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7.2 Diversità olistiche

Cap. 6 L’intuizione ed il pensiero creativo

Da un punto di vista teorico e pratico è bene chiarire fin da subito che l’intuizione non deve essere confusa con la creatività, anche se ne fa comunque e necessariamente parte. Questo non significa che l’intuizione possieda poco valore nei processi di creativi o di apprendimento, bensì che anch’essa ha, paradossalmente, l’obbligatorietà di essere educata ed esercitata.

All’interno della scuola tradizionale l’intuizione è vista come una sorta di “escamotage”, una via di fuga qualora non si sappia affrontare, in modo logico e lineare, un determinato problema che ci viene posto.

Sappiamo, infatti, che un modello di pensiero bastato sulla logica è reso istituzionale da una educazione contemporanea, che accredita un apprendimento standardizzato. Nella cultura moderna le ipotesi di oggettività, le modalità attraverso cui si forma nuova conoscenza, il controllo, la prevedibilità e l’analisi, rappresentano il tentativo di fissare principi formativi basati su “fatti oggettivi” e risposte logiche.

Secondo Hart81, se si pone l’accento su una sola particolare forma di conoscenza, ad esempio quella logico/analitica, si rischia di inaridire le capacità umane. Troppo spesso il processo analitico diventa monodimensionale ed autoreferenziale, ignorando la sua natura polimorfica.

Se è pur vero che un problema spesso ha una natura singolare, la soluzione non potrà mai essere rintracciata nei meandri della particolarità, se è vero “che non esiste una definizione certa, sicura, assoluta. Basta riflettere su un saggio di K. R. Popper che Antiseri ripropone per rilevare che non è possibile ammettere, lungi

81 Hart, T. (1998). A dialectc of knoeing: integreating the intuitive and the analytic, Encounters, n° 11.

dall’empirismo e dal razionalismo, fonti privilegiate di verità quando appare del tutto fuori luogo perseguire idolatricamente la certezza e l’oggettività della scienza. Cosicché non rimane che una pista da percorrere: quella dell’assunzione di quanto più possibile punti di vista per interpretare un dato del mondo reale o, come nel nostro caso, un problema”82 .

In realtà, prosegue Hart83, l’ “one-answer-correct” appartiene ad una filosofia primitiva ed ormai non più funzionale e pertinente nella società della conoscenza, certamente soppiantata da quel detto inglese “more shapes than one”, in cui la dimensione pluralista rappresenta l’unione degli intenti. Hart aggiunge che questa distorsione nel modo di pensare moderno può anche essere descritta come una “mancanza di saggezza”.

La varietà di criterio include la capacità di conoscenza del sé, quale principio per andare oltre i confini contestuali e cambiare idea e prospettiva.

Di qui, afferma Rosati, “un dato certo è rappresentato dal fatto di dover cambiare idea, come ha sostenuto H. Gardner, che è segno di flessibilità intellettuale e non chiusura preconcetta alle scoperte scientifiche. Soprattutto, sulla spinta di una tensione etica e di un’ansia metafisica, nell’uomo c’è sempre bisogno di andare oltre i propri limiti e le proprie conoscenze, per crescere in cultura ed esperienza”84 .

Troppo spesso, comunque, la fatica, l’automazione dei processi di apprendimento, la paura e il trionfo della mediocrità investono le performance individuali. Ciò ha conseguenze su due livelli:

3 il dialogo interno. Alcuni psicologi sottolineano che, quando si valorizza la tendenza innata verso la consa-

82 Salvato R., Mancini R. (2007). Il lavoro di gruppo. Competenze per l’azione didattica. Perugia: Morlacchi Editore, p. VII 83 Hart T. (1998). A dialectic of knowing: integrating the istitutive and the analytic. Encounters II (3). 84 Rosati L. (2008). La fine di un’illusione. Perugia: Morlacchi Editore, p. 172).

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