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Note di endoscopia chirurgica delle principali malattie dell’apparato digerente
ERAS in chirurgia colo-rettale 345
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Capitolo 20
Giulia ROCCO*, Maria Carlotta SACCHI*, Roberto FAGGIANI**, Ilaria FAGGIANI*** Costantino ZAMPALETTA**** * Dirigente medico – UOC Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, ASL Viterbo ** Direttore UOC Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma *** Medico Interno – Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma **** Direttore UOC Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, ASL Viterbo
Endoscopia nel cancro colo-rettale
Nell’ultimo ventennio l’endoscopia ha assunto un ruolo sempre più rilevante nella gestione delle lesioni del tubo digerente. Grazie all’avanzamento delle tecniche di resezione, endoscopica tale metodica consente oggi una rimozione curativa e minimamente invasiva della maggior parte delle lesioni superficiali della mucosa, dall’esofago al retto.
Per quanto riguarda il carcinoma del colon retto (CCR), la colonscopia è in molti Paesi la metodica di scelta per lo screening del CCR.
Lesioni Colo-Rettali: classificazioni e tecniche di imaging avanzato
Da un punto di vista diagnostico con la colonscopia oggi è possibile non solo individuare precocemente lesioni potenzialmente neoplastiche, ma anche predirne l’invasione della sottomucosa e definire quindi l’approccio terapeutico più efficace. Nel contesto di una strategia “patient and lesion-centered” (1) sono state create diverse classificazioni basate sulla morfologia della lesione o sul pattern di superficie di ausilio nella definizione delle lesioni rimuovibili endoscopicamente.
La classificazione di Parigi (2) definisce la morfologia delle lesioni superficiali della mucosa, differenziando le lesioni polipoidi e non polipoidi, ed è in grado di predire, con buona accuratezza, il rischio di invasione della sottomucosa.
Per la valutazione del pattern di superficie sono state sviluppate tecniche di imaging sempre più avanzate, in grado di migliorare la visualizzazione della mucosa e rendere più evidenti i dettagli strutturali e microvascolari delle lesioni (3).
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Fondamentali in Chirurgia
La classificazione NICE (4) si basa sull’utilizzo della cromoendoscopia virtuale per definire il pattern della superficie delle lesioni. Ha una buona accuratezza nel predire l’invasione profonda con una sensibilità del 58.4% e una specificità del 96.4%. Il tipo 1 secondo NICE identifica le lesioni iperplastiche, in cui il colore della lesione, i vasi e il pattern di superficie sono omogenei e simili alla mucosa normale circostante. Il tipo 2 identifica le lesioni adenomatose superficiali, in cui il pattern di superficie è caratterizzato da strutture ovalari, tubulari o ramificate circondate da vasi che, grazie al filtro ottico, assumono un colore marrone. Infine la tipo 3 identifica le lesioni neoplastiche avanzate con invasione profonda della sottomucosa, in cui i vasi sono assenti o scarsamente rappresentati e il pattern di superficie appare destrutturato.
La Kudo (5) è una classificazione di cromoendoscopia che si avvale della magnificazione ed è in grado di individuare con maggiore accuratezza lesioni avanzate associate a rischio significativo di metastasi linfonodali a distanza, per le quali è raccomandato pertanto l’approccio chirurgico.
Altri fattori di rischio di invasione della sottomucosa, sebbene la loro accuratezza non sia stata ancora definita, sono il mancato sollevamento della lesione (lifting sign), la retrazione dei bordi ai margini della lesione, la convergenza delle pliche, il sanguinamento spontaneo.
Lesioni Colo-Rettali: tecniche di resezione endoscopica
Tutte le lesioni superficiali del colon a basso potenziale di invasione della sottomucosa possono essere rimosse efficacemente, con intento curativo, mediante tecniche di endoscopia, polipectomia standard o Endoscopic Mucosal Resection (EMR).
Il carcinoma intramucoso per definizione è confinato alla mucosa e pertanto non è associato a rischio di metastasi a distanza. La sua rimozione endoscopica è quindi da considerarsi curativa.
Per quanto riguarda le lesioni sospette di invasione superficiale della sottomucosa la tecnica di scelta dovrebbe essere quella che assicuri una resezione en-bloc di tutta la lesione, in modo da fornire un campione istologico adeguato alla definizione dei margini di resezione, dell’invasione linfovascolare e del grading istologico. Pertanto la scelta varia tra tecniche endoscopiche come EMR o Endoscopic Submucosal Dissection (ESD) o il trattamento chirurgico.
Il limite maggiore della tecnica EMR risiede nella difficoltà a ottenere una resezione en-bloc di lesioni di grandi dimensioni; pertanto la sua scelta dovrebbe essere limitata a lesioni ≤ 20 mm. L’ESD offre la possibilità di superare questo limite, tuttavia è una procedura tecnicamente più difficile, gravata da tempi procedurali più lunghi e un rischio maggiore di complicanze, come perforazione e sanguinamento.
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Indipendentemente dal tipo di tecnica utilizzata la rimozione endoscopica è considerata curativa quando è en-bloc, i margini di resezione laterali e verticali sono negativi (R0), la lesione è ben differenziata (G1-G2), non vi è invasione linfovascolare e le cellule neoplastiche sono confinate alla mucosa con invasione della sottomucosa ≤ 1 mm (6). Lesioni che non soddisfano anche uno di questi criteri, presentano un significativo rischio di metastasi linfonodali, per cui dovrebbero esser riferite al trattamento chirurgico.
Il polipo cancerizzato
La dizione “polipo cancerizzato” include quelle lesioni polipoidi o non, il cui esame istologico ha rilevato foci di cellule neoplastiche che oltrepassano la muscolaris mucosae e invadono la sottomucosa, pT1 secondo classificazione TNM (7).
La presenza di fattori ad alto rischio di diffusione metastatica permette di stabilire il management successivo alla rimozione endoscopica.
Fattori che rendono il polipo cancerizzato ad alto rischio di diffusione metastatica, che pertanto deve essere riferito a chirurgia, sono: il grading istologico avanzato (G3, G4), l’invasione linfovascolare, i margini di resezione positivi (R1) o non valutabili (Rx), la presenza di budding tumorale e il livello di infiltrazione della sottomucosa. Quest’ultimo parametro è definito sulla base della morfologia della lesione (8-9).
Le lesioni polipoidi sessili o non polipoidi presentano un rischio metastatico significativamente superiore quando la sottomucosa risulta infiltrata per più di 1 mm, sm2-sm3 sec. Kikuchi. Per i polipi peduncolati nella classificazione di Haggitt sono considerate ad alto rischio di metastasi linfonodali le lesioni in cui le cellule neoplastiche si estendono oltre il peduncolo invadendo la sottomucosa della parete colica (Haggitt 4).
In assenza di fattori di rischio di diffusione metastatica, polipo cancerizzato low risk, è possibile proseguire con un follow-up endoscopico.
Timing endoscopico perichirurgico
Lesioni del colon ove è sospettata un’invasione sottomucosa profonda o lesioni superficiali non efficacemente rimosse endoscopicamente devono essere tatuate per essere correttamente identificate e localizzate durante il successivo trattamento chirurgico. Il prodotto attualmente preferito è una sospensione sterile di particelle di carbone che viene iniettata 3 cm distalmente alla lesione in due-tre punti distinti della parete del colon. Per lesioni localizzate in regioni anatomicamente facili da individuare come il cieco, la valvola ileo-ciecale e il retto distale si può soprassedere all’esecuzione del tatuaggio. I pazienti con una diagnosi di carcinoma del colon retto presentano un rischio aumentato rispetto alla popolazione generale di neoplasie metacrone, definite dal riscontro di un’altra neoplasia durante la sorveglianza endoscopica. Al fine di ridurre il rischio di neoplasie metacrone è indicato
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Fondamentali in Chirurgia
in tutti i pazienti eletti al trattamento chirurgico per CCR eseguire una colonscopia di qualità “perioperatoria”, prima o entro i 6 mesi successivi all’operazione, ed eseguire la prima colonscopia di sorveglianza un anno dopo l’intervento chirurgico.
Quest’ultima ha inoltre come obiettivo, l’identificazione precoce della ricorrenza postoperatoria.
Il successivo timing della sorveglianza endoscopica è finalizzato all’identificazione e rimozione di lesioni preneoplastiche e quindi a prevenire la formazione di successivi CCR.
Per tale ragione e per la mancanza di un significativo beneficio sulla sopravvivenza non è indicato eseguire una sorveglianza endoscopica intensiva. La strategia di sorveglianza generalmente raccomandata prevede una seconda colonscopia dopo 3 anni e la successiva dopo ulteriori 5 anni. Tale timing può essere modificato in caso di riscontro di lesioni ad alto rischio durante la sorveglianza (10).
Endoscopia nelle patologie delle vie biliari
Nell’ambito delle patologie delle vie biliari la Colangio-Pancreatografia Retrograda Endoscopica (CPRE) svolge un ruolo oggi non solo diagnostico ma soprattutto terapeutico.
La coledocolitiasi è la più frequente indicazione all’esecuzione di CPRE. Questa condizione è conseguente all’impatto di calcoli a livello della via biliare principale; può essere del tutto asintomatica o manifestarsi con dolore addominale o con le complicanze legate all’ostruzione del coledoco (ittero, colangite, colecistite, pancreatite acuta). In considerazione delle suddette complicanze che si verificano nel 10-25% dei pazienti non trattati e che possono avere sequele anche gravi, l’estrazione dei calcoli mediante CPRE è raccomandata anche in pazienti con coledocolitiasi asintomatica.
La presenza o meno di complicanze e la loro gravità, identificando i pazienti che maggiormente gioverebbero di un drenaggio endoscopico precoce, permettono di definire il timing per l’esecuzione della procedura. La colangite acuta è definita in base ai criteri Tokyo 2018 come la presenza di segni sistemici di infiammazione, evidenza biochimica di colestasi o ittero e la presenza di dilatazione e/o ostruzione della via biliare all’imaging. Per pazienti con colangite severa è raccomandato eseguire una CPRE entro 12-24 ore, mentre una colangite moderata è indicazione a una CPRE entro 24-48 ore. In assenza di questi criteri la CPRE può essere eseguita in elezione (11).
Dopo il trattamento della coledocolitiasi mediante CPRE è raccomandata l’esecuzione di una colecistectomia laparoscopica, preferibilmente entro due settimane dal drenaggio endoscopico. Tale indicazione è formulata con l’obiettivo di evitare una recidiva di coledocolitiasi ed eventi acuti biliari a essa correlata, come ad esempio colangite acuta, pancreatite acuta.
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Numerosi studi hanno infatti dimostrato il beneficio della colecistectomia precoce sulla ricorrenza di eventi biliari che raggiunge una frequenza del 20% nei pazienti in attesa di chirurgia (12). Anche se generalmente la CPRE viene eseguita prima della colecistectomia, una possibile opzione è l’estrazione di calcoli durante l’operazione, tramite l’esplorazione laparoscopica del dotto biliare comune o tramite CPRE intraoperatoria. Non vi sono differenze in termini di morbilità, mortalità e tasso di successo, eccetto che per un ridotto rischio di pancreatite post-CPRE per la tecnica intraoperatoria a fronte, tuttavia, di tempi chirurgici maggiori. La scelta dovrebbe essere guidata dalla disponibilità e dall’expertise locale (13).
La coledocolitiasi è una condizione che dovrebbe essere ricercata anche durante la gestione di una colecistite acuta, infatti essa è presente nel 5-15% delle colecistiti acute (14). La presenza di calcolosi della via biliare principale può essere sospettata dall’incremento degli indici di colestasi, anche se tali test hanno una scarsa accuratezza e pertanto devono essere confermati da esami diagnostici. L’ecografia è l’esame di scelta, permette di identificare sia direttamente il calcolo nella via biliare principale, sia la dilatazione del coledoco o delle vie biliari come segni indiretti. La colangioRM e l’ecoendoscopia rappresentano metodiche di II livello da eseguire nel caso in cui l’ecografia non sia stata dirimente.
La scelta se eseguire la CPRE in tale setting dipende dal rischio individuale di coledocolitiasi (15). Pazienti a rischio elevato di calcolosi della via biliare principale devono essere sottoposti a CPRE preoperatoria, mentre pazienti a rischio intermedio devono essere sottoposti a imaging di II livello. Infine, i pazienti a basso rischio, ovvero quelli in cui non vi è evidenza clinico-laboratoristica e/o radiologica di coledocolitasi possono essere sottoposti direttamente a colecistectomia.
Ruolo della CPRE nelle stenosi biliari
L’endoscopia ha assunto negli ultimi anni un ruolo sempre maggiore nel percorso diagnostico-terapeutico delle neoplasie delle vie biliari. Dal punto di vista diagnostico, oltre alla possibilità di ottenere immagini colangiografiche ed eseguire il brushing delle vie biliari, è oggi possibile ottenere campioni istologici tramite tecniche di colangioscopia.
Nella malattia maligna delle vie biliari suscettibile di intervento chirurgico non è consigliato di routine il drenaggio biliare mediante posizionamento di stent, che tuttavia è riservato a pazienti con colangite o ittero severo sintomatico, in caso di chirurgia ritardata o prima di iniziare una chemioterapia neoadiuvante, se presente ittero. In tal caso dovrebbe essere favorito il drenaggio per via endoscopica piuttosto che quello per via percutanea o chirurgico. Inoltre, per quanto riguarda le neoplasie ilari, si suggerisce la valutazione della resecabilità delle lesioni in assenza di stent
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Fondamentali in Chirurgia
biliari, in quanto influenza negativamente l’accuratezza delle tecniche di imaging.
Nella malattia biliare maligna non suscettibile di intervento chirurgico lo stenting biliare rappresenta il trattamento palliativo di scelta in caso di ittero e/o di altre complicanze legate all’ostruzione biliare. La scelta della tecnica di drenaggio biliare, endoscopica vs. percutanea, più efficace e sicuro dipende dalla localizzazione della malattia. Per quanto riguarda le neoplasie ilari tipo Bismuth I e II ha indicazione il drenaggio endoscopico, mentre per le stenosi tipo Bismuth III e IV è suggerito il drenaggio percutaneo combinato o meno a quello endoscopico.
Oltre alla gestione delle stenosi neoplastiche, lo stenting biliare è una valida opzione anche per le stenosi biliari benigne, che possono occorrere dopo un intervento di trapianto ortotopico di fegato o secondarie a pancreatite cronica (16).
Ruolo della CPRE nei leak biliari
Le lesioni iatrogene delle vie biliari rappresentano una possibile complicanza della chirurgia bilio-pancreatica.
Ad eccezione della transezione del dotto biliare principale, altri leak biliari possono essere efficacemente trattati endoscopicamente con molteplici modalità come il posizionamento di stent nella via biliare, mediante un drenaggio naso-biliare o l’esecuzione della sfinterotomia.
Quest’ultima sembra tuttavia associata a maggiori complicanze, come colangite e pancreatite e tempi di chiusura della fistola più lunghi.
Dati recenti hanno dimostrato che il tempo che intercorre tra il danno all’albero biliare e il suo trattamento non modifica gli outcome clinici (17).
Nel caso di leak biliari post colecistectomia, refrattari al posizionamento di stent biliari in plastica, uno stent metallico auto espandibile totalmente ricoperto è preferibile rispetto allo stenting in plastica multiplo.
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Esofago 1,2
Le lesioni neoplastiche dell’esofago possono originare dall’epitelio squamocellulare o da epitelio colonnare metaplasico, Esofago di Barrett.
Quando tecnicamente fattibili, le procedure di resezione endoscopica devono essere considerate come prima scelta rispetto alla chirurgia, in pazienti selezionati, alla luce del migliore profilo di sicurezza.
È raccomandata un’accurata valutazione delle lesioni potenzialmente neoplastiche mediante endoscopia ad alta risoluzione in associazione a tecniche di imaging avanzate, come ad esempio la cromoendoscopia.
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Fondamentali in Chirurgia
Esofago di Barrett/adenocarcinoma esofageo
L’esofago di Barrett è definito dalla presenza di almeno 1 cm di lunghezza di metaplasia intestinale specializzata che sostituisce l’epitelio squamoso dell’esofago distale. È una condizione precancerosa con una bassa incidenza di evoluzione verso l’adenocarcinoma dell’esofago (0.3%/anno); pertanto la sorveglianza endoscopica è attualmente raccomandata nei pazienti con Esofago di Barrett.
L’endoscopia con sistemi ad alta definizione (HD-WLE) e l’esecuzione di un adeguato campionamento bioptico è attualmente il gold standard nella sorveglianza dell’Esofago di Barrett ed ha l’obiettivo di rilevare precocemente, anche in assenza di lesioni visibili, la presenza di displasia.
La resezione endoscopica è raccomandata per lesioni visibili caratterizzate istologicamente da qualsiasi grado di displasia o in presenza di early cancer. La tecnica di scelta è la mucosectomia (EMR – endoscopic mucosal resection). La dissezione sottomucosa (ESD – endoscopic submucosal dissection), in considerazione dell’elevato tasso di complicanze e della difficoltà tecnica, può essere considerata per lesioni maggiormente a rischio di invasione della sottomucosa o quelle in cui l’EMR non consentirebbe una resezione en bloc (i.e. “bulky lesion”).
Indipendentemente dalla tecnica utilizzata, è considerata curativa la resezione en bloc di lesioni intramucose (T1a). Nei pazienti in cui viene eseguita una resezione en bloc di lesioni con invasione superficiale della sottomucosa (< 500 μm), ma senza caratteristiche ad alto rischio di metastasi linfonodali (scarsa differenziazione, invasione linfovascolare) il management successivo dovrebbe essere stabilito da un team multidisciplinare bilanciando il rischio chirurgico con il rischio di metastasi a distanza.
In assenza di lesioni visibili, ma con riscontro bioptico di displasia di basso o alto grado, l’ablazione endoscopica del segmento di Esofago di Barrett dovrebbe essere proposta. In tale contesto e anche dopo la resezione endoscopica di lesioni visibili la radiofrequenza con ablazione di tutto l’epitelio di Barrett è a oggi la tecnica con il miglior profilo di sicurezza ed efficacia.
Carcinoma squamocellulare dell’esofago
Come per l’adenocarcinoma, la resezione endoscopica è la prima scelta in caso di carcinoma squamocellulare confinato alla mucosa. Il trattamento ottimale dipende dalle dimensioni, che influenzano la possibilità di rimozione en bloc, e dalle caratteristiche istopatologiche del campione resecato.
Va inoltre considerato che il carcinoma squamocellulare ha un rischio di metastasi linfonodali maggiore rispetto all’adenocarcinoma dell’esofago; pertanto l’estensione dell’invasione della sottomucosa, considerato a rischio significativo di metastasi a distanza, è minore rispetto all’adenocarcinoma.
La mucosectomia endoscopica è generalmente da limitarsi a lesioni < 10 mm, mentre per dimensioni maggiori è raccomandata la ESD.
Note di endoscopia chirurgica delle principali malattie dell’apparato digerente 355
Una resezione en bloc, RO, di lesioni confinate alla mucosa è considerata curativa. Mentre, in caso di lesioni ben differenziate, resecate en bloc ma con coinvolgimento della sottomucosa < 200 μm la decisione in merito a trattamenti aggiuntivi (chemioterapia o chirurgia) deve essere affidata a un team multidisciplinare.
Stomaco 2, 3, 4
Condizioni precancerose
L’adenocarcinoma gastrico di tipo intestinale rappresenta lo stadio finale della cascata di Correa, un continuum di lesioni istopatologiche nella carcinogenesi del tumore dello stomaco.
Le condizioni precancerose includono quelle alterazioni istologiche, come l’atrofia gastrica e la metaplasia intestinale, che risultano associate a maggior rischio di sviluppare adenocarcinoma.
L’estensione delle suddette alterazioni istologiche insieme a fattori di rischio individuali permettono di stratificare il rischio di sviluppo di adenocarcinoma e dunque di definire il timing della sorveglianza endoscopica. È raccomandato che la valutazione della mucosa venga eseguita con strumenti ad alta definizione e con l’ausilio di tecniche di imaging avanzato (NBI) che aumentano la sensibilità del campionamento bioptico nell’individuazione di lesioni neoplastiche (displasie o carcinoma intramucoso) suscettibili di trattamento endoscopico.
Lesioni precancerose/adenocarcinoma
La resezione endoscopica è il trattamento di scelta per le lesioni gastriche a basso rischio di metastasi linfonodali, ossia le lesioni neoplastiche intraepiteliali e l’early gastric cancer.
L’ESD è la tecnica di resezione da preferire in quanto è associata a un maggior tasso di resezione completa e minore ricorrenza di malattia. La EMR è considerata accettabile per lesioni < 10-15 mm a basso rischio di invasione della sottomucosa.
La resezione è considerata curativa per lesioni confinate alla mucosa con istotipo ben differenziato, senza ulcerazione né invasione linfovascolare. Invece, per lesioni ulcerate o con invasione della sottomucosa o intramucose ma con istotipo scarsamente differenziato, l’ESD è curativa nella maggior parte dei casi e la scelta rispetto alla chirurgia deve essere sempre individualizzata e ponderata da un team multidisciplinare.
Intestino tenue 5, 6 Tecniche diagnostiche
La gastroscopia permette di studiare il piccolo intestino limitatamente alla sua porzione più prossimale (fino alla II porzione duodenale). Nel
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Fondamentali in Chirurgia
tempo sono stati ideati strumenti sia diagnostici che operativi in grado di raggiungere le porzioni più distali del piccolo intestino: la videocapsula e l’enteroscopia.
La videocapsula endoscopica è la metodica diagnostica di scelta in caso si sospetti una patologia del piccolo intestino. L’esame consiste nella deglutizione di un dispositivo wireless che invia in tempo reale immagini relative al piccolo intestino. Le indicazioni principali al suo uso sono il sanguinamento intestinale oscuro, sospetto M. di Crohn con ileo-colonscopia negativa, le sindromi poliposiche con coinvolgimento dell’intestino tenue, la celiachia in caso di diagnosi dubbia o se si sospetta una malattia refrattaria.
L’enteroscopia device-assisted è un esame endoscopico che consente di visualizzare ed eventualmente eseguire procedure diagnostico-terapeutiche lungo tutto il piccolo intestino tramite device che permettono l’avanzamento dello strumento nel viscere (enteroscopia a singolo o doppio pallone, enteroscopia a spirale, enteroscopia guidata da pallone).
Neoplasie del piccolo intestino
L’endoscopia offre la possibilità di rimuovere tramite procedure minimamente invasive buona parte delle lesioni superficiali che interessano il piccolo intestino, sebbene siano estremamente più rare rispetto alle neoplasie che coinvolgono i restanti tratti del tubo digerente.
Il duodeno è la regione più comunemente coinvolta, in particolare la regione dell’ampolla di Vater.
Gli adenomi ampullari rappresentano lo 0.5-0.8% dei tumori gastrointestinali. L’esame endoscopico permette di definire le dimensioni della neoplasia, eseguire il campionamento bioptico e, con l’ausilio delle tecniche di advance imaging (NBI), stabilire il rischio di invasività.
Il trattamento di scelta dipende dalle dimensioni della lesione e dall’eventuale estensione neoplastica intraduttale. Per gli adenomi ampullari di 20-30 mm la resezione endoscopica en bloc è l’approccio di scelta, perchè associata a minor tasso di eventi avversi. Per dimensioni maggiori di 40 mm, in caso di coinvolgimento intraduttale > 20 mm, o quando la resezione endoscopica non è tecnicamente fattibile (es. in caso di diverticolo), è indicato il trattamento chirurgico. Il trattamento chirurgico (ampullectomia trans-duodenale o pancreatico-duodenectomia) dovrebbe essere inoltre offerto dopo resezione endoscopica incompleta, o in caso di ricorrenza non suscettibile di trattamento endoscopico.
Il piccolo intestino può essere coinvolto anche nelle sindromi poliposiche ereditarie, in particolare nella FAP, nella MUTYH e nella sindrome di Peutz-Jeghers.
Per quanto riguarda la FAP e la MUTYH la sorveglianza endoscopica prevede l’esecuzione della semplice gastroscopia, in quanto il duodeno è la porzione più frequentemente interessata. In caso di adenomi dell’ampolla o del