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cristiana distinta dalla universale e razionale moralità, l‟unica veramente “divina”. L‟affrontamento razionalistico della questione religiosa come questione morale, riporta in auge inevitabilmente la cultura che, diversamente da quella cristiana che l‟aveva estraniata in Cristo, aveva esaltato la virtù come sommo valore esistenziale e civile proprio dell‟uomo, quella greca.
3. La pòlis è una “comunità e ogni comunità si costituisce in vista di un bene”. Qual è questo bene? “La comunità che risulta di più villaggi è la pòlis”, che “esiste per natura”, e perciò è “anteriore a ogni individuo”, e “la natura è il [suo] fine”, ossia “il meglio”, che per la pòlis consiste nella sua “autosufficienza completa”. “La pòlis è un prodotto naturale” così come “l‟uomo per natura è un essere socievole”. Ma è altresì dotato di parola, la quale, a differenza della semplice voce, posseduta anche dagli animali, “è fatta per esprimere ciò che è giovevole e ciò che è nocivo e, di conseguenza, il giusto e l‟ingiusto”. Il possesso di tale discernimento è proprio all‟uomo, e il possesso comune () di tali valori “costituisce la famiglia e la pòlis”.315 In queste pregnanti e sintetiche espressioni di Aristotile, si compendia l‟antropologia che deriva dalla visione naturalistica dell‟uomo propria dell‟ontologia greca, la quale esaurisce la sua portata filosofica nella concezione dell‟uomo quale animale politico. Già Hannah Arendt aveva sottolineato la duplice definizione aristotelica dell‟uomo come animale politico e come essere dotato di parola, ma la sua considerazione della natura politica dell‟uomo, quale “modo di vita nel quale solo il discorso aveva senso e nel quale l‟attività fondamentale di tutti i cittadini era di parlare tra loro”,316 la portava a misconoscere l‟orizzonte teoretico del pensiero greco quale pensiero della finitezza. Infatti, la circoscrizione del lògos nell‟ambito della convivenza politica, fa di esso lo strumento ‟ funzionale al ragionamento politico, ossia alla discussione utile alla vita della comunità politica. Orbene, il lògos, distinto dalla contemplazione
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315 Aristotile, Politica, I A, 1-2. 316 H. Arendt, The human Condition (1958), tr. it. Milano, 2014, pag. 21. 144
(nous), “il cui contenuto non può essere espresso in parole”, assolve alle sue funzioni essenziali, cioè naturali, mettendo in relazione reciproca, non già gli uomini in quanto tali, ma le cose del mondo creato dagli uomini. Il carattere mondano del lògos politico fa di questo lo strumento precipuamente umano di rapportarsi al mondo. Di conseguenza, l‟approccio razionale al mondo, consentito dalla tecnica dialettica del ragionamento scientifico, costituisce il massimo livello di coscienza del pensiero greco, per definizione “politico”. Ciò comporta che le cose nominate dalla parola politica, siano anch‟esse, in quanto oggetto del relativo pensiero, di natura politica. Il mondo rappresentato dal lògos è un mondo politico, ossia pensato attraverso categorie di natura politica. In tal senso, avendo la parola una destinazione funzionale alla vita politica, la filosofia greca è essenzialmente politica, ovvero non trascende l‟orizzonte mondano della finitezza. Questo limite del pensiero greco è il limite stesso del suo orizzonte di senso; un orizzonte intrascendibile e circoscritto alla dimensione dell‟immanenza, entro la quale il “giovevole” è quanto consente di raggiungere il più possibile la sua “autosufficienza”, ossia la condizione fisiologica della sua durata nel tempo. E dunque il “giusto” nella prospettiva politica è la durata della comunità sociale. Lo spazio della parola politica coincide con la durata delle istituzioni sociali, le quali permangono oltre il tempo propriamente politico della discussione, per cui è propria della parola politica creare un mondo durevole quanto la parola che l‟ha pensato. E poiché o spazio della politica è quello della finitezza della vita sociale, il tempo della parola politica è lo stesso spazio di durata dei regimi politici. In tal senso tempo ed essere vanno a coincidere nel pensiero greco sì come la durata con la realtà fenomenica, per cui la sua massima espansione razionale, ossia la sua universalità, coincide con il massimo della sua espansione spaziale, geometrica. Da qui l‟esigenza di espansione del pensiero razionale in senso politicamente universale, acquisendo al suo spazio ogni dimensione umana in quanto prodotto dell‟uomo. Il pensiero politico è dunque l‟orizzonte semantico dell‟homo faber rationalis. L‟idealtipo faber include la specie di homo politicus quale espressione di animal rationale. La variante di specie razionale del generico homo faber è l‟homo oeconomicus, il quale è l‟espressione sociale dell‟homo politicus, la sua interfaccia socializzata. Da qui l‟esigenza essenziale della unità (koinonìa) della comunità politica sia nel senso della convergenza del pensiero, che nel senso della 145
corrispondenza ideologica della società, quale oggetto di pensiero e destinataria della parola politica. Nella corrispondenza della unità esistenziale con la unità ideale si realizza il fine naturale della ragione politica, il suo télos razionale universale di far corrispondere l‟essere al pensiero, realizzando così la sua realtà totalitaria: fare del Molteplice Uno. In tal senso lo Stagirita afferma che “la ragione è architetto”.317 Ma egli stesso si avvede che realizzare questo fine politico sarebbe la fine stessa della politica, realizzando la sua contraddizione, il suo “paradosso teorico” di voler garantire la vita dell‟uomo e di stabilirne la morte.318 Ma questo esito paradossale è inscritto nella logica stessa della dialettica politica, che escludendo dal suo essere ogni sua antitesi alla fine per sussistere deve convertire in opposto reale la sua stessa posizione tetica ideale e finire dunque per contraddirsi. La posizione tetica consiste nel porre il Tutto come Urgrund e identificarlo con lo stesso spazio politico, il quale si definisce come il tòpos della natura razionale, opposto al tòpos della natura meramente animale. Già per questo solo fatto, la pretesa di costituire una unità esclusivamente razionale convertendo la realtà naturale in mondo umanizzato, trasformato in prodotto di ragione, è il massimo della hybris, che non è stato raggiunto in considerazione della persistente insuperabile condizione etnica della logica greca, quale scoperta teoretica propria del genio ellenico, ed etica, relativa alla condizione politica, necessariamente conflittuale verso l‟altro-da-sé, a cominciare dall‟uomo meramente produttore, sia contadino o schiavo, l‟animal laborans di cui parla la Arendt.319 Ma l‟obiettivo universalistico dell‟architettura politica non è stato raggiunto anche per una ragione più profonda, da Aristotele stesso individuata nel suo trattato sulla Politica, in un passo in cui si manifesta palesemente l‟impraticabilità teorica dell‟assunto razionalistico del Tutto ideale come unità politica. Socrate stesso, afferma dunque Aristotile, pone “l‟unità” della pòlis come il “principio fondamentale” e il suo bene più alto. In realtà, egli
317 Aristotile, Politica, I A, 13, 1260a, 15-20. 318 M. Foucault, “Il faut défendre la société” (1976), tr. it. Milano, 1998, pagg. 207 sgg. 319 H. Arendt, The human Condition (1958), tr. it. cit., pag. 18. 146