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Bibliografia

unilaterale, esercitata da un individuo su un altro individuo; mentre la formazione culturale implica un rapporto libero tra le persone. [...] la formazione culturale è libera”100 .

Il rapporto con l’alterità non è espressione di sottomissione violenta di una cultura rispetto ad un altra, piuttosto, come scandito dallo stesso Gandhi, una continua ricerca di riduzione della diversità. Uno spazio, quindi, entro cui far incontrare le diverse realtà umane, tutte reciprocamente predisposte all’accettazione e alla cooperazione attiva. È difficile se non impossibile ledere o non rispettare un essere vivente nel momento in cui si vede in esso la vita come parte di un insieme connesso ed integrale. La diversità è elemento di un tutto omogeneo che deve essere tutelata attraverso una trasformazione culturale interna ed individuale.

Di qui la certezza di un diverso cambiamento culturale, che “non dipenda dalla tecnologia, poiché la tecnologia è solo uno strumento … ma il problema chiave è se vogliamo cambiare veramente il nostro comportamento, sia come economia sia come società e cultura: qui è necessario un cambiamento culturale. Dobbiamo dunque cambiare la nostra coscienza, perché quando cambia la nostra visione cambiano i valori ed i comportamenti. La visione preponderante oggi è quella della separazione uno dall’altro: si può separare tutto, possiamo usufruire dell’ambiente come più ci piace, è una visione meccanicistica, materialistica che non è più supportata dalla scienza, ma è sempre dominante nell’economia e nella politica ed in tante parti della società civile è ancora un valore accettato e condiviso. Questo deve cambiare, oggi è importante avere una visione più vasta che vede noi stessi come elementi di un processo più grande, di un processo co-evolutivo. Questo cambiamento è necessario e io penso sarà decisivo nei prossimi anni. Oggi è essenziale il ruolo dell’educazione e della scuola perché la società capisca l’importanza di questo cambiamento”101 .

100 Tolstoj, L. N. (1978). Quale scuola?. Milano: Mondadori. 101 Laszlo E. (2009). Intervento al Convegno: “La rete della Vita - verso una visione integrata della realtà”, 27 novembre, Iseo

Un cambiamento che seppur deve essere educato fin dalla primissima infanzia, oggi sono gli adulti ad essere chiamati in causa per primi. Non appena veniamo in contatto con il centro del nostro essere, esso si sviluppa rendendoci soggetti più completi ed armonici. Quanto espresso pone le basi per relazionare i presupposti dell’olismo con quelli dello sviluppo dell’adulto, assegnando un ruolo cruciale alle trattazioni di Malcom Knowles.

Per il famoso uomo di scienza americano, l’andragogia rappresenta una teoria unitaria dell’apprendimento degli adulti, e, in quanto tale, calibrato sulle esigenze e motivazioni appartenenti ad una specifica fase della vita. L’andragogia, quindi, può essere descritta, ripercorrendo le parole espresse da Mialaret nei confronti della pedagogia, come l’arte e la scienza per aiutare ad apprendere ed evolvere, mentre la scienza andragogica come “modello di assunzioni riguardanti l’apprendimento o come una cornice concettuale che serve come base per una teoria emergente”102 .

Sullo stesso pensiero si accostano le riflessioni espresse da J. Miller, il quale vede l’androgogia come uno stato in cui il soggetto non viene ad essere inteso solo come entità parcellizzata e quantitativa, ma come persona completa: una totalità che ci appartiene in modo del tutto naturale.

L’obiettivo di ogni processo di apprendimento, diverrà, quindi, quello di garantire una progressiva acquisizione di autonomia, libertà e singolarità da parte di ogni soggetto e la percezione di una totalità che si frastaglia in diversità individuali. Un processo che prevede la rivalutazione dell’esperienza, della soggettività e della eterogeneità dei bisogni umani. Ecco che vengono ad essere giustificate le distinzioni della polarità individuale che sono presenti tutte le culture. Esempio palese ne sono lo yin e lo yang rintracciabili nella filosofia cinese. Essa vede le due espressioni come elementi complementari appartenenti alla stessa persona e quindi inesistenti l’una senza

102 Knowles M. (1996). La formazione degli adulti come autobiografia. Milano: Raffaello Cortina Editore.

l’altra. Notoriamente, infatti, lo yin è associato alle qualità intuitive ed emozionali, mentre lo yang, il suo opposto, è legato al carattere razionale ed analitico: possiamo e dobbiamo convivere con questi assunti, senza, però, rimanere intrappolati in uno di essi.

A tal proposito J. Miller ricorda che da alcune correnti della psicologia (Jung, Maslow, etc.) sono tendenti a proclamare la necessità di accettare e integrare le diverse parti del sé, al fine di giungere ad una vera crescita integrale.

Secondo alcuni psicologi, esercitando entrambe le peculiarità umane si può passare a livelli superiori di coscienza, in modo tale da raggiungere un certo tipo di libertà attraverso l’elevazione della tensione tra due modi di pensiero apparentemente incompatibili tra loro.

Sotto tale lente l’androgogia è un’altra metafora del tutto. Non a caso il termine androgogia deriva dal greco andros, “uomo”, e gine, “donna”. In questa linea si collocano le riflessioni espresse da J. Singer, il quale, essendo uno dei principali sostenitori dell’andragogia come metafora dell’intero, considera quest’ultima come archetipo e riscoperta interiore. In questi termini, inoltre, è possibile concepire tale scienza come norma capace di promuovere una società meno “sfruttatrice”, sia per ciò che concerne l’ “eco”, sia di riconoscibilità del sé e delle altre culture.

7.3 Implicazioni soggettive ed educative

In senso generale divenire cittadini attivi significa capire criticamente ciò che socialmente ci circonda ed “essere in grado di analizzare e valutare le diverse concezioni di cittadinanza”.

L’educazione civica, così, si ritrova e si completa nell’educazione morale e nella coscienza, come profeticamente sosteneva Freinet. Un individuo non può davvero essere moralmente retto se non è un

buon cittadino e viceversa. Bethel103, assieme al filosofo nordamericano Norton, ravvisa che nei paesi occidentali ed industrializzati la moralità pubblica e privata è sempre più in evidente stato di crisi, tanto da portare alcuni ricercatori a parlare di “crisi di carattere morale”. Huxley, profondo sostenitore della teoria darwiniana, afferma che la morale non è un semplice prodotto della cultura, bensì ha derivazione genetiche, obbligandoci a dare ragione ancora una volta a Rosusseau ed affermare che la natura umana è buona ed altruista.

Se infatti ciò non fosse vero la stessa morale dovrebbe provenire dall’ambiente e razionalizzata per mezzo della ragione. Molte ricerche hanno stabilito che la morale è presente in ognuno di noi ed è capace di guidare intere comunità se solo ascoltata e perseguita come virtù.

Le criticità del post moderno è attribuita al fatto che l’integrità e la moralità raramente sono date come una caratteristica personale a priori. Anzi, gli esempi che costantemente vengono forniti sono spesso in negazione delle “virtù” umane.

Dare primaria importanza allo sviluppo del carattere individuale, secondo ancora Norton, significa dare rilevanza alla produttività oltre la mera ricezione. Ogni persona, infatti, ha diritto a tutto ciò gli è necessario per raggiungere la felicità, che lo stesso Aristotele definì “attività in base alla virtù”.

Un’importante implicazione e compressione filosofica della felicità aristotelica è che la vita ben vissuta risiede in quello che si fa. Questo mette Norton in opposizione alla concezione moderna, il quale vede il lavoro come una necessità sgradevole a cui tutti devono sottostare.

Se, quindi, per Norton il lavoro non è responsabilità soggettiva per giungere alla felicitià, anzi un ostacolo ad essa, Henry David

103 Bethel D. M. (1998). The role of work in personality development and holistic learning, Encounter, n°11.

Thoreau la tratteggia come “invitante e gloriosa”, capace, cioè, essere intrinsecamente appagante ed estrinsecamente produttiva.

Ciò che appare evidente è che comunque non vi è alcun tentativo di armonizzare le persone con un lavoro, e, di conseguenza si genera un vortice di mediocrità molto pericoloso e di certo poco produttivo. Si è parlato altrove104 dei NEET, quale classe giovanile che ha smarrito la verve di cercare lavoro o di formarsi.

In questo senso, Bethel formula una proposta di insegnamento che si fonda su alcuni principi che appartengono alla letteratura olistica:

1. La Terra viene percepita come un’unità, e tutti i fenomeni, compresi quelli umani, sono visti come interdipendenti. Secondo Reale

G. (1999) questa unità nella molteplicità deriva dalla filosofia orfina che presuppone l’immortalità dell’anima;

2. La formazione è organizzata in un ambiente in cui l’apprendimento avviene attraverso la sperimentazione diretta;

3. Il curriculum olistico è composto da fenomeni interconnessi e da progressioni integrali;

4. L’apprendimento esperienziale comporta il suo ingresso in una nomenclatura di fenomeni naturali e sociali;

5. L’apprendimento non è mai imposto, ma nasce dalla curiosità del discente, in altre parole, deve essere un processo di espressione e promozione umana;

6. L’apprendimento è condiviso da tutti i membri appartenenti al contesto di riferimento.

104 Mancini R. (2013). Segmenti sulla pedagogia della cultura. Perugia: Margiacchi

Non è possibile considerare tutte le implicazioni che derivano da tale modellistica, anche se Bethel ne evidenzia due in particolare:

1 - Nella concezione tradizionale l’educazione è percepita come un progetto che inizia quando si entra per la prima volta a scuola ed è responsabilità degli insegnanti ed degli amministratori che si compia. Nella proposta olistica, invece, l’educazione ha inizio dalla nascita, secondo il modello di educazione permanente, ed è responsabilità dei genitori, degli insegnanti, di ogni soggetto in apprendimento, etc.;

2 - Il mezzo attraverso cui l’educazione deve attuarsi non potrà non essere quello di un apprendimento diretto ed attivo, dove ogni soggetto è coinvolto in qualche tipo di esperienza significativa. La natura delle esperienze, nel progredire nella scala evolutiva, avrà come fine quello responsabilizzazione ed emancipazione delle proprie azioni.

Se, quindi, la filosofia dell’educazione risiede “nel processo di produzione di un nuovo modello umano, quello dell’uomo che si auto–educa e per il quale lo studio e il lavoro non sono incompatibili, deve prendere il suo carattere duro e astratto e deve evolversi sulla scia della vita di ogni giorno”105. Un quotidianità che attraversa lo spirito critico di ogni soggetto e reclama quella funzione olistica di intuizione che trova la sua radice più significativa nella prassi di vita.

In sostanza “la specie umana avrebbe un cuore costituito da una innata tendenza a cooperare, rivestito da uno strato di empatia, quindi di altruismo psicologico, il tutto ricoperto da un sottile strato di giudizio morale, che rappresenta la razionalità applicata all’emozione”106 .

A conferma di ciò le ultime scoperte in campo neurologico atte-

105 Vico G. (2005). a cura di, Pedagogia e filosofia dell’educazione. Seminari itineranti interuniversitari di pedagogia generale, Milano: Vita & Pensiero, p. 5) 106 Joyce R. (2007). The evolution of morality, MA: MIT PRESS

stano che la stessa empatia, quale capacità di instaurare un dialogo positivo con l’altro, è un principio fondamentale per far emergere le emozioni morali ed etiche.

Una “cultura pubblica della convivenza” richiede il rispetto delle norme, delle leggi collettive e delle virtù identitarie, senza le quali ogni processo educativo si sgretola e diviene obsoleto e non pertinente.

Effettivamente l’educazione mira a sviluppare un “buon carattere”, il che significa conoscere ed agire in relazione a valori etici fondamentali: l’assistenza, l’onestà, la correttezza, la responsabilità e il rispetto di sé e degli altri. Non si può pretendere che ogni singolo cittadino si assoggetti alle leggi e alle norme che vigilano su una determinata comunità senza dare la giusta formazione civica.

Per questo siamo profondi sostenitori di quella didattica delle “buone abitudini”, più che di azioni politiche una tantum che risultano poco aderenti al tessuto sociale e altrettanto scarsamente funzionali ed interiorizzabili come modello di comportamento.

Se è vero, allora, come professato da Francesco Bacone che “l’abitudine è la grande guida della nostra vita”, allora occorre sensibilizzare ogni cittadino a seguire le “buone abitudini”, intendendo con questi termini il più profondo benessere individuale e collettivo.

Ogni azione, infatti, è guidata da obiettivi ed alimentata da motivazioni intrinseche ed estrinseche. Mano a mano, però, la motivazione iniziale diminuisce la sua influenza, e l’azione che inizialmente era totalmente volontaria diviene abitudine.

Cap. 8 Valori aggiunti dell’educazione

Anche se si è costretti a rilevare dell’inesistenza di una teoria generale di riferimento e di rari casi di attuazione pratica, educare ai valori significa contribuire ad assumere norme che vigilano sul benessere individuale e collettivo. In particolare il passaggio da una prospettiva olistica ad una situata, dovuto principalmente al legame che essi instaurano con la cultura che li circonda, rende difficoltoso il sottrarsi da riflessioni e speculazioni teoriche capaci di legittimare l’universo valoriale.

Addentrandoci maggiormente nella querelle circa la poliformia che può assumere il sistema valoriale, occorre fare un passo indietro. La definizione data negli anni Sessanta da Mario Mencarelli dell’educazione asserisce che occorre “un’educazione totale (in quanto educazione democratica rivolta a tutti); integrale (in quanto mirante alla realizzazione della capacità di composizione delle antinomie insite nella vita personale); educazione alla critica (in quanto capacità di esercizio della responsabilità morale insita nella chiara coscienza della centralità dell’uomo); alla sintesi operativa personale di valori guida per la propria vita; al dialogo ed alla tolleranza”107 .

In tale direzione Sergej Hessen, pedagogista russo, rivela che la cultura rappresenta un’attività intesa a realizzare ideali assoluti, i quali danno libero sfogo ad un processo di crescita e ad un costante sforzo di adeguamento umano al metafisico ed eterno mondo dei valori; un’azione che costituisce il permanente atto di autoeducazione.

Certo, sarebbe facile controbattere al fatto che i valori non possono essere considerati come olistici, soprattutto assumendo come prospettiva d’indagine quella avanzata dal neocriticismo.

107 Mencarelli M. (1964). Educazione permanente. Dall’educazione di base all’educazione dell’adulto. Brescia: La Scuola, p. 53.

In questo caso i valori esprimono una scienza dello spirito, che compara un determinato principio di comportamento umano ad uno assoluto. Tale giudizio, però, è sempre stimabile come soggettivo e non universale. Il risultato che ne deriva è una presunta oggettività che resta ancorata alla semplice utilità del valore di riferimento. Il valore aspira al carattere assoluto, ma essendo contestualizzato ed utilizzato dall’uomo sfugge a leggi universali pur appartenendoci.

La persona è, infatti, centro di diffusione di valori ed espressione di volontà sociali e soggettive: equilibrio dinamico tra collettivo e personale.

Fink108, alle porte del nuovo millennio, propone un approccio suddiviso in tre elementi, i quali cercano dialogo tra i principi per l’educazione della personalità con i valori che ogni spirito educativo ha l’obbligo di possedere:

l - contenuti, competenze, processi, atteggiamenti, abilità che ogni soggetto necessita per avere successo;

2 – un filtro di valori che autorizzino il soggetto ad entrare in contatto con i problemi del mondo reale;

3 - strategie di insegnamento per coltivare atteggiamenti e personalità positive.

Contestualmente, Rafael Yus Ramos, sulla scorta delle idee espressa da Bolivar (Bolivar A. 1998), cerca di identificare alcuni principi universali per l’educazione morale: coniugare la socializzazione con lo sviluppo di autonomia morale, di ragionamento, di dialogo e di rispetto. Questa relazione darà luogo ad una prospettiva globale della persona, nella sua tripartizione di autonomia, singolarità ed apertura.

108 Fink K. (1998). Character education, Utah: Utah State Office of Education.

Come analizzato da Berkowitz109, la personalità morale è composta da molteplici sfaccettature, tra cui: comportamento, carattere, valori ed emozioni. La competenza morale comprende componenti relazionali ed affettive:

 portare a situazioni di conflitto valoriale, perché, come sottolineato da Puig e Martin (Puig J. M., Martin X. 1998), le capacità di giudizio e il giudizio morale non sono dati a priori, ma sono trasmessi e creati attraverso una costruzione continua di esperienze e decisioni;

 gli approcci cognitivi hanno sottolineato che ogni azione e situazione dovrebbe essere agevolata attraverso il dialogo. Questo include la discussione morale su questioni controverse che costringono ad assumere posizioni diverse. Coerentemente con un apprendimento costruttivista, l’interazione è una attività appositamente studiata per portare a mettere in discussione il punto di vista inizialmente individuale, in modo tale da ottenere un risultato comune;

 il dilemma o conflitto morale è particolarmente utile in quanto richiede riflessione, critica e scelta tra le varie alternative valoriali;

 l’obiettivo non è tanto quale valore adottare, ma chiarire il loro reale significato al fine di una auto-esplorazione ed una auto-creazione che autorizzi il soggetto ad esprimere ciò pensa o sente, insomma a crearsi una propria “identità valoriale”.

In questo senso, Bolivar mette in evidenza le caratteristiche dei due programmi principali che hanno dominato il campo dello sviluppo socio-morale:

a) approcci di socializzazione. La sociologia classica, appartenente a Durkheim, Parsons e Merton, insieme con la psicoanalisi ed al comportamentismo, ha spiegato come gli individui si integrano ai valori di un determinato sistema sociale. Il soggetto, infatti, una volta cor-

109 Berkowitz M. W. (1998). Educar la persona moral en su totalidad, Madrid: Organizaciòn de Estados para la Educaciòn.

rettamente socializzato, dovrebbe essere in grado di agire in modo autonomo nell’adeguarsi alle norme stabilite. Questa dipendenza è ascrivibile nel concetto di “relativismo morale”. Il buono o il cattivo saranno, così, subordinati alla situazione culturale ed all’ambientale di appartenenza. Alcuni sociologi dell’istruzione, tra cui Dubet e Martuccelli110, mettono in discussione il fatto che, nella società di oggi, avente un elevato grado di de-istituzionalizzazione, si possa continuare a mantenere i principi della sociologia classica. La costruzione morale non è più assoggettabile ad una “autorità morale” che impone delle norme. Il processo di soggettivazione delle norme stesse richiede una dissociazione, e questo significa che, in assenza di unità valoriali prescrittive, ogni soggetto deve affrontare la situazione sociale con una ventaglio di possibili risposte predittive. Il modello durkheimiano non funziona più in una società in cui ogni soggetto è collegato con il mondo, in quanto valido solo per le persone pre-inserite correttamente nelle reti sociali prossime;

a) sviluppo e costruzione dell’autonomia. Ogni soggetto non si limita solo ad assimilare le norme, gli atteggiamenti ed i valori imposti, ma li costruisce socialmente nelle relazioni tra gruppi di pari. I valori, quindi, sono costruiti cognitivamente ed autonomamente in determinate fasi di sviluppo umano. Incoraggiare e promuovere lo sviluppo del ragionamento morale, del giudizio analitico ed emozionale risulta essere un’azione pedagogicamente inappuntabile, sia da un punto di vista teorico, sia pragmatico. Questo, infatti, mira a responsabilizzare il soggetto in apprendimento e dotarlo di competenze che gli consentono uno sviluppo integrale.

Con il progressivo decentramento della visione soggettiva, narcisistica e centristica, è possibile comprendere le ragioni, i sentimenti ed i valori degli altri, insomma entrare empaticamente in relazione.

Attualmente, senza abbandonare l’obiettivo finale di una autonomia e configurazione della propria personalità, si ritiene necessario recupe-

110 Dubet F. e Martuccelli (1996). A l’École: sociologie de l’expérience scolaire. Paris: Edition du Seuil

rare una dimensione di vita che sia garantita dal giusto valore espresso dalla cittadinanza.

Secondo Bolivar, siamo in un momento di “riconcettualizzazione ed integrazione” delle teorie che hanno dominato dalla seconda metà del XX Secolo.

In primo luogo, infatti, l’educazione è un patrimonio innegabile in una società democratica. Questa prospettiva individualistica, purtroppo, possiede dei seri limiti: si presuppone un uomo che agisce in modo imparziale.

Le teorie dello sviluppo morale hanno rilevato che non è possibile raggiungere l’autonomia se, in precedenza, non si siano assunte le norme convenzionalmente legate ai valori comuni. Si tratta di un obiettivo educativo quello di far socializzare le norme civili con valori comuni che devono essere condivisi.

Pertanto, rimane un patrimonio irrinunciabile della modernità quello di promuovere l’autonomia morale, ma anche nuove prospettive per la (ri)valutazione della società stessa. Unire le due dimensioni significa portare rispetto ai valori che modellano la nostra migliore tradizione educativa.

8.1 Olismo valoriale e valori olistici

L’educazione olistica sia per affrontare le diverse dimensioni umane, sia per non incorrere in una falsa onniscenza, sembra essere orientata verso una educazione “nella cura dei valori umani e nella cooperazione alla crescita che ogni attore (istituzionale e non) deve interpretare e deve sentire come un impegno non soltanto professionale, ma soprattutto etico”111 .

111 Binanti, L. (2012). Scuole a rischio: una possibile risorsa. Roma: Ancia, p. 11.

Anche Forbes112 rileva che la crisi dell’educazione moderna risieda nei paradigmi materialistici, i quali dimenticano che le persone possiedono connotazioni ben oltre la sfera estetica e formale; piuttosto gli sono propri elementi che si estendono oltre il soggetto stesso e che gli olistici descrivono come “ordine universale” o semplicemente “spirito”. Aldous Huxley tratteggia tali peculiarità umane con la semantica di “filosofia perenne”; verità perenni alle quali ogni soggetto deve rifarsi e dalle quali non è possibile prescindere in qualsiasi percorso educativo.

Molti pedagogisti, infatti, ritengono che qualsiasi espressione, approccio o ricerca della verità può essere solo parziale e l’adesione ad una pluralità di proposte aiuta le persone a vedere se stessi al di là di ciò che è culturalmente limitato.

In queste parole vi è un impegno che costringe a fare i conti con la realtà, per misurare le capacità comunicative e relazionali che si costruiscono e si perfezionano nel tempo, nella ferma intenzione di crescere in senso propriamente umano, nella condivisione di valori e di grandi idee nelle quali si può conciliare e ritrovare l’intera umanità113 .

A partire da questi principi generali, nel 1996 Forbes definisce quattro principi attraverso cui è possibile delineare un’educazione ai valori in modo olistico, che poi verranno ripresi dallo stesso Delors (Delors J. 1999) nel suo rapporto all’UNESCO della Commissione Internazionale sull’educazione per il Ventunesimo Secolo redatto nel 1999:

1 - Imparare a vivere insieme. I rapporti basati su strutture di significato è uno dei motivi per cui l’educazione olistica ha dato un valore centrale a tre competenze relazionali: la perce-

112 Forbes, S. (1996). Values in Holistic education. London: Roehampton Istitute London. 113 cfr. Mencarelli, M. (1981). La sfida dell’educazione. Teramo: Lisciani &Giunti.

zione di ciò che serve per imparare a vivere in una prospettiva dialogica, la costruzione di comunità fondate sull’armonia e sull’equilibrio sociale e la tendenza verso obiettivi comuni che si ritrovano nella scoperta dell’alterità. Per questo motivo gli educatori olistici ritengono che le dichiarazioni rese dai tradizionalisti per promuovere la democrazia e la libertà sono utopicamente false, o per lo meno partono da principi sbagliati. Un’educazione integrale dichiara che ogni ambiente educativo debba essere un luogo in cui le relazioni, l’apertura, l’onestà e la comunicazione siano simmetriche, non anche le differenze valutate in quanto portatrici di benessere comune ed appartenenti ad una cultura che si fa plurale. L’ambiente ed il clima che si crea in un processo di apprendimento sono caratterizzati da un senso di appartenenza, organizzazione e partecipazione. Per la stessa UNESCO l’atmosfera che si respira in ogni contesto educativo è la misura dell’efficacia dell’apprendimento. Un clima solidale, stimolante e motivazionale viene ad essere creato e “rispecchiato” in ogni soggetto. Secondo Cole e Griffin114, infatti, il contesto educativo è da intendersi come “insieme di trame interdipendenti”, i cui fattori principali sono l’organizzazione, le relazioni, le conoscenze ed il tempo. Contestualizzare l’apprendimento significa in tal modo assorbire gli elementi che influenzano lo sviluppo umano secondo un assioma integrato ed olistico. Il modello che ne deriva si esplicita secondo caratteri intrapersonali, al fine di esibire un’azione coerente che la Dozza sintetizza come “campo dinamico”115; 2 - Imparare a collaborare. L’enfasi sullo spirito di cooperazione e cooptazione, piuttosto che sulla concorrenza e competizione appare essere una strategia vincente di ogni educazione. Una formazione centrata e volta alla classificazione,

114 Cole A. e Griffin M. (1987). Contextual factors in education. New York: Department of Education. 115 Dozza, L. (2006). Le relazioni cooperative a scuola. Il lievito e gli ingredienti. Milano: Erickson.

alla comparazione e alla ricompensa sviluppa concorrenza, lotta ed antagonismo. Da questo punto di vista l’educazione appare essere fonte primaria di formazione e di dialogicità intrapersonale ed interpersonale; un dialogo intrinseco ed estrinseco che stimola la parte più profonda del nostro essere e che reclama continui orientamenti, sollecitazioni e riflessioni. In questo senso la responsabilità di ogni individuo nei processi decisionali sarà partecipativa ed collaborativa, fattori imprescindibili per il raggiungimento dell’interdipendenza positiva e democratica; 3 - Imparare la democrazia. Ogni governo, pur essendo stato eletto democraticamente, può cadere nell’irresponsabilità di sostituirsi all’uomo/cittadino e di regolare a suo comodo le esigenze che altrimenti dovrebbero essere collettive. Secondo Freire (Freire, P., 1969) abbiamo ancora bisogno di un cambiamento radicale nella struttura tradizionale dell’autorità. Forbes continua asserendo che l’unica soluzione che si scorge all’orizzonte è rappresentata dalla concezione romantica del soggetto, dove la persona non è vista semplicemente come una piccola parte di un sistema sociale o economico, ma quale insieme di spirito, trascendenza e umanità. L’uomo, così, viene ad essere salvaguardato in quanto espressione di entità contenente il “sacro”, riconosciuto e trattato, quindi, come tale. La competenza sociale oltre a prevedere un avanzamento di tipo conoscitivo su un determinato tema o nella risoluzione di problematiche, richiede abilità interpersonali e di gestione di se stessi. In tale modo occorre promuovere esperienze dirette che potenzino il lavoro in team e creino situazioni che possono e devono essere apprese per facilitare il raggiungimento degli obiettivi. La competenza sociale diviene un “insieme di abilità consolidate, utilizzate spontaneamente e con continuità per avviare, sostenere e gestire un’interazione all’interno di uno specifico contesto”116;

116 Ellerani, P. (2012). Metodi e tecniche attive per l’insegnamento. Creare contesti per imparare ad apprendere. Roma: Anicia.

4 - Imparare dalla diversità. Se si è concordi che all’interno di ogni uomo c’è del sacro, allora l’umana espressione è da salvaguardare e rispettare. Tutto ciò porta a riflettere che l’educazione ha bisogno di essere principalmente un processo di sviluppo espressivo e ricerca di se stessi negli altri. Di qui una nuova concezione di identità, che “rende possibile superare gli aspetti ordinari degli individui e sottolineare ciò che si ha in comune, piuttosto che le differenze”, sancisce Jacques Delors. Solo nel momento in cui ci “sarà la convinzione diffusa, principio comune, che ognuno di noi è uguale all’altro e ognuno di noi è diverso dall’altro, la qualità della vita potrà migliorare per tutti e per ciascuno: nel gioco complesso di uguaglianza e di diversità si svilupperanno le dinamiche costruttive per una società interculturale”117 .

8.2 Per una relazione educativa olistica

Nel corso di poco più di mezzo secolo ogni agenzia ed istituzione educativa, tra cui certamente l’Università, ha subito delle trasformazioni che non hanno pari nella storia, a partire da quella rivoluzione dell’insegnamento che poneva il discente al centro del progetto educativo descritta dal Richmond118 sul finire degli anni Sessanta o dalle innovazioni tecnologiche che hanno dato i natali alle Università on-line.

Ogni opera e processo formativo investe sulla persona e sul suo più intimo potenziale; un’azione che tocca le corde scoperte dell’uomo, il senso più vivo e rappresentativo, quanto mai delicato e bisognoso di attenzione e cura.

L’educazione può annientare ed annichilire, se mal gestita, così come può sviluppare e maturare se esercitata con coscienza, onestà, antologica e prospettive dialogiche.

117 Santelli Beccegato, L. (2003). Interculturalità e futuro. Analisi, riflessioni, prospettive pedagogiche ed educative. Bari: Levante, p. 22. 118 Richmond, W. K., La rivoluzione dell’insegnamento. Roma: Armando.

Ecco, allora, che riecheggiano parole di G. Steiner, il quale descrive alcuni maestri (educatori) come “vampiri dell’anima”119, usurai dello spirito umano che si nutrono delle vitalità altrui in quanto incapaci di valorizzare ed apprezzare quell’humanum appartenente in ognuno di noi.

La vicinanza tra soggetto docente e discente ha l’obbligatorietà di orientarsi ed indirizzarsi verso un percorso di miglioramento continuo.

Non basta, quindi, la simultanea presenza di più soggetti per rendere un rapporto una “relazione educativa”, ma occorre che si instaurino delle congetture basate sulla fiducia, sulla volontà e sul rispetto reciproco. La relazione educativa, insomma, può essere descritta come uno scambio “d’amore con amore, fiducia con fiducia”. Essa, infatti, “non è soltanto una delle molteplici esperienze mondane che il soggetto può vivere, ma è, invece, la sua condizione esistenziale primaria. Vale a dire che il soggetto non è se non nella relazione con l’altro e con gli altri”120 .

In questa sinergia d’intenti è d’obbligo tenere presente che “non si insegna ciò che si sa, ma ciò che si è”, professa un antico adagio. Dello stesso parere sono le idee di H. Murcami (Murcami H. 1992) quando asserisce che “l’io che è fuori di te è una proiezione di ciò che è dentro di te, e ciò che è dentro di te è una proiezione del mondo esterno. Perciò spesso, quando ti addentri nel labirinto che sta fuori di te, finisci col penetrare anche nel tuo labirinto interiore”.

Quello che è possibile estrapolare ad tali riflessioni appartiene, o dovrebbe far parte, di una moderna professionalità docente, quantunque sottomessa alle regole del gioco normativo, ma sempre coscienziosa nello sviluppare nel discente le sue più intime altezze, espressioni creative e di pensiero critico.

119 Steiner, G. (2004). La lezione dei maestri. Milano: Garzanti 120 Madrussan, E. (2012). Briciole di pedagogia. Cinque note critiche per un’educazione come inquietudine. Roma: Ancia

Questo può e avviene solo con una relazione dialogica diretta alla ricerca di ciò che entrambi, docente e discente, non conoscono, verso, cioè, una privata scoperta che scaturisce dall’unione di due singolarità creative e da vere e proprie fatiche d’amore.

Di qui la ricetta espressa dal P. Perrenoud121 di un casellario di competenze per poter insegnare, tra cui:

- spirito organizzativo e contestualizzazione animata dell’apprendimento;

- gestione e ottimizzazione degli apprendimenti significativi;

- ideazione e evoluzione dei dispositivi di differenziazione;

- coinvolgimento dei discenti;

- stimolare il lavoro di gruppo;

- partecipazione attiva alla gestione dell’agenzia formativa;

- dialogo con i genitori;

- auto realizzazione delle tecnologie dell’apprendimento;

- formazione di una identità etica, deontologica e morale;

- aggiornamento continuo.

L’atto educativo non risiede solo nella conoscenza di una determinata area disciplinare o nei sui gangli più oscuri, ma in una forma mentis capace di maturare e progredire in comunione con lo sviluppo fisico e trascendentale appartenente alla persona umana. “Non lo so cerchiamolo insieme”, professa un aforismo educativo; una ricerca che non esaurisca il suo mandato nel momento in cui si firma uno statino d’esame o si viene interrogati, ma che perduri in una rela-

121 Perrenoud, P. (2002). Dieci nuove competenze per insegnare. Invito al viaggio. Roma: Anicia

zione d’amore, perché è solo attraverso il donarsi reciproco che può nascere e sorgere il vero senso educativo.

8.3 La mitologia quale aneddoto nella formazione della personalità

J. Miller presta particolare attenzione alla mitologia, cioè alla possibilità di collegare ed intrecciare storie appartenenti alla cultura popolare con le vicende ed episodi personali.

La mitologia in tal senso può essere paragonabile ad un continuo aneddoto avente un’elevata significatività, che sottende delle verità indirette. Infatti, nell’aneddoto, così come nei racconti epici, non vi è solo l’opera di ascolto e di narrazione, ma intervengono facoltà specifiche che innalzano il piano della storia da semplice esposizione a valore.

L’abilità dell’oratore nel descrivere i passi cruciali arricchendoli di elementi e descrizioni, così come il saper setacciare criticamente gli elementi educativi da parte dell’uditore, creano situazioni e atmosfere senza pari. I miti, le metafore ed i vissuti, infatti, possono essere considerati un intento educativo e rappresentano dei momenti di alto valore relazionale.

Quante volte, infatti, il grande maestro porta i racconti personali in classe per spiegare una verità che il discente percepisce come un qualcosa d’importante, tanto da restare ben salda nella memoria. Questa memorizzazione è totalmente diversa da una informazione trasmessa normalmente.

Perché delle storie? Bateson, nel Metalogo risponde: “anche quando racconto storie tratte dalla mia esperienza, non è della mia storia personale che parlo. Le storie riguardano qualcos’altro. La storia delle lontre riguarda il fatto che due organismi per giocare devono essere capaci di emettere il segnale <<questo è un gioco>>. E allora ci rendiamo conto che questo tipo di segnale, la metacomuni-

cazione, cioè un messaggio che riguarda un messaggio, far sempre parte della loro comunicazione”122 .

Presentare storie, per Bateson, ha una forte rilevanza educativa. Gli aneddoti rappresentano dei momenti entro cui è possibile spiegare la natura umana. Le azioni, i comportamenti, i vissuti e le esperienze singolarmente compiute vanno pensate in termini di storie, poiché ritraggono una vera e propria fonte di vita.

Ogni atto conoscitivo è collegato in modo indissolubile con altre esperienze, ogni vissuto è relazionato ad altri vissuti, così come ogni esperienza non deve essere custodita come qualcosa che può esserci portato via, piuttosto come qualcosa da condividere, in quanto facente parte di una coscienza culturale comune.

In altre parole, Bateson, per descrivere qualsiasi evento, fenomeno naturale non si serve di dati quantitativi, ma, analizza le forme, i contorni e le relazioni che sono insite nel processo.

Ad un livello più profondo, molte delle storie e delle espressioni mitologiche ed aneddotiche sono messaggi su come possiamo vivere una vita migliore.

Anche se oggi tali elementi sono compresi solo come momento di svago, ludico, di divertimento, o, nella migliore delle ipotesi, intrappolati in oblii di saggezza che ormai non viene più tramandata, possiedono ancora molto significato, in particolare quando, di fronte alle transizioni da una fase della vita ad un altra, cerchiamo un significato, magari olistico, che possa fornire risposte alle inquietudini che a volte ci tormentano.

Il racconto mitologico e la storia compresa nell’aneddoto possono offrire risposte al discente che comunque provengono da loro stessi in base alla traduzione dell’insegnamento compreso nel racconto.

122 Bateson G, Bateson M. C. (1989). Dove gli angeli esitano. Verso un’epistemologia del sacro. Milano: Adelphi.

Campbell123, un noto mitologo, ha sottolineato il fatto che la ragione per cui alcuni adolescenti soffrono di problemi psicologici è perché non sono guidati in maniera interioristica. Molti giovani, infatti, pensano che l’alcol, la droga, il sesso, la criminalità, il bullismo ed il vandalismo possano divenire dei veri e propri miti moderni ed avere, perciò, un significato sociale.

Non avendo una posizione critica su tali questioni sembra che molti cerchino proprio il significato all’interno di rituali ed esperienze promiscue. Campbell suggerisce che abbiamo bisogno di una nuova mitologia, capace di parlare alla gente in un nuovo linguaggio. Questo dovrebbe affrontare le interconnessioni e le interdipendenze tra le diverse culture e fornire una base per una società globale in cui le persone vivono insieme nella fiducia reciproca.

L’educatore deve essere capace di modificare la conoscenza contenuta nelle mitologie, così come cercare le risposte ai grandi interrogativi, in modo tale da creare un nuovo “mito ed aneddoto olistico”.

Ecco, allora, che attraverso l’educazione è possibile integrare:

- il cuore: fiducia,emozioni, amore, rispetto, etc.;

- la testa: organizzazione, conoscenze, sapere, etc.;

- la mano: abilità,competenze, capacità pratiche, etc..

Una sinergia che si realizza nella sfera olistica, dalla cui traduzione tutto nasce e a cui tutto si rifà.

In quanto esseri globali, abbiamo bisogno di vedere noi stessi, di avere un ambiente favorevole e di una dialogicità rispettosa. Chiaramente, il nuovo diventa una prospettiva globale che è “interglobalizzata e intralocalizzata”.

123 Campbell J. (1988). The power of myth. Toronto: Doubleday

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