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Le anastomosi intestinali: principi di tecnica

Mezzi di sintesi meccanici 181

– Applicatori di clip per fissaggio: sono applicatori monouso utilizzati in chirurgia laparoscopica per il fissaggio di mesh intraperitoneali per la riparazione di ernie ventrali o laparoceli o preperitoneali (TAPP) e per la riparazione di ernie inguinali (Figura 12).

Figura 12. Applicatori di clip per fissaggio di protesi.

Capitolo 11

Le anastomosi intestinali: principi di tecnica

Francesco Tonelli già Professore Ordinario di Chirurgia Università di Firenze, già Presidente Società Italiana Chirurgia Oncologica (SICO)

Mi sembra utile dare uno sguardo su come si eseguivano le prime anastomosi intestinali agli albori della moderna chirurgia. Uno dei primi chirurghi ad affrontare questo tema fu Francesco Colzi. Operava a Firenze come aiuto di Corradi nel prestigioso Ospedale di Santa Maria Nuova, sede da secoli di una vera e propria Scuola d’insegnamento e di perfezionamento della chirurgia.

Colzi si era preparato scrupolosamente prima di affrontare la chirurgia: conosceva bene l’anatomia e la microbiologia, aveva fatto il settore di anatomia patologica, aveva frequentato le cliniche chirurgiche europee più prestigiose e sperimentato sull’animale nuovi interventi di chirurgia addominale, come la colecisto-enteroanastomosi. Per le sue brillanti ricerche e per l’autorevolezza che ebbe negli anni successivi ricoprendo la cattedra di Clinica Chirurgica a Modena e Firenze Colzi merita di essere paragonato a Halsted (1). Ebbene, di fronte a casi di gangrena intestinale da strozzamento erniario, non disponendo di infusioni endovenose, di trasfusioni, di antibiotici, né di suture preconfezionate, ma potendo utilizzare l’anestesia generale e l’antisepsi, così procedette (la descrizione si può leggere nel suo “Contributo di Clinica Operativa” dato alle stampe nel 1891): ”Lo strangolamento datava in un individuo da 6 giorni, negli altri dai due ai quattro giorni… Nei 5 casi nei quali resecai l’intestino a tutto spessore, lo sezionai un poco obliquamente da ambo i lati in modo da asportare più dal lato convesso che da quello concavo. Il mesenterio lo sezionai vicino all’intestino avendo cura di prendere con pinzette e legare i vasi mano a mano che li recidevo e quattro delle anse che avevano servito alla legatura le unii insieme per mantenere a contatto la superficie di sezione del mesenterio. La estensione del tratto intestinale asportato oscillò dai 7 ai 14 cm. A questo punto facevo di nuovo una abbondante irrigazione lavando con una soluzione di sublimato molto allungato anche l’intestino nel suo interno e quindi procedevo alla sutura. Ho impiegato come materiale una seta finissima disinfettata e mantenuta per moltissimo tempo nella soluzione alcoolica di sublimato, e ho adoprati degli aghi tondi incurvati. Ho fatto in un caso due piani di sutura, comprendendo in quello più profondo la mucosa e la muscolare, nell’altro la sierosa alla maniera di Lambert; negli altri quattro casi ho usato tre piani, cioè ho cominciato a porre il piano medio, comprendendo sierosa e muscolare, nella metà della circonferenza mesenterica dell’intestino, quindi su di essa ho fat-

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to il piano interno della metà della circonferenza mesenterica della mucosa e su questa ho applicato il secondo piano di sutura in continuazione con il primo (medio) comprendente sierosa e muscolare, quelle suture le ho fatte continue interrotte. A questo momento essendo chiuso il lume intestinale, ho praticata una nuova disinfezione della regione e della ferita, mi sono disinfettato accuratamente insieme agli assistenti, e quindi ho applicato per ultimo il piano esterno di sutura alla Lambert a punti staccati: tutto questo per porre un piano di sutura i di cui fili non fossero venuti in contatto col lume intestinale ed essere sicuro di non avere infettato la seta.”

Come vedremo più avanti, Colzi aveva intuito e messo a punto la corretta modalità di un’anastomosi intestinale in grado, se confezionata a dovere, di guarire senza andare incontro a una deiscenza anche in presenza di molti fattori negativi. Infatti, nessuno dei casi operati da Colzi andò incontro alla deiscenza dell’anastomosi.

I meccanismi alla base della guarigione anastomotica

Una profonda modificazione delle componenti dei tessuti anastomizzati comincia già durante le prime manovre chirurgiche con la produzione di una matrice organica composta da fibrina e fibronectina, favorita dall’azione delle piastrine in maniera simile a quella di un processo emostatico. Lo scopo di questa prima fase, o fase emostatica, è proprio quello di sigillare l’anastomosi. A questa segue una fase infiammatoria, caratterizzata dall’attivazione delle citochine proinfiammatorie (IL-1ß, TNF-ß) e del complemento e l’infiltrazione della ferita da parte dei leucociti neutrofili. L’attività fagocitaria di queste cellule rimuove i tessuti danneggiati, i batteri, i miceti e i corpi estranei preparando il terreno all’azione dei macrofagi che sono fondamentali per la parte ricostruttiva dei tessuti. Essi rilasciano fattori di crescita (PDGF, IGF), inducono la migrazione e la differenziazione delle cellule mesenchimali, la produzione della matrice organica extracellulare e la neoangiogenesi, fase proliferativa. L’ultima fase è quella dello sviluppo di un nuovo epitelio che deve ricoprire la cicatrice anastomotica, fase di rimodellamento. Il processo di formazione e consolidamento dell’anastomosi dura diversi giorni e può essere inficiato da varie situazioni negative durante tutto il suo decorso: nella prima fase per difetti della coagulazione, nella seconda per una ridotta capacità chemiotattica dei neutrofili o per una esagerata produzione dei radicali liberi dell’ossigeno (ROS), nella terza fase per una diminuita produzione dei fattori di crescita e nella quarta fase per un’eccessiva degradazione del collagene o per la mancata proliferazione delle cellule epiteliali. La fase più importante è comunque quella della deposizione e rimodellamento del collagene in grado di dare consistenza alla tenuta dell’anastomosi. Questa funzione è compito delle cellule mesenchimali in grado di trasformasi in tre sottotipi: fibroblasti, miofibroblasti e cellule muscolari liscie. I fibroblasti producono la matrice extracellulare. La loro proliferazio-

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ne è stimolata soprattutto dal TGF-ß che induce anche la differenziazione in miofibroblasti e inibisce le metalloproteinasi in grado di degradare il collagene. I miofibroblasti migrano nei tessuti danneggiati dall’insulto chirurgico e si ancorano tra loro e alla matrice extracellulare attraverso l’azione di integrine e caderine. Sono queste molecole che connettendosi tramite l’actina al citoscheletro formano solide giunzioni con le cellule epiteliali e provvedono alla contrazione e solidificazione del collagene. Il collagene è anche destinato a subire una degradazione durante la fase di rimodellamento tramite l’azione da parte degli stessi macrofagi di ROS, di catepsine o di metalloproteinasi. Interessante da notare è che la sintesi del collagene avviene più precocemente e rapidamente nel tenue rispetto al colon. Questo fenomeno può spiegare il maggiore rischio di deiscenza insito nelle anastomosi coliche o rettali rispetto a quelle ileali o digiunali. La guarigione completa dell’anastomosi avviene verso il 14° giorno post-operatorio, mentre il rischio maggiore di deiscenza è tra la 4° e la 7° giornata postoperatoria.

Un importante ruolo per la guarigione dell’anastomosi è quello svolto dal microbioma. Il microbioma è un complesso ecosistema nel quale coabitano sia germi commensali che organismi patogeni (batteri, virus, miceti). Esso varia nella sua composizione lungo il tratto digestivo. Inoltre ha una duplice disposizione: quella in contatto con la parete intestinale, the tissue-associated microbioma, e quella presente nel lume intestinale, the luminal microbiota. Il microbioma che si interfaccia con il rivestimento epiteliale, svolge una funzione citoprotettiva attraverso la produzione di muco, di metaboliti, quali gli acidi grassi a catena breve, utili al fabbisogno energetico epiteliale e di fattori antimicrobici come le difensine, il lisozoma, l’acido lattico o le bacteriocine. Il microbioma contribuisce a mantenere uno spesso strato di muco al di sopra dell’epitelio, in grado di proteggerlo dall’aggressione di batteri patogeni. Infine il microbioma è fondamentale per mantenere efficace la funzione immunitaria locale. Questa è in grado di riconoscere i germi patogeni e aggredirli con un’adeguata risposta immunologica.

Principi di tecnica

Qualunque sia il tipo di anastomosi da eseguire non si deve derogare da alcuni principi basilari: – Verificare che le parti da anastomizzare abbiano un buon apporto arterioso e un buon deflusso venoso. Talora è difficile stabilire con sicurezza tale situazione anche da parte di chirurghi esperti. Se ci basiamo sull’osservazione e la palpazione dell’intestino valutando colore e pulsatilità del segmento intestinale in causa possiamo cadere in errore: la presenza di ischemia o di stasi venosa è facilmente individuabile nell’intestino tenue, ma può essere difficile nel colon che muta il suo colore lentamente o che non permette di osservare la pulsatilità dei suoi vasi se il viscere è ricco di grasso. L’ipotensione indotta dall’intervento o dalla procedura anestesio-

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logica o la vasocostrizione provocata dal trauma chirurgico e dall’ipotermia possono confondere una corretta valutazione.

Sono state proposte varie tecniche diagnostiche per valutare il flusso delle anse intestinali al momento dell’anastomosi mediante l’esame Doppler, l’ossimetria tissutale o l’angiografia con verde di indocianina, ma nessuna di queste è entrata nella pratica routinaria per le difficoltà tecniche, il tempo richiesto dalla procedura o la scarsa riproducibilità della stessa. Il problema si pone specialmente per il colon sinistro allorchè si siano legati i vasi mesenterici inferiori e si debba scegliere dove resecare il tratto da anastomizzare al retto. Un metodo semplice e affidabile è la valutazione del flusso ematico al momento di sezionare i vasi marginali del tratto di colon per l’anastomosi. Il flusso viene giudicato buono se fuoriesce sangue rosso rutilante, in maniera pulsatile, schizzando o meno nel campo operatorio. In questo caso l’irrorazione da parte dei vasi colici medi è garantita e non si hanno deiscenze anastomotiche secondo quanto verificato recentemente da chirurghi sud-coreani (2).

Per evitare l’ischemia, sia pure temporanea delle zone da anastomizzare, è bene limitare l’uso di enterostati: non sono necessari per il colon. Nel tenue vanno applicati a distanza di almeno 7-8 cm dalla sezione intestinale avendo l’accortezza di non comprendere nelle loro branche il mesentere. – Assicurarsi che l’anastomosi non sia in tensione. Questo prevede la buona mobilizzazione dei tratti da anastomizzare. Particolare attenzione va posta negli interventi di resezione anteriore del retto nei quali è sempre bene mobilizzare completamente l’angolo colico sinistro o di proctocolectomia totale restaurativa con anastomosi ileo-pouch-anale per le quali va sufficientemente liberata la radice mesenterica e opportunamente allungato l’ileo terminale mediante vari accorgimenti, sezione dei vasi ileali mesenterici conservando quelli ileo-colici destri, liberazione dell’ileo nel tragitto intracecale, scelta del tipo di pouch, etc. – Evitare incongruenze di calibro tra le anse da anastomizzare, scegliendo ad esempio un’anastomosi latero-laterale piuttosto che una termino-terminale quando il calibro dei due visceri è molto diverso. – Includere nei punti di sutura la sottomucosa. Fu Halsted nel 1882 ad accorgersi dell’importanza della sottomucosa, ricca in collagene, per la tenuta dell’anastomosi e per il corretto allineamento degli strati parietali.

Egli definì la sottomucosa strength-bearing layer (3). Se la sottomucosa non viene compresa nella sutura è inevitabile una precoce deiscenza anastomotica. – Assicurarsi che l’intestino a valle dell’anastomosi sia pervio e non sede di stenosi. Ciò può capitare in caso di malattia di Crohn, per stenosi molto brevi, di tipo fibrotico, scarsamente visibili all’ispezione della sierosa, ma riconoscibili sondando il lume intestinale.

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Anastomosi in uno o due strati, extramucosa o a tutto spessore, in continua o a punti staccati?

La scelta di una specifica tecnica fra le tante che si possono proporre finisce per essere legata più all’abitudine del singolo chirurgo o della Scuola a cui appartiene che basarsi sulla ricerca clinica o su motivi fisiopatologici. Teoricamente, la sutura extramucosa in un unico strato offre il vantaggio di una buona apposizione dei tessuti, di una sicura e non eccessiva introversione della mucosa (è stata del tutto abbandonata l’idea di estroflettere la mucosa) e di una minore devascolarizzazione dei tessuti. Importante è anche comprendere nel punto di sutura lo strato sieroso che avendo una grande elasticità permette al filo di sutura di essere posto nella giusta tensione e di non sezionare i tessuti nel momento della trazione o dell’annodamento. È un dato di fatto che le anastomosi eseguite su tratti intestinali privi del rivestimento sieroso, quali il retto extraperitoneale o l’esofago, sono a maggior rischio di deiscenza.

Le anastomosi in due strati hanno avuto per lungo tempo le preferenze dei chirurghi da quando Lambert evidenziò il valore plastico e di tenuta dello strato sieroso proponendo appunto un secondo strato semplicemente sieroso o siero muscolare. In realtà gli studi clinici randomizzati che hanno posto in confronto anastomosi in un solo strato verso quelle in due strati non hanno dimostrato la superiorità delle prime. L’altra variante riguarda se eseguire l’anastomosi in continua o a punti staccati. Dal punto di vista teorico sarebbe da preferire la tecnica a punti staccati che dovrebbe garantire una migliore irrorazione dei tessuti. Non mi risulta che siano stati eseguiti studi comparativi tra le due tecniche.

Per concludere, se valutiamo la velocità di esecuzione, i costi e le complicanze, in particolare quella della deiscenza e della stenosi anastomotica, sembra preferibile ricorrere a una sutura extramucosa, eseguendola in unico strato e in maniera continua.

Materiale di sutura

Il materiale di sutura intestinale è importante per evitare ripercussioni negative al momento di confezionare l’anastomosi. Il monofilamento sia a lento riassorbimento come il polidiossanone (PDS) o non riassorbibile come il polipropilene dà una reazione infiammatoria locale molto minore rispetto a quella dei fili intrecciati riassorbibili quali il catgut (ormai non più utilizzato) o l’acido poliglicolico o non riassorbibili quali la seta o il lino. Il filo deve avere un calibro appropriato, né troppo sottile, né troppo spesso (di solito 3/0), scorrere facilmente, avere una giusta forza tensile in modo da non provocare lacerazioni dei tessuti quando viene posto in trazione o quando si annoda. Il materiale inoltre deve resistere all’azione litica dei succhi enterici. Il monofilamento in PDS è quello da preferirespecialmente se si eseguono suture in continua.

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Anastomosi manuali o meccaniche?

La possibilità di eseguire anastomosi intestinali mediante suturatrici meccaniche, affacciatasi a partire dalla fine degli anni ’60, ha certamente guadagnato sempre più favore, ma non ha sostituto le anastomosi manuali. Il motivo è dovuto almeno in parte alla riluttanza dei chirurghi più anziani ad abbandonare tecniche anastomotiche ormai ben collaudate. È un dato di fatto che gli specializzandi, o i resident statunitensi, ricorrono alle anastomosi meccaniche in più dell’80% dei casi, specialmente se l’intervento è eseguito in laparoscopia, e che l’impiego delle suturatrici è comunque correlato alla giovane età (< a 45 anni) dei chirurghi (4). L’avvento delle suturatrici meccaniche ha permesso di eseguire con più facilità anastomosi difficili, allargando enormemente le possibilità di ricostruzione del tratto intestinale in confronto al passato. Il loro maggiore impiego si è avuto per la chirurgia del retto con un significativo aumento degli interventi di conservazione sfinterica rispetto a quelli di amputazione addominoperineale. Ma è stato soprattutto il diffondersi della chirurgia mini-invasiva a far preferire le suturatrici meccaniche, specialmente se si sceglie di eseguire anastomosi intracorporee. La suturatice meccanica permette di standardizzare la tecnica, di disporre di presidi ben collaudati dalla sperimentazione sull’animale e sull’uomo, assemblati per porre i punti a una distanza prestabilita sia tra di loro che rispetto ai margini di sezione, di garantire una sufficiente irrorazione tissutale, di sezionare la parete a freddo senza provocare necrosi tissutale. Sono validi motivi per preferire l’anastomosi meccanica. Inoltre la maggior parte delle suturatrici eseguono una duplice linea di sutura differendo la posizione dei punti posti su ognuna delle due linee. L’anastomosi manuale è invece una modalità empirica affidata alla pratica clinica e all’esperienza del chirurgo, non ben standardizzabile per vari aspetti: la distanza tra i punti, la distanza del punto rispetto al margine di sezione, la tensione da dare alla sutura e ai nodi, le modalità di sezione intestinale. Una distanza di 3 mm, tra un punto e l’altro, e una presa del punto di 4-5 mm rispetto alla linea di sezione, sono le misure consigliate, da modificare comunque in rapporto allo spessore della parete intestinale.

Esistono situazioni che fanno propendere per l’anastomosi manuale: ad esempio l’edema delle anse intestinali in presenza di traumi, peritoniti, pancreatiti acute, malattia di Crohn, etc. poiché la suturatrice male si adatta a un intestino con uno spessore molto aumentato rispetto a quello normale e il suo impiego può dare la sensazione o la certezza di non comprendere nella linea di sutura tutti gli strati a una sufficiente distanza dal margine di sezione intestinale. D’altra parte ci sono casi in cui ricorrere alla suturatrice facilita o addirittura rende possibile l’anastomosi quando, ad esempio, questa vada effettuata sul retto distale in una pelvi stretta o sull’esofago sottodiaframmatico in un paziente obeso. Altra situazione che spinge alla scelta dell’anastomosi meccanica è quando si debbano eseguire molteplici

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