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processo collettivo. Infatti, la demiurgia regale, per essere assimilata a un‟opera d‟arte, diventa prodotto singolare, la cui perfezione o imperfezione resta dovuta al cattivo governo del re. Da qui la credenza di origine platonica che la conoscenza del bene producesse di per sé il buon governo, con gli strumenti tecnici della politica. Ma questa credenza era fondata sull‟ipotesi che l‟uomo fosse essenzialmente un animale politico (), e non già un essere spirituale, libero di decidere il percorso del proprio destino esistenziale, ossia quel  che negli altri esseri viventi è predeterminato dal loro habitat naturale. Non si dà mondo senza . E per “mondo” s‟intende esattamente la (poca o molta, a seconda dei casi) possibilità di affermare la dimensione singolare nell‟ambito delle offerte strutturali del sistema sociale in cui l‟uomo si trovi storicamente a vivere. La storicità dell‟esistenza umana è data da questa relazione intercorrente tra la volontà di libertà singolare e la necessità sistemica della struttura sociale di preservarsi dai cambiamenti, ossia dalle spinte socialmente eversive delle singole possibilità esistenziali dell‟uomo, tendenti ad adattare la realtà esterna al proprio mondo. L‟idealismo filosofico, proiettando in Dio la volontà mondanizzante della coscienza umana, fa di Lui un demiurgo onnipotente, creatore e governatore del creato. Un re, appunto, il cui regno è l‟universo intero. Ma questa proiezione antropologica della figura divina, facilmente sottolineata a suo tempo da Feuerbach, non corrisponde all‟immagine che ne danno i Vangeli, per i quali Dio non interviene nella vita umana a sostituire la propria volontà alla responsabilità dei singoli, e cioè alla libera decisione motivata dalla loro fede, ma giudica con misericordia le azioni umane, ossia ne riconosce la parte di bene connessa alle sole possibilità dei singoli. Diversamente dalla distinzione logica del giudizio umano, affidato alla ragione, quella divina non commisura il bene a un principio astratto e a un precetto generale valevole erga omnes, ma attribuisce a ciascuno il suo, sostituendo dunque al giudizio universale proprio della astratta ragione umana, il giudizio singolare proprio della infinita misericordia di Dio. Il re, pertanto, volendosi attenere a un‟idea di giustizia universale e valevole generalmente per tutti indistintamente, si allontana dalla misericordia di Dio, omologandosi alla astratta volontà della natura, la cui consequenzialità dei fenomeni prescinde infatti da ogni considerazione della loro singolarità. L‟amore nasce da tale 98

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