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antitesi, affermativa della sussistenza della tesi, per cui lo sfondo delle relazioni tra le arti resterà comunque polemico, confermando l‟intrascendibilità dell‟orizzonte politico, incentrato sul principio della sovranità, espressione razionalistica in termini di Potere dell‟autorità di Governo morale tradizionale, la cui depositaria era la divinità narrata dal Mito, anziché la costituzione depositaria dell‟immanente diritto (= Potere degli uomini = nomos della legge), ma non della trascendente Giustizia (= Governo divino = “giustizia del cuore”: Rom., X, 10).
440 In questa rielaborazione, o se vogliamo in questo “superamento”, del Mito da parte del discorso logico si predispone il dominio de (la ragione esclusiva del) politico sul (sentimento inclusivo del) religioso, nei due tempi della secolarizzazione, ossia della distinzione del sapere sacro dal sapere profano, e quindi dell‟auto-nomia del sapere profano come scienza delle essenze ideali e metafisiche, e della razionalizzazione dell‟intero orizzonte del mondo della vita attraverso l‟affermazione universale dell‟ente economico (capitalismo) e politico (democrazia) come l‟unico Essere reale oggetto di conoscenza razionale, la cui destinazione tecnica si trasferisce funzionalmente al suo relativo concetto come ideale di libertà secolarizzata. 441 Come ha detto J. Taubes a proposito della filosofia della storia di W. Benjamin, “ciò che esteriormente si compie come un processo di secolarizzazione, di desacralizzazione e de-divinizzazione della vita pubblica e si comprende come graduale processo di neutralizzazione, fino ad arrivare alla „libertà dal valore‟ della scienza come indice per la forma di vita tecnico-industriale, ha anche un volto interno, che testimonia della
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440 Questo aspetto di insuperabile ingiustizia connaturato a ogni pace politica, e dunque a ogni soluzione di diritto, doveva spingere gli spiriti giusti di ogni epoca a ricercare una pace vera in un ambito superire a quello dell‟ordine giuridico e trascendente la socialità politica, nel quale potessero infine trovare un sollievo al caos mondano ben diverso da quello incerto del katéchon legale. Tale ambito superiore, considerate le premesse istituzionali, non poteva essere né il cattolicesimo della Chiesa né l‟assolutismo dello Stato, per quanto idealizzati, per cui ogni vera grande anima, “bella” in quanto aspirante all‟infinita realtà di Dio, ha sempre anelato intimamente al congedo dal mondo storico come all‟unica pace spirituale veramente eterna, cercando rifugio in un eremo poetico e mistico. 441 H. Arendt, Loc. cit., pagg. 142 sgg.
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libertà dei figli di Dio in senso paolino, ed è quindi espressione di una Riforma che sta giungendo a compimento”.442 Questo lungo processo immanentistico è venuto a maturazione con l‟umanesimo e col rinascimento e si è perfezionato, attraverso l‟illuminismo e il positivismo, con l‟ideologismo totalitario, ma esso era insito nelle stesse forme razionalistiche di pensiero filosofico. Il Leit-motiv di tale processo è stato la lotta contro ogni forma sociale di autorità tradizionale, considerata mitica, fondata sui rapporti gerarchici tra gli uomini. Il razionalismo, proponendosi di fondare la conoscenza sui soli principi della ragione, è intimamente anti-tradizionalista, considerando i fondamenti ereditati della conoscenza comune come pre-giudizi, opinioni non suffragate da alcuna dimostrazione logica. Tale presa di posizione ideo-logica è all‟origine della costituzione greca dello spazio politico come luogo dell‟esercizio del logos inerente alla sfera pubblica, e il legame stretto che il razionalismo stabilisce con la politica rimarrà una costante in ogni forma di critica alla autorità della tradizione, che è la modalità caratteristica di ogni proposito intellettuale di rinnovamento culturale e sociale del proprio tempo. Ma solo a partire dall‟età democratica, inaugurata dalla Rivoluzione francese, l‟ideologia razionalistica si è andata affermando come il sistema di valutazione di miglior valore delle classi dirigenti degli Stati e delle società contemporanei, realizzando quella perfetta aderenza del piano strutturale con quello sovra-strutturale preconizzata da Marx come “regno della libertà”, la cui costante organizzazione tesa a salvaguardarlo costituiva anche per Lord Acton, “il fatto caratteristico della storia moderna”.443 D‟altro canto, la “perdita della tradizione non implica affatto una perdita del passato, poiché tradizione e passato non sono la stessa cosa”, essendo la tradizione “la catena che vincolava ogni generazione successiva a un determinato aspetto del passato”, la “memoria” di esso, senza la quale “l‟intera dimensione del passato risulta compromessa” in quanto priva della “profondità nell‟esistenza umana”, che “l‟uomo può raggiungere soltanto attraverso la
442 J. Taubes, Carl Schmitt. Un apocalittico della controrivoluzione, cit., pag. 39. 443 Lord Acton, Essays on Freedom and Power (1955), cit. da H. Arendt, Loc. cit., pag. 136.
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memoria”.444 Anche nel campo religioso, invaso dal dubbio metodico, le verità della fede tradizionale sono state scosse dal paradosso e dall‟assurdo, anche se, va detto, “il rifiuto dei dogmi della religione istituzionale non implica necessariamente una perdita, e neppure una crisi, della fede, poiché religione e fede, o fede e convinzione religiosa,
444 H. Arendt, Loc. cit., pag. 133. In realtà, la memoria del passato, come rappresentazione di ciò che è già stato, trova la sua giustificazione storica nella considerazione del presente solo in quanto latrice e confermativa di una autorità pregressa e tramandabile che funga da fondamento normativo del pensiero e dell‟azione anche degli attori contemporanei, attraverso il cui ossequio e perpetuazione essa viene nobilitata in senso dell‟attualità come mimesis del passato. Fuori di questa valenza normativa e mimetica, la memoria diventa la traccia di percorso di una rappresentazione della realtà spirituale che trascende simbolicamente la realtà pubblica del mondo fenomenico, oggetto della considerazione politica, per attingere a un ordine avvenimenziale legato al paradigma soteriologico meta-fisico, di cui la memoria come dèxis è la traccia assiologica. Ciò che Hegel notava dell‟arte simbolica, uno squilibrio tra il ridotto contenuto e la forma esuberante, che verrà confermato nell‟arte romatica questa volta a favore del contenuto, è in realtà il rapporto costante che sussiste tra l‟inclusivo orizzonte di senso religioso e ogni sua determinazione concettuale o sensibile, inevitabilmente riduttiva. Solo l‟arte greca, razionalistica, ha potuto concepire una perfetta corrispondenza tra contenuto e forma estetica, che era già supposta tra il Logos e l‟Essere. Ma proprio la incompiutezza dell‟arte fa di questa una rappresentazione aperta alla totalità che consente quella libertà espressiva e semiotica che il concettualismo scientifico tende a convertire in una unità di senso esclusiva di ogni alterità semantica, il cui presupposto razionalistico è di emancipare il pensiero dall‟inclusivo orizzonte mitico originario. Ciò che distingue l‟arte dal pensiero scientifico è dunque la diversa rappresentazione della realtà, che nell‟arte rimane simbolicamente aperta al trascendimento della forma nel senso della totalità, inclusiva del negativo, laddove l‟espressione razionalistica tende invece a contenerla nella forma concettuale, che è determinazione del solo essere positivo, che è l‟essere dell‟ente. Proprio perché l‟arte esclude che l‟Essere dell‟ente sia il Tutto, essa è la rappresentazione della possibilità dell‟ente a nonessere l‟Essere del pensiero determinato ma altro, e dunque a costituirsi come traccia simbolica della libertà verso il Tutto, che è sempre in-determinato. Non a caso l‟arte romantica è profondamente religiosa e intimamente cristiana. 208
non sono affatto identificabili”. La convinzione è infatti affine al dubbio e quindi a questo esposta. Aver perduto l‟autorità equivale per l‟uomo a fare a meno di quella “pietra angolare [che] ha reso il mondo durevole e permanente”, ossia ad “aver perduto le fondamenta del mondo”, la sua “solidità”, rendendolo “un universo proteiforme, dove in ogni momento tutto può trasformarsi in qualunque altra cosa”.445 L‟autorità, in materia di Governo, è legata intimamente tanto alla libertà che alla legittimità, perdendo le quali l‟autorità si trasforma in tirannide.446 “Nel regime autoritario”, come giustamente ricorda la Arendt, “la fonte dell‟autorità è sempre una forza esterna e superiore al potere di questa”, che “trascende il campo politico” limitandone il potere, e dalla quale “le autorità derivano la loro „autorità‟, cioè la loro legittimità”.447 Il totalitarismo, in quanto “è la conseguenza della perdita di tutte le autorità tradizionalmente riconosciute”, si coniuga con la tirannide, ma appunto perciò, “pur non identificandosi direttamente con la democrazia, ne appare il risultato inevitabile”.448 Infatti, anche dal punto di vista strutturale, il regime autoritario è stabilito su fondamenta gerarchiche ed è quindi intrinsecamente “la forma di governo meno egualitaria, che incorpora l‟ineguaglianza e la distinzione come principi informatori dell‟intero sistema”, laddove il regime tirannico è da sempre compreso “tra i regimi egualitari”, essendo tutti i sudditi “isolati, disgregati e perfettamente uguali,” cioè “ugualmente impotenti”, di fronte al potere tirannico, per la sua totale distruzione dei corpi sociali intermedi.449 Sia il liberalismo, che “misura il declino della libertà”, che il conservatorismo, che “misura quello dell‟autorità”, sono entrambi concordi nel prevedere “come risultato finale il totalitarismo”, quale esito inevitabile di entrambi i processi. Nondimeno, le due posizioni, quella liberale e quella conservatrice, “costituiscono le due facce di una sola medaglia, così come le loro due ideologie, corrispondono alle due possibili direzioni del processo storico”, postulato dalla loro filosofia
445 Ivi, pag. 134. 446 Ivi, pag. 136. 447 Ivi, pag. 137. 448 Ivi, pag. 138. 449 Ivi, pag. 139.
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della storia tardo-moderna, avente “una direzione definibile e una fine prevedibile”. Entrambe le ideologie storico-processualistiche attestano della loro incapacità di tracciare le necessarie distinzioni teoriche tradizionali, che costituivano il senso della analisi politica dei secoli passati, oggi perduto nella attuale “realtà politico-pubblica”,450 in quanto i loro giudizi critici si concentrano sulle funzioni dei fenomeni socio-politici ed economici, surrogabili e pertanto sempre labili storicamente, anziché sui loro contenuti ideali, che sono storici in quanto riconducibili al loro contesto genetico.451 In riferimento all‟autorità, il relativo concetto di governo è di origine romana, e non greca, e “comporta un‟obbedienza nella quale gli uomini rimangono liberi” da coercizioni esterne e da incombenze domestiche.452 L‟obbedienza che garantiva la libertà era per Platone quella “esercitata dalla ragione attraverso il filosofare”, in quanto discende non dalle persone ma dalle idee, intese quindi come criterio o “unità di misura del comportamento umano in quanto trascendono la sfera delle cose umane, nello stesso modo in cui un metro trascende ed è estraneo a tutte le cose delle quali può misurare la lunghezza”.453 Esse costituiscono un modello formale utile all‟azione “proprio in quanto trascende il processo di realizzazione, pur essendone la guida”, e perciò in grado di “costituire il criterio di giudizio per misurarne la riuscita o il fallimento”. Un criterio “del comportamento e del giudizio politico e morale” tanto idealmente assoluto ed eterno quanto politicamente funzionale alla costruzione della vita pratica.454 Come abbiamo altre volte chiarito, proprio l‟esigenza edificatoria dei principi ideali in senso generale fa di questi dei modelli funzionali al Potere politico, e quindi inclusivi di “un elemento di violenza” che è “inevitabilmente insito in ogni processo di fabbricazione e produzione”, che nel caso dei rapporti umani si avvicina al rapporto naturale che l‟uomo ha con le cose e si distingue da attività come “l‟agire e il parlare, i cui oggetti primari sono
450 Ivi, pagg. 141-142. 451 Ivi, pag. 145. 452 Ivi, pag. 147. 453 Ivi, pag. 152. 454 Ivi, pag. 153.
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altri esseri umani”.455 La fase edificatoria della filosofia politica segna il passaggio dalla contemplazione del Bello come realtà trascendente la finitezza della condizione umana, alla realizzazione del Bene come valore comune di natura sociale. Ed è altresì in questa transizione che nasce il rapporto problematico tra il Potere politico () e il Governo morale (). Se infatti la sfera del giudizio politico presuppone una autorità giudicante, o di ultimo appello, essa non può essere omogenea al criterio in base al quale si conforma l‟oggetto politico, ossia al modello valoriale interno alla struttura ideo-logica, poiché tale modello si costituisce come la proiezione ideale dell‟ente di ragione nato dalla voluntas operandi dell‟attore, per cui la coerenza interna al giudizio di conformità può stabilire la corrispondenza tra astratto modello ideale e concreto prodotto realizzato, ma nulla può dire circa il senso della destinazione dell‟opera in quanto tale, ossia il suo rapporto con ciò che la precede e da cui sorge e da ciò che la segue e a cui è destinata. Senza tale relazione, infatti, qualunque prodotto può essere giudicato valido secondo il suo valore efficace, cioè lo scopo strumentale, ma non secondo la sua destinazione finale, per cui la rimozione di ogni criterio teleologico rende ogni prodotto funzionale a se stesso e quindi uguale a ogni altro. E poiché ciò che è funzionale a se stesso ha per unico scopo la propria sussistenza, ogni ente di ragione finisce per confondersi con un qualunque ente mondano, stabilendosi pertanto tra gli enti una sola possibile reciproca alterità, quella estetica. Conseguenza politica di tale autoreferenzialità ideologica è che l‟autorità venga intesa, all‟interno della strutturale come necessità funzionale all‟ordine sistemico, e all‟esterno come dispositivo di potere nel senso di Foucault. Il criterio esterno, sovraordinato al sistema come una Grundnorm, deve essergli pre-esistente, e come tale indipendente. Rispetto all‟ordine politico, soltanto quello sociale è pre-esistente, e fondato sull‟ordine divino. La critica filosofica alla religione e quella politica all‟ordine sociale minano i fondamenti di legittimazione dei rispettivi atti di pensiero, operando esplicitamente o surrettiziamente contro l‟ordine stabilito (ordo conditus) in nome di un altro ordine, da stabilire. Ed è la pretesa di un ordo condendo a costituire la posizione del filosofo e del
455 Ivi, pag. 155.
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politico come oggettivamente rivoluzionaria rispetto alla tradizione e al tradizionale principio di autorità, fondato su statuizione eterne di ordine morale-religioso. Una autorità che è legittimata da questa tradizionale concezione religiosa dell‟ordine sociale è appunto quella del Governo (), laddove l‟ordine politico che la filosofia vuole fondare è stabilito sul Potere ().456
456 Va precisato che l‟ cui aspira e allude il Potere politico è un initium (l‟Enstehung nietzscheiano, l‟Anfang arendtiano) contingente (), un evento, cioè, non originario (Ursprung, Beginn) che irrompe sulla scena avvenimenziale come prodotto umano, la cui necessità è legata alla sua fattualità storica. Ed è la sua condizione di factum a stabilirlo come criterio ( Prinzip) di un processo politico. In questo senso, la “liberazione” rivoluzionaria dall‟auctoritas tradizionale costituisce il momento negativo, destruens e dunque violento, della costituzione dello spazio politico come luogo della libertà, che è la pars costruens del processo rivoluzionario, a partire dal quale si stabilisce l‟inizio del Governo politico, che pertanto con-tiene sia il segno della violenza istitutiva che quello dell‟ordine costituito. L‟atto decisorio del Governo politico è un potere che proviene dalla sua libertà, intesa come sovranità (potestas) anziché come atto di giustizia arbitrale e di responsabilità morale di una auctoritas che “arresti il potere” in considerazione che “la vertu meme a besoin de limites” (Montesquieu, Esprit des Lois, XI, 4). La doppia fonte di potestas politica (pouvoir constituant) e di legittimità democratica (pouvoir constitué) furono le premesse del Potere totalitario secolarizzato, in cui i rappresentanti della volontà generale governano per tutti contro ognuno. Quando la Arendt afferma che “il potere e la violenza sono opposti; dove l‟una governa in modo assoluto, l‟altro è assente” (On Violence (1970), cit. da R. Esposito, L’origine della politica. Hanna Arendt o Simon Weil, Roma, 1996, pag. 44), in realtà si riferisce al Governo, che è “assoluto” da ogni determinazione politica, mentre il Potere in funzione di governo, essendo esercizio della forza politica esclusiva delle forze minori, contiene sempre in sé l‟elemento originario della violenza che l‟ha istituito e “l‟accompagna lungo l‟arco di tutta la sua estensione” (Ivi, pag. 45). La stessa distinzione tra una fase di “liberazione” e una successiva di “libertà”, conferma la natura contingente ed eventuale dell‟ordine politico come “costituzione della libertà” (constitutio libertatis), ossia di un Governo costituzionale, non più dunque, come per tradizione, monarchico e legato a un ruolo di istituto etico-sociale, ma organo politico di natura giuridica e di forma repubblicana. (Ved. H. Arendt, On Revolution, tr. it. cit., pagg. 156-157 e 160-173; Id., The Life of the Mind (1971-1975), tr. it., Bologna, 1987, pagg. 459 sgg. e le sintetiche pagine dedicate all‟argomento da R. Esposito, Op. cit. ,pagg. 25-33, 3542).Tra le due fasi del processo rivoluzionario, il collegamento che rende possibile il passaggio alla seconda è la credenza nel fondamento autoritativo dello stesso atto 212
La differenza stabilita da Aristotele tra e , verteva non tanto sulla attività economica del primo e su quella pubblica del secondo, quanto sulla diversa legittimazione che la sfera politica, razionale, vantava rispetto a quella sociale, religiosa. Rispetto alla credenza sociale (), la cui forza era di essere condivisa e quindi comune, la convinzione filosofica era soggettiva e individuale, ma non opinabile, cioè non controvertibile, e legata alla natura elettiva del filosofo, la coscienza () del quale si emancipa dalla vita umbratile della caverna allontananandosi appunto dalle credenze comuni ma non vere. Allorquando la dimensione della ha coinvolto a partire da Socrate la dimensione politica, l‟antropologia filosofica ha preteso con Aristotele di includere nella definizione di uomo anche la sua natura di essere . In quanto essere di pensiero, il metafisico si occupava della verità. Solo in quanto pensatore sociale il filosofo prese a occuparsi dei modelli ideali della vita () razionale (), per definizione politica. Il valore teoretico delle Idee era riposto non nella loro verità metafisica, che poteva variare da cultura a cultura e da popolo a popolo, ma nella loro universalità antropologica congiunta inseparabilmente alla condizione politica, precipuamente greca. Il sapere metafisico era considerato universale in quanto destinato a tutti i cittadini (omnes, ), e non a fazioni o gruppi sociali, mentre al pensiero
rivoluzionario come deificazione della libertà quale religione del nuovo status civitatis. Ma la “religione della libertà” in senso politico greco, che concepiva “l‟azione” come “l‟unica facoltà umana che esige una pluralità di uomini”, e che fa del “potere l‟unico attributo umano che si esplica solo in quello spazio terreno fra gli uomini per mezzo del quale gli uomni sono reciprocamente collegati” (H. Arendt, On Revolution, tr. it. cit., pag. 199), in un contesto culturale cristiano come quello europeo dove la libertà aveva tradizionalmente un valore morale essenzialmente impolitico, incentrato sulla ekklesia come comunità spirituale, equivaleva all‟instaurazione di una concezione pagana della socialità, che non a caso è stato l‟esito ideologico di tutte le rivoluzioni moderne, il cui idolum tribus è la democrazia, intesa appunto come dimensione ideale della libertà politica, rispetto alla quale il liberalismo ha rappresentato storicamente la fase indicata dalla Arendt come quella della “liberazione” razionalistica dall‟autorità etico-religiosa tradizionale. L‟ideologo che per primo ebbe ben inteso il carattere pagano della politica fu Machiavelli, il teorico dello Stato secolare assolutistico, il cui Principe (nazionale, classe, partito o popolo che fosse) era l‟origine di ogni legalità. 213