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3.3 Tra inversione dei ruoli e richieste sociali

ne sono indispensabili in quanto ampliano, espandono, potenziano e rendono significativa l’esperienza che si compie.

Da un punto di vista didattico questo implica:

- la libera espressione del proprio Io interiore;

- di non eliminare le emozioni negative qualora si presentino, piuttosto viverle come elemento naturale del proprio essere;

- parlare delle emozioni con totale naturalità;

- riconoscere le varie forme e modi con cui si presentano;

- fare tesoro delle sensazioni che proviamo nel corso della vita;

- comprendere il linguaggio con cui è possibile instaurare un dialogo con le emozioni;

- favorire un apprendimento ed una esperienza in modo autonomo;

- comprendere che le emozioni possono essere gestite in totale armonia e semplicità;

- percepire le emozioni altrui;

- interiorizzare le forme espressive.

L’importanza che riveste l’educazione emozionale nella vita implica l’organizzazione e la realizzazione di azioni guidate da una metodologia attiva, partecipativa e che abbia come punto di riferimento quella del contatto diretto tra l’uomo, la sua vita interiore, il mondo ed il sapere, come suggerito anche da Bandura36 nella teoria dell’apprendimento sociale.

36 Bandura, A. (1977). Social Learning theory, Englewood Cliffs N.J: Prentice-Hall

Impegnare gli alunni in dinamismi dialogici e di ricerca, in disegni di conoscenza e nel rapporto che ogni soggetto in apprendimento instaura con il sapere appaiono essere tre capisaldi su cui erigere ogni percorso apprenditivo. Occorre, così, saper stimolare ed impegnare ogni alunno, in modo tale da dare vita ad una partecipazione attiva e sentita nella volontà di apprendere qualcosa in un progetto di conoscenza.

Di qui l’esigenza, come ricorda Delannoy, di incentivare “il desiderio di sapere e la decisione di imparare”.

Il modello banduriano suggerisce una verità sostanziale: si impara da ciò che facciamo e vediamo. Così divengono fondamentali due aspetti:

- il provare direttamente le emozioni;

- il modello di persona (padre, madre, educatore etc.) a cui ci rifacciamo fin dalla prima infanzia, la quale orienta il nostro intendere e rapportarci con le emozioni.

Partendo dall’idea che tutti gli apprendimenti contengano un significativo peso emozionale, quest’ultimo si presenta come convertitore e facilitatore di ogni forma conoscitiva. Ira, tristezza, felicità, ansia, odio, invidia, rabbia, desiderio, gioia etc. sono tutti elementi presenti nella nostra natura e che intervengono nel quotidiano agire e apprendere.

La rabbia, ad esempio, è una espressione di forte disapprovazione verso situazioni che sembrano ledere valori morali, etici e di libertà personale; non a caso viene definita da Goleman e dal Dalai Lama37 come “emozione distruttiva”.

Tanto le emozioni distruttive, quanto quelle positive, hanno la necessità di essere regolate, non anche sperimentate e vissute. Fattore

37 Goleman, D., Dalai Lama. (2009) Emozioni distruttive. Liberarsi dai tre veleni della mente: rabbia, desiderio illusione. Milano: Mondadori.

vincolante diviene, quindi, la traduzione degli stimoli emotivi che si generano con l’incontro di specifiche variabili ambientali.

La regolazione emotiva interpersonale è riconosciuta come un processo interpersonale che si sposa con la teoria dell’attaccamento di Bowlby.

D’accordo con Rimè38, siamo inclini a rivendicare il fatto che la taratura e calibratura emozionale derivi sia da un processo intrapsichico, sia da in percorso nella quale rivestono notevole importanza l’alterità ed il contesto.

La migliore forma di regolazione delle emozioni rimane, e questo è un vero e proprio assunto, l’educazione, espressa secondo un esercizio costante e capace di controllare e modificare l’insorgere dei picchi emotivi e per giungere ad un equilibrio. Educare alle emozioni significa, a volte, modificare, sicuramente avvalorare, la percezione che il soggetto possiede nei confronti di esse.

Occorre saper convivere con tutta la gamma umana delle emozioni, e ciò implica coscienza, responsabilità e volontà. Non possiamo combattere contro noi stessi, piuttosto agire con saggezza accettando coscientemente la naturalità del nostro essere e educandola alla sua massima espressione.

Apprendere a vivere con una emozione significa acquisire competenze che autorizzano a venire a contatto con il proprio “mondo interno” (Solms M., Turnbull O. 2004), la propria identità e la propria natura, insomma con l’anima che ognuno possiede. “L’affermazione della dignità della persona è stata una essenziale conquista di civiltà, che domanda un’intenzionale e continuativo intervento educativo, volto a favorirne il riconoscimento permanente”39 .

38 Rimé, B. (2007). Emotion eliticts the social sharing of emotion: Theory and empirical review. N.Y.: Guilford. 39 Mari, G. (2013). Educare la persona. Brescia: La scuola

3.1 La famiglia: contesto emozionale

Le riflessioni che potremmo muovere circa la famiglia e del ruolo che essa gioca nello sviluppo emozionale sono molteplici, basti considerare la copiosa letteratura che ne attesta l’importanza e la valenza.

Da principio è doverosa una puntualizzazione. Per competenza emozionale è giusto intendere “il set di conoscenza, capacità, abilità e attitudini necessarie per comprendere, esprimere e dare forma appropriata al fenomeno emozionale”40.Educare alle emozioni significa sviluppare delle abilità che mettono in relazione la persona con il proprio sentire, cioè competenza attraverso cui il soggetto entra in contatto diretto con il proprio sé e con la componente dialogica.

Certamente un assunto dal quale è possibile prendere le mosse è quello che la famiglia svolge una funzione educativa soprattutto nella sfera dell’affettività. La famiglia rappresenta il primo ambiente in cui si sperimentano e si incontrano i sentimenti. Da tale confronto ogni soggetto ricava una individuale percezione del sé, degli altri e schemi mentali che lo caratterizzeranno per tutto il corso della vita. La zona prossimale dichiarata dal Vygostkij di ogni soggetto è una necessità, come la definisce M. James (1987), di “riconoscimento della presenza dell’altro” e dalla propria natualità.

Attraverso l’imitazione dello stile genitoriale, ad esempio, il bambino impara a gestirsi e sviluppare capacità che formeranno quella “cassetta degli attrezzi” che ognuno di noi porterà con sé per l’intera esistenza.

Ogni nucleo domestico, quindi, deve avere come obiettivo quello di edificare un ambiente caratterizzato da pace, armonia e felicità, in modo tale che i suoi membri godano di benessere e relazioni positive. Si tratta di mettere in pratica, giorno dopo giorno, forme dialo-

40 Bisquerra, R. (2009). Psicopedagogìa de las emociones. Madrid: Sintesis.

giche, aspetti emozionali e migliorare l’autostima, l’autonomia ed il senso di responsabilità di ogni membro.

Lo sviluppo e la maturazione affettiva, infatti, “sono possibili soltanto in un positivo contesto relazionale. La dimensione relazionale è connaturata all’esistenza umana, ogni persona si trova inserita in una rete di rapporti interpersonali. Ciascuno nasce, cresce, si sviluppa grazie alle relazioni instaurate”41 .

In tal senso Papa Giovanni Paolo II definisce la famiglia come dimensione di “impresa d’amore, comunità di vita”. Lo stesso Platone descriveva il sentimento come “thymoeidès”, quale forza d’animo, di volontà e ragione, non stucchevole languore.

Troppo spesso però i genitori lasciano i propri figli “soli” in questo percorso. Essi tendono a smarrirsi e, nella più rosee ipotesi, si eclissano dietro a comportamenti superficiali. “Nonostante l’apparente disinvoltura, non è possibile eliminare le implicazioni affettive ed emotive che spesso lasciano gli adolescenti smarriti rispetto a ciò che provano e che non riescono a definire e nominare”42 .

Ogni stile genitoriale errato comporta la creazione di atteggiamenti altrettanto sbagliati nella prole. I genitori “hanno paura della crescita emotiva dei ragazzi proprio perché conoscere le proprie emozioni significa cercarle nella vita, dunque essere liberi”43 .

Non è tanto fondamentale come, quando, cosa o perché si prova un sentimento, ma è sostanziale assumersi l’impegno del proprio sentire: “occorre aiutare i figli a legittimare i sentimenti come elementi costitutivi della loro esistenza, anziché lasciarli inespressi, soffocati, ignorati”44 .

41 Simeone, D. (2008). Educare in Famiglia. Brescia: La Scuola. 42 Simeone, D. (2011). XXV Congresso eucaristico nazionale, Ancona 5 settembre. 43 Crepet, P. (2009). Sfamiglia, Torino: Einaudi. 44 Iori, V. (2006). Separazioni e nuove famiglie. L’educazione dei figli, Milano: Raffaello Cortina.

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