ‘chirurgico’ delle mani, introdusse i guanti di gomma e le mascherine in sala operatoria; eseguì per primo una ureteroenterostomia e una ileocistostomia con successo. Utilizzò il drenaggio intraperitoneale con garze e inventò il più classico dei divaricatori parietali addominali, lievemente ricurvo nella estremità libera terminale, che tutti i giovani chirurghi hanno ‘praticato’.