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Fili di sutura

L’infermiere strumentista 141

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Capitolo 8

Fili di sutura

Francesco Nardacchione Dirigente medico – Progettazione, coordinamento, sviluppo eventi formativi strategici aziendali ASL Roma 2, Segretario Nazionale ACOI.

“Si definisce sutura la procedura chirurgica che permette di affrontare tessuti e organi ai fini di una cicatrizzazione, utilizzando uno o più fili di sutura. Si definisce legatura l’apposizione di un filo di sutura attorno a un condotto per occluderne il lume”.

Già nel 3000 a.C. spine e aghi venivano utilizzati per mantenere accostati i lembi di una ferita per facilitarne la cicatrizzazione. Nel 1000 a.C. Egiziani e Siriani furono i primi a essere segnalati come utilizzatori di cotone e crine di cavallo come fili di sutura; nel corso degli anni successivi diversi materiali vennero utilizzati a tale scopo nell’evoluzione della tecnica chirurgica, come seta, lino, tendini fino ad arrivare agli antichi Romani che utilizzarono per primi l’intestino. Con questi materiali utilizzati, in assenza assoluta di asepsi, è facilmente immaginabile come il problema maggiore nella guarigione delle ferite fosse rappresentato dalle infezioni, le quali spesso conducevano a drammatiche amputazioni, se non a morte, i pazienti.

Solo nel 1867, in seguito ad alcuni studi dettagliati, Joseph Lister associò la presenza di batteri alle infezioni chirurgiche e adottando l’acido fenico, come detergente su una frattura esposta, notò la riduzione delle infezioni. I risultati dei suoi studi furono resi pubblici su The Lancet con un lavoro nel cui titolo compare per la prima volta il termine “antisepsi”: On the Antiseptic Principle of the Practice of Surgery.

I materiali attualmente in commercio più comuni sono, per la maggior parte dei casi, fili fabbricati a partire da materie prime di origine naturale, vegetale come lino o seta, animale, come catgut, o prodotti a partire dalla polimerizzazione di molecole o composti di origine chimica.

Oggi, la maggior parte dei chirurghi nella propria routine preferisce alcuni materiali rispetto ad altri e acquisisce competenze e velocità nella loro gestione utilizzando ripetutamente le stesse molecole, scegliendo generalmente nella chirurgia specialistica la stessa sutura.

Concettualmente, il compito di una sutura è quello di favorire il contatto tra i margini dei tessuti affrontati per ottenere una rapida guarigione e garantire un’adeguata resistenza alla tensione, in assenza di spazi “morti” residui tra i tessuti che potrebbero pregiudicarne la cicatrizzazione. Cicatrizzazione che, a sua volta, dipende da molteplici fattori tra cui l’età del paziente, le sue condizioni fisiche, il suo stato nutrizionale, la sua risposta

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immunitaria alle infezioni, la natura e la posizione della ferita e dei tessuti da guarire.

Per essere considerato ottimale, oggi un filo di sutura dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: – Essere il più piccolo possibile per produrre una resistenza uniforme alla trazione, mantenere saldamente accostati i tessuti per il tempo necessario per la guarigione e il suo riassorbimento; – Dovrebbe essere adatto a qualsiasi tipo di intervento, facile da gestire, produrre una reazione tissutale minima, consentire nodi sicuri, non favorire la crescita batterica, essere biologicamente inerte.

Vari sono i tentativi di classificazione dei fili, ma nell’insieme possiamo distinguere tre macro gruppi in base alla: – Permanenza nei tessuti, cioè il periodo nel quale il filo rimane in situ, definendo quindi se sia riassorbibile o non riassorbibile; – Origine del materiale costitutivo del filo, che comporterà una suddivisione in molecole naturali o sintetiche; – Struttura, ovvero la composizione del filo che può essere monofilamento nel caso in cui un unico filamento ne componga la struttura oppure intrecciata quando risulta composta da più monofilamenti sottili avvolti attorno a una anima centrale, filo intrecciato, o ritorto su se stesso, filo ritorto, ad esempio seta intrecciata o Poliglactine 910.

Permanenza Suture riassorbibili

Il componente principale è l’acido glicolico che possiede una eccellente capacità di penetrazione attraverso la cute ed è il componente base nella farmaceutica dei prodotti per la pelle. Nelle suture può essere l’unico componente o può essere combinato con altre molecole, generando così nuove strutture o copolimeri che gli permettono di accelerare o rallentare i tempi di riassorbimento, il quale normalmente oscilla tra i 60 ed i 90 giorni.

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Se combinato con l’acido lattico, Lactomer 9-1, il tempo di riassorbimento si riduce a 50-70 giorni; aggiungendo caprolattone, carbonato di trimetilene, poliglytone 6211, il riassorbimento scende a meno di 50 giorni.

La presenza di un rivestimento, in cui è presente anche stearato di calcio, riesce a dar vita a una sutura con tempi di riassorbimento di circa 40 giorni, mentre l’unione con il solo carbonato di trimetilene, Ppoligliconato, invece lo aumenta fino a 180 giorni.

Il nostro organismo reagisce a queste sostanze decomponendole attraverso reazioni differenti, enzimatiche in caso di fili di origine naturale o per idrolisi in caso di fili di origine sintetica. Gli enzimi proteolitici, secreti dai macrofagi e dai neutrofili, andranno a digerire queste proteine naturali causando però una forte reazione infiammatoria cellulare. Nella idrolisi, invece, le suture di origine sintetica sono semplicemente disintegrate con il rilascio di acqua, in assenza di reazione enzimatica; in questo modo causano una minor reazione tessutale rispetto alle sostanze naturali.

Per tale motivo la resistenza meccanica è quindi limitata nel tempo e varia tra materiale, posizione della sutura e fattori del paziente che permettono riassorbimenti in breve, medio e lungo periodo, in base ai giorni impiegati, per la loro totale scomparsa.

Le suture riassorbibili sono comunemente usate per tessuti profondi e tessuti che guariscono rapidamente; di conseguenza, possono essere utilizzate su stomaco, intestino tenue, colon, colecisti, o per suturare vie urinarie o biliari o per legare piccoli vasi sottocutanei.

Da alcuni anni sono in commercio suture riassorbibili con aggiunta di un agente antibatterico ad ampio spettro, in grado di creare una zona di inibizione alla diffusione batterica, svolgendo un’azione preventiva nei confronti delle possibili infezioni del sito chirurgico.

Suture non assorbibili

Le suture non assorbibili vengono utilizzate per fornire un supporto meccanico tissutale definitivo o a lungo termine, rimanendo murate dai processi infiammatori dell’organismo, fino alla rimozione manuale se necessaria, senza compromettere nel tempo le proprie caratteristiche meccaniche. Le naturali più comuni sono seta e lino, mentre tra le sintetiche distinguiamo nylon, polipropilene, dacron o teflon.

Vista la loro scarsa reazione tissutale vengono utilizzati maggiormente su cute o tessuti che guariscono lentamente, come fascia o tendini, su parietosinstesi addominale o anastomosi vascolari.

Menzione a parte meritano i fili in acciaio inossidabile, realizzati in lega di ferro con basse percentuali di carbonio, in mono o polifilamento, usati per suturare legamenti, tendini e ossa. In casi eccezionali possono essere usati sulla parete addominale per chiudere ferite “difficili”, come in caso di eventrazioni.

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Origine – Naturale: fili realizzati a partire da materie prime di origine naturale, vegetali o animali. Sono usati meno frequentemente dei sintetici poiché tendono a provocare una maggiore reazione tissutale. Tuttavia, la sutura in seta viene ancora utilizzata regolarmente per fissare i drenaggi chirurgici. – Sintetica: costituito mediante la polimerizzazione di molecole e composti di origine chimica. Ad oggi i fili più largamente utilizzati sono di natura sintetica per la loro minore reazione infiammatoria e perché tendono ad avere un comportamento più prevedibile rispetto alle suture naturali, specie per la perdita di resistenza alla trazione e per l’assorbimento. I più frequentemente utilizzati sono costituiti da: – Poliammide – Nylon, Ethilon; – Poliestere – Ethibond, Ti-cron; – Polipropilene – Prolene, Surgilene; – Polibutestere – Vascufil; – Poliglactine 910 – Vicryl; – Ac. Poliglicolico – Dexon; – Polidiossanone – PDS; – Poliglecaprone – Monocryl;

Struttura

– Monofilamento: Presentano superficie uniforme, con assenza di capillarità, minore reazione tissutale e maggiore facilità di scorrimento. Questa caratteristica richiede una particolare attenzione nella loro manipolazione, potendo essere difficoltosa la tenuta del nodo di chiusura, o addirittura possibile la capacità di tagliare i tessuti. Dopo una sollecitazione termica o meccanica tendono a ritornare alla forma iniziale conservando memoria della loro forma macroscopica preimpostata. Sono usati maggiormente nella chirurgia mini-invasiva, plastica e nelle suture di strutture sottili e delicate o quando c’è la necessità di evitare migrazioni batteriche. Infatti in caso di ferite infette è sempre consigliabile l’uso di un monofilamento non assorbibile. – Ritorta / Intrecciata: Sono più maneggevoli, facili da gestire e mantengono la loro forma per una buona sicurezza del nodo, ma non hanno memoria. Causano un danno maggiore a livello tissutale per la loro rugosità. Per contrastare la loro naturale capillarità, con conseguente rischio di sviluppare o favorire infezioni, possono essere rivestiti. Si usano quando è necessaria la tenuta dei nodi e la tensione, come ad esempio nelle legature, nei punti trasfissi, nel posizionamento di protesi o per chiudere le fasce.

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Fattore imprescindibile nella scelta di un filo di sutura è il tempo di guarigione del tessuto su cui andrà applicato, che varia in maniera significativa sia per i tempi sia per le possibili sollecitazioni cui quel tessuto è esposto. Nella tabella sottostante sono riportati ad esempio i tempi medi di cicatrizzazione dei tessuti più comuni.

Da notare la diversità di guarigione di uno stesso tessuto che impiega tempi diversi per una completa chiusura, come nel caso della fascia che dopo 14 giorni risulta cicatrizzata solo nel suo 20% di tenuta mentre sono necessari più di 60 giorni per arrivare a superare l’80%:

Mucosa Cute Organi parenchimatosi Sottocute

Intestino, Vescica, Utero Peritoneo Parete addominale Tendini, Nervi, Legamenti, Osso Muscoli Fascia 3 – 7 7 – 10 7 – 12 7 – 14

10 – 14 14 > 16 21 – 35 28 – 30 14 → 20 % 28 → 50 % 60 → 80 %

La combinazione delle caratteristiche sopra elencate porta all’identificazione della molecola più idonea da utilizzare, tenendo presente che essa genererà comunque una reazione tissutale da parte dell’organismo, qualunque sia la sua struttura.

Qualora fossimo, come ad esempio nella cardiochirurgia, alla ricerca di un materiale che dia poca reazione infiammatoria, che resti in situ garantendo un’ottima tenuta dell’anastomosi nonostante una sollecitazione meccanica, che sia di struttura non traumatizzante per eseguire passaggi ripetuti, la scelta sarà sicuramente indirizzata verso un filo non riassorbibile, monofilamento, sintetico, come il polipropilene.

Le suture assorbibili, con il trascorrere dei giorni, tendono ad andare incontro alla Perdita di Resistenza Tensile (PRT), intendendo con questa dizione la perdita graduale di resistenza effettiva dell’accostamento meccanico dei lembi di una ferita e la forza residua trattenuta dal filo nel tempo, fino al suo completo riassorbimento, inteso come riduzione o scomparsa.

Un’altra componente fondamentale nell’analisi della tipologia di sutura che si va ad adottare è la presenza del rivestimento, che ne garantisce scorrevolezza, in modo da provocare il minor trauma tissutale possibile nei diversi passaggi.

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Quando rivestimento e fili sono affini, questo sta ad indicare che sono realizzati con la stessa molecola; il legame che viene a crearsi tra le due parti, ne eviterà l’esfoliazione, rendendolo più stabile e saldo.

Le condizioni dei tessuti che si andranno a suturare e le condizioni del paziente saranno determinanti nella scelta della sutura idonea: tessuti a lenta cicatrizzazione o tessuti sottoposti a una tensione costante, come ad esempio sterno, fascia addominale o capsula articolare, necessitano di fili di sutura che abbiano una PRT più lunga e un calibro superiore.

Stesso ragionamento è applicabile quando si sottopongono a sutura tessuti con capacità cicatriziale compromessa, come ad esempio nei casi di pazienti oncologici, diabetici, obesi, malnutriti, anziani e disidratati.

Ovviamente il discorso riguardante la resistenza tensile si applica in tutti i fili di sutura assorbibili, poichè nelle molecole considerate non assorbili la resistenza tensile resta invariata nel tempo.

Nel caso di fili non assorbibili, si valuta, relativamente ai monofilamenti, l’inerzia, ovvero la capacità di un materiale di non subire alterazioni causate dall’azione enzimatica rimanendo dunque incapsulato in un tessuto connettivale fibroso.

Tenendo conto dunque dei tempi di cicatrizzazione dei differenti tipi di tessuto, è necessario trovare la combinazione corretta tra atraumaticità, PRT e struttura del filo, in modo da poter confezionare una sutura che risulti, per calibro e struttura, atraumatica, ma che, grazie alla PRT corretta, sia capace di mantenere ben accostati i margini della ferita fino alla completa guarigione, evitando fenomeni di deiscenza e infezioni, permettendo di raggiungere non solo una guarigione corretta ma anche un risultato estetico ottimale.

In ogni filo esiste una capacità di adattamento alle varie sollecitazioni, che è funzione della forza applicata per ottenere un allungamento. Possiamo

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distinguere una regione elastica cui fa seguito una regione plastica superata la quale si raggiunge il punto di rottura.

Sottoponendo un filo a una forza di tensione, come ad esempio un allungamento, durante la creazione del nodo è importante che superi la sua regione elastica, che si deformi raggiungendo la zona plastica, senza arrivare al proprio punto di rottura e spezzarsi. Questo permette di creare un nodo piatto che sia capace di tenere più a lungo, evitando altresì di dover confezionare più nodi che andrebbero ad aumentare la quantità di materiale impiantato nel sito che diverrebbe unicamente veicolo per potenziali proliferazioni batteriche.

Recentemente in commercio è possibile rintracciare fili di sutura autobloccanti, ovvero fili che non necessitano del confezionamento di nodi, grazie a un sistema di intagliatura del filo che crea delle ancore le quali, posizionandosi in verso contrario nel tessuto rispetto al verso della sutura confezionata, sono capaci di mantenere ben saldi i margini della sutura, senza la necessità di confezionamento del nodo.

Ogni sutura ha una propria dimensione, comunemente rappresentata dal calibro: United States Pharmacopeia (USP) ed European Pharmacopeia (EP) sono le misure metriche riconosciute che rappresentano il diametro effettivo del filo in decimi di millimetro: più è alto il numero di zeri, più il filo è sottile.

USP 11/0 10/0 9/0 8/0 7/0 6/0 5/0 4/0 3/0 2/0 0 1 2 3 4 5 6 EP 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,7 1 1.5 2 3 3.5 4 5 6 7 8 9

La pratica più comune accettata in chirurgia è quella di utilizzare il filo del diametro più piccolo possibile in relazione alla necessità, per ridurre il trauma tissutale, garantendo comunque una resistenza sia in termini temporali che in termini di tenuta.

In genere i calibri più piccoli (11/0-7/0) vengono utilizzati in microchirurgia, chirurgia oftalmica e vascolare periferica.

La chirurgia cardiovascolare utilizza fili di polipropilene, poliestere e polibutestere di calibri minori (8/0-2/0), mentre la chirurgia plastica utilizza polipropilene, poliestere e Nylon (6/0-3/0).

La chirurgia generale, l’ostetricia e l’ortopedia variano tra polipropilene, poliestere, Nylon, seta e acciaio con calibri compresi tra il 4/0 ed il 2.

I calibri maggiori vengono utilizzati per le ritenzioni (2-4) e per le sternotomie (> 4).

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Un quadro riassuntivo dei principali fili di sutura disponibili è il seguente:

NON ASSORBIBILE

sintetica monofilamento in poliammide premontata sintetica monofilamento in polipropilene premontata sintetica plurifilamento in poliestere rivestita e premontata naturale plurifilamento in seta

ETHICON

Produttrice COVIDI-

EN ASSUT B.BRAUN Reazione tissutale Resistenza trazione Evoluzione

ETHILON MONOSOF/DERMALON ASSUNYL DAFILON Minima Alta Incapsulamento e Fibrosi

PROLENE

ETHIBOND SURGIPRO ASSUPRO PREMILENE/ OPTI-LENE

TICRON ASSUFLON/ASTRALEN PREMICRON Minima Nessuna degradazione

Lieve Alta Incapsulamento e Fibrosi

SETA SOFSILK ASSUSILK SILKAM Alta Alta /

ASSORBIBILE

sintetica monofilamento

sintetica monofilamento

sintetica monofilamento

sintetica plurifilamento rivestita

sintetica plurifilamento rivestita sintetica monofilamento con antisettico ad attività antibatterica

ETHICON

MONOCRYL

Produttrice

COVIDIEN

CAPROSYN

ASSUT B.BRAUN

MONOFIL FAST MONOSYN QUICK

BIOSYN MONOFIL MONOSYN

Reazione tissutale Perdita Resistenza tensile Riassorbimento completo

Minima Rapida 56 gg

Minima Media 90 – 120 gg

PDS II MAXON ASSUFIL MONOFIL

VICRYL RAPIDE

VICRYL

VELOSORB Fast GLICOFIL LAC FAST

POLYSORB GLICOFIL LAC/ ASSUFIL MONOPLUS

SAFIL QUICK / NOVOSYN QUICK Lieve Lunga – 180 210 gg

Moderata Rapida 42 gg

SAFIL Minima Media – 50 70 gg

MONOCRYL PLUS -- -- -- Minima Media 90 – 120 gg

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ASSORBIBILE

sintetica monofilamento con antisettico ad attività antibatterica sintetica plurifilamento con antisettico ad attività antibatterica

ETHICON Produttrice

COVIDIEN ASSUT B.BRAUN Reazione tissutale Perdita Resistenza tensile Riassorbimento completo

PDS PLUS -- -- -- Lieve Lunga 180 gg

VICRYL PLUS ASSUFIL PLUS -- Minima Media – 50 70 gg

Quando parliamo di sutura non parliamo solo del filo, ma anche di ago e del tipo di attacco ago-filo; questo perché la combinazione di questi elementi crea un prodotto altamente tecnologico, con molte combinazioni disponibili, per adattarsi a ogni possibile esigenza chirurgica.

Ago

Una corretta conoscenza delle suture non può prescindere da una corretta conoscenza degli aghi chirurgici, che permettono al filo di penetrare nei tessuti.

Molte definizioni infatti, parlando di sutura, sottointendono l’ago, che rappresenta un elemento fondamentale da analizzare.

Per poter passare il filo attraverso i tessuti, il primo device che si utilizza ed entra nel tessuto è proprio l’ago, motivo per il quale, negli anni, si è proceduto a studiare diverse tipologie di ago adatte per i diversi siti chirurgici e le diverse procedure.

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Fondamentali in Chirurgia

Ecco allora che tutti gli aghi dovrebbero essere: – Fatti di acciaio di alta qualità e causare la minor reazione tissutale possibile; – Sottili il più possibile senza indebolire la loro resistenza; – Stabili e facili da usare con un portaaghi; – Taglienti per passare attraverso i tessuti, con una minima resistenza tissutale; – Rigidi tanto da resistere alle compressioni e alla flessione, ma sufficientemente flessibili da non rompersi; – Sterili e sterilizzabili. Originariamente gli aghi erano pluriuso, risterilizzabili, forniti di una cruna attraverso la quale era necessario far passare il filo di sutura. Il passaggio della componente cruna-filo risultava traumatizzante nei tessuti.

Nel 1921, la scomparsa della cruna con la creazione di aghi atraumatici, che avevano un calibro superiore a quello del filo fissato alla loro estremità, è stata una vera innovazione per la chirurgia, con una importante riduzione del traumatismo tissutale.

Il diametro dell’ago è superiore a quello del filo e, in questo modo, dopo il suo passaggio non si nota una sproporzione tra il foro creato dall’ago e il riempimento dato dal filo. Questo fa sì che dal foro della sutura non trasudino liquidi e/o sangue e l’eventuale materiale infetto presente e che non comporti una migrazione di suddetto materiale attraverso i fori della sutura.

Risulta quindi evidente che, dopo aver parlato di fili, elemento fondamentale per la sutura è una corretta conoscenza delle diverse parti che costituiscono un ago: la punta, il corpo e la curvatura. Ciascuna di queste caratteristiche deve essere accuratamente identificata allo scopo di fare la scelta migliore, cioè per scegliere l’ago più appropriato per il paziente e il tipo d’intervento chirurgico.

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La punta dell’ago è la prima che penetra nel tessuto ed è quella che potenzialmente può arrecare maggiori traumi incontrando tessuti fragili, come ad esempio tessuti compromessi da una terapia oncologica.

Ad oggi esistono in commercio punte taglienti, ideate per essere penetranti, ideali per tessuti quale il derma, che necessita di una penetrazione più decisa, considerato tessuto resistente; gli aghi montati su fili di acciaio utilizzati nelle sternotomie, gli aghi da chirurgia plastica e gli aghi montati su plurifilamento intrecciati per montaggio delle valvole cardiache, solitamente, sono punte di precisione e hanno una forma triangolare e appuntita. Alcune aziende utilizzano aghi dalla punta triangolare, ma meno appuntita, pur mantenendo una forma triangolare, ideati appositamente per coronarie calcifiche.

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Tessuti come colon, retto, pancreas e fegato, si prestano meglio per essere suturati con un ago dalla punta cilindrica, ben penetrante ma meno traumatica delle sovracitate e, dunque, idonea a essere utilizzata su tessuti delicati, perché separa le fibre dei tessuti senza sezionarle.

Sulla punta di alcuni aghi ci sono tre bordi taglienti. Questi bordi si appiattiscono gradatamente fino a scomparire nel corpo dell’ago. Questi aghi sono stati progettati per tessuti sclerotici, induriti e calcificati, come ad esempio fasce muscolari, tessuto connettivo, periostio, tendini e vasi calcificati.

Esistono poi combinazioni di aghi più specifiche, con un corpo circolare e una punta smussa, create ad hoc per esigenze particolari, studiate per prevenire il pericolo di contaminazione da puntura accidentale, che risulta particolarmente importante per i pazienti affetti da malattie trasmissibili per via ematica, e per rendere possibile la sutura su pazienti plurioperati, diminuendo il rischio di contaminazione per gli operatori, soprattutto su organi molto vascolarizzati o parenchimatosi o sulle vie biliari e urinarie. Nel passaggio attraverso i tessuti, un ago a punta smussa sposta i tessuti senza causare una soluzione di continuità in essi; crea semplicemente una fenditura nel tessuto connettivo e negli organi solidi.

Il corpo dell’ago può avere anch’esso forma triangolare, tagliente o cilindrica, seguendo la stessa ratio di utilizzo adottata per la punta.

Ciò che è fondamentale analizzare riguardo il corpo dell’ago, è la curvatura: si possono avere aghi da ½ cerchio, più largamente utilizzati nelle procedure di chirurgia generale e ginecologica; aghi da 3/8 di cerchio, largamente utilizzati nella chirurgia plastica, cardiochirurgia e chirurgia vascolare e più in generale in tutte le specialistiche che lavorano più in superficie e

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