428 erboristeria domani - maggio/giugno 2022

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MAG./GIU. 2022

ISSN 1721-56765676

ERBORISTERIA domani

Il punto

AgrobIodIversItà e fItoderIvAtI funzIonAlI

microcosmesi

fermentazione e cosmesi naturale

Timo cespuglio superaromatico

intervista

V-Label Italia Vivaness in

estate noi e loro fitoterapia veterinaria

Coca pianta sacra

Spices & Herbs Global Expo


Apertura

II

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ERBORISTERIA domani indice editoriale

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reportage Spices & Herbs Global Expo: la filiera mette radici a cura di Demetrio Benelli

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idee, prodotti, servizi

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intervista Il consumo vegetariano: oltre il simbolo a colloquio con Sophia Somaschi e Beatrice Balzani, V Label Italia

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anteprima fiere Biofach / Vivaness 2022 La grande estate del biologico

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il punto Agrobiodiversità e fitoderivati funzionali di Valeria Leoni, Luca Giupponi, Marco Zuccolo, Davide Pedrali, Alessia Bernardi, Tiziana Zendrini, Anna Giorgi

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cosmesi bio in collaborazione con NATRUE Cosmesi in fermento di Diana Malcangi e Mark Smith

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noi e loro Gli animali di una volta a cura di Alice Zubani

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Spices & Herbs Global Expo: a Rimini le tre giornate di aggiornamento professionale, i a iti,pro e esperienziali e analisi sensoriale, presentazione i pro o i ele ionati e i a re ature per la coltivazione e la prima trasformazione. nata la era pro e ionale per la liera elle piante officinali

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24 La tutela nei territori di origine di molteplici varietà alimentari può fare scoprire e studiare nnumerevoli o tan e iolo ica ente a i e ancora poco conosciute.

review 47 Fitoterapia e nutrizione, dati e evidenze della ricerca cura di Marcello Monti monografia Timo, il cespuglio superaromatico di Paolo Poggi

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etnobotanica La pianta sacra degli Incas di Domenico Carotenuto

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review Appunti di fitocosmesi a cura di Paolo Poggi

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34 Ingredienti fermentati, derivati a erici, nutrienti in ra o i intera ire po iti a ente con la ora microbica della pelle: sono il trend e er ente per i pro o i co etici funzionali.

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ERBORISTERIA domani autori

Alessia Bernardi, Domenico Carotenuto, Anna Giorgi, Luca Giupponi, Valeria Leoni, Diana Malcangi, Marcello Monti, Davide Pedrali, Paolo Poggi, Mark Smith, Tiziana Zendrini, Alice Zubani, Marco Zuccolo

indice inserzionisti A. Minardi & Figli

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Aboca

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BIOFACH Nurnbergmesse CEC Editore ESI

Si ringraziano per la collaborazione:

Fitomedical

Associazione Vegetariana Italiana GRIPO Gruppo Ricerca Piante Officinali, DAFNAE, Università di Padova

Helan

NATRUE

III cop 16 IV cop II cop I romana

L’Erbolario

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V Label Italia

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VIVANESS Nurnbergmesse

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realizzazione crediti immagini In copertina: antico manoscritto di frutticoltura cinese Le foto contraddistinte con la sigla cc sono pubblicate secondo i principi Creative Commons non ono tate o i cate, citato l autore, e po ono e ere ripro o e li era ente

dati editoriali Iscrizioni Elenco Periodici della Cancelleria: Trib. MI n. 264 del 26-6-1978 Registro Nazionale della Stampa: (L 416/1981) in data 28-10-1982 con il n. 467 Direttore responsabile Eva Benelli Stampa ipo ra a o o

direzione coordinamento, produzione Demetrio Benelli consulenza editoriale Anna Schoenstein hanno collaborato Paolo Poggi (senior editor) Claudio Pagliarani (promozione editoriale)

editore Demetrio Benelli editoria specializzata, consulenza, formazione Loc. Sassi Neri 7 - 29022 BOBBIO PC C.F. BNL DTR 58L29 F205S PI

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website

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editoriale

Le specie ritrovate Cambio di paradigma: è a questo che pensano i ricercatori del polo Unimont dell’Università degli Studi di Milano quando parlano di agrobiodiversità. Il modello di sviluppo del sistema agricolo convenzionale lo conosciamo: crescita quantitati a illi itata ella re a pro u i a per un nu ero i pecie c e i po ono contare ulle ita i una ano Per o enerla colti a ioni e ten i e eccani ate, ele ati con u i i ac ua e ener ia, anni a ientali per l i pie o i ertili anti e pe tici i e i per ita i alore nutri ionale el pro o o, o rapro u ioni a i tru ere Per noi, c e ci occupia o i o tan e un ionali elle piante, ue to o ello a oluto ire l allonta ento al no tro ori onte i centinaia i pecie e etali, onti ali entari alternati e nel pa ato, c e proprio a ra er o l ali enta ione i ono coe olute con la pecie u ana, pe o le ate anc e alle con i ioni i alute o i ala ia elle popola ioni c e le coltivavano. Per ortuna olte i ue te pecie non ono co par e, ono olo na co te con un po i a en ione, tu ian ole, po i ile tornare a coprirle o e le tre ariet i cui i parla nell articolo c e pu lic ia o, e c i co e nella toria, da luoghi lontani del mondo si sono trovate a risalire le valli alpine per venire curate e coltivate dagli agricoltori locali. In ie e alle ariet locali, ono ri a te in uie cien a, na co te, anc e le cono cen e ui loro utili i tra i ionali, c e u ual ente o i tornano alla luce e en curate ue to il te a ul uale accia o il punto in ue to nu ero ia o certi c e ar una elle ire i e trate ic e per lo iluppo el co parto nel pro i o uturo, il proce o solo all’inizio. na pro pe i a c e i le a olto ire a ente anc e all appro a ione el ecreto interini teriale i a ua ione ella le e , nal ente co piuta con la pu lica ione in Ga e a fficiale proprio in ue ti iorni Per la pri a olta un elenco i pecie intro o o in un te to i le e in ece c e li itare e ra olere e ten ere all in nito l i ea i pianta officinale Per c i i c ie e e ue ta le e tia ca ian o ualco a, raccontia o al i o la na cita i una nuo a ani e ta ione peciali ata, pice er Glo al po, c e a pre o il ia all ini io i a io nell a ito i ac rut a Ri ini con note ole entu ia o e partecipazione. n incontro e icato alla colti a ione e alla pri a tra or a ione elle piante officinali, proprio uella parte ella liera c e era tata ricono ciuta, poco pri a ella pan e ia, al nuovo inquadramento legistativo. ono tante le li ita ioni i po te, ualco a in ue ti ue ifficili anni ucce o e no a ora in ue te occa ioni i incontro con il pu lico ci enti a o c ie ere io orrei e icar i alla pro u ione elle piante officinali, a o e e o co inciare nelle tre iornate i Ri ini a ia o incontrato olti nuo i interlcutori c e i er ano a noi per raccontarci o a iato ue ta colti a ione nel io a rituri o propon o ue ti pro o i officinali co e po o i liorare ue ta tra or a ione e ti onian e i una io i er it i pro e i pro e ionali i pro u ione e alori a ione elle piante officinali c e i ono ra icati proprio a e o nel no tro pae e, e c e e en curati potranno are ita nel uturo a un nuo o a iente naturale per il no tro co parto

di Demetrio Benelli

Con questo numero inizia una nuova stagione della nostra rivista. Un ringraziamento sincero va a Francesco Redaelli e a CEC editore per l’impegno e la puntualità con cui ne ha curato e realizzato l’edizione per tanti anni. un ra ie entito a alle i pre e c e ci anno rinno ato la loro ucia e il loro o te no on le ini iati e ul ca po, il portale er ale io, nuo e or e i co unica ione, nuo e propo te e itoriali, peria o i ren ere e pre pi i o e pro u i o il no tro ca io con la co unit pro e ionale tar a oi le ori arci apere e ci tia o riu cen o ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)

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Reportage

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Tre giornate dedicate a erbe e spezie: aggiornamento professionale, dibattiti, prove esperienziali e analisi sensoriale, operatori e imprese dall’Italia e dal mondo per la presentazione di prodotti selezionati e biologici, e di attrezzature specializzate per la coltivazione e la ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022) prima trasformazione.


Reportage

Per la prima volta le piante officinali alla ribalta internazionale di MACFRUT

Spices & Herbs Global Expo:

la filiera mette radici

a cura di Demetrio Benelli

Si è svolta a Rimini, dal 4 al 6 maggio, la prima edizione del nuovo salone dedicato alle erbe officinali e alle spezie. La collocazione nell’ambito di una manifestazione come Macfrut, leader internazionale per molte filiere agricole specializzate, ha acceso i riflettori sul prodotto officinale, le piante e i derivati primari. Grazie all’impostazione di “fiera nella fiera” l’evento ha preso il via con una identità propria: quella di una manifestazione specificamente dedicata al comparto delle piante officinali che mancava in Italia e nel panorama europeo.

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uesto è il nostro ambiente, ci dice Andrea Primavera, con un occhio ai padiglioni in allestimento: e non si riferisce solo allo spazio dedicato alla novità dell’edizione 2022, Spices & Herbs Global Expo, ma ai diversi settori delle varie filiere dove produttori provenienti da tutto il mondo si preparano a esporre frutta e verdura da primato, “plant-based products” competitivi a ben vedere non solo sul piano economico e produttivo, ma anche sotto il profilo nutrizionale e funzionale. La presentazione dei vari campioni mondiali di avocado, mele, ciliegie, fichi d’india, kiwi, piccoli frutti è formulata con immagini e concetti futuribili e incentrata non tanto sulle rese, ma

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Reportage

sulle qualità; tutte le soluzioni proposte in tema di servizi tecnici per la produzione, la protezione delle colture, le tecnologie di trasformazione e conservazione sono basate su criteri di sostenibilità e risparmio energetico, di economia circolare, di utilizzo di principi attivi naturali.

In alto: riconoscimento di oli essenziali e presentazione di aromatiche spontanee della Sicilia. Qui accanto, alcuni momenti degli “aperitivi aromatici” animati dai due barman Emanuele Fontana e Alex Toti, guidati da Marco Sarandrea.

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Networking professionale, non solo commerciale Questo il contesto nel quale ha preso il via il nuovo salone Spices & Herbs Global Expo: un percorso espositivo dalle erbe aromatiche spontanee dei territori del Sud Italia ai prodotti erboristici di aziende agricole-industriali del Nord e del Centro, dalle spezie biologiche di provenienza regionale italiana certificata a quelle altrettanto selezionate ma prodotte in Indonesia e nei territori costieri dell’Oceano Indiano, per arrivare alla esposizione e ai momenti dimostrativi di attrezzature e macchinari per la raccolta, l’essicazione e la prima trasformazione. Il criterio che ha animato le giornate di Macfrut è stato quello di incentrare l’interesse di espositori e visitatori non solo sulla contrattazione di mercato ma anche sul confronto professionale riguardo all’innovazione, alle tendenze e alle strategie di sviluppo delle varie filiere. Questo approccio nell’ambito di Spices & Herbs Global Expo si è concretizzato nella realizzazione delle tre giornate del forum FIPPO, l’appuntamento biennale tra tutti gli associati della Federazione Italiana dei Produttori di Piante Officinali che prevede seminari di aggiornamento tecnico, sessioni di domande e risposte con gli esperti, e momenti di dibattito e di confronto associativo. Valorizzazione della biodiversità e orientamenti della ricerca scientifica applicata tra i temi dei seminari, alternati a momenti di confronto con gli esperti, e alla presentazione dei progetti e delle attività delle aziende associate. Aspetti specifici della caratterizzazione della qualità delle spezie sono stati trattati nei workshop curati da Cannamela, ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)


Reportage

azienda partner dell’evento per il mercato delle spezie, che ha dato vita allo show cooking dedicato. Largo ai giovani! Una particolare ventata di novità è venuta dai giovani che hanno gestito le iniziative proposte dalla nostra rivista. Competenze diverse quelle dei ricercatori e degli studenti dell’Università di Padova e quelle dei due giovani barman specializzati nell’uso delle “botaniche” nella mixology: un mix, appunto, da cui sono scaturiti momenti molto divertenti e animati, un vero e proprio scambio di esperienze. Riconoscere gli oli essenziali dal profumo e le erbe dal colore e dall’aspetto non è così semplice, anche professionisti del settore, che ci lavorano tutti i giorni possono prendere abbagli: soprattutto se si deve riuscire a distingere tra essenze di uno stesso ceppo di lavanda coltivato, però in luoghi e su terreni diversi, o se tra le opzioni proposte per riconoscere campioni di oli e droghe si trova anche il nome di una specie che in effetti nel gruppo non c’è. L’area dedicata a questi esperimenti è diventata un punto di richiamo permanente per i visitatori, capaci di trattenersi tra i banchi, le ampolle e la collezione di droghe per delle mezzore. Dare vita a queste prove è stato compito del DAFNAE, il Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse naturali e Ambiente dell’Università di Padova: i test sensoriali sono stati concepiti e sviluppati da Stefano Bona, professore associato al Dipartimento, e sono stati affidati per la conduzione a Maddalena Cappello Fusaro, Francesco Mirone, Anna Perbellini e Francesca Scanferla, tutti e quattro impegnati in progetti di ricerca su diverse piante officinali. Un’equipe di ricercatori già affiatata, a cui si sono uniti gli studenti del Corso di Laurea in Scienze Farmaceutiche Applicate, futuri tecnici erboristi dell’ateneo veneto, guidati in questa esperienza sul campo dalla presidente del corso, Raffaella Filippini. Emanuele Fontana e Alex Toti sono stati invece i due giovani barman che hanERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)

In alto, HPP Italia presenta la tecnologia di pastorizzazione a freddo, adatta ai derivati vegetali, anche in fase liquida, tramite trattamento con elevatissime pressioni. Qui sopra, la preparazione di uno dei test da parte del gruppo di ricercatori e studenti dell’Università di Padova assieme al prof. Stefano Bona. Accanto, la degustazione di un long drink aromatico analcoolico preparato per le colleghe indonesiane.

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Reportage

Renato Iguera

Mauro Cornioli

Il mercato delle droghe erboristiche, potenzialità e criticità nella fase attuale. Il tema della tavola rotonda conclusiva ha messo a confronto rappresentanti delle diverse fasi della filiera. La domanda di officinali e derivati funzionali è in crescita in tutto il mondo; la struttura della catena del valore, e la difficile congiuntura, sono i punti da affrontare.

Francesco Novetti

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Mauro Brisighello

no interpretato la sfida posta dagli appuntamenti serali con gli aperiviti aromatici. Le loro principali proposte sono nate dalla rivisitazione di famosi long drink con l’inserimento di estratti estemporanei ed essenze della tradizione erboristica e liquoristica di Collepardo e dei Monti Ernici, sotto la guida esperta di di Marco Sarandrea. Una sfida vinta anche improvvisando nuove ricette a base di ingredienti scoperti giorno per giorno nella infinita gamma di frutta proveniente da tutto il mondo presente a Macfrut. E il mercato? Le sfide del futuro Appuntamento finale dei tre giorni di Spices & Herbs Global Expo è stata la tavola rotonda promossa dalla nostra rivista per discutere le dinamiche che caratterizzano il momento attuale del mercato delle droghe erboristiche, la materia prima fondamentale per tutto il comparto. Ognuno dei componenti del panel di esperti era presente a nome di una specifica rappresentanza associativa: ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)


Reportage

Andrea Primavera

Alberto Manzo

Renato Iguera e Mauro Brisighello, rispettivamente presidente e consigliere di Assoerbe, Mauro Cornioli, consigliere di Federimpresa Erbe, Francesco Novetti, consigliere di Federerbe, e Andrea Primavera, presidente FIPPO; tutti hanno però voluto portare nel dibattito, aperto dall’intervento di Alberto Manzo riguardo al Decreto Interministeriale appena promulgato, un proprio personale e vissuto punto di vista sul momento particolare che stiamo attraversando: un mercato che vede un crescente interesse a favore dei prodotti naturali in tutti i possibili campi di applicazione, e al tempo stesso affronta una fase storica nella quale si stanno alternando ostacoli sorprendenti, soprattutto perché inattesi. Questa, in estrema sintesi, la dinamica che stiamo vivendo, e nella quale sarà necessario immaginare nuovi scenari per uno sviluppo possibile del comparto. Delineare le strategie per costruirli, ecco l’impegno per il prossimo anno.

Spices & Herbs Global Expo ha preso il via con una forte caratterizzazione internazionale. L’Africa è il continente che si affaccia con maggiore vitalità al mercato internazionale dei prodotti agricoli specializzati, ma anche dall’Asia Centrale (Uzbekistan) e dai Balcani (Serbia e Bosnia Erzegovina) provengono prodotti selezionati. La competizione oggi non è solo sui costi di produzione, ma sopratutto sulla qualità.

Foto del servizio: Claudio Pagliarani ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)

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Prodotti, idee, servizi

Esi-fit Depura l’organismo in modo naturale Un’alimentazione ricca di grassi, il cambio di stagione, terapie farmacologiche, stress e sedentarietà sono tra i fattori che contribuiscono a sovraccaricare l’organismo di tossine difficili da eliminare. In tutti questi casi è utile chiedere aiuto a un trattamento depurativo e disintossicante, che garantisca il buon funzionamento di fegato e reni, ripristinando così le corrette funzionalità del corpo e migliorando l’aspetto della pelle. Fin dall’antichità l’uomo si è affidato alle proprietà depurative di alcune piante medicinali, la cui validità è stata ampiamente dimostrata anche dalla scienza moderna. Esi-fit Depura l’organismo è l’integratore ideato da ESI per depurare il corpo in modo efficace e naturale, grazie al suo mix di componenti: Cardo Mariano, che aiuta a proteggere e mantenere sano il fegato; Tarassaco, per stimolare le funzioni epatiche e renali; Bardana, efficace nell’eliminazione delle tossine accumulate nell’organismo; Rafano Nero, che ha azione diuretica e favorisce lo svuotamento della cistifellea; Carciofo, che aiuta la digestione, disintossica e rigenera il fegato. Esi-fit Depura, gradevolmente aromatizzato all’Arancia rossa, è in confezione da 24 pocket drink. Il prezzo consigliato al pubblico è di Euro 16,90. Si consiglia di assumere un pocket drink (20 ml), diluito in un bicchiere d’acqua, 1-2 volte al giorno, preferibilmente lontano dai pasti. www.esi.it

Con Helan, attenzioni bio Sarà un piacere per i piccoli avere come amico il cavallino a dondolo, simbolo della ricca linea BIMBI Bio proposta da HELAN per proteggere la pelle dei bambini, una pelle così liscia e tenera e, si sa, più sensibile alle aggressioni esterne, poiché ancora poco difesa dalla naturale protezione. E sarà un piacere anche per noi poterli coccolare in sicurezza, per esempio, con la linea di saponi e detergenti creati apposta per la pelle dei bambini, che in questi anni di pandemia hanno imparato, una seconda volta, a “lavarsi bene, bene le mani”!

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Prodotti, idee, servizi

newcomers

Ingredienti di qualità con consegna just in time: Vegantis innova la dimensione artigianale del bio Una proposta problem solving per molti piccoli e medi laboratori alimentari, erboristici e cosmetici,: materie prime sfuse e in polvere, certificate biologiche, disponibili nei giusti quantitativi per ogni tipo di preparazione. Vegantis è il marchio italiano specializzato in prodotti naturali e superfood di altissima qualità distribuiti all’ingrosso e in formato bulk, al miglior prezzo sul mercato grazie all’importazione diretta dai produttori nei luoghi d’origine, ideali per le aziende di trasformazione alimentare in generale, l’industria dolciaria e i laboratori specializzati in pasta, pane, cioccolato, gelato, e anche per la cosmesi naturale e l’erboristeria. Tra gli ingredienti, ad esempio, Açaì sfuso, Cacao in polvere e in granella sfuso, Maca sfusa, Moringa sfusa, Psillio sfuso, Rosa canina sfusa, Spirulina sfusa, Tè Matcha sfuso, Tè Sencha sfuso, Tè Gyokuro sfuso. Punti di forza di questa nuova iniziativa sono l’importazione diretta, grazie a contatti con i migliori produttori nei luoghi d’origine di ogni singolo prodotto, un approvvigionamento costante e garantito e una perfetta ottimizzazione delle spedizioni, sia dal punto di vista dei costi e delle tempistiche, sia per quanto riguarda l’impatto ambientale. Il tutto gestito con un approccio completamente digitale e con la voglia di rinnovare il settore dell’ingredientistica sfusa, che si sta evolvendo velocemente. Una idea in grado di intergire nel modo più efficace sia con realtà specializzate che con attività di produzione artigianale esordienti nel mondo del bio, che trovano nella vasta offerta a catalogo un percorso spianato per rispondere qualitativamente alla domanda crescente dei consumatori e del mercato. Il tutto con alla base una seria, attenta e continua ricerca della qualità biologica, documentata e garantita. Info: www.vegantis.it

per i bimbi Ecco quindi: il NON SAPONE, PAN di MAIS, un sapone “senza sapone” né coloranti creato per difendere l’equilibrio della pelle anche dei più piccoli, che lascia la cute morbida e vellutata grazie all’amido di Mais e all’olio di mandorle dolci e all’olio d’oliva; e il SAPONE LIQUIDO in formato pocket, da portare con sé, un gel igienizzante e purificante, con estratti di fiori di Camomilla e Calendula, che si assorbe rapidamente, delicato sulla pelle dei bambini, idrata le mani grazie all’aggiunta di acqua di Camomilla e di succo di Aloe vera, naturalmente biologici. Due esempi della linea BIMBI Bio. Info: www.helan.com

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Prodotti, idee, servizi

Memoria, attenzione, concentrazione: Cognimind di Fitomedical “Hai visto dove ho messo i miei occhiali, per caso?”. Sarebbe stato bello fosse tutta lì la nostra stanchezza, una piccola fatica nell’attenzione. Ma nessuno di noi aveva preso lezioni su come affrontare il difficile periodo che abbiamo passato, che ci ha lasciato tutti più fragili, emotivamente provati e stanchi. La tensione psicologica, il noto su e giù dell’umore - e chi non l’ha provato? - interferiscono, insieme ai naturali processi di invecchiamento, sulle nostre facoltà intellettive: perdita di memoria, capacità di concentrazione e di attenzione sono sintomi molto comuni. Un soccorso naturale arriva da FITOMEDICAL con le capsule COGNIMIND, un integratore alimentare che può aiutare a migliorare le normali funzioni cognitive, come la capacità di attenzione e concentrazione e finalmente… a ritrovare gli occhiali! CogniMind è un integratore alimentare che agisce favorevolmente sulla memoria e su altre normali funzioni cognitive, come la capacità di attenzione e concentrazione, comprensione delle informazioni del mondo esterno. Sostiene l’attività della mente nelle situazioni di sovraccarico indotte da eccessive sollecitazioni, protegge le cellule cerebrali e ne tutela l’efficienza. CogniMind migliora le prestazioni della mente e aiuta a prevenire e contrastare i suoi processi di senescenza. CogniMind contiene Goji (Lycium barbarum L.) frutti estratto secco al 40% in polisaccaridi, Bacopa (Bacopa monnieri (L.) Pennell) parti aeree estratto secco al 20% in bacosidi, Cyracos ® * - Melissa (Melissa officinalis L.) foglie e.s. * CYRACOS ® - Melissa officinalis L. (foglie) 15% acidi idrossicinnamici totali / 7% ac. rosmarinico Melissa (Melissa officinalis L.) foglie estratto secco. Info: www.fitomedical.com

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Intervista

Consumo vegetariano: oltre il simbolo

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Sophia Somaschi, amministratrice di V Label Italia

n origine era una scelta individuale, oggi è una esigenza di massa: per questo merita rispetto, trasparenza e una corretta informazione. Le aspettative del consumatore vegetariano e vegano richiedono criteri precisi per potere distinguere nell’insieme sempre più affollato delle proposte del mercato e tra gli innumerevoli input verso nuove scelte etiche trasmessi al pubblico. Ne abbiamo parlato con Sophia Somaschi e Beatrice Balzani di V Label Italia, la società che gestisce il marchio diffuso in oltre 70 nazioni nel mondo.

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Intervista

A

VI, l’Associazione Vegetariana Italiana, è stata fondata nel 1952 da Aldo Capitini, ispirata alle sue idee di pace e non violenza. L’associazione è custode dei valori etici del vegetarismo italiano e costituisce un punto di riferimento per quanti praticano questa scelta di vita. Oggi la scena su cui si muove il movimento vegetariano nel mondo è molto cambiata. Inizialmente, si trattava di una scelta individuale, la decisione di escludere dalla propria alimentazione tutto ciò che prevedeva l’uccisione dell’animale o nel caso dell’alimentazione vegana, qualsiasi prodotto di origine animale: una presa di coscienza dettata da ragioni prima di tutto salutistiche ed essenzialmente ristretta al momento alimentare. Oggi si è diffusa l’idea che si tratti di una scelta di vita rivolta a

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tutti i beni che ci si trova a consumare o utilizzare nel corso della giornata, fondata su una idea di rispetto dell’ambiente e della natura, e connessa a molti altri valori e messaggi sovrapposti. “E’ questa una delle ragioni da cui è nata la necessità di garantire la fondatezza di questa scelta, di offrire cioè al consumatore un percorso sicuro nel momento in cui vuole mettere in pratica questi suoi principi” dice Sophia Somaschi, amministratrice di V Label Italia, la società che attribuisce il marchio istituito da AVI per garantire l’effettiva qualità vegetariana, vegana o raw vegan di un prodotto sul mercato. Fin dai primi anni AVI si è attivata dando vita a una serie di congressi internazionali che hanno scandito le varie fasi della crescita del movimento vegetariano in Europa. Grazie a queste attività di scambio

fra le associazioni, è nata una sinergia che ha portato anche alla creazione di un disciplinare condiviso a livello internazionale per definire e identificare sul mercato la natura vegetariana e vegana di un prodotto. Il marchio V-Label garantisce la corrispondenza di un prodotto a questo disciplinare, sia per la composizione dei suoi ingredienti che per le varie fasi della sua produzione, Le tendenze del movimento vegetariano nel mondo Il movimento vegetariano e vegano è in forte crescita in tutto il mondo. “In Italia, e in altri paesi del Sud Europa, i vegetariani hanno un certo vantaggio per l’apporto che viene della dieta mediterranea, fondata in prevalenza su alimenti base di natura vegetale” osserva Sophia: “I paesi anglossassoni e nordici devono

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Intervista

Beatrice Balzani responsabile Marketing e Comunicazione V Label Italia

affrontare un maggiore discostamento dalle abitudini alimentari tradizionali, ma soprattutto da quelle introdotte dagli stili di vita dei paesi fortemente industralizzati. Sorprende oggi come si stia ampliando l’attenzione in molti Paesi asiatici. Se l’India è la nazione che conserva le testimonianze culturali e religiose più antiche del vegetarianesimo, attualizzate in epoca moderna dalla figura di Gandhi – a cui si era ispirata anche l’esperienza del nostro Capitini – non è lo stesso nelle tradizioni alimentari dell’Estremo Oriente: il rilievo che assumono oggi il vegetarianesimo e veganesimo in Cina, Corea e Giappone è quindi un fenomeno da osservare con attenzione. Negli Stati Uniti poi, sul filone vegetariano e vegano si è innestato recentemente anche lo standard raw vegan, la ricerca cioè di alimenti che oltre a rispettare i principi vegani non subiscano processi di trasformazione ad alte o basse temperature, tali da alterarne la naturalità” conclude Sophia. Cosa deve garantire un marchio? V Label Italia nasce per separare le attività dell’associazione dalla gestione sul mercato del marchio di garanzia. La corrispondenza di un prodotto alle aspettative di un consumatore consa-

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pevole non riguarda solo l’origine degli ingredienti, ma anche il rispetto nella lavorazione di un rapporto virtuoso che escluda qualsiasi forma di danno o sfruttamento del mondo animale. La fondatezza di un marchio di garanzia risiede nella chiarezza di quanto vuole certificare e nelle modalità per farlo. “Il primo punto del nostro processo di attribuzione del marchio è l’esclusione di forme di autodichiarazione” precisa Sophia. “Eseguiamo ogni giorno scrupolosi controlli per verificare la compatibilità di ciò che dichiara il produttore con la definizione di prodotto vegetariano, vegano e raw vegan. In questo modo, il nostro marchio diventa una garanzia verso il consumatore per qualità e sicurezza veg.” “Nella pratica poi i produttori stessi, anche con le migliori intenzioni, spesso ignorano se nella formazione di un determinato ingrediente

possa essere intervenuto all’origine un trattamento che ha richiesto l’impiego di prodotti animali” osserva Beatrice Balzani, responsabile della comunicazione di V Label Italia. “Il procedimento di attribuzione del marchio comporta diverse fasi e vari livelli di verifica che volta per volta si possono rendere necessari, secondo la tipologia del prodotto” aggiunge Beatrice; “e siamo noi a determinare quale livello di approfondimento che quel determinato caso possa richiedere”. L’attribuzione del marchio parte infatti dalla compilazione di un questionario fornito da V Label Italia, dal quale è possibile evidenziare quali possano essere i punti critici legati alla vita del prodotto: se si tratta di una semplice materia prima, oppure di una ricetta o formulazione composta da più ingredienti, quali lavorazioni possono avere ricevuto i singoli ingredienti

e quali la preparazione finale, e le modalità di conservazione. “Una volta definito il tipo di controllo che dovrà essere realizzato per quel prodotto, acquisiamo tutte le schede tecniche degli ingredienti, valutiamo se possono essere necessarie specifiche analisi di laboratorio, e in relazione al complesso delle altre produzioni presenti determiniamo se debba anche essere previsto un accesso in azienda” prosegue Beatrice Balzani. Dal prodotto al servizio: una idea che si ampia V Label Italia gestisce l’assegnazione del marchio, presente in 70 paesi del Mondo, oltre che in Italia, anche negli USA, in Cina e in Corea del Sud. Parallelamente cresce l’interesse del settore cosmetico, interessato da quell’allargamento del concetto di vegetarianesimo a cui accennavamo all’inizio.

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Intervista

Secondo una indagine condotta nel 2021 su oltre 23.000 consumatori rispondenti, il 95% dichiara di aver visto il marchio V-Label e di associarlo a credibilità e affidabilità. . Un attestato di fiducia al quale sta corrispondendo una progressiva diffusione del marchio e di quello che esso rappresenta sul mercato. Di qui, per esempio, l’estendersi della collaborazione con realtà della GDO che sempre più spesso ricercano il marchio V-Label per la gamma di piatti pronti o per i prodotti private label. Una collaborazione che potrebbe coinvolgere sempre più anche canali specializzati e professionali. “Il nostro approccio non prevede la concessione del marchio a una azienda, ma ai singoli prodotti”: il produttore può sempre scegliere quali linee o gruppi di prodotti del proprio listino vuole destinare ai consumatori vegetariani o vegani. Tuttavia il marchio V-Label è richiesto sempre più spesso anche da attività di servizio, come nel comparto della ristorazione: per questo potremmo pensare a forme di intervento rivolte ad attività di carattere professionale, come erboristerie e farmacie” osserva Sophia Somaschi.

Creatività plantbased da premiare: tornano nel 2022 gli International V-Label Awards Dopo il successo della prima edizione del 2021 tornano gli International V-Label Awards, l’evento internazionale promosso dal marchio vegetariano V-Label per celebrare i numerosi metodi innovativi con cui le aziende contribuiscono alla creazione di una gamma ricca e diversificata di prodotti di origine interamente vegetale, per soddisfare le nuove esigenze dalla comunità nel rispetto di una piena sostenibilità. Lo scorso anno il premio ha raccolto 577 candidature provenienti da 36 paesi e ha visto il coinvolgimento di un pubblico particolarmente attivo, che ha espresso 42.000 voti, sensibilizzando i media mainstream sul progresso e la crescita dell’industria di prodotti a base vegetale. Con gli International V-Label Awards, V-Label mira non solo a celebrare le aziende che stanno plasmando il futuro del settore, ma anche a incoraggiare un maggior numero di organizzazioni a seguirlo. La seconda edizione degli International V-Label Awards ha aperto le iscrizioni nel mese di aprile 2022 con un numero di categorie, 18 in tutto, doppie rispetto allo scorso anno: tra di esse, ad esempio, oltre al miglior prodotto meat-free o dairy alternative, le nuove Best Fish Alternative, Best Functional Food o Best House Products, nonché quelle che mirano a promuovere pratiche commerciali responsabili, come la sostenibilità e l’innovazione. «Considerando il valore che l’essere finalisti o vincitori offre ai partecipanti e il modo in cui i premi contribuiscono ad amplificare le loro attività attraverso i nostri canali e quelli dei nostri partner, quest’anno abbiamo deciso di aumentare il numero di categorie di premi per avere una risonanza maggiore», afferma Ferry Djamchidi, CEO di V-Label GmbH. «L’obiettivo è quello di ricevere quante più proposte possibili che possano essere di ispirazione per il settore, celebrando il progresso e l’innovazione dell’industria vegetale. » Tutte le candidature saranno attentamente esaminate da una giuria composta da alti dirigenti dell’industria, dei media e delle ONG. Gli International V-Label Awards prevedono anche una votazione espressa dal pubblico e un premio speciale scelto da una rosa di influencer. L’adesione al premio sarà possibile fino al 30 giugno 2022 e i finalisti saranno annunciati in ottobre. I vincitori saranno proclamati durante la cerimonia di premiazione che si svolgerà in modalità virtuale a novembre 2022. Per partecipare, i candidati possono accedere al sito e inviare la loro candidatura scritta spiegando come le loro proposte soddisfano i requisiti di ciascuna categoria. I finalisti e i vincitori degli International V-Label Awards potranno comunicare il loro successo con un logo speciale pensato per l’occasione, e saranno attivamente promossi attraverso i canali V-Label e dei suoi partner. Inoltre, i vincitori riceveranno gratuitamente una licenza V-Label di un anno e un pacchetto multimediale per condividere il loro successo. Tutte le informazioni per la partecipazione sono disponibili sul sito web della manifestazione: awards.v-label.com

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Anteprima fiere

Norimberga, 26-29 luglio BIOFACH e VIVANESS 2022

La grande estate del biologico

Continua in tutto il mondo la crescita del consumo di prodotti naturali e biologici: l’alimentazone ha superato in valore i 120 miliardi di euro, mentre la cosmesi oltrepassa la soglia del dieci per cento del giro d’affari dei principali mercati europei. Un bilancio positivo anche per il 2021 quello tratto dalle organizzazioni internazionali in vista del ritorno in presenza, la prossima estate, della duplice manifestazione leader mondiale del comparto.

L

’istituto di ricerca sull’agricoltura biologica (FIBL), insieme a IFOAM Organics International, hanno presentato in un recente incontro promosso da BIOFACH/VIVANESS i dati più attuali relativi alla produzione biologica nel mondo. In valore, gli Stati Uniti restano il più grande mercato, con un giro di affari di quasi 50 miliardi di euro, seguiti dalla Germania, con circa 15 miliardi di euro e dalla Francia con 12,7 miliardi di euro. lla fine del quasi 75 milioni di ettari di terreni agricoli erano coltivati biologicamente nel mondo: in 18 nazioni, la quota di terreno biologico aveva superato il della superficie agricola complessiva.

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“Il comparto sta andando molto bene – osserva Danila Brunner, direttrice di BIOFACH/VIVANESS – Il mercato sta crescendo a ritmi incoraggianti sia nel segmento degli alimenti biologici che dei cosmetici naturali certificati: uesto per tutti un motivo in più per attendere con impazienza il ritorno in presenza della comunit internazionale uest estate a Norimberga”. Una comunità di migliaia di imprese da tutto il mondo Il duplice evento leader del mercato globale dell alimentazione biologica e della cosmesi naturale si svolgerà nel 2022 dal al luglio: circa ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)


Anteprima fiere

espositori attesi per la duplice manifestazione, con l’aspettativa di dare nuova vita a quelle relazioni personali che costituiscono la base per lo sviluppo di ogni attività imprenditoriale. Una esperienza inedita la versione estiva della manifestazione: “se c’è una cosa che tutti abbiamo dovuto imparare negli ultimi due anni – osserva Brunner – è che la normalità va completamente ridefinita: abbiamo dovuto lavorare in modo flessibile e dobbiamo continuare a farlo. L’attesa principale, condivisa da imprese e operatori, è quella di tornare a vivere un evento dal vivo, multisensoriale, con tutte le scoperte e le sorprese che rendono le fiere così speciali. “Ma il lavoro dello scorso anno ci ha permesso di sviluppare un nuovo concetto di evento innovativo, combinando la consolidata visitazione fisica con i vantaggi del mondo digitale, come la disponibilità online dei contenuti dei congressi, gli strumenti di comunicazione diretta con gli espositori, la mappatura dell’offerta espositiva e la piattaforma matchmaking per la pianificazione degli appuntamenti, che renderanno a tutti i visitatori più utili ed efficaci i momenti passati in fiera” conclude Brunner.

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Da annotare un’altra novità della programmazione di quest’anno: lo svolgimento tutto infrasettimanale dell’evento, da martedì a venerdì Cosmesi naturale e biologica: un mercato dinamico Anche il comparto della cosmesi naturale e biologica esce rafforzato dall’esperienza della pandemia e ciò rende più viva l’attesa per la prossima edizione in presenza. Ma sullo scenario ci sono oggi anche altre sfide oltre la naturalit del prodotto: i consumatori hanno idee nuove, si aspettano responsabilità sociale oltre all’appagamento personale, pretendono sostenibilità e processi produttivi eticamente corretti, e naturalmente sceglieranno in base alla reale funzionaltà ed efficacia di ci che ac uistano. Queste le valenze della nuova cosmesi naturale a confronto nel prossimo ritorno in presenza di VIVANESS. Circa 200 le imprese espositrici attese a VIVANESS, sul totale degli espositori, per esplorare i trend emergenti nella cosmesi naturale e biologica.

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il punto

Agrobiodiversità

Varietà erbacee antiche censite nel database UNIMONT; i colori indicano diverse categorie e famiglie (cucurbitacee, cereali etc.) (per gentile concessione, tutti i diritti sono riservati)

Valeria Leoni1,2,3, Luca Giupponi1,2, Marco Zuccolo1, Davide Pedrali1, Alessia Bernardi1, Tiziana Zendrini1, Anna Giorgi1,2 1 Centro di Ricerca Coordinata «Centro di Studi Applicati per la Gestione Sostenibile e la Difesa della Montagna – Ge.S.Di.Mont» - Università degli Studi di Milano 2 Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali - Produzione, Territorio, Agroenergia - DISAA Università degli Studi di Milano 3 Scuola di dottorato in Environmental Sciences – PhD ES, Università degli Studi di Milano

* valeria.leoni@unimi.it

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il punto

e fitoderivati funzionali La Green Revolution ha incrementato vertiginosamente la produzione agricola, ma ha messo a rischio l’esistenza delle molteplici varietà di specie alimentari, fonti potenziali di risorse nutrizionali e salutistiche sempre nuove. La loro ricomparsa e la loro tutela nei territori naturali di origine può portare alla scoperta di innumerevoli sostanze biologicamente attive ancora poco conosciute. E’ quello che dimostrano gli studi condotti dal Polo Unimont dell’Università degli Studi di Milano attraverso il censimento di specie e varietà lungo tutta la penisola e lo studio fitochimico dei derivati di alcune landraces alpine. Un percorso importante che finora ha compiuto appena i primi passi.

C

on lo sviluppo di una nuova sensibilità verso la conservazione delle risorse del pianeta, la perdita della biodiversità è un tema corrente e molto sentito dal pubblico. Nonostante ciò, minore attenzione viene dedicata alla perdita di quella parte di biodiversità legata alla millenaria attività agricola dell’uomo, l’agrobiodiversità. Sfruttando la variabilità delle forme di vita, gli agricoltori hanno addomesticato centinaia di specie per millenni, il che ha portato a una ricca diversificazione in razze animali da allevamento e varietà di piante di interesse agro-alimentare. Il mantenimento di questa biodiversità è essenziale per la produzione sostenibile di cibo e/o altri prodotti agricoli e per i benefici connessi, tra cui la sicurezza alimentare, la nutrizione e la salute (1).

La perdita di agrobiodiversità è un fenomeno dell’epoca contemporanea

Un moderno approccio vede la fusione di aspetti propri del mondo della farmaceutica e della nutrizione nel concetto di “nutraceutica”, e nasce dal riconoscimento della presenza di sostanze con effetti positivi per la salute, la prevenzione e persino la cura di malattie, negli alimenti. “Cibo salutare”,

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“che fa bene”, “curarsi con un’alimentazione sana” sono frasi frequenti nel corrente mondo della nutrizione. Un pensiero piuttosto recente, sicuramente parte della storia degli ultimi cinquanta anni, in quanto nell’immediato dopo guerra l’esigenza era soddisfare i bisogni primari dell’umanità, preda di fame e carestie. Nasceva allora l’epoca della “Green Revolution” (rivoluzione verde), figlia del grande corpus di scoperte scientifiche realizzato tra la fine del XIX e la metà del XX secolo. Tale periodo, tra gli anni Quaranta e gli anni Settanta del secolo scorso, vede un incremento vertiginoso delle produzioni agricole attraverso l’impiego di varietà vegetali interessate da programmi di miglioramento genetico, fertilizzanti, fitofarmaci, un progresso nella tecnica irrigua e altri investimenti di capitale in forma di nuovi mezzi tecnici e meccanici. Tra le innovazioni, il miglioramento genetico e la ricerca della risorsa “migliore / più produttiva” ha avuto un ruolo da protagonista. In questo modo, si è arrivati a coprire il 95 % della richiesta alimentare utilizzando solo 30 colture altamente selezionate, con tre colture – mais, grano e riso – che forniscono da sole la metà del fabbisogno calorico, mentre in passato, secondo la FAO, erano circa

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il punto a ro iodiversit e fitoderivati un ionali

Campo di Caigua custodita dalle montagne della Vallecamonica presso l’azienda Il Castagneto (Esine)

7000 le specie utilizzate per l’alimentazione dell’umanità. Nel processo di selezione e miglioramento delle colture, visto che il fine primario era “sfamare”, vennero privilegiati i macronutrienti, come amido e proteine, a discapito di tutti quei metaboliti secondari prodotti dalla pianta per la sua sopravvivenza e resistenza agli stress (come polifenoli, flavonoidi etc.) che spesso hanno anche effetti importanti sulla salute umana. Svariati autori sottolineano come la Rivoluzione Verde abbia creato diversi problemi, tra cui erosione e salinizzazione dei suoli, uso irrazionale di fitofarmaci e concimi di sintesi, aumento delle disparità di reddito tra gli agricoltori e la perdita di biodiversità delle colture (2). Tra le varie perdite si può enumerare questo caleidoscopio di molecole interessanti. La perdita di biodiversità non è relativa quindi solo al numero di varietà coltivate ma comporta anche l’impoverimento del contenuto di micronutrienti e composti bioattivi e la conseguente perdita delle loro attività benefiche e salutistiche nell’alimentazione. Il fatto che la diversità alimentare sia fortemente legata a una migliore alimentazione e quindi salute è stato riconosciuto dalla scienza, e lo studio di alcune diete tradizionali ha dimostrato come esse contengano un’ampia varietà di alimenti ricchi di micronutrienti e composti bioattivi che favoriscono la salute (3). Le diete popolari si basano spesso sul consumo di prodotti ottenuti dalle varietà tradizionali, le così dette landraces, definite come popolazioni dinamiche che hanno un’origine storica e un’identità distinta e mancano di un miglioramento formale delle colture, oltre a essere spesso geneticamente diver-

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se, adattate localmente e associate a sistemi agricoli tradizionali (4). L’agrobiodiversità riguarda tre livelli di diversità genetica: gli agroecosistemi, la diversità tra le specie (diversità interspecifica) e all’interno delle specie (diversità intraspecifica), intendendo per quest’ultima cultivar vegetali e razze animali. L’agrobiodiversità è il fondamento dello sviluppo agricolo sostenibile e include tutta la diversità di piante, animali, pesci, e microbi che vengono utilizzati direttamente o indirettamente per l’alimentazione e l’agricoltura. Secondo la FAO il 75% dell’agro-biodiversità vegetale mondiale è stata persa negli ultimi decenni, ragion per cui varie strategie nazionali e internazionali sono state attivate per la caratterizzazione, la salvaguardia e la valorizzazione delle cultivar locali tradizionali.

Un tesoro nascosto negli orti

L’Italia è uno dei pochi paesi in Europa ad aver recepito le direttive europee sulla conservazione dell’agrobiodiversità (direttiva 98/95 e direttiva 62/2008) con regolamenti ad hoc a livello nazionale. A livello centrale, si sta legiferando per contrastare il problema della perdita di razze e varietà autoctone seguendo le linee guida dell’UE, ad esempio con la legge del 1º dicembre 2015 n. 194 (“Disposizioni per la conservazione e la valorizzazione della biodiversità di interesse agricolo e alimentare”), con cui l’Italia ha riconosciuto i principi per l’istituzione di un sistema nazionale di conservazione e valorizzazione della biodiversità di interesse agricolo e alimentare, volto a proteggere le risorse genetiche locali dal rischio di estinzione e/o erosione genetica. In passato, tuttavia, molte azioni di salvaguardia dell’agrobiodiversità hanno riguardato principalmente le piante arboree (vite, olivo etc.) piuttosto che le colture erbacee. Ciò è probabilmente dovuto alla mancanza di informazioni sulle piante orticole, e alla maggiore difficoltà di censire tali varietà rispetto alle colture arboree. Mentre le varietà ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)

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a ro iodiversit e fitoderivati un ionali il punto

Alimenti piuttosto originali, ma non solo: tre casi di studio molto promettenti Nero e spinoso: il Mais della Valcamonica In Valcamonica (BS) esiste un tipo di mais (Zea mais L.), denominato “mais Nero Spinoso”, che fino a pochi anni fa veniva coltivato esclusivamente da un’unica famiglia (Saloni di Piancogno, Brescia). Questa varietà sopravviveva solo sui territori terrazzati dell’Annunciata, a Piancogno, fino a che, nel 2015, congiuntamente ai Comuni di Esine e di Piancogno, il Centro di Ricerca Coordinato Ge.S.Di.Mont. (Università degli Studi di Milano) ha avviato le pratiche per il suo inserimento nella sezione “Varietà da Conservazione” del Registro Nazionale di Specie Agrarie e Orticole (D.M. 17 dicembre 2010), lo strumento più importante per la tutela dell’agro-biodiversità nazionale. Tale mais è molto diverso dal classico con chicco giallo a dente di cavallo. Il mais Nero Spinoso è particolarmente pigmentato (color molto scuro-vinato) e rostrato, caratteristiche di adattamento alla coltivazione in ambiente montano (anche a quote superiori ai 1000 metri) (8). Tale varietà ha una notevole concentrazione di flobafeni e antocianine, notevolmente superiore al contenuto medio delle comuni varietà di mais moderne (9). Queste molecole sono importanti dal punto di vista nutrizionale, visto che ne sono state verificate le proprietà contro l’invecchiamento precoce. Nel mais Nero Spinoso, l’accumulo di tali sostanze nel pericarpo del chicco è determinato da un unico gene dominante, il che lo rende estremamente interessante anche per i programmi di miglioramento genetico. A seguito degli studi chimico-bromatologici e genetici condotti, la coltivazione del mais nero spinoso di Valle Camonica ha trovato nuovo impulso, suscitando l’interesse di vari agricoltori camuni che hanno deciso di coltivarlo, e a custodire il mais Nero Spinoso e le attività connesse è nata nel 2018 un’Associazione di Tutela. L’associazione “Mais Nero Spinoso”, fondata nell’aprile 2018, nasce per valorizzare questo tradizionale e unico tipo di mais coltivato dal 1800 nella piana di Esine e Piancogno. A oggi 7 agricoltori producono Mais Nero Spinoso nell’area di tutela su una superficie totale di circa 30.000 m2 a fronte di un solo agricoltore in un campo da 100 m2 prima dei lavori, con la trasformazione della farina in diversi prodotti di qualità in fornerie, pasticcerie, pastifici e birrifici. Uno sviluppo sicuramente interessante potrebbe essere l’utilizzo degli estratti o delle farine ricchi di flobafeni anche in ambito erboristico.

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Il mais Nero Spinoso di Vallecamonica dell’azienda Alena (Malegno,BS). Sopra il ricercatore Luca Giupponi presso la famiglia Saloni, agricoltori custodi del Mais Nero Spinoso

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il punto a ro iodiversit e fitoderivati un ionali Numero di landraces erbacee (a) e numero medio per 1000 km2 (b) di ciascuna regione italiana

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orticole selezionate svolgono un ruolo chiave nell’agricoltura professionale, molte varietà tradizionali continuano a essere importanti per molti agricoltori, soprattutto anziani e hobbisti che conservano attraverso le generazioni queste varietà che rappresentano un patrimonio unico delle varie famiglie. La memoria storica, e la moltiplicazione/conservazione delle “varietà antiche” condotta da agricoltori locali e lo scambio di sementi, hanno sempre avuto un aspetto informale non soggetto a norme scritte, e questo ha rappresentato sia un aspetto positivo che ha contribuito al loro salvataggio, sia un aspetto negativo, in quanto queste varietà sono perennemente a rischio di estinzione se si perdono le conoscenze relative alla loro storia e coltivazione. Centinaia di varietà orticole continuano a essere importanti a livello locale o sub-regionale (5), in particolare nelle comunità delle aree marginali, come i borghi delle aree interne e montane. La conoscenza indigena di tali specie, accumulata per generazioni, è un patrimonio che potrebbe perdersi rapidamente a seguito dei cambiamenti demografici e culturali e dell’impatto della globalizzazione e dello sviluppo dei mercati.

Un patrimonio delle aree interne e montane La creazione di database interattivi delle “varietà antiche”, come quello realizzato dal polo UNIMONT dell’Università degli Studi di Milano o da altre università italiane come

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quello dell’Università di Perugia, è fondamentale per stabilire le priorità per la conservazione, la ricerca, e la riproduzione di tali varietà. Gli inventari sono inoltre un primo passo per valutare la ricchezza e i modelli di distribuzione dell’agrobiodiversità. Dal lavoro di censimento e mappatura condotto dal polo UNIMONT, ad esempio, è stato possibile vedere come le aree interne (collinari e pedemontane) della penisola italiana siano hotspot (“punti caldi” ovvero a maggiore concentrazione) di agrobiodiversità orticola (6). L’aspetto molto interessante è che gli hotspot individuati da tale censimento georeferenziato delle landrace orticole (cioè collegato a delle coordinate territoriali) corrispondono quasi esattamente a quelle aree più appropriate per la ricerca della biodiversità (Most Appropriate Areas - MAPAs), definite considerando anche la ricchezza di biodiversità spontanea e la diversità ecologica degli agro-ecosistemi (7). Tali aree sono quelle delle colline, delle aree pedemontane degli Appennini e delle Alpi che vengono definite oggi aree interne e che sono la peculiarità, con i loro borghi arroccati sui pendii delle montagne e le som-

Ricerche del polo UNIMONT dell’Università degli studi di Milano e del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali (DSA3) dell’Università degli Studi di Perugia hanno individuato gli hotspot dell’agrobiodiversità in Italia con risultati quasi identici

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a ro iodiversit e fitoderivati un ionali il punto

Quechua, la zucchina andina coltivata sulle Alpi Esiste una cucurbitacea tradizionalmente coltivata nel territorio camuno, in provincia di Brescia, piuttosto originale, che ricorda la forma di un peperone “friariello” ma che in realtà al sapore risulta più simile a una zucchina o un cetriolo. Tale ortaggio, Cyclanthera pedata (L.) Schrad., chiamato Quechua o Caigua/Kaiwa nella lingua di origine, è nativo della catena montuosa delle Ande in Sud America, ma sembra essere stato sul territorio italiano (in specifico Vallecamonica, Valtellina e alcuni versanti della zona lariana, tra Monza e Lecco) almeno da cinquanta anni, come testimonia la famiglia di Oriana Belotti e Giacomo Bontempi, che hanno sempre servito l’ortaggio sottaceto come antipasto nella loro trattoria. Curiosamente, nella regione andina esistono tre diverse varietà di Caigua, chiamate “Criolla”, “Serrana” e “Italiana” (10), quest’ultima che produce un frutto più piccolo. Il botanico brasiliano Correa, nel 1975, rivela di aver trovato inaspettatamente il frutto di questa pianta in vendita sui mercati italiani (11). Nel tempo, probabilmente, l’ortaggio ha dato origine a una varietà più piccola rispetto all’originale. Secondo studi ancora in fase di realizzazione da parte del C.R.C. Ge.S.Di.Mont., la cultivar italiana appare più adatta alla coltivazione nelle valli alpine e prealpine rispetto alla cultivar sudamericana, e probabilmente i nostri habitat rappresentano un centro di diversità secondario emerso al di fuori dell’area di origine della coltura, ovvero il Sudamerica, che sono l’originale Centro di Diversificazione di Vavilov (12) della pianta, intendendo con questa definizione le aree che detengono un’elevata variabilità genetica della specie in considerazione (ovvero un elevato numero delle sue landrace), insieme a una presenza dei loro wild relative (ovvero i progenitori non addomesticati). La Caigua, chiamata nelle valli milione, milioncino (per la grande produttività di frutti) o chu-en-lai (l’ultimo nome dialettale così orientale forse per la forma “a codino” o per l’esoticità del frutto), sta trovando importanti applicazioni in campo erboristico, in preparati per abbassare i livelli ematici di colesterolo e grassi (13). La pianta sembra avere un interessante profilo di metaboliti secondari, compresi composti fenolici, flavonoidi, cumarine, tannini, terpeni e altri composti minoritari (14). Dai frutti e dai semi sono stati isolati diversi composti appartenenti alla classe delle saponine e delle cucurbitacine (15,16). Sia in base a conoscenze etnobotaniche (17) che indagini farmacobotaniche, questa pianta sembra avere diversi effetti benefici, tra cui i più interessanti sono l’abbassamento della pressione sanguigna (18), un’attività ipoglicemizzante e la riduzione dei livelli di colesterolo ematico (18, 19, 20), oltre che attività analgesiche e antiossidanti (21, 22). Il C.R.C. Ge.S. Di.Mont., in collaborazione con l’azienda EPO (Estratti Piante Officinali) sta caratterizzando dal punto di vista fitochimico questa risorsa botanica così originale.

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Frutti di caigua “milioncini” insieme ad altri ortaggi presso l’agricoltrice custode Oriana Belotti a Esine (Brescia)

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il punto a ro iodiversit e fitoderivati un ionali

Campo di grano siberiano valtellinese

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mità dei colli, del Bel Paese. Ovviamente le coltivazioni orticole non sono presenti eccessivamente in quota (anche se gli agroecosistemi delle diverse varietà antiche si trovano dal livello del mare a oltre 1000 m s.l.m.) e si concentrano nel range altitudinale tra i 150 e gli 800 m s.l.m. Le famiglie che annoverano la maggior parte delle landrace sono: Fabaceae, Poaceae, e Solanaceae, poiché contengono piante adattate e coltivate in questi ambienti, come fagioli (Phaseolus spp.), segale (Secale cereale), patate (Solanum tuberosum) e orzo (Hordeum spp.). Il fatto che le aree interne italiane siano crogiuoli di agrobiodiversità è in primo luogo legato alla lontananza di tali aree rispetto alle grandi pianure (come la Pianura Padana), dove si coltivano varietà commerciali o ibridi altamente produttivi. Le particolari condizioni ambientali delle zone collinari e montane e le difficoltà di comunicazione e/o scambi genetici, hanno garantito che le cultivar specificamente adattate a quei territori si sviluppassero, diventando landraces. Allo stesso tempo, nelle grandi aree industrializzate (che sono generalmente situate nelle pianure), le cultivar commerciali hanno rapidamente sostituito le cultivar tradizionali, causando la scomparsa dei sistemi agricoli tradizionali e le conoscenze a loro associate. Si possono tracciare parallelismi tra la situazione italiana e le aree collinari, sub-montane e, in generale, marginali (come piccole isole e arcipelaghi) di tutto il globo, che possono essere considerati hotspot di agrobiodiversità. Gli inventari, in particolare quelli dell’agrobiodiversità orticola, sono il primo passo verso lo studio, la conservazione e la

promozione di queste risorse. La mancanza di informazioni, oltre a prevenire la conservazione dell’agro-biodiversità, non consente nemmeno lo studio e la valorizzazione delle landraces che potrebbero essere particolarmente interessanti per l’avvio di filiere alimentari a basso impatto ambientale che potrebbero essere strategiche per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva dei territori interni.

Una risorsa per lo sviluppo sostenibile delle aree interne In futuro, l’agricoltura e gli expertise della nutrizione e del benessere dovranno lavorare più strettamente insieme verso un sistema alimentare che colleghi meglio l’agricoltura, la dieta e la salute umana, coerentemente con gli UN GOALS (gli obiettivi di sostenibilità fissati dalle Nazioni Unite). Le razze e le varietà autoctone costituiscono un patrimonio dallo straordinario valore sia storico che biologico e sono strettamente legate alle tecniche agronomiche e artigianali della tradizione contadina locale. Possono dare un contributo importante nel mantenimento dell’artigianato, del folklore e della gastronomia di un luogo, perché sono “reperti storici viventi” della storia di un territorio. L’Italia è uno dei Paesi più ricchi di biodiversità in Europa e nel mondo. La presenza di ambienti molto variegati e di antiche tradizioni agricole ha favorito, nel corso dei secoli, la selezione di numerosissime varietà e razze: basti solo pensare che il centro UNIMONT-Ge.S.Di.Mont. ha censito ben 1600 varietà orticole distribuite lungo la penisola, e le aree marginali collinari e montane sono gli hotspot di questa ricchezza storica, agricola e gastronomica (6). Oggi, la rivalutazione dell’agrobiodiversità tradizionale è testimoniata dalla creazione di piccole filiere di prodotti unici, contemporaneamente tradizionali e innovativi. Per rivitalizzare una varietà in via di estinzione, tuttavia, l’approccio multi-attore è fondamentale per la riuscita. È basilare la ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)

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Dalla Siberia alla Valtellina: la fuga del Grano Saraceno Il “Grano Siberiano Valtellinese” è una varietà autoctona autoimpollinante di Grano Saraceno Siberiano (Fagopyrum tataricum Gaertn.) (23). Ampiamente coltivata fino agli anni Cinquanta in Valtellina e Vallecamonica, si trova ora a rischio di estinzione in quanto è coltivata da un numero estremamente limitato di agricoltori hobbisti. Il luogo di origine più probabile del grano saraceno siberiano è la provincia cinese dello Yunnan dove è tradizionalmente coltivato anche ad alta quota (sugli altopiani di Loess e Yungui nella parte occidentale del paese) su terreni sottili poveri di nutrienti. In Asia (soprattutto in Cina e nei paesi limitrofi) e in altre parti del mondo dove è più comune, viene coltivato per la produzione di alimenti nutraceutici e funzionali e come pianta medicinale grazie alle sue note proprietà salutari. L’introduzione del grano siberiano in Valtellina è ben documentata nei manoscritti di Ignazio Bardea (1736-1815), noto studioso e storico sacerdote di Bormio, appassionato anche di questioni agronomiche e scientifiche in generale. Un manoscritto ben conservato nell’archivio parrocchiale di Bormio: “Notazioni intorno al grano di Siberia” testimonia l’introduzione di questa varietà in Valtellina. Dal documento storico, Bardea iniziò la coltivazione nel 1785. I primi risultati furono eccellenti e Bardea cominciò a distribuire il grano siberiano che si dimostrò più resistente del grano saraceno e quindi più adatto per effettuare una seconda raccolta nei campi più alti della Valtellina, dove la coltivazione del F. esculentum, il Grano Saraceno comune, era impossibile. Studi sulle strategie ecologiche della pianta (plant functional strategy) ne hanno dimostrato la grande tolleranza agli stress dell’ambiente montano rispetto ad altre varietà e/o specie di saraceno: tale genotipo si è rivelato il più adatto alle condizioni ambientali della Valtellina, dove ha sviluppato piante più alte con un elevato numero di fiori rispetto alle varietà cinesi. Tale adattamento funzionale può essersi sviluppato in risposta ai fattori ambientali che caratterizzano le zone montane della Valtellina e attraverso la selezione eseguita dagli agricoltori locali. La caratterizzazione fitochimica, inoltre, ha rivelato come questo genotipo, rispetto ad altre landraces di F. esculentum, Grano Saraceno comune, ha una maggiore concentrazione del glicoside flavonoico rutina nei semi e nei germogli, il che lo rende interessante per la produzione di alimenti nutraceutici, nonché per la cosmetica (F. tataricum è incluso nel database Europeo degli Ingredienti Cosmetici: https://ec.europa.eu/growth/ sectors/cosmetics/ cosing) e per la preparazione di tisane. Al fine di salvaguardarlo e valorizzarlo, per il Grano Siberiano valtellinese sono state avviate le procedure per iscriverlo nell’anagrafe nazionale della diversità di interesse agricolo e alimentare. ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)

Nelle foto campi di grano siberiano valtellinese dell’azienda Raetia Biodiversità Alpine (Teglio-Sondrio) di Patrizio Mazzuchelli, qui con Luca Giupponi

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costituzione di associazioni di agricoltori, ristoratori e commercianti interessati alla promozione delle landraces (e dei prodotti da esse derivati), anche grazie a speciali etichette che ne identificano e certificano la qualità e la provenienza, come ad esempio fa l’associazione Slow Food con i Presidi e l’Arca del Gusto, ed è necessario che le istituzioni locali e i centri di ricerca che si occupano della conservazione dell’agrobiodiversità e dello sviluppo sostenibile delle regioni di montagna sostengano tali associazioni. In tempi di cambiamenti climatici e cambiamenti sociali ed economici dirompenti, il patrimonio genetico delle varietà e delle razze tradizionali potrebbe fornire soluzioni per la resilienza dei sistemi socio-ecologici montani e in generale capacità di adattamento e innovazione, nonché soluzioni più sostenibili per agricoltura. In questi termini, le razze tradizionali locali potrebbero essere le uniche a svolgere un ruolo agricolo valido nelle aree marginali, dove un modello di agricoltura intensiva con l’introduzione di un’elevata quantità di input in termini di costi nutrizionali, sanitari e di gestione, non è applicabile, e al contrario le risorse genetiche tradizionali sono meno esigenti in termini di fattori ambientali e nutrizionali e possono adattarsi a sopportare le condizioni “tipiche” (freddo, caldo, siccità, terreni) delle

aree marginali o dell’agricoltura a più basso impatto. Le recenti politiche agricole si muovono verso l’incentivazione di un’agricoltura rispettosa dell’ambiente. Il Green Deal europeo prevede un’agricoltura più sostenibile, che preservi la biodiversità, il suolo e le altre risorse naturali. L’aumento della produzione biologica è una parte dell’obiettivo della strategia Farm to Fork, che prevede il raggiungimento del 25% dell’agricoltura dell’UE in regime biologico entro il 2030. Questo è stato recepito a livello nazionale con il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che prevede la transizione ecologica dell’economia italiana, e quindi delle attività agricole. In questa cornice, è giusto che l’accademia e il mondo della ricerca siano di supporto a tale cambiamento. È importante quindi rivolgere l’attenzione della comunità scientifica e professionale e incrementare la collaborazione dei vari professionisti verso la conservazione di queste antiche varietà orticole, in quanto molte varietà locali antiche ad oggi sono poco conosciute o totalmente sconosciute (per quanto riguarda le varie genetiche, agronomiche, aspetti fitochimici, ecologici, storici, ecc.) e a costante rischio di estinzione, con la conseguente perdita del loro patrimonio genetico.

UNIMONT, formazione innovativa per la montagna e la sua natura UNIMONT, polo d’eccellenza dell’Università degli Studi di Milano con sede a Edolo nelle Alpi, offre una formazione innovativa sui territori montani, con un Corso di laurea in Valorizzazione e Tutela dell’Ambiente e del Territorio Montano e numerosi corsi di perfezionamento e iniziative seminariali multidisciplinari. Sotto la guida del Centro di Ricerca Coordinato GeSDiMont, promuove attività di ricerca e organizza tavoli di lavoro interattivi e virtuali con gli stakeholder della montagna, a livello locale, nazionale e internazionale. Tra i progetti di ricerca attualmente in corso, CereAlp si prefigge lo scopo di diffondere buone pratiche e conoscenze inerenti la coltivazione/trasformazione di landraces di cereali e piante officinali al fine di innescare nuove filiere e promuovere l’imprenditoria giovanile in montagna. Nell’ambito delle azioni di divulgazione previste dal progetto, sono in corso di svolgimento diversi webinar dedicati a numerosi aspetti delle coltivazione e della raccolta di piante officinali. È possibile seguirne la programmazione, e rivedere la registrazione degli incontri già svolti, accedendo alle pagine dedicate al progetto sul portale dell’Università della Montagna. È possibile sapere di più sull’Università della Montagna attraverso questi canali: sito web: www.unimontagna.it; FB: universitadellamontagna; TW: @unimontagna; IG: unimont.edolo; YT: corsoedolo

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Un'antica varietà di mele presso l’azienda Raetia Biodiversità Alpine (Teglio-Sondrio)

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( CC Rizzelli Stefania)

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Ingredienti fermentati, derivati batterici, nutrienti in grado di interagire positivamente con la flora microbica della pelle: sono il trend emergente per i prodotti funzionali. Componenti non facili da inserire nelle formulazioni, prima di tutto per le interazioni con i conservanti: ma che rappresentano indubbiamente un approccio di biotecnologia applicata che bene si integra nella cosmesi naturale. Con la cautela, come sempre, di vigilare sulla trasparenza dei messaggi al consumatore.

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di Diana Malcangi, Consulente Scientifica esterna NATRUE e Mark Smith, Direttore generale NATRUE

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U

no dei trend della cosmesi più importanti del 2022 è senza dubbio quello degli ingredienti fermentati, dei probiotici, prebiotici e postbiotici, e in generale dei cosmetici che preservano la flora microbica naturale della nostra pelle. Questo trend si è affermato gradualmente negli ultimi anni, all’inizio lentamente, poi la sua popolarità è cresciuta man mano che progredivano le ricerche sul microbiota cutaneo e i produttori di materie prime iniziavano a sperimentare la fermentazione di ingredienti naturali: quest’anno è diventato uno dei trend più importanti. Già nel 2013 erano comparsi sul mercato i primissimi “cosmetici con probiotici” (cioè con lattobacilli vivi dello yogurt) e nel 2015 un’azienda americana proponeva nel mondo beauty il “potere cosmetico della sporcizia”. Si trattava di uno spray a base di Nitrosomonas eutropha, un batterio che vive nella polvere e nell’acqua stagnante e che grazie alla capacità di metabolizzare l’ammoniaca (presente nel nostro sudore) in nitriti sarebbe in grado di migliorare l’aspetto delle rughe e i segni dell’acne e il benessere fisiologico della pelle. Il principio affermato dall’azienda in questione e supportato in parte dalla comunità scientifica è che nel mondo occidentale siamo fin troppo puliti, ultra disinfettati: questo eccesso di pulizia può alterare il nostro microbiota cutaneo ed esporre la pelle a squilibri che possono provocare inestetismi e addirittura patologie. Occorrerebbe dunque preservare la flora naturale epidermica, poiché la varietà e il giusto equilibrio tra le varie specie batteriche può tenere lontane le proliferazioni di specie indesiderate e mantenere la pelle nel suo stato ottimale. Il microbiota cutaneo viene studiato da anni ma l’interesse scientifico verso di esso è cresciuto molto a partire dalla prima decade degli anni 2000 per poi mostrare

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negli ultimi 10 anni una crescita molto rapida a giudicare dal numero di pubblicazioni presenti in letteratura. Parallelamente, è cresciuto l’interesse dell’industria cosmetica verso l’idea che i batteri possano essere amici della pelle (e non solo nemici da combattere). Di conseguenza si sono affacciati sul mercato beauty i cosmetici contenenti lattobacilli, estratti vegetali fermentati e un gran numero di ingredienti ottenuti attraverso processi biotecnologici fermentativi.

Microbiota e microbioma Microbiota e microbioma sono due parole sempre più popolari nei lanci di nuovi cosmetici e sono usate spesso come sinonimi, ma hanno significati diversi. Microbiota esprime una popolazione di microrganismi (batteri, funghi, muffe, lieviti, virus, parassiti) che colonizza un determinato luogo. Il termine microbioma invece indica la totalità del patrimonio genetico posseduto dal microbiota, cioè i geni che quest’ul-

timo è in grado di esprimere. Il corpo umano vive da sempre in simbiosi con i microrganismi, i quali si trovano soprattutto nell’intestino dove hanno funzione digestiva (idrolizzano i nutrienti che provengono dal cibo e ne permettono l’assorbimento), biosintetica (producono vitamine), protettiva (creano una barriera alla proliferazione incontrollata dei patogeni), immuno-modulante (determinano qualità e quantità della risposta del nostro organismo alle infezioni, tenendolo “allenato”), antiossidante (producono molecole antiossidanti). Il ruolo del microbiota appare sempre più importante ed è implicato in molte patologie diverse, dai disturbi metabolici

Microbioma della pelle umana

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ridimensionato il rapporto a circa 1,3:1 (es. per un uomo di 20-30 anni che pesa 70 kg ed è alto 1,70 m ci sono mediamente 39 trilioni di batteri per 30 trilioni di cellule umane) (7) Il microbiota è importante soprattutto per quanto riguarda il nostro intestino, che è l’organo più “popolato” ma qui ci concentreremo sulla pelle e sui cosmetici.

Il microbiota della pelle Rappresentazione dell’olobionte (Helen Spence-Jonespng)

come l’obesità (1), all’osteoporosi (2) alle patologie neuro-psichiatriche (asse microbi-intestino-cervello) (3), alle allergie (4), al cancro (5) e alle malattie della pelle. Il nostro corpo non è sterile, specialmente nelle parti comunicanti con l’esterno (pelle, cavità orale, vie respiratorie, apparato intestinale, uro-genitale, congiuntiva, canale uditivo esterno), ma gli scienziati iniziano a ipotizzare la presenza di un microbioma specifico anche in altre zone del corpo. La composizione del microbiota umano non è fissa bensì variabile, ed è influenzata dalla geografia, dalle condizioni esterne, dall’alimentazione, dall’età. Pare che il microbiota si formi durante la vita fetale (in opposizione al precedente paradigma di “utero sterile”). La placenta, il liquido amniotico, il sangue del cordone ombelicale e i tessuti fetali hanno ciascuno il proprio microbiota specifico, influenzato dalla salute e dalle abitudini materne e, al momento del parto, durante il passaggio nel canale vaginale, il neonato viene esposto alla complessa popolazione di microrganismi che lo popolano. Nel corpo umano, il numero dei microrganismi residenti di origine esterna è addirittura superiore al numero di cellule che compongono il corpo umano stesso. Una stima fatta nel 1970 indicava un rapporto di 10:1 (6), mentre studi più recenti hanno ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)

L’epidermide è ricoperta da un mantello idrolipidico naturale composto da acqua, lipidi, acidi organici, proteine, amminoacidi, sali minerali che costituisce il terreno d’elezione per vari tipi di microrganismi che costituiscono la flora cutanea, la quale si autoregola (omeostasi). Sulla pelle il microbiota si forma al momento della nascita, si modifica durante l’adolescenza e si stabilizza durante la vita adulta (8), ma resta comunque influenzato da fattori esterni. In condizioni normali, la flora residente è composta dai cosiddetti batteri “buoni” della cute (commensali), che vivono stabilmente sulla superficie cutanea, si nutrono di sostanze prodotte dalla pelle e non provocano alcun danno all’organismo, anzi svolgono un ruolo importante nella sua difesa da fattori esterni potenzialmente nocivi. I commensali più comuni sulla pelle sono lo stafilococco dell’epidermide, i micrococchi, i difteroidi anaerobici, i corynebacteria e i propionibacteria. La flora temporanea, invece, è costituita dalle specie che entrano in contatto con la cute per un tempo limitato. Tra questi microrganismi possono esserci anche agenti patogeni potenzialmente in grado di causare disturbi e malattie. Il microbiota cutaneo cambia anche a seconda delle zone del corpo, che hanno un grado di idratazione, pH e percentuale di sebo diversi, e che possono essere più o meno esposte all’ambiente esterno. Ci sono a esempio zone più umide e meno

Staphylococcus epidermidis

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esposte (ascelle, ombelico, gomito interno, inguine, pianta del piede, ecc.), popolate da batteri delle specie Staphylococcus e Corynebacterium, e zone più sebacee (fronte, pieghe nasolabiali, zone retro auricolari) che sembrano avere una popolazione microbica meno varia e caratterizzata per lo più da batteri della specie Propionibacterium (questi ultimi abbondano sulla pelle dei soggetti affetti da acne). La popolazione dei microrganismi sulla superficie cutanea non è omogenea, ed è quindi difficile determinare l’equilibrio ottimale tra i vari ceppi, non solo tra un individuo e l’altro, ma anche nello stesso individuo. La flora residente si autoregola, ma può andare incontro a squilibri: ad esempio la crescita incontrollata di uno dei microrganismi come Staphylococcus aureus può determinare infezioni. Una flora cutanea “povera” (con minore varietà di specie) può associarsi alla comparsa di sintomi cutanei lievi ma anche di alcune malattie infiammatorie della pelle come l’acne (9) o la dermatite atopica (10).

Mantenere una flora cutanea sana Il rapporto tra i disagi della pelle e la composizione del microbiota, di cui la letteratura scientifica parla ampiamente, ci fa intuire quanto sia importante mantenere in equilibrio la flora cutanea. Questo equili-

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brio è chiamato eubiosi e corrisponde a un microbiota stabile, con la giusta diversità e che funziona bene. Al contrario, lo squilibrio viene chiamato disbiosi, e può essere causato da patologie (cutanee o sistemiche), alimentazione squilibrata, shock (fisici, termici, chimici) e stress. Purtroppo non è stata mai stabilita una correlazione diretta e inequivocabile tra squilibrio del microbiota e patogenesi della psoriasi (11), della dermatite atopica (12), della rosacea (13) e dell’acne (14), ed è possibile che si tratti piuttosto di malattie multifattoriali in cui anche il microbiota cutaneo ha probabilmente un ruolo. D’altra parte, però, arricchire la flora cutanea con specie diverse e batteri “buoni” sembra avere un effetto positivo anche sulla prevenzione e nel trattamento di alcune problematiche della pelle e nella riduzione degli inestetismi. Ad esempio, un estratto di Lactobacillus reuteri DSM 17938 ha dimostrato di avere effetti antiinfiammatori, antimicrobici e di miglioramento della funzione barriera (15), mentre l’estratto di Lactobacillus plantarum HY7714 ha dimostrato di migliorare l’idratazione della pelle, la luminosità, l’elasticità e di ridurre la profondità delle rughe (16). Alcuni di questi effetti cosmetici, inoltre, si ottengono sia nel caso del microrganismo vivo, sia dell’estratto lisato. ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)


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Cosmetici benefici per la flora cutanea

Staphylococcus epidermidis (cc HansN)

I cosmetici “con probiotici” o che promettono di “riequilibrare la flora cutanea” come dicevamo all’inizio dell’articolo stanno riscuotendo grande interesse sul mercato. Il consumatore medio, infatti, conosce già i benefici dei probiotici, dei prebiotici e degli alimenti fermentati per l’intestino e quindi associa caratteristiche benefiche anche ai cosmetici che li contengono (che sia supportato scientificamente o meno). Il marketing dei cosmetici cavalca quest’onda di interesse, supportata in parte dagli studi scientifici sulla microflora cutanea, e propone cosmetici “benefici per il microbiota cutaneo” attirando l’attenzione su ingredienti come i lattobacilli, le fibre solubili ad azione prebiotica (es. inulina) e in generale qualsiasi ingrediente ottenuto grazie alla fermentazione.

Un cosmetico può davvero essere “probiotico” per la pelle? I cosmetici che contengono lattobacilli, estratti fermentati o fibre prebiotiche hanno davvero un effetto riequilibrante sul microbioma cutaneo? I lattobacilli vengono inseriti vivi all’interno della formulazione? E se sì, quanto sopravvivono? (ad esempio in presenza dei conservanti). Il primo nemico di una flora cutanea variegata e ben equilibrata è rappresentato proprio dalle sostanze antibatteriche biocide, che non distinguono tra microrganismi “buoni” e “cattivi” nel loro meccanismo di azione. I prodotti cosmetici possono essere conservati in vari modi, in genere con sostanze antibatteriche, batteriostatiche e antifungine che hanno funzione di “conservanti”. Conservare adeguatamente i cosmetici è necessario per impedire la proliferazione di microrganismi indesiderati, prolungando la vita del prodotto sullo scaffale e la fase di utilizzo da parte del consumatore dopo l’apertura della confezione.

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Tuttavia l’aggiunta dei conservanti (“sostanze destinate esclusivamente o prevalentemente ad inibire lo sviluppo di microorganismi nel prodotto cosmetico”) (17) così come evita la proliferazione dei batteri indesiderati, allo stesso tempo potrebbe disturbare la flora cutanea buona. Se da un lato, da studi in-vitro (18), in particolare alle concentrazioni massime di utilizzo (19), i conservanti hanno mostrato di avere un impatto sulla microflora, studi successivi realizzati in-vivo hanno invece mostrato che il microbioma cutaneo non è influenzato in modo sostanziale dai prodotti contenenti conservanti (20) alle concentrazioni consentite dalla legge. Insomma, applicando le normali creme cosmetiche sulla nostra pelle non corriamo il rischio di disturbare il microbiota.

Il claim: la cosmesi probiotica Come accennato prima, in base ad alcuni studi disponibili (15,16), la presenza di lattobacilli in una crema topica potrebbe riequilibrare la microflora, migliorare l’idratazione e la funzione barriera e aiutare a contrastare gli inestetismi. Di conseguenza la dicitura “cosmesi probiotica”, per quanto leggermente forzata, potrebbe non essere totalmente fuorviante, nel momento in cui l’azienda sia in grado dimostrare con studi clinici i risultati del prodotto in termini di efficacia cutanea. Il problema, però, è che questo termine non è regolamentato a livello internazionale e non esistono linee guida per i claim sui “cosmetici probiotici”, di conseguenza il consumatore è esposto al rischio di pubblicità ingannevole. A ogni modo, restano sempre validi i criteri comuni per giustificare i claim sui prodotti cosmetici disposti dal Regolamento (EU) n. 655/2013, in particolare i criteri di “Supporto probatorio” (qualsiasi claim deve essere supportato da prove valide) e “Onestà” (a esempio, non spingersi al di là di quanto viene provato).

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Pro-biotici, pre-biotici, post-biotici Secondo la definizione dell’OMS, i probiotici sono “organismi vivi che se somministrati in quantità adeguata, apportano un beneficio alla salute dell’ospite”. Naturalmente si parla di microrganismi somministrati oralmente; ma come dicevamo sopra, la cosmesi, sempre alla ricerca di nuovi concept di funzionalità, ha “preso in prestito” questo termine. Occorre però tenere sempre presente che i cosmetici, per definizione, non sono prodotti da ingerire. Da un punto di vista formulativo, non è semplice inserire batteri vivi all’interno di un prodotto cosmetico: la difficoltà maggiore è proprio quella di mantenerli vivi per lungo tempo, specialmente quando sono presenti i conservanti. Tecnicamente è come andare contemporaneamente in due direzioni opposte: mantenere un cosmetico sicuro, cioè non contaminato da batteri indesiderati, e allo stesso tempo mantenere vivi per lungo tempo i batteri “amici”. Esistono comunque alcuni modi per allungare la vita dei ceppi benefici: a esempio quello di incapsularli all’interno di liposomi (21). Di recente sono stati lanciati alcuni cosmetici contenenti lattobacilli microincapsulati: la maggior parte dei prodotti riporta però sulla confezione una scadenza breve. Una strada cosmetica alternativa e certamente più battuta è quella di utilizzare i batteri disattivati (v. oltre nel paragrafo “post-biotici”) poiché si è visto, a esempio, che anche i ceppi lisati o tindalizzati possono avere effetti benefici sulla pelle. I ceppi tindalizzati sono quelli sottoposti a trattamenti che li disattivano termicamente lasciandoli integri, mentre i lisati sono ceppi disgregati. Entrambi, quando vengono usati come ingredienti cosmetici, mantengono alcune proprietà sulla pelle simili a quelle dei ceppi vivi, migliorano a esempio la funzione barriera oppure

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mostrano attività antirughe e anti-melanogenesi (22), ma naturalmente non contribuiscono ad arricchire e diversificare la flora cutanea. Hanno però il vantaggio di non essere inibiti dai conservanti. Per questo tipo di prodotti, il claim “cosmesi probiotica” è tuttavia ancora meno supportato, perché appunto si tratta di microrganismi non vivi. I pre-biotici, invece, non sono microrganismi: si tratta di sostanze organiche che costituiscono il terreno migliore per il mantenimento di una microflora benefica. I prebiotici sono a esempio fibre e zuccheri come inulina, glicosamminoglicani, beta-glucani, oligofruttosaccaridi, che sono in genere ottenuti da fonti vegetali oppure prodotti per via biotecnologica. Si tratta in realtà di sostanze già note e utilizzate da tempo in cosmesi (a esempio come idratatanti). A differenza dei microrganismi vivi, esse sono facili da incorporare nelle formulazioni e del tutto sicure, e non hanno problemi normativi, a patto di poter dimostrare la loro funzione “pre-biotica” anche per la pelle (cioè favorire la crescita e la sopravvivenza dei microrganismi benefici che già si trovano nel microbiota cutaneo), cosa per nulla ovvia. La categoria dei “post-biotici” può rappresentare invece quelle sostanze che derivano dai microrganismi stessi (es. ceppi lisati o tindalizzati) oppure dal loro metabolismo, come ad esempio acidi grassi a corta catena (SCFA), enzimi, peptidi, vitamine e acidi organici che si ottengono tramite fermentazione. Si tratta di un campo molto interessante e che apre varie strade perché, cambiando il microrganismo o il substrato di fermentazione si possono produrre molte sostanze diverse, ciascuna con le sue specifiche caratteristiche chimiche e proprietà cosmetiche. I cosiddetti “estratti fermentati” rientrano in questa categoria: si tratta di estratti vegetali in cui vengono coltivati particolari ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)


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ceppi batterici che, con il loro metabolismo, migliorano le caratteristiche dell’estratto stesso. Per esempio, alcuni batteri sono in grado di idrolizzare i polisaccaridi o le proteine dell’estratto, rendendole più biodisponibili a livello cutaneo, o di produrre vitamine, peptidi e altre sostanze interessanti da un punto di vista funzionale. Tra i postbiotici potremmo includere anche un’altra categoria di sostanze, quelle di origine biotecnologica. Facendo lavorare i microrganismi in condizioni controllate è possibile infatti ottenere innumerevoli molecole che prima si ottenevano da fonti

sicurezza e soprattutto di evitare inutili crudeltà per gli animali.

non rinnovabili, oppure che prevedevano l’uccisione degli animali. A esempio quasi tutto l’acido ialuronico utilizzato oggi in cosmesi si ottiene dalla fermentazione del glucosio a opera di uno streptococco, invece che col vecchio metodo dell’estrazione dalle creste di gallo. Il metodo fermentativo ha vantaggi evidenti dal punto di vista del profilo di

zuccheri – sono ottenuti con la fermentazione di vegetali attraverso l’uso di microrganismi, anziché sinteticamente. In questo contesto, i cosmetici che abbiano caratteristiche di naturalità certificate rappresentano una scelta decisiva, nell’ottica green. Lo standard NATRUE, con i suoi criteri severi che escludono le sostanze sintetiche dalle formulazioni e ammettono

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L’industria dei cosmetici naturali è pionera nei processi biotecnologici L’industria delle materie prime cosmetiche ha assunto un ruolo pionieristico nelle metodiche di fermentazione biotecnologica, spinta soprattutto da esigenze di maggiore sostenibilità, e sta creando moltissime alternative di origine vegetale ai derivati sintetici. Oggi moltissime sostanze – dai piccoli amminoacidi fino ai grandi polimeri di

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cosmesi bio cosmesi in fermento in collaborazione con NATRUE

solo quelle naturali, di derivazione naturale e natural-identiche, accoglie e promuove metodi di fermentazione che utilizzano microrganismi non-OGM per la produzione di polimeri naturali, miscele complesse e molecole singole. Tra i prodotti certificati NATRUE ce ne sono molti che contengono lattobacilli, saccaromiceti, fibre prebiotiche solubili come l’inulina (dalla Cicoria), polisaccaridi (da frutti e alghe, ecc.) e una grande varietà di estratti vegetali e molecole ottenute da fermentazione. Per chi volesse cercarli o esplorarli, sono consultabili sul database presente all’interno del sito www.natrue.org inserendo l’ingrediente desiderato come chiave di ricerca.

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Le fermentazioni sono un’enorme opportunità di innovazione e rappresentano spesso la chiave per ottenere la massima sostenibilità nei processi della chimica verde. L’industria cosmetica è probabilmente uno dei settori che ha dato maggiore spazio alla chimica delle fermentazioni e alla biotecnologia, soprattutto grazie al crescente interesse dei consumatori consapevoli e alla richiesta di evitare i derivati sintetici. In questo contesto, spesso macchiato dal greenwashing, diventa essenziale che le aziende si conformino a regole severe che garantiscano ai consumatori autentica naturalità. Scegliere i prodotti che portano il marchio di certificazione NATRUE, i quali hanno superato rigidi controlli nella formulazione e nella produzione da parte di organismi di ispezione indipendenti, rappresenta la massima garanzia per i consumatori che scelgono di portare nella loro vita più natura e più sostenibilità.

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cosmesi in fermento cosmesi bio

Bibliografia

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Noi e loro

Q

uesto piccolo spazio dedicato all’approccio integrato in medicina veterinaria nasce come anello di congiunzione tra esperienze e saperi. Quali fitocomplessi possono essere più indicati per cane e gatto? E in quali situazioni? Quando può essere utile la micoterapia?

Gli animali di una volta

“Ma come è possibile che si sia ammalato? Lo curiamo tanto! Ai miei tempi gli animali erano più robusti.. vivevano fuori casa, si dividevano gli scarti di quel poco che c’era da mangiare e non avevano tutti gli accidenti che hanno ora!”...

Aprire la mente a nuove possibilità e avvalersi della competenza di professionisti con una formazione diversa, ma accumunati dall’attenzione per la cura e da un profondo rispetto per la natura e l’ambiente, per una ricerca sinergica della salute di tutta la famiglia, a 2 e 4 zampe.

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Noi e loro

S

aluto la signora Bruna sulla porta di casa - non prima di averle raccomandato ancora una volta di ridurre il cibo alla sua povera gatta che si muove a fatica - prendo la borsa da moderna Mary Poppins e mi rimetto in auto. La fitta nebbia della pianura avvolge la strada e dà spazio ai miei pensieri. Cosa è cambiato negli ultimi anni? Davvero anche per i nostri animali “si stava meglio quando si stava peggio”? Con il passare del tempo abbiamo cambiato abitudini, necessità ed esigenze e il loro ruolo nelle nostre vite è indubbiamente molto diverso rispetto a quello di una volta. Se prima erano fondamentali e decisamente funzionali nel lavoro, oggi hanno un altrettanto importante compito sociale. Pensiamo per esempio al cane: prima guardiano e fedele aiuto ci accompagnava proteggendo il bestiame nei pascoli e le nostre case dai predatori, oggi si è guadagnato a pieno titolo il divano di casa compensando talvolta le nostre carenze affettive e di relazione. Vivo in una zona dove il rapporto con la natura è ancora molto complesso e schizofrenico, tra allevamenti intensivi, cani da cortile che scappano lungo le carraie polverose in

cerca di avventure e cani e gatti di famiglia o di casa, amati e coccolati come solo chi ha provato la gioia di aprirsi a una tale esperienza di vita può capire. Sì, prendersi cura di un animale è un’esperienza di vita, un’esperienza di amore estremo direi. Il particolare momento che stiamo vivendo ci ha mostrato in modo brusco e quasi violento come le piccole abitudini di tutti i giorni, anche le più insignificanti e banali, possano condizionare profondamente la nostra salute. Ora, proviamo per un attimo a pensare alla vita di un cane o di un gatto in un appartamento: l’impossibilità di uscire di casa, gli spazi limitati, le relazioni obbligate con conviventi di uguale specie o diversa (come noi strani esseri senza pelo con tutti i nostri apparecchi elettronici), l’isolamento, la mancanza di luce naturale e di sole diretto, la limitazione del movimento all’aria aperta, della possibilità di esplorazione, l’annullamento degli stimoli, la noia, l’aspettativa, la frustrazione, la paura verso il mondo esterno, … Tutte esperienze molto familiari anche per noi ora, vero? E quali effetti hanno avuto sulla nostra salute psichica e fisica le restrizioni e gli obblighi che abbiamo sperimentato?

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Quanto ci hanno messi in difficoltà? Cani e gatti (e non solo!) sono entrati a far parte a tutti gli effetti delle nostre famiglie - nel concetto più profondo e inclusivo del termine - e abbiamo iniziato a condividere con loro anche la nostra sfera emotivo-emozionale più intima. Questo ha comportato però una condivisione anche degli aspetti più problematici che riguardano i ritmi della nostra quotidianità, non sempre in linea con le fisiologiche necessità di una vita sana, umana o animale che sia. Tecnopatia in medicina umana è sinonimo di malattia professionale, in medicina veterinaria invece indica un’anomalia del comportamento che si può verificare in alcuni animali d’allevamento per le innaturali condizioni in cui talvolta sono costretti a vivere. E allora non potrebbero forse dipendere da “tecnopatie domestiche” molti dei piccoli gravi malanni che affliggono i nostri animali? È ormai noto come lo stress prolungato comporti un innalzamento dei livelli di cortisolo nell’organismo, una conseguente alterazione del profilo immunitario e uno stato di infiammazione cronica di basso grado che può provocare, con il tempo, gravi alterazioni metaboliche e

organiche. Quindi i nostri animali di casa si ammalano davvero di più rispetto a quelli di una volta? Non credo, solo si ammalano in modo diverso. Mangiano molto di più, spesso eccessivamente (cibi poco adeguati e ricchi di conservanti), si muovono meno di quanto dovrebbero, hanno spazi limitati, subiscono i nostri sbalzi di umore e le nostre emozioni, ma hanno cure e attenzioni mai avute prima e un’aspettativa di vita molto più lunga di un tempo. La medicina veterinaria ha fatto passi da gigante nella clinica, nella diagnostica e nella medicina d’urgenza, ma condivide con la medicina umana la tendenza univoca alla ricerca e alla cura della malattia, trascurando talvolta la cura del paziente nella sua integrità. Così come gli animali sono estremamente sensibili agli agenti esterni che condizionano la loro vita e l’ambiente in cui vivono, allo stesso modo sono altrettanto reattivi a tutto ciò che li può ricondurre a uno stato di salute. Tanto più coerente è il messaggio che mandiamo all’organismo, tanto più rapidi saranno la risposta e il miglioramento dei sintomi. La natura è perfetta e intelligente e ha in sé tutti gli strumenti e le risorse per

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Noi e loro

riportare in equilibrio ogni organismo in caso di difficoltà: rimedi e integratori naturali permettono di intervenire tempestivamente con un’azione mirata e allo stesso tempo delicata, per fornire supporto e favorire una ripresa veloce e duratura. Sono una tavolozza di infinite possibilità terapeutiche, il cui limite unico in genere sono le nostre conoscenze. C’è chi vi attinge per convinzione, chi per dedizione e chi per disperazione: sempre più spesso c’è la necessità di supportare animali con patologie croniche, pazienti oncologici,

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cani o gatti anziani che non possono tollerare lunghi trattamenti farmacologici. O più semplicemente c’è la volontà di curare la salute del proprio animale, nel senso più ampio e tanto umano di prendersi cura di lui. E allora anche noi medici veterinari, come il caro Dottor James Herriot faceva con tanta passione, talvolta potremmo prenderci qualche attimo in più durante la visita clinica e sederci a conversare con l’accompagnatore umano del nostro paziente, per comprendere a pieno la com-

plessità della relazione che ci troviamo davanti. Osservare e conoscere per capire e poter consigliare al meglio, per un approccio integrato volto alla cura dell’animale e del suo benessere psico-fisico, ma anche un’attenzione all’ambiente, al contesto e alla famiglia. Perché la medicina preventiva inizia dall’ascolto e dalla comprensione e la natura parla ancora un linguaggio semplice, intuitivo, al quale probabilmente gli uomini di una volta erano più abituati. (Alice Z. )

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Fitoterapia e nutrizione: dati ed evidenze della ricerca

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a cura di Marcello Monti e Paolo Poggi

Sulle proprietà di astaxantina Astaxantina è un un carotenoide, (3,3’-diidrossi-4,4’-dioxo-b-carotene), del gruppo a elevato peso molecolare identificati come xantofille, comprendente anche, tra le altre, luteina e zeaxantina. Si ritrova nel lievito e in vari crostacei e microrganismi marini, ma anche nella frutta e nella verdura. Rappresenta uno dei più importanti antiossidanti assunti quotidianamente mediante il cibo. Oggi è riconosciuta come un eccellente principio attivo antiossidante con un largo potenziale applicativo in vari campi, in particolare farmaceutico e nutraceutico. Nella relazione si riferisce del meccanismo molecolare secondo cui l’astaxantina potrebbe interferire su azione e comportamento di due importati fattori trascrizionali redox-sensibili, quali Nrf-2 e NF-kB. Il primo (Nrf-2 = nuclear factor erythroid 2-related factor 2) è da ritenersi un sensore cellulare di stress elettrofilo che coordina l’espressione di un insieme di geni difensivi codificanti proteine antiossidanti ed enzimi detossificanti. Il secondo (NF-kB = nuclear factor-kB) agisce come un mediatore di stress cellulare e induce l’espressione di vari geni pro-infiammatori, inclusi quelli codificanti citochine, chemochine e CAM. CAM (cell adhesion molecules), sono proteine collocate sulla superficie cellulare coinvolte nel legame con altre molecole o con la matrice extracellulare, praticamente sono recettori di membrana. In pratica si potrebbe dire che astaxatina esibisce un effetto antiaging e attenua stress ossidativi o infiammatori attivando un gene trascrizionale che difende da antiossidanti e tossine e inibisce l’attività di un altro gene mediatore di stress cellulare e proinfiammatorio. Peraltro, una certa perplessità ci sfiora quando leggiamo cosa gli autori scrivono a coda del loro dettagliato rapporto sulle proprietà di astaxantina: in relazione a quanto riferito nei vari studi, astaxantina potrebbe essere considerata un promettente principio attivo impiegabile per prevenire e contrastare disordini cronici correlati a stress ossidativi e stati infiammatori; peraltro nei vari studi pubblicati si sono usati, nei test su animali, dosaggi del preparato che non sarebbero consentiti su umani. Ma allora? Conclusione: non sono al momento disponibili dati (test su umani) che dimostrino che astaxantina interferisca sull’attività dei due geni trascrizionali citati. ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)

Carotenoidi sono presenti in natura nei lieviti, in microorganismi marini, nei crostacei, oltre che nella frutta e nella verdura (CC Zituba)

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A consolazione si ricorda invece che recenti studi preliminari hanno rivelato che astaxantina si è scoperta utile nella prevenzione e trattamento di aterosclerosi, decadimento cognitivo, affaticamento visivo, vari disagi di ordine dermatologico, disordini tutti, come si può arguire, da correlarsi a scompensi redox, infiammazione e età avanzata. Non poco: il riscontro positivo di tali attività, può quantomeno consolarci per avere steso una abbondante nota sulle bioproprietà del carotenoide in oggetto. Davinelli S, Saso L, D’angeli F (2022): Astaxanthin as a modulator of Nrf2, NF-κB, and their crosstalk: molecular mechanisms and possible clinical applications- Molecules 27(2): 502

Curcuma e cervello

La Curcuma è un ingrediente ricorrente nelle diete di divesi popoli orientali (CCThanhphucvnvn)

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La droga della Curcuma (Curcuma longa L.), estratta dal suo rizoma, presenta una frazione costituita da sostanze coloranti, conosciute come curcuminoidi, dei quali il più importante è un composto polifenolico, la curcumina (diferuloilmetano), che è quella che impartisce il tipico colore giallo al rizoma, ma che è anche riconosciuto come il biocomponente di maggiore interesse scientifico della frazione attiva della pianta. Per motivi di praticità (migliore dispersione, possibilità di rilascio controllato), ma soprattutto per aumentarne la biodisponibilità, la curcumina viene incorporata in preparati terapeutici generalmente in forma liposomale o nanostrutture. Curcumina ha effetto su disagi cerebrali, anche severi tipo morbo di Alzheimer, Parkinson, sclerosi multipla. È infatti in grado di attenuare le disfunzioni della barriera ematoencefalica, di prevenire emorragie, prevenire danno o distruzione di proteine protettive. Inoltre è in grado di attivare la funzione di GT-1 (glutamate-transporter-1) che sono geni che riducono la concentrazione di glutammati nel fluido cerebro-spinale, che può inibire l’attività delle cellule microglia (cellule macrofaghe residenti che proteggono il sistema nervoso centrale). Una combinazione di nano-curcumina con acidi ω-3 può ridurre in misura significativa la frequenza di attacchi di emicrania modulando l’espressione di interleuchine (IL-6) e l’espressione di CR-Protein (C-reactive protein, proteine coinvolte in fatti infiammatori), tutti effetti confortati da risultati di test clinici. Si è pure visto che la curcumina liposomale riduce l’attività di ACE (angiotensin-conveting enzyme) in regioni target del cervello e potenzia il recupero della memoria (test su ratti Alzheimer-indotti). Questo e altri studi clinici sono risultati utili a rivelare l’effettiva importanza di questo attivo vegetale nel trattamento preventivo e curativo di disturbi anche gravi di ordine neurodegenerativo. Si suppone che altre ricerche potranno ulteriormente migliorare queste cognizioni, scoprendo sempre più idonei veicoli di trasporto ai fini ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)


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di una sempre più marcata biodisponilbiltà dell’ingredente attivo, e contribuire a ottimizzare le più idonee dosi d’uso e gli eventuali possibili accoppiamenti con farmaci o altri attivi per esaltare al massimo l’efficacia del trattamento. Benameur T, Giacomucci G, Panaro A et al (2022): New Promising Therapeutic Avenues of Curcumin in Brain Diseases – Molecules 27(1): 236

Genisteina neuroprotettiva Genisteina è un isoflavone (4’,5,7-triidrossi-isoflavone) che, in natura è soprattutto presente nella droga della Soia (Glycine soja). È un prodotto del processo del metabolismo del suo glucoside genistina. Come glucoside, oltre che nella Soia, è presente in varie specie vegetali (Pino marittimo, Ginestra e altre). Varie sue proprietà sono sfruttate in cosmesi e terapia. Oltre a inibire la proteina tirosinasi-chinasi (ha pertanto effetto sul collagene di cui stimola la produzione), si è visto che è in grado di modulare la crescita e la differenziazione del tessuto adiposo e di interferire col metabolismo lipidico (attività, questa, correlata allo sviluppo di cellulite). Inoltre inibisce la fosfodiesterasi e la proliferazione di adipociti incrementando la lipolisi, attività che conduce alla riduzione del tessuto adiposo. Gli si riconoscono proprietà antiossidanti, antimicotiche. La relazione riferisce, in pratica, di attività di genisteina inerente sua efficacia a fini neuroprotettivi, come, a esempio, attenuante la perdita di memoria con l’età. La relazione si rifà all’esame di un vasto materiale di data-base riportanti molti articoli su studi clinici e preclinici aventi come oggetto di studio quella che potremmo chiamare l’azione della ginesteina sul cervello. Si riferisce, pertanto, degli effetti farmacocinetici del bioattivo, del suo potenziale meccanismo di azione, della sua capacità di ridurre stati ossidativi o neuroinfiammatori. La relazione rivela e sottolinea che l’efficacia dell’ingrediente ai fini neuroprotettivi è fuori discussione ma è strettamente correlata, è facile arguirlo, alla sua biodispobilità, per cui si richiede una particolare esigenza per la messa a punto di nuove modificazioni strutturali e derivati dell’ingrediente per ottimizzarne la funzionalità.

Glycine soja (CC Dalgial)

Fuloria S, Yusri M, Sekar M et al (2022): Genistein: A Potential Natural Lead Molecule for New Drug Design and Development for Treating Memory Impairment – Molecules 27(1): 265 ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)

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Ipoglicemica e ipolipidemica attività di Moringa oleifera Moringa (Moringa oleifera Lam.) è un albero diffuso nei Paesi tropicali, verso il quale recentemente è accresciuta l’attenzione della ricerca scientifica in ragione dei suoi potenziali possibili sfruttamenti in diversi settori, non solo quelli tradizionali alimentare, terapeutico e cosmetico, ma anche per nuove aperture in campi industriali come quello della depurazione e chiarificazione delle acque e quello della produzione di lubrificanti e biocarburanti. Moringa oleifera è oggi oggetto di molti studi agronomici e nutrizionali di enti e organismi governativi, anche negli Stati Uniti, ai fini di incentivarne la coltivazione e migliorarne il potenziale estrattivo officinale. Si riferisce di uno studio inteso a investigare il potenziale ipoglicemico e ipolipidemico di un estratto in polvere, ottenuto da foglie di Moringa (con test condotto su conigli), previa somministrazione in dosi variabili (100, 200, 400 mg/kg pc) del preparato. Il test è stato condotto in parallelo a un altro studio in cui si è usato, come termine di confronto, un farmaco specifico (glibenclamide, dosaggio 5 mg/kg/die). Dopo 2 settimane di trattamento si è potuto riscontrare un livello di zuccheri nel sangue significativamente più basso nel gruppo di soggetti trattati con l‘attivo rispetto ad un gruppo non trattato, con effetto risultante paragonabile a quello rilevato per il gruppo trattato col farmaco specifico. Il trattamento coll’estratto da foglie di Moringa ha inoltre sviluppato un’azione riducente in modo significativo il livello di colesterolo nel sangue, del totale trigliceridi e di LDL (low density lipoprotein), con un contemporaneo aumento di ‘colesterolo buono’ (HDL = high density lipoprotein). I dati del test validerebbero ampiamente le capacità ipoglicemiche e ipolipidemiche dell’attivo vegetale in osserMoringa oleifera (CC Tamil Wiki Media) vazione. Bommineni K, Yamsani M (2022): Hypoglycemic and hypolipidemic activity of Moringa oleifera leaf powder in alloxan-induced diabetic rabbits – Int J Pharm Sci Res 13(1): 369-374

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Timo monografia

(CC Fontema)

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monografia Timo

Timo: il cespuglio superaromatico or o og am n non m r r og fior m n o a r gno a o n m ro ram a ra o non anno a ron a no fi a r a o na ra o an aroma oo n a r ao m or an on n r ma o n a an o a a n m ro a r om on n fi o om o an ora a ar nn m r o ar an rofi o aroma o m ono n g o o a om n an a an r mo a r m g ra om

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rgomento della nostra monografia è, stavolta, il Timo, una piccola pianta aromatica, ma forte e decisa nel suo profumo e nel suo aroma, componente emblematico di numerosi piatti della migliore tradizione culinaria mediterranea. Il suo olio essenziale è il ‘soggetto’ di maggiore spicco ai fini dello sfruttamento dei sapori e del profumo della pianta e delle biopreziosità dei suoi componenti, ma anche altri estratti, da foglie e infiorescenze del piccolo cespuglio sono oggi ricercati ai fini del suo utilizzo anche in campo terapeutico e cosmetico.

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molto elevate all’inizio della primavera, con minime molto al di sotto dello zero. Tutta la pianta emana un odore aromatico gradevole. Sono diversi i nomi con cui è conosciuta nelle diverse regioni ove è più diffusa (in Italia sicuramente la Liguria e le regioni meridionali): da pepurino a pepolino, da sermorino a peverello, erba pèvera e altri. Tra i sinonimi, diversi noti, più diffuso pare sia quello di Origanum thymus Kuntze. Sono riconosciute molte specie del genere. Allo stato spontaneo esiste Thymus serpillum L., pianta erbacea a fusti striscianti, radican-

di Paolo Poggi chimico, pubblicista

Cenni botanici e storici Il Timo (Thymus vulgaris L.), della famiglia delle Lamiaceae, è una pianta arbustiva, tipica della macchia mediterranea; fusto legnoso con molti ramoscelli su cui sorgono piccole foglie allungate, profumate. Produce una intensa fioritura di minuscoli fiori a corolla, color rosa. Si tratta di una tipica pianta mellifera, molto visitata dalle api. Cresce in terreni aridi, anche pietrosi, tra sassi e rocce, In genere predilige terreni leggeri, calcarei, drenanti e soleggiati. Sopporta male i terreni pesanti e mal drenati, sui quali sopravvive pochi anni. Non tollera inverni umidi e freddi; sopporta male le temperature prolungate al disotto dei -15°C e le escursioni termiche ERBORISTERIA 428(maggio-giugno (maggio-giugno 2022) 2022) ERBORISTERIA domani domani 428

53 Foto: Paolo Poggi


Timo monografia

ti, con foglie ellittiche e fiori simili al Timo comune, ma con profumo più debole. Altre specie importanti sono T. capitatus, T. albus, T. citriodorus.

i quali lo utilizzavano nell’imbalsamare i defunti. Ciò è spiegabile per la capacità d’impedire la putrefazione e la proliferazione batterica degli oli essenziali in esso contenuti; e infatti a distanza di 4000 anni, a riprova di questo suo effetto, il Timo continua a essere usato da imbalsamatori e tassidermisti. Molti popoli antichi pensavano che i suoi fiori rappresentassero l’anima dei morti; il suo aroma era ritenuto dai Greci apportatore di coraggio e ardore, tanto che i soldati tonificavano il loro corpo lavandolo con acqua di Timo e rinvigorivano il proprio animo bevendone tisane. Le giovane ragazze ne ponevano un ramoscello sotto il cuscino per farsi rivelare in sogno l’identità del futuro sposo. Il Timo veniva usato anche nei riti sacri, per il suo fumo, dalle proprietà ritenute disinfettanti. Al tempo dei Romani, il famoso scrittore e filosofo Apuleio (ca 140 a.C), gli riconosceva spiccate proprietà antidolorifiche; sia Plinio che Virgilio ne parlavano come una pianta da bruciare per scacciare gli animali velenosi dai campi e dalle case. Ancora Virgilio parla del Timo e del suo felice connubio con le Api nelle Georgiche (libro IV, 165-179): ‘così all’inizio dell’estate il lavoro per i campi affatica le api al sole.. Ferve l’opera, olezza il fragrante miele di Timo..’

Il nome Timo può avere varie origini: dal greco thyein che significa profumare in riferimento al profumo aromatico e pungente che emana la pianta, oppure dal greco thumon che significa ciò che è preso in sacrificio in riferimento all’usanza di bruciare la pianta durante i riti religiosi. L’uso terapeutico del Timo risale a tempi antichissimi per le sue sin da allora conosciute proprietà curative. Il Timo era una pianta ben nota agli Egizi,

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I Romani sfruttavano le sue proprietà antisettiche per la conservazione delle derrate alimentari, per la purificazione dell’aria in ambienti chiusi e per aromatizzare i formaggi. Nel medioevo le nobildonne erano solite ricamare un’ape che visitava i fiori di Timo sulle insegne dei loro cavalieri, come auspicio di buona sorte in battaglia. Sempre nel Medioevo, il Timo assieme a Lavanda, Rosmarino e Salvia era entrato nel famoso aceto dei quattro ladroni, panacea universale usata soprattutto durante le pestilenze. Castore Durante, nel suo Herbario novo ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)


monografia Timo

(1585), ove parla delle piante medicinali dell’Europa e delle Indie, scrive che il Timo, cotto nel vino, veniva utilizzato per combattere l’asma e per curare le infezioni della vescica, eliminare la tenia, guarire da avvelenamenti. Nei secoli è stato utilizzato sotto forma di tisane o infusi per curare disturbi intestinali e dell’apparato respiratorio, per la disinfezione della bocca e del cavo orale, come antitussivo ed espettorante, disinfettante di piccole piaghe e ferite. In uso pure infusi contro l’acne, così come stimolanti l’appetito e favorenti la digestione. Fin dall’ antichità è stato adoperato in medicina per le sue proprietà balsamiche e anticatarrali, antisettiche, stimolanti, antibiotiche. Regolarizza il mestruo, calma la tosse, è utile nella medicazione di ferite e affezioni cutanee. Il Timo aiuta la digestione e contribuisce a calmare le infiammazioni, in particolare è indicato per alleviare la tosse, grazie all’azione balsamica e fluidificante.

I principi attivi del Timo Il Timo si è rivelato una inusitata, ricca sorgente di componenti bioattivi, di cui i principali sono il timolo (isopropil-metacresolo) e l’isomero carvacrolo (isopropil-ortocresolo). Tra gli altri monoterpeni da citare p-cimene, α-pinene, 1,8-cineolo, linalolo, borneolo, canfora. In estratti metanolici di foglie sono presenti anche flavonoli (come quercetin-7-O-glucoside) e acidi fenolici (p-cumarico, caffeico, rosmarinico, cinnamico e altri), flavanoni

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(naringenina), flavanoli (taxifolina) e flavoni (come luteolina e apigenina) ed una vistosa serie di loro glucosidi; inoltre, flavonoli (quercetina, kaempferolo). (1,2,3,4) Utilizzando altri solventi sono stati isolati da Timo tannini, steroli e alcaloidi. Presenti anche altri terpeni (derivati di acidi ursolico e oleanolico). Nella tabella acclusa una più dettagliata descrizione dei componenti la frazione attiva della pianta.

Proprietà farmacologiche Tra le numerose e diversificate bioproprietà farmacologiche attribuibili agli estratti, e in particolare all’olio essenziale del Timo, abbiamo ritenuto di dedicare primaria attenzione a quelle antiossidante, antimicrobica e antinfiammatoria. Attività antiossidante Relativamente al Timo, il timolo ed il carvacrolo sono i due costituenti maggiormente studiati ai fini della valutazione delle sue proprietà antiossidanti. Vari autori sono dell’avviso che tale attività sia praticamente similare per i due componenti in esame; altri sostengono una maggiore efficacia del timolo in ragione di una differente posizione dei gruppi fenolici, ottimale nel timolo rispetto al carvacrolo (5). Peraltro, sono anche altri i componenti che, più o meno, possono interferire sulla efficacia antiossidante dell’olio, come alcoli, tipo il borneolo (1). Sono state valutate l’attività antiossidante e antimicrobica di estratti da Timo. Oltre all’olio essenziale ottenuto per distillazione, si sono studiate due subfrazioni dell’estratto, polare (idrosolubile) e non polare (insolubile). Delle subfrazioni testate si è riscontrata una scarsa attività antibatterica e antiossidante, mentre l’olio essenziale si è visto che è in grado di sviluppare una forte attività antimicrobica verso i vari ceppi testati.

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Azione conservante antimicrobica per alimenti Negli ultimi decenni sono state condotte varie serie di ricerche al fine di identificare sostanze naturali che fossero in grado di inibire reazioni di auto-ossidazione lipidica nelle carni e in cibi precotti dopo essere state aggiunte in fasi di processo operativo. Un’attenzione particolare è stata rivolta agli estratti di alcune notissime erbe aromatiche quai Timo, Rosmarino e Origano, in ragione delle loro ben note e apprezzate proprietà antiossidanti. Orbene, è da tenere nella dovuta considerazione che l’efficacia antiossidante degli estratti di queste piante può dipendere dal substrato su cui devono agire e dalla dose somministrata. Così come c’è da tener conto, in generale, che estratti antiossidanti di piante tendono a sviluppare una azione pro-ossidante se utilizzati a basse concentrazioni e che tale attività diventa antiossidante solo a idonee concentrazioni critiche. Per quanto concerne in specifico il Timo, gli studi e ricerche ne hanno validato l’efficacia antiossidante e antimicrobica come fine inteso al miglioramento della qualità del cibo (come conservante naturale) e ne hanno ampiamente spiegato i meccanismi di azione contro l’ossidazione lipidica e la difesa da microrganismi inquinanti, così come ne sono stati chiariti i fattori che possono interferire sia positivamente, sia negativamente su questa loro attività, le loro forme di applicazioni più pratiche ed efficaci, e le eventuali interazioni ed effetti sinergici con altre sostanze. Circa l’uso funzionale a fini bioattivi di estratti di Timo (il discorso vale ovviamente per altre erbe aromatiche), inizialmente la loro aggiunta a prodotti (in particolare carne e cibi cotti) poteva indurre un impatto negativo in ragione del forte odore e sapore dell’estratto. La risoluzione di questo problema è stata la successiva messa a punto di preparati ad elevata deodorizzazione grazie ad adozione di metodi estrattivi ottimizzati e di purificazione e frazionamento, che consentono la disponibilità di prodotti praticamente ‘odour and flavor-free’. Fonte: NIETO G, 2020 (7)

(CC Fritz Geller_Grimm)

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Nell’olio quali componenti principali sono stati identificati (via GCMS) timolo, y-terpinene, p-cimene, carvacrolo, borneolo. Per le frazioni maggiormente ricche in timolo, e in particolare in carvacrolo, si è riscontrata una più marcata attività, tanto da ritenere che gli altri componenti esplichino un’azione sinergica. Il timolo e il carvacrolo hanno comunque rivelato di sviluppare un’azione antiossidante più debole dell’olio in toto. L’olio si è rivelato idoneo ad usi cosmetici, quale antimicrobico e antiossidante (6). Alcuni autori riferiscono di aver isolato dalle minuscole foglie in diverse specie di Timo (vulgaris compreso), un nuovo componente, p-cimen-2,3-diolo, il quale, da fito-

analisi ha rivelato una elevata capacità antiossidante, superiore addirittura a quella di α-tocoferolo e BHT (butilidrossitoluolo) (8). L’attività antiossidante riconosciuta da tutti i ricercatori è correlata a una marcata funzione bloccante i radicali liberi, chelante gli ioni metallici (che come è noto funzionano da catalizzatori di reazioni perossidative) e inibitrice di enzimi ossidanti (9). Una rilevazione desunta dalla verifica bibliografica che ci ha sorpreso è che, per quanto tutti gli autori siano concordi nel ritenere i costituenti fenolici della droga della pianta quali i responsabili primari delle proprietà antiossidanti, molte voci sono invece del parere che non esista una diretta correlazione tra l’efficacia antiossidante dell’estratto e il suo contenuto totale in fenoli (10,11). In altro studio si è verificato come gli antiossidanti del Timo operino quali efficaci inibenti della xantina-ossidasi, un enzima del gruppo delle reduttasi ossidate che produce radicali liberi di ossigeno (12). Con test in vivo è stato pure evidenziato che la supplementazione nella dieta di olio essenziale di Timo in toto induce una favorevole capacità antiossidante epatoprotettiva, e che tale dieta è utile a mantenere il livello di acidi grassi polinsaturi nei tessuti e quindi del corretto metabolismo lipidico (13,14). Il timolo, a esempio, incrementa l’efficacia antiossidante dell’olio anche in ragione della sua capacità di stimolare l’attività di enzimi naturali antiossidanti, quali glutatione perossidasi, superossido dismutasi e altri, e di accrescere il livello di antiossidanti non enzimatici quali Vitamina E e Vitamina C (15,16). Attività antimicrobica È alla ricca frazione totale di composti fenolici dell’olio essenziale di Timo che è da attribuire la marcata efficacia contro le infezioni causate da microrganismi, che permette di considerare quindi quest’olio come un antimicrobico ‘naturale’, in grado di sviluppare una significativa attività preservante. Vari studi hanno rivelato sicuramente lo svilupparsi a tal fine di una significativa funERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)


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zione sinergica tra i differenti componenti dell’olio essenziale: per fare un esempio, tra carvacrolo e il suo precursore p-cimene. È comunque necessario tenere nella dovuta considerazione tutti i vari costituenti dell’olio essenziale e i loro possibili effetti antagonisti e sinergici, specie tra timolo e carvacrolo (17,18). Le condizioni fisiche che migliorano le prestazioni di quest’olio sono la bassa temperatura, il basso livello di ossigeno e i bassi valori di pH (2). L’ambiente anaerobico favorisce l’azione sia del timolo sia dell’olio in toto contro organismi come Staphylococcus aureus e Salmonella thyphimurium (19). Si è pure riscontrato che batteri Gram-positivi sono leggermente più sensibili all’azione dell’olio, piuttosto di quelli Gram-negativi (2). Si è pure riscontrato che può verificarsi una certa interazione tra l’olio essenziale e i costituenti del substrato da proteggere (nel caso ad esempio di alimenti), per cui l’effetto può essere diverso da quello ottenibile in vitro, con la necessità, quindi, di dover utilizzare una dose superiore di conservante (20). A proposito di conservanti alimentari, una serie di studi pubblicati nel periodo 2011-2016 relativamente all’efficacia a tale fine dell’olio essenziale in toto della pianta e dei suoi due componenti principali, timolo e carvacrolo, ha ampiamente evidenziato e validato la loro attività antimicrobica nei confronti di microrganismi tipicamento inquinanti derrate alimentari come Clostridium perfrigens, Listeria monocytogenes, Salmonella spp. (21) La carie dentaria, la cui eziologia è multifattoriale, è un disagio la cui principale causa consiste nell’azione di alcuni batteri commensali che esistono sulla placca dentaria, in particolare Streptococchi (S. mutans, S. sanguis). L’estratto alcolico di Timo ha rivelato un buon effetto inibente i due microganismi responsabili della carie dentaria. (22) Con uno studio su batteri cariogeni della ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)

bocca è stato possibile dimostrare che il timolo produce una perforazione della membrana plasmatica delle cellule del batterio, il che causa un rapido deflusso dei costituenti intracellulari. Il composto induce un decremento nell’ATP (adenosin trifosfato) intracellulare come diretta conseguenza dell’infiltrazione, e inibisce anche la sintesi della biomolecola (23). È stata dimostrata anche l’efficacia del timolo nei confronti di microrganismi ruminali come Staphylococcus bovis e Selenomonas ruminantium, e contro vari batteri inquinanti il cibo, come Salmonella, Enterococcus e Klebsiella (24,25,26). Da parte loro, carvacrolo e timolo sono composti fenolici isomerici efficaci nei confronti del patogeno Bacillus cereus. Carvacrolo, con marcate caratteristiche idrofobiche, si accumula nella membrana plasmatica del batterio e ne causa la rottura. (27) Timolo e carvacrolo hanno rivelato efficacia anche nei confronti di Pseudomonas aeruginosa e Staphylococcus aureus ed Escherichia coli inibendone la crescita via danneggiamento dell’integrità della loro membrana plasmatica, rendendola permeabile (29,3). In altro rapporto si riferisce di un ulteriore componente identificato nell’olio essenziale di Timo, la baicaleina, un flavone, il quale risulterebbe in grado di attivare sinergicamente l’effetto inibente di tetraciclina su Staphylococcus aureus (30). Test su ceppi resistenti come Streptococcus pneumoniae R36A e S. pneumonia IC-2 hanno rivelato che l’olio essenziale di Timo induce una rapida lisi del primo batterio, più lenta del secondo. Peraltro l’o.e. si è rivelato idoneo nel trattamento alternativo a farmaci specifici di infezioni causate da pneumococchi farmaco-resistenti (31). Un effetto antimicrobico e antinfiammatorio del Timo è stato valutato anche per contrastare lo sviluppo e la resistenza di biofilm. Si è visto che il trattamento induce la riduzione dell’infiammazione, previene la formazione di aggregazioni e incrementa la

TIMOLO

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CARVACROLO

CARVACROLO

BAICALEINA

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vitalità delle cellule (32). Interessante rilevare come molti autori rimarchino l’importanza della posizione dei gruppi ossidrilici nella struttura fenolica molecolare dei componenti del Timo ai fini di una loro più o meno marcata attività antimicrobica. In vari scritti è stata pure messa in risalto l’eventualità di interazione dei composti dell’olio essenziale della pianta con altri componenti delle formulazioni, il che potrebbe avere un’influenza antagonista e quindi con risultati di efficacia inferiori a quelli riscontrabili in vitro (33). Un estratto aquoso di Timo si è rivelato efficace nei confronti di Helicobacter pilori, batterio spiraliforme che può colonizzare la mucosa gastrica (il rivestimento dello stomaco umano); l’interazione è spesso asintomatica, ma talvolta può favorire gastrite e ulcere a livello dello stomaco e del duodeno (il primo tratto dell’intestino) (34). Attività fungicida ed antivirus L’attività fungicida dell’o.e. di Timo è stata valutata nei confronti di una serie di 17 micromiceti di piante, alimenti e animali e patogeni umani. L’olio essenziale valutato è stato ottenuto per idrodistillazione di una parte essiccata della pianta in esame, e i suoi componenti identificati tramite analisi GCMS. Si è visto che i maggiori costituenti dell’olio erano il timolo (48,9%) e il p-cimene (1%). L’olio essenziale di Timo ha svelato un potere fungicida superiore a quello di Menta piperita e Menta crispa, valutati con test in parallelo. Un dato importante da sottolineare è che, un comune fungicida del commercio, il bifonazolo, impiegato come controllo, esplica un’attività di gran lunga inferiore a quella degli oli essenziali naturali presi in valutazione e dei loro componenti utilizzati singolarmente. I dati della valutazione confermerebbero che i tre o.e. presi in esame possiedono un marcato potenziale antifungino, tanto da po-

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Efficacia antifungina Un interessante e validante test sull’efficacia antifungina di olio essenziale di Timo è certamente quello che andiamo ad esporre. Il test è stato effettuato su crepe di muri rovinati dall’umidità. Nell crepe sono stati individuati quali ceppi inquinanti: Aspergillus, Penicillium, Alternaria ed altri (una decina di ceppi). L’attività antifungina dell’olio essenziale è stata valutata esponendo la sezione inquinata a vapori dell’olio che, ad analisi aveva rivelato presenza di p-cimolo, timolo e 1.8-cineolo come maggiori componenti. Dal test si è scoperto che il timolo esibisce la più elevata azione antifungina, maggiore di tre volte di quella dell’olio in toto. Il preparato si è visto che è in grado di sopprimere sporulazione di muffe per almeno 60 gg dal momento del trattamento, dimostrando quindi di sviluppare un’attività ad ampio raggio nei confronti dei numerosi ceppi identificati. Fonte: KLARIC M ET AL, 2006 (28)

terli considerare a tutti gli effetti interessanti conservanti fungicidi naturali (36). Si riferisce di estratti di Timo in soluzione etanolica, o in glicole propilenico, e di risultati confortanti a fini antibatterici riscontrati in test effettuati su diversi tipi di microganismi, da batteri Gram-positivi e Gram-negativi a lieviti e muffe (Aspergillus niger) (37). Di olio essenziale di Timo è stata valutata e confermata anche l’efficacia nei confronti di HSV (Herpes symplex virus), e nei confronti di ceppi acyclovirus-resistenti (38). Attività antinfiammatoria Il potenziale antinfiammatorio degli estratti di Timo e dei loro biocomponenti derivati fenolici è stato ampiamente confermato, così come sono stati identificati vari meccanismi di azione. Citiamone alcuni: l’inibizione allo sviluppo di mediatori pro-infiammatori quali citochine, l’inibizione ad adesione intercellulare, la prevenzione della denaturazione di proteine e la stabilizzazione del potenziale di membrane eritrocitriche, infine il controllo ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)


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del livello di emissione di radicali NO. La capacità inibente l’attività di enzimi-chiave a fini ossidanti e infiammatori quali LOX (lipossigenasi) e COX-2 (ciclossigenasi-2) si è rivelata per gli estratti di Timo, almeno in varie occasioni, paragonabile a quella di farmaci specifici non steroidei come celecoxibe e zileton (27). Certi lavori hanno pure dimostrato che un positivo contributo alla capacità antinfiammatoria del Timo è certamente da attribuire alla presenza nella frazione attiva polare dell’estratto di acido rosmarinico (e suoi derivati, come etil rosmarinato) (39,40). Altri autori sostengono anche il contributo a fini antinfiammatori di estratti di Timo indotto da luteolina e apigenina, pure presenti come biocomponenti funzionali (41,42). Una rimarchevole attività antinfiammatoria, inibente mediatori proinfiammatori, è stata, in particolare riscontrata per varie formulazioni contenenti estratti di Timo in soluzione a base glicole propilenico (test su cellule RAW-264-7 LPS-attivate) (44,45). Il potenziale antinfiammatorio di estratti di Timo è stato valutato su edema indotto da Croton oil. Quest’olio è un forte agente irritante che causa danno cellulare e attiva la fosfolipasi, enzima che innesca una cascata arachidonica irritante. Il test è stato condotto in parallelo all’uso di antinfiammatori tradizionali quali indometacina (non steroideo) e desametasone. A dosi più elevate (20, 40 mg) il carvacrolo non ha rivelato efficacia, mentre ha fornito esito positivo il trattamento a dosaggio inferiore (10 mg) (3). Altre proprietà I fenoloderivati del Timo hanno rivelato una influenza positiva su vari disagi di ordine cardiovascolare in quanto in grado di ridurre danni molecolari, prevenire la formazione di placche e inibire l’ossidazione del colesterolo (46). A somministrazione di timolo ha fatto riscontro un migliorato livello di leptina e insulina e ridotto accumulo lipidico L’efficacia di estratti e olio di Timo quali ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)

agenti antinfiammatori è stata rivelata con studi sia in vitro, sia in vivo: migliorano l’attività dell’enzima superossido dismutasi che è un agente antinfiammatorio (47). Altri autori riferisco di loro azione inibente il rilascio di interleuchine e TNF-α (48).

(CC Isidre Blanc)

Il Timo in cosmetici Nella moderna cosmesi funzionale, del Timo per uso topico si utilizza principalmente l’olio essenziale per le sue proprietà antisettiche, antibatteriche, lenitive, calmanti e deodoranti. Può rientrare nella formulazione di creme e detergenti ad azione depurante e purificante in caso di acne, pelle grassa, impura e di piccole ferite; in colluttori e dentifrici per la pulizia del cavo orale, e per aiutare a prevenire la placca e profumare l’alito; in shampi e lozioni ad azione fortificante e purificante sui capelli; in deodoranti per ascelle e piedi. Una moderna pratica e funzionale forma di estratto da Timo per uso cosmetico è da identificarsi in un idrolato ottenuto via estrazione con ultrasuoni da ramoscel-

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li fioriti e foglie della pianta; si tratta di un vero e proprio estratto e non una semplice acqua aromatica. Tale ingrediente si è rivelato ideale e pratico nella realizzazione di preparati cosmetici a funzione deodorante, seboregolatrice, dermopurificante. Si è potuto riscontrare la sua efficacia a fini stimolanti la microcircolazione, ribilanciante uno stato di eccessiva untuosità della pelle, lenitiva su cute irritata e secca. Applicato in preparati tricologici si è rivelato attivo contro la forfora e nei confronti di differenti tipi di stadi irritativi (come il prurito, piccole ulcerazioni, ecc.). Le proprietà antiossidanti dell’olio essenziale di Timo in cosmetica Nello studio si riferisce di una ricerca effettuata su olio essenziale estratto da differenti tipi di Timo, cresciuti nelle regioni del Marocco, al fine di valutarne l’efficacia antiossidante in preparati cosmetici.

ll maggiore componente degli oli eterei, identificato per via GC e GC/MS, nel Thymus vulgaris e nel T. satureioides, è risultato essere carvacrolo (78 e 49% rispettivamente). Il valore dei fenoli totali, totale flavonoidi e altri antiossidanti, espresso come μg di acido gallico equivalente (GAE) per mg, è risultato 121,4 e 143,2 μgGAE/mg rispettivamente, con un valore bloccante i radicali liberi (metodo al DPPH, difenil pircrilidrazile) pari a 5,1 e 5,7 μg/mL rispettivamente. Si tratta di valori assai elevati per quanto concerne il potere antiossidante di un derivato vegetale, per cui tale olio essenziale potrebbe rappresentare una base di partenza interessante quale antiossidante naturale da utilizzarsi in cosmesi (49).

(CC Deborahbattaille)

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etnobotanica Coca

La pianta sacra degli Incas

testo e foto di Domenico Carotenuto

Universidad San Marcos (Lima, Perù)

Terreno coltivato a Coca sulle Ande peruviane

Simbolo di un’antica cultura andina, possiede proprietà medicinali ed efficacia terapeutica. Per la sua azione farmacologica, per il suo significato etnologico e per le sue gravi e complesse implicazioni sociali, la Coca (Erythroxylum coca) è una delle piante più affascinanti del mondo. La si ritrova nei più disparati ambiti, dalla chimica alla fisiologia, dalla etnomedicina alla psicofarmacologia, dalla politica alla criminologia.

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Coca etnobotanica

“Desideravo vedere quella erba tanto celebrata dagli Indios per tanti secoli che essi chiamano coca, che seminano e coltivano con molta attenzione e diligenza, perché tutti si servono di essa. Quando hanno da passar per qualche diserto, o solitudine, dove non da ritrovare acqua o cibo, usano alcune pallottole, che fanno di questo tabacco in questo modo; prendono le sue foglie, e le masticano, e così come le van masticando, mescolano con loro certa polvere fatta di scorze abbruciate, e vanno mescolando nella bocca ogni cosa insieme, fin che diviene, com’una pasta; della quale fanno alcune pallottole poco maggiori che ceci, e le pongono, a seccare all’ombra, e dappoi le serbano, e le usano in questa maniera. Quando hanno da camminare per luoghi dove non pensano di trovare né acqua, né cibo prendono una di quelle pallottole, e le pongono tra il labbro e i denti, e le vanno suggendo tutto il tempo, che camminano, e quello, che ne suggono inghiottiscono; e a questa maniera passano, e camminano, e tre, e quattro giorni senza temere il mancamento del mangiare, né del bere; perché non sentono né fame, né sete, né stanchezza, che impedisca loro il camminare”.

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uesta nota è la prima notizia scientifica ufficiale sulla Coca, la cui esistenza era già stata comunicata da altri viaggiatori. Apparve nel libro Delle cose che provengono dalle nostre Indie Occidentali e che servono nell’uso della medicina, scritto da Nicolas Monardes, naturalista spagnolo, nel 1565 e pubblicato in Siviglia nel 1580. Altri viaggiatori e religiosi avevano fatto conoscere in Europa l’esistenza della Coca. Nel 1499 il padre Tomas Ortiz scriveva che gli indiani Chirichibiches consumavano questa erba (hayo) con calce; ancora oggi hayo è il nome che si da alla Coca nelle regioni Chibcha (Colombia). Amerigo Vespucci nel 1504 scriveva che gli indigeni della costa caraibica (Venezuela e Colombia) masticavano un’erba stimolante. Il padre Valverde (1539) e Pedro Cieza de Leon (1540) fecero nei loro scritti frequenti riferimenti all’uso della Coca in tutto l’ampio territorio che gli spagnoli esploravano. Nei secoli XVI e XVII, il suo im-

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piego nei riti magici e religiosi autoctoni la rese invisa alle autorità iberiche che la perseguirono come erba diabolica. Nel 1551 il Concilio Ecclesiastico di Lima si pronunciò sul pericolo religioso che questa usanza comportava. L’interesse per le strane proprietà della pianta sacra degli Incas coincise con lo sviluppo della chimica. La scoperta degli alcaloidi e di altri principi attivi vegetali stimolò i ricercatori europei e, nel 1859, il chimico tedesco Niemann isolò la cocaina dalle foglie di coca. Nel frattempo e durante vari anni dopo, in diverse università europee, continuava l’interesse per la Coca per la sua azione antifatica. Non è raro che ciò accadesse visto che questa erba proveniva da El Dorado e sembrava concentrare in sé le virtù della forza, dell’instancabilità, della giovinezza permanente, tutte doti che la leggenda attribuiva a quei luoghi sconosciuti. La scoperta della cocaina da parte di Albert Niemann portò tutti alla

conclusione che l’azione della Coca era totalmente dovuto alla presenza di questo alcaloide, per cui, purtroppo, da quel momento tutti gli esperimenti fisiologici furono realizzati con la cocaina. La Coca come tale non tornò più nei laboratori di fisiologia dell’Europa. Aspetti etnici Da tempo immemorabile la Coca è stata riverita dalle popolazioni dell’area andina, in alcune culture addirittura considerata come una divinità. Entrava a far parte di una moltitudine di cerimonie religiose, riti funerari e funzioni magiche in quasi tutte le culture precolombiane di queste regioni. Il suo effetto sull’organismo umano, abolendo la stanchezza, il dolore e la fame fu sempre considerato un fatto soprannaturale e il suo culto non ebbe solamente un’importanza religiosa ma addirittura politica. La foglia di Coca costituisce più che un semplice stimolante la cui

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etnobotanica Coca

azione dannosa non è stata ancora del tutto provata. E’ un mezzo essenziale di integrazione sociale e di solidarietà umana nel mondo andino, usata in cerimonie e riti collettivi con modalità prescritte da precise regole etiche. Raramente è oggetto di abuso o uso indiscriminato che possa causare danno alla salute dell’individuo, è un ossequio che significa amicizia e generosità. L’atto di condividere la Coca e masticarla insieme ad altri è un fatto molto importante che sigilla la relazione di fratellanza e fiducia tra i partecipanti. Anche se si parla, generalmente, di masticare le foglie di Coca, (chacchar, picchar, acullicar), il processo di consumo non consiste nella masticazione. La prima cosa che fa chi va a chacchar è individuare le migliori foglie, quelle che sono senza impurità, intere, senza grinze e in buone condizioni. Queste foglie scelte si chiamano k’intus. Il consumatore le va riunendo con molta attenzione e parsimonia e ne toglie il picciolo e le grandi

nervature per preparare così il bolo da chacchar. Così pulite, comincia l’atto che si denomina pukuy che è una invocazione o orazione che si pronuncia prima di portare la foglia di Coca alla bocca. E’ una preghiera alla madre terra (pacha mama) in generale o un’invocazione a luoghi geografici specifici. Si pongono tra le labbra le foglie

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scelte, prendendole delicatamente e masticandole leggermente, impregnandole di saliva, modellandole con la lingua, fino a che non si forma un bolo. Avviene allora l’applicazione di una sostanza alcalina, chiamata llipta o tocra. Questa può essere una polvere che è portata alla bocca mediante un legnetto o un conglomerato solido in forma tonda o cilindrica, del quale l’utente morde un pezzetto per mescolarlo con il bolo. Pone infine questo bolo sotto la guancia, e lo lascia lì per una o due ore, durante le quali assorbe il succo con cui si impregna la sua saliva. Alla fine il bolo, chiamato acullico, è scartato, non deglutito. Il consumo tradizionale della foglia di Coca è un simbolo di identità etnica. Dalla Coca alla cocaina come anestetico

L’autore in zone di coltivazione, Perù

Due anni dopo la scoperta di Albert Niemann e parallelamente all’uso della cocaina come stimolante dalle grandi possibilità, diversi ricercatori notarono che possedeva

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anche una strana azione sulle mucose, sembrava desensibilizzarle. In Germania C. S. Schroff realizzò una serie di esperimenti e descrisse l’azione anestetica della cocaina sulla lingua. Azione che fu confermata anche dal francese L. G. Demarle che stava portando avanti gli stessi esperimenti simultaneamente e in forma indipendente. Nel 1865 il famoso clinico parigino M. Fauvel rese popolare l’uso del gargarismo con infuso concentrato di foglie di Coca per alleviare il dolore della gola. Nel 1879 il chirurgo Basilius Von Anrep scoprì che l’area della pelle iniettata con cocaina diventava insensibile alle punture dell’ago. Ma si deve a Freud l’idea della cocaina come anestetico locale. In quegli anni il famoso psicoanalista stava cercando una terapia per i morfinomani e notò, come gli altri ricercatori che lo avevano preceduto, che la cocaina esplicava una chiara azione anestetica sulla lingua. Lo comunicò al suo amico oculista Karl Köller

suggerendogli di approfondire l’aspetto anestetico dell’alcaloide per una possibile applicazione in campo chirurgico oftalmico. Gli esperimenti portati avanti da questi diedero definitivamente via libera alla cocaina come anestetico locale. L’alcaloide divenne un regalo degli dei per i chirurghi e un terribile flagello per l’umanità. Dalla Coca alla … Coca Cola Nel 1863 il dottor Angelo Mariani inventò vari preparati a base di foglie di Coca, tra cui un cordiale, un tè e il più noto Vin Mariani. Quest’ultimo, grazie alle sue eccellenti proprietà euforizzanti, antifatica, antidepressive, fu sponsorizzato da note personalità del tempo, tra cui lo zar di Russia, la principessa del Galles, Alessandro Dumas, Emile Zola, T. Edison, musicisti come Gounod, Massenet e finanche il sommo pontefice Leone XIII. Tutti apprezzavano le virtù terapeutiche, e non solo, della foglia di Coca. Fu nel 1880 che un farmacista americano, tale J. Styth Pemberton,

sempre alla ricerca di formule interessanti per la sua clientela, registrò ufficialmente negli USA il ‘vino francese di coca, tonico e stimolante ideale’. Nacque la Pemberton Chemical Company che, l’anno seguente, avrebbe rivoluzionato il mondo con un nuovo prodotto. Per poter trasformare il prodotto in una bevanda non alcolica, eliminò il vino e la rese più stimolante con l’aggiunta di caffeina e di un’altra pianta, altrettanto energizzante, africana, la noce di Cola. Registrò la bevanda con il nome di Coca-Cola. All’inizio questa bibita si presentava sotto forma di sciroppo, mescolato e diluito in acqua, veniva venduto nelle farmacie come tonico stimolante. Nel 1889 un certo signor Asa G. Candler comprò la formula del tonico a Pemberton e l’anno successivo fondò la Coca-Cola Company. Nel 1914 la legislazione americana proibì la presenza di cocaina nelle bevande e la Coca-Cola si trasformò in bibita gassata con caffeina, noce di cola, aromatizzanti ed “estratto non narcotico di foglie di Coca decocainizzata”. Cosa c’è attualmente nella Coca-Cola è un segreto: certamente non la cocaina, nemmeno in tracce. Note di botanica

Erythroxylum coca

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La specie Erythroxylum Coca Lam. presenta un fusto arbustivo-cespuglioso, alto circa 1-3 metri, con corteccia rossastra, foglie sempreverdi di colore verde vivo, obovate, lunghe 4-8 cm, brevemente picciolate; fiori numerosi, ascellari, bianco-giallastri, frutti drupacei ovoidali, rossi. Da questa specie si sono differenziate quattro varietà che sono state addomesticate e coltivate fin dall’epoca precolombiana. Differiscono tra loro sia per i componenti chimici ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)


etnobotanica Coca

sia per la morfologia, ecologia, distribuzione e pratiche agricole utilizzate:

Essicazione delle foglie

Erythroxylum coca var. coca si trova in Perù e Bolivia, sulle Ande orientali, ed è la varietà più primitiva, con riproduzione sessuata. E’ ben adattata alle condizioni ecologiche delle valli interandine di media altitudine (500-1500 m). Erythroxylum coca var. ipadu, chiamata Coca amazzonica, è coltivata in piccola scala da gruppi di indios che vivono nell’Alta Amazzonia colombiana, brasiliana e peruviana. La sua riproduzione è esclusivamente per talea ed è un cultivar isolato geograficamente da tutte le altre specie. Erythroxylum novogranatense var. novogranatense o Coca colombiana, è coltivata principalmente nelle valli interandine della Colombia. E’ molto adattabile a diversi siti ecologici, da quello semiarido fino alle valli tropicali; la sua riproduzione è sessuata. Erythroxylum novogranatense var. truxillense, chiamate Coca di Trujillo, presente nelle valli della costa nord del Perù tra i 200 e i 1800 metri, cresce in clima desertico. Secondo Plowman questa varietà è utilizzata per rifornire di estratto aromatico decocainizzato la Coca-Cola. E’ una varietà geneticamente e geograficamente distinta dalle altre. Uso popolare Nella medicina tradizionale peruviana non esiste altro rimedio così tanto usato ed efficace. Si usa con successo nei dolori dei denti, di stomaco, reumatici, nei raffreddamenti, nella diarrea e come impiastro sulle ferite. La foglia di coca, infatti, non contiene solo cocaina ma tannini, vitamine, salicilati e altre sostanze

che contribuiscono alla sua benefica azione medicinale. Una piccola foglia, pestata e posta nella cavità di un dente cariato, è un rimedio immediato contro il dolore. I gargarismi con un’infusione concentrata di Coca alleviano il mal di gola e la laringite; impacchi di foglie danno sollievo nelle molestie delle emorroidi. Oltre all’azione analgesica, dovuta alla cocaina, gli impiastri di Coca su ferite e arrossamenti, grazie all’azione dei tannini, contribuiscono alla cicatrizzazione e alla protezione dalle infezioni. Si usa in tutte le molestie intestinali grazie sia all’azione anestetica che all’azione diretta sulla muscolatura liscia: dolore di stomaco, diarrea, indigestione, coliche e altri disturbi dell’apparato digerente. Infine va ricordato che, solo grazie alle foglie di Coca, gli indios riescono a vivere e lavorare ad altitudini di 3000-4000 metri e oltre, dove, a causa della rarefazione dell’aria, anche un piccolo sforzo è un aggravio per il cuore. Viene usato l’infuso, frizionandolo su tutto il corpo, in caso di influenza; prima e dopo il parto si usa lavare e massaggiare mani e piedi;

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in caso di febbre si massaggia il ginocchio con Coca tostata. La forma tradizionale di consumo della Coca costituisce un procedimento farmacologico di somministrazione che fa si che la cocaina ingressi nell’organismo del coquero a una velocità che è minore rispetto a quella di distruzione ed eliminazione. Questo processo fisiologico spiega gran parte dell’enorme differenza che esiste tra il consumo della foglia di Coca e il consumo di cocaina.

Chimica e farmacologia Le foglie di Coca contengono vitamine A e B, calcio, fosforo, tannini, salicilati, alcaloidi (ecgonina, cocaina, isocacaina, tropacocaina, cinnamilcocaina, cocamina, isococamina, omococamina, truxilina, nicotina) e una sostanza volatile odorosa (igrina). La cocaina è uno psicostimolante con azione antifatica e un sedante di fame, sete e sonno. La sua azione si esplica attraverso una leggera stimolazione della respirazione, della pressione arteriosa e della temperatura corporea. Aumenta il metabolismo basale, induce iperglicemia, aumenta la forza fisica.

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La sua azione è simile all’amfetamina, con alterazione nella percezione del tempo e dello spazio fisico, fino a provocare illusioni ottiche e uditive. Gli studi scientifici hanno chiarito che la quantità di cocaina assorbita attraverso il bolo del coqueo è in media di 150 – 200 mg, con un assorbimento più lento e seguendo vie metaboliche differenti. La cocaina che a dosi elevate si comporta da anestetico locale inibendo la conduzione nervosa, a piccole concentrazioni produce un prolungamento dell’eccitazione noradrenergica, potenziando tutte le funzioni in cui interviene l’adrenalina: aumento del glucosio circolante nel sangue, aumento della pressione arteriosa e della contrazione cardiaca, miglioramento della ventilazione polmonare agendo

sia sul centro respiratorio che per effetto diretto sulla muscolatura bronchiale. E’ questa azione integrale della foglia di Coca che induce l’andino al suo consumo per combattere la stanchezza e le aggressioni climatiche (freddo, altitudine). La foglia di Coca e la cocaina sono due cose realmente differenti. Non si deve però giudicare la madre per le malefatte della figlia terribile!

Bibliografia Barnett G. Estudios biomedicos sobre la cocaina. Una vision general de su farmacocinetica, Lima 1980 Cabieses F. Apuntes de medicina tradicional, Lima 1993 Cabieses F. La coca, dilema tragico? Lima, 1992 Cardenas M. Manual de plantas economicas de Bolivia, La Paz 1989 Duke J., Aulik D., Plowman T. Nutritional value of Coca, Harvard Univ. 1975 Gagliano J. La medicina popular y la Coca en el Perù, Mexico 1986 Plowman T. Botanical perspectives of Coca, 1979

Corrispondenza con l autore: domenicar@alice.it

Bustine per infusi

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Appunti di fitocosmesi

a cura di Marcello Monti e Paolo Poggi

Un fiore giapponese attiva la melanogenesi

Cirsium japonicum è una pianta tipicamente giapponese che come struttura fogliare e fiore assomiglia molto al Cardo Mariano. Da noi esiste una specie molto simile, nota come Cirsio lanoso (Cirsium eriophorum). In Giappone la pianta è stata oggetto di numerosi studi che ne hanno individuato varie biottività; un significativo interesse ha destato la sperimentazione di preparati a funzione preventiva e curativa di stati tumorali. Obiettivo di una ricerca è stato invece quello di esaminare e valutare gli effetti di un estratto ottenuto dai fiori della pianta per favorire la melanogenesi, e di interpretarne il possibile meccanismo di azione. I risultati dei vari test (in vitro e in vivo) hanno rivelato che l’estratto da fiori della pianta è veramente in grado di promuovere un accentuato incremento di contenuto melaninico cellulare favorendo l’attività della tirosinasi. I marker significativi di presenza di feomelanina ed eumelanina su melanociti umani pigmentati sono risultati notevolmente aumentati a seguito del trattamento con l’estratto. È stato possibile verificare anche l’incremento di contenuto melaninico con test su cute ricostituita 3D e con test (ex-vivo) su follicoli capillari umani. Gli autori ritengono che il meccanismo di azione di questo marcato ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)

Cirsium japonicum f. leucanthum, Fukushima, Giappone (cc Qwert1234)

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effetto favorente la melanogenesi e quindi la correlata iperpigmentazione, sia da identificare in una positiva interferenza di cAMP sui melanociti, che stimola la sintesi della melanina. Ricorderemo che cAMP (Cyclic adenosin monophosphate) è un metabolita delle cellule, importante messaggero coinvolto nei meccanismi di transduzione di segnali all’interno delle cellule viventi in responso a stimoli. Kim M, Jeon K, Shin S et al (2021): Melanogenesis-promoting effect of Cirsium japonicum flower extract in vitro and ex vivo – Intern J Cosme Sci 43(6): 703-714

Antiossidanti per cosmetici da scarti di banane Ancora un esempio dell’avanzato interesse per il recupero di ingredienti attivi da potersi ancora utilizzare in campo cosmetico, dermofarmaceutico e terapico, da residui di scarti di lavorazione di derivati vegetali. Questa volta il riferimento è rivolto al recupero e reutilizzazione di scarti da lavorazione di Banana (Musa paradisiaca L.). È stato, infatti, utilizzato (in dosaggio dell’1%) un estratto liofilizzato ottenuto da bucce di banane per la realizzazioni di creme a funzione antiossidante. Dell’estratto si è tenuto in conto il potenziale antiossidante (totale componenti fenolici, totale contenuto in flavonoidi) verificati con test DPPH (diphenyl picrylhydrazyl) e ABTS Azinobis (3-ethylbenzotrazole-6-sulfonate).

Galék, varietà di banana originaria dell’Isola di Giava, Indonesia (cc Afrogindahood)

Dell’estratto utilizzato si è valutato anche il potenziale antiaging, verificando la sua capacità inibitoria di elastasi. L’estratto, per quanto utilizzato in dosaggio molto basso (l’1% come sopra segnato) ha rivelato di essere in grado di sviluppare una capacità antiossidante e antiaging paragonabile agli standard, con effetti vicini a valori di efficacia dell’80%, per cui ampiamente apprezzabili per utilizzazione in preparati cosmetici e dermofarmaceutici. Uckaya F, Uckaya M (2022): Formulation And Evaluation Of Anti-Aging Cream Using Banana Peel Extract – Int J Pharm Sci Res 13(1): 181-191

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Principi attivi di Nigella sativa in niosomi

Nigella sativa ( cc k yamada, Yokohama)

Per niosomi si intende una categoria di liposomi ove i fosfolipidi vengono sostituiti da lipidi non ionici di sintesi. Questi prodotti sono più stabili dei liposomi e più resistenti all’attacco di certi enzimi cutanei. La loro dimensione, equivalente allo spazio intercellulare presente nello strato corneale, ne aumenta il potere di diffusione all’interno della pelle. I preparati in forma niosomale rivestono ormai un importante ruolo nella preparazione di preparati a rilascio controllato contenenti principi attivi, soprattutto per aumentarne la biodisponibilità, potendo modificare le proprietà farmacocinetiche del preparato. Intento di uno studio è stato quello di verificare gli effetti a seguito applicazione topica di formulazioni niosomali contenenti principi attivi di Nigella. Nigella (Nigella sativa, della famiglia delle Ranuncolaceae), è una pianta da secoli molto conosciuta e ricercata per le sue virtù curative nei paesi orientali. Il suo uso in campo cosmetico è particolarmente apprezzato per sue significative proprietà antiossidanti, antimicrobiche, lenitive di infiammazione. Nei test si è innanzitutto potuto verificare l’elevato coefficente di rilascio dell’attivo dai niosomi (quasi del 98 % nel tempo di 24 h). Nigella in forma niosomale è stata formulata come gel con carbopol; questo polimero è stato scelto in ragione della sua natura, che consente un suo più accentuato tempo di permanenza dell’attivo sul sito cutaneo da trattare, e anche un suo migliore assorbimento. Del preparato si è valutato l’effetto indotto dal tipo di struttura del preparato sul potenziale antimicrobico nei confronti di Pseudomonas aeruginosa. Si è potuto verificare, infatti, che il preparato a base di estratto di Nigella in forma niosomale e utilizzato topicamente in forma di gel aumenta significativamente la penetrazione del farmaco o principio ERBORISTERIA domani 428 (maggio-giugno 2022)

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attivo e fornisce un efficace sistema di applicazione a rilascio controllato. Nel caso in studio ha rivelato un marcato incremento inibitorio nei confronti del ceppo batterico selezionato. Reichal R, N.Subramanian N, M.Sangeetha M (2022): Formulation and Characterization of Nigella Sativa Niosomal Gel for Topical Application – Intern J Pharma Biosci 13(19: 60-71

Bioproprietà di estratti di Liquerizia Della Liquerizia, genus Glycyrrhiza, famiglia delle Leguminosae, esistono oltre 30 specie, di cui, almeno da noi, la più nota e considerata è quella botanicamente riconosciuta come Glycyrrhiza glabra. E’ una pianta officinale che gode di vasta reputazione nella medicina tradizionale popolare, per le sue numerose bioproprietà (antinfiammatoria, purificante, epatoprottettiva, schiarente cute in cosmesi e altre), ampiamente riconosciute anche dalla più avanzata ricerca scientifica. Rizomi e radici sono ritenute le parti più importanti della pianta ai fini estrattivi di principi attivi funzionali (saponine triterpeniche, calconi, fenilflavonoidi, isoflavoni, ecc), da utilizzare non solo in campo terapeutico ma anche cosmetico e nutraceutico (functional foods). Nel lavoro l’attenzione degli autori è focalizzata a ben delineare l’interesse che vari metaboliti della pianta, come il flavonoide licocalcone A, l‘isoflavano glabridina e l’isoflavone deidrogliasperina C possono presentare ai fini della realizzazione di preparati cosmetici antiaging e fotoprotettivi di cute e capelli, nonché dermopurificante nel trattamento topico dell’acne. Ovviamente non sono questi gli esclusivi ingredienti da prendere in considerazione quando si opera con estratti della pianta, in quanto altri concorrono con azione rinforzante sinergica a esaltarne le bioproprietà. Cerullo A, Masullo M, Montoro P et al (2022): Licorice (Glycyrrhiza glabra, G. uralensis, and G. inflata) and their constituents as active cosmeceutical ingredients - Cosmetics 9(1): 7

Aleppo, 1900: raccolta delle radici di Liquirizia (Eric and Edith Matson Photograph Collection)

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