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viene a perdersi anche il loro significato, che è universale, ma all‟interno della sostenibilità razionale delle deduzioni procedenti da determinati assiomi ipotetici, per cui “l‟assioma dal quale parte la deduzione non deve di necessità essere (come sostenevano logica e metafisica tradizionali) una verità di per sé evidente; non deve minimamente tener conto dei fatti dati dal mondo oggettivo nel momento in cui l‟azione ha inizio; se sarà logico, il processo dell‟azione creerà un mondo nel quale il postulato di partenza diventa assiomatico e per sé evidente”.434 Se dunque ogni modello strutturale può comprendere quei fatti che lo confermano e da cui traggono il relativo significato, avanzando la stessa legittima pretesa di razionalità di ogni altro, i significati dotati di senso non contestuale, dal quale contesto non dipenda la stessa ragionevolezza della loro memoria,435 e dunque assolutamente veri, possono “soltanto manifestarsi o svelarsi”.436 Che il luogo dello svelamento fosse la Storia, ha costituito la credenza mitica di intere generazioni, che nella coscienza collettiva credettero ritrovare in scala esponenziale quei valori eterni perduti dalla disincantata coscienza individuale. La progressiva scansione temporale impedisce, d‟altro canto, alla Storia di rappresentare a parte subjecti l‟infinito processo in divenire dell‟umanità, ma non di costituire lo scenario fenomenologico dell‟eterno, custodito dalle eponime vicende singolari dell‟uomo universale, produttore di opere spirituali, che hanno la fattualità dei prodotti materiali e il significato delle azioni immortali. Da qui la necessità di una filosofia della storia spiritualistica che abbandonasse ogni residuo naturalistico dell‟uomo come animal rationale e si concentrasse sui suoi prodotti spirituali, essi solo eterni, trascendenti la stessa origine empirica dell‟attore materiale, la cui caducità fisica lo rende, a cospetto dei suoi atti immortali, quasi irrilevante. Ma anche la trascrizione trascendentale della cristiana personalità spirituale dell‟uomo, conservando l‟idea platonica di un rispecchiamento delle
434 Ivi, pagg. 124 e 126. 435 “La memoria […] perde ogni potere se avulsa da un contesto prestabilito”: Ivi, pag. 28. 436 Ivi, pag. 118.
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molteplici azioni umane nei loro unitari modelli ideali, partecipa della antica ontologia pagana, avendo eliminato dallo scenario storico la figura essenziale dell‟uomo quale totalità singolare, simile a Dio proprio in virtù di tale singolare totalità, la cui essenza divina, se accomuna le distinte singolarità empiriche, non è da esse disgiungibile e astrattamente rappresentabile alla maniera idealistica. Esattamente questa duplice fisionomia, spiritualmente trascendente e storicamente singolare, fa della empirica vicenda umana la dstinta articolazione temporale della vicenda paradigmatica del Cristo, a un tempo eterno e singolare, persona concretamente storica e non surrogabile con il concetto di umanità. Proprio l‟impersonalità dell‟astratta rappresentazione dell‟uomo-cittadino ha consentito la teoria di modelli politici performativi, invasivi degli spazi sociali, che non tengono conto della “realtà oggettiva” che costituisce lo scenario naturale che l‟intervento razionalizzatore è tenuto a trasformare secondo modello. Esattamente, cioè, la definizione dello spazio pubblico come dimensione della politeia ha consentito quella esercitazione del Potere che, in nome dei suoi fondamenti razionali indipendenti da ogni pregressa verità condivisa (dòxa), ha legittimato eticamente il proprio ruolo attraverso la realizzazione dei suoi fini immanenti, coerenti con il postulato fondamentale della sussistenza, ossia, in pratica, con la conservazione dello Stato quale spazio politico razionalizzato, uno habeas corpus istituzionale che non è altro che la proiezione ideale di quello del soggetto politico individuale, il cittadino appunto. Rispetto all‟esercizio di arte politica del Potere, la relazionalità politica in sé come attività persuasiva () non è altro che una variante pubblica della tecnica dialogica del filosofare esteso in senso essoterico, che fa della filosofia la logica che sottende i rapporti politici universali e quindi i processi storici. I limiti di questa visione retorica delle relazioni pubbliche, che fa della politica una attività basata sulla discussione, e quindi sulla tecnica affabulatoria, è di destoricizzare una rappresentazione del mondo tipica della civiltà orale della Grecia arcaica, quando ancora mancava una relazionalità fondata sulla scrittura o altri mezzi di comunicazione del pensiero. Gli stessi riti contemporanei della relazionalità politica, a partire dalla legislazione per finire ai rapporti diplomatici, assumono come un dato antropologico l‟aristotelico inteso come facoltà dell‟oralità, che necessita della piazza politica, agorà o parlamento che sia, come del suo luogo di 202
teatralizzazione.437 Si comprende facilmente come tale rappresentazione orale del politicare, parallelo a quella del filosofare, eleggendo il dialogo come fondamento stesso della , fa di esso una condizione di statu nascendi che rimuove la questione del Governo, che la prassi politica intende come il factum decisionale del Potere pervenuto alla sua unità etico-razionale, ma che in realtà è eminentemente extra-politico, perché consegnato a una fattuale compiutezza che che esula dalla possibilità in-definita in cui si muove il discorso, de-terminandolo come evento implicante la responsabilità della scelta definitoria in cui si conchiude, con la sua indeterminatezza, anche la sua libertà, inerente alla decisione della sfera morale. Con la decisione morale, ossia con l‟atto di Governo, si realizza il passaggio dalla libertà alla responsabilità, consistente nella volontà di interrompere il processo in fieri del pensiero per stabilirlo in senso normativamente determinativo: come terminus ad quem, in riferimento alla sua attuale determinazione finale, e come terminus a quo rispetto al suo valore deontologicamente normativo. Ed è nell‟atto decisorio, della de-cisione morale, che si assume la responsabilità (l‟abilità di ponderare [il significato de] le cose) di far corrispondere alla realtà ideale la realtà pratica. In questo senso l‟atto di Governo, che assume il senso di valore comune, non è la semplice determinazione finale di un procedimento dialettico e formale, ma è un atto tragico, in cui si fronteggiano il Bene e l‟opportuno, e per la cui giustezza si richiede l‟assistenza divina. Se infatti la colpevolezza può essere dimostrata attraverso una concatenazione causale di eventi, l‟innocenza invece, non è dimostrabile, e la sua credibilità richiede un atto di fede nella giustizia, che si rivolge sempre al caso concreto, riguardato con partecipazione compassionevole,438 e perciò non universalizzabile. Assumere invece l‟atto di Governo come la mera conclusione di un processo formale, equivale a considerare lo stesso ragionamento logico, anziché un atto contemplativo del “vedere”, un lavoro tecnico regolativo delle azioni politiche, dall‟esito reale necessario prefigurato nel modello ideale in cui si rispecchia la realtà. Sulla base di questa configurazione polare dell‟Essere idealistico, Hegel poté riconfermare, dopo la scissione
437 Ved. l‟introd. di A. Dal Lago all‟ed. it. cit. di Passato e futuro, pagg. 16-17. 438 Ved. H. Arendt, On Revolution, tr. it. cit., pag. 92. 203
metafisica di Cartesio, “l‟identità ontologica della materia con l‟idea”, sulla quale Marx fondò la sua concezione del movimento dialettico come legge universale.439 Se dunque ogni petizione politica riflette l‟istanza razionalizzata dei suoi patrocinatori, essendo coerente al suo fondamento assiologico, essa è etica in quanto razionale rispetto al suo fine particolare, e quindi metodo-logicamente universale, ma non perciò di contenuto valoriale comune a tutte le altre petizioni particolari, ognuna portatrice di una sua razionale giustificazione assiomatica, e dunque parimenti etica rispetto al suo assunto di base, che è l‟interesse di parte. Che questo costituisca, in quanto razionale, e metodologicamente universale, anche un valore comune entro lo spazio politico, è una petitio principii che costituisce l‟atto di fede che legittima la fictio juris della rappresentanza dei sistemi democratici, ma non è di per sé una verità incontrovertibile sulla quale stabilire il fondamento preferenziale del criterio politico come il migliore reggimento di Governo. La natura sociale e quindi pre-politica e originaria del Governo può essere razionalmente negata solo facendo dell‟attività politica stessa l‟antitesi della condizione sociale, ossia costituendo la prassi politica come un processo anti-sociale, alternativo e non difensivo degli assetti sociali. In questo senso, la polis ideale oggetto della filosofia politica, costituisce uno spazio virtuale razionalmente alternativo a quello concretamente esistenziale, e costituito da rapporti che non sono reali nel senso della concretezza ma solo nel senso della loro pensabilità ideale. In questo processo di trasformazione della vita comunitaria, basata su rapporti sociali, in vita politica basata su rapporti formali, consiste l‟aspetto rivoluzionario e utopico di ogni modello strutturale di Stato etico, la cui operatività razionale si esplica attraverso la neutralizzazione di ogni forma di Governo morale a opera del Potere politico surrogatorio. Non a caso la politeia fu sin dall‟origine concepita come alternativa alla conduzione economica della comunità domestica, strutturata per durare nella sua realtà naturale e dunque eterna, e non per conformarsi a un modello ideale. Dalla originaria unità comunitaria di famiglie (Gemeinschaft),
439 H. Arendt, Passato e futuro, tr. it. cit., pag. 67.
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