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Nota del curatore
Giuseppe Alberto Centauro
Università degli Studi di Firenze
Per cominciare: alcune note sulla didattica a distanza per emergenza da coronavirus
Nel trascorso mese di febbraio la presente opera monografica incentrata sulle esperienze della didattica nel restauro poteva dirsi già sostanzialmente ‘chiusa’. Restava da montare il “pre-impaginato-blind” richiesto per il referaggio per poi condurre gli ultimi aggiustamenti in attesa di avviare la fase compositiva finale per essere in grado di pubblicare il libro per l’inizio dell’A.A. 2020/2021. Del resto, le esperienze condotte nel triennio 2017-2019 selezionate e monitorate per dar conto delle dinamiche dell’insegnamento di una disciplina, quale il restauro nell’architettura, in continua evoluzione dialettica con il contesto sociale, politico, amministrativo e, soprattutto professionale, era principalmente orientata a mettere al centro del dibattito alcune problematiche particolarmente avvertite nella conduzione stessa del percorso formativo dei futuri architetti. Questo primo semestre del 2020-2021 ha però avuto – come ben sappiamo – un risvolto del tutto inatteso e drammatico a causa del deflagrare dell’infezione da COVID-19. L’effetto del virus SARSCOV2 si è fatto pesantemente sentire anche nell’organizzazione dell’opera. Alla luce degli stravolgimenti prodotti nella modalità stesse introdotte con la didattica da svolgersi sostanzialmente ancora a distanza, l’impatto è stato ‘dirompente’ quel tanto da mettere persino in dubbio l’opportunità di tracciare le esperienze pregresse, svolte prima di questi eventi, come punti di riferimento per la definizione dei programmi dei prossimi laboratori. Infatti, molti e radicali erano i fattori destabilizzanti rispetto all’impalcato del volume che si sarebbe dato di lì a poco alle stampe. Sarebbe forse stato più opportuno guardare al cambiamento in atto e misurare le esperienze didattiche nel restauro in maniera diversa, magari valutando nel tempo gli effetti producibili dal distanziamento messo in atto e dal diverso modo di guardare ai giacimenti culturali anche in chiave di analisi e fruibilità futura. Pur tuttavia, il 31 gennaio scorso con la dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria semestrale (recentemente prorogato dal Cdm fino al febbraio 2021) al fine di contrastare adeguatamente il diffondersi epidemico della infezione da coronavirus, nessuno avrebbe immaginato che nel giro di tre mesi si sarebbe rovesciata un’onda così devastante sull’intera nazione nell’inevitabile condivisione pandemica di dimensioni planetarie. Il mondo della scuola e quello universitario in particolare sono stati tra i settori maggiormente toccati dal prolungamento del lockdown connesso con i vari provvedimenti addotti per ragioni di tutela sanitaria e dal procrastinarsi di misure di prevenzione e controllo di sicurezza. E, facendo un parallelo letterario, come ogni tempesta di sabbia ammanta e ricopre qualunque cosa che sta al disotto fino
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Plesso didattico di Santa Teresa
Un’aula di laboratorio dopo l’emergenza da coronavirus
a far sparire i contorni stessi della realtà percepita, così i provvedimenti ministeriali hanno prodotto un corto circuito riducendo ai minimi termini quello che ritenevamo consolidato nelle più consumate consuetudini del condurre la didattica, del fare ricerca. Gli stessi sistemi di comunicazione interpersonale sono apparsi inapplicabili e persino obsoleti soppiantati dallo smart working resosi necessario alla luce delle esigenze di marcare il distanziamento. Oltre la pandemia si è mostrata l’inadeguatezza degli strumenti ordinari del fare didattica fin allora utilizzati. La scarsa attitudine a ricorrere all’e-learning nell’esercizio corrente della didattica è subito apparsa, al di là dell’emergenza, come un handicap grave al quale dovere porre rimedio. Ma il problema non era, com’è stato ben dimostrato dopo poche settimane di sperimentazione, quello dell’utilizzo allargato delle piattaforme informatiche da parte del sistema scolastico, bensì quello legato ai contenuti della didattica. Non è stato quindi, se non in minima parte, un problema di aggiornamento tecnologico e di un più sapiente e consapevole ricorso agli strumenti relazionali di rete. Le attività dei laboratori di architettura hanno ragione di svolgere la loro funzione se condivise a diretto contatto con il contesto al quale sono rivolti sia analiticamente che progettualmente. Si dice da più parti che una volta passata l’emergenza tutto tornerà come prima, anzi migliorato da un punto di vista dell’efficienza e dell’economia di scala, ma non sarà esattamente così. Del resto, il rischio tangibile del propagarsi del contagio in attesa degli antidoti andava rivoluzionando anche il nostro stesso modo di vivere, di abitare, di stare con gli altri e, più in generale, di muoversi in città e sul territorio. È forse presto per dirlo, ma come gli esperti presagiscono: “niente sarà più come prima”. Per quanto poi preme qui trattare, questo forzoso cambiamento a livello sociale, reso di colpo come l’unico scenario possibile, andava minando l’assetto stesso dell’insegnamento nei fondamenti della didattica in presenza, ben oltre i presunti demeriti di praticare nei corsi di studio conduzioni dal ‘sapore antico’. Queste prassi sono già adesso nel mirino e rischiano di essere incasellate come anacronistiche incrostazioni del passato. Spazzando brutalmente via i modi tradizionali dell’approcciare agli argomenti, la modernizzazione (leggasi “virtualizzazione digitale”) è assicurata non tenendo, tuttavia, nel dovuto conto che in discipline come il restauro sono proprio quelli della trasmissione diretta dei saperi, dei rapporti ad personam tra docente e discenti, i punti di forza sui quali gli allievi possono costruire al meglio le proprie esperienze e competenze, individuali e in totale autonomia critica. Così facendo sarebbero inoltre venute meno gran parte delle osservazioni qui poste al centro della riflessione sulle questioni metodologiche. Ancora una volta non si tratta di puntare il dito sui nuovi strumenti della comunicazione quanto piuttosto sui metodi che l’uso ‘totalizzante’ ed indiscriminato delle nuove tecnologie possono negativamente determinare. C’è da dire che, oltre al distanziamento imposto dall’emergenza, pesano le criticità avvertite nel settore disciplinare, emerse ancor prima del lockdown. Infatti, è mutato, o sta rapidamente mutando nella società di questo primo ventennio del XXI secolo, il radicamento ai luoghi da parte delle comunità insediate e con esso la percezione degli indicatori culturali da salvaguardare (già fortemente condizionati dalla globalizzazione). Il periodo post pandemico che in parte stiamo già attraversando mette in
evidenza la fragilità delle relazioni instaurabili con le permanenze del patrimonio culturale e la storia, con l’analisi dei valori e il rapporto ecosistemico con l’ambiente. E, per quanto attiene all’esercizio della didattica nella sua pratica attuazione, da sempre basata sul confronto diretto tra il maestro e l’allievo, è anch’esso mutato. Le esperienze didattiche nel campo del restauro annotate e commentate nelle pagine che seguono fanno dunque riferimento ad un altro modo di procedere, non certo estraneo o disattento rispetto ai cambiamenti, all’utilizzo dell’informatica, alle nuove tecnologie della comunicazione, attingendo ai modi più consolidati intorno ai quali è profondamente incardinato l’esercizio pratico dell’insegnamento e della professione. Tutto ciò può apparire oggi pleonastico, del tutto superfluo da dirsi, ma non è esattamente così perché, a distanza di soli quattro mesi dalla chiusura delle aule universitarie, molte cose sembrano già irreversibilmente mutate e niente appare più essere uguale a prima. C’è anche chi sostiene che le condizioni post pandemiche non siano così transitorie com’è stato detto in principio perché saranno ulteriormente testate ed ampliate le tecniche del webinar se non altro per ragioni gestionali, con le attività svolte in aule virtuali producendo un oggettivo risparmio di costi e di tempi, perciò avranno effetti durevoli. Ho già avuto modo di chiosare in articoli a stampa l’esperienza didattica di queste ultime settimane, specie per quanto riguarda l’e-learning, non soltanto nella conduzione ex cathedra delle lezioni a distanza che, semmai si sono rilevate anche ‘buona cosa’, evidenziano non pochi aspetti positivi, quanto piuttosto nello svolgimento delle attività dei laboratori pur supportate nel pratico svolgimento da piattaforme informatiche di interscambio ma drammaticamente private del rapporto diretto tra corpo docente e studenti. Il continuo evolversi e semplificarsi degli strumenti informatici e di connessioni in rete ha reso particolarmente efficace il ricorso al webinar come efficace mezzo di dialogo tra le parti ma non certamente in grado di sostituire le attività di laboratorio. Al di là dell’uso intelligente dello smart working in molte delle attività legate alla quotidianità, non possiamo non avvertire un profondo disagio quando si deve affrontare lo studio del testo architettonico e del paesaggio, dell’opera d’arte per il rilievo e il restauro. Tutto ciò, al di là dell’emergenza, non potrà per certo assumersi in futuro come linea preferenziale da perseguire per la didattica e per la corretta trasmissione delle conoscenze. Questo fattore incognito che al presente aleggia sopra le aule universitarie acuisce dunque le problematiche che da tempo si avvertono nel campo della conservazione e del restauro. La crescente attitudine a svolgere indagini e rilievi a distanza, anche in totale remote sensing, è ormai prassi comune, ben oltre l’utile e il necessario. L’ulteriore separazione che si preannuncia per il futuro metterà ancor più in discussione il ruolo dell’architetto conservatore, la specificità del suo lavoro persino nell’utilizzo degli strumenti specialistici del rilievo che, semmai dovesse venire meno l’analisi critica de visu sul testo architettonico, segnerebbe l’avvio di una crisi irreversibile. La pandemia, il distacco forzoso al quale siamo stati nolenti o volenti chiamati anche nella didattica rischia dunque di accelerare una tendenza già in atto che si cerca di arginare attraverso la rivalutazione dei processi analitici che coniugano la rappresentazione dei dati storici, l’osservazione e il contatto diretto con la materia da conservare. Del resto anche la progettazione nel restauro architettonico e
nel paesaggio, ovvero condotta alle diverse scale dal manufatto al paesaggio urbano e al territorio, così come sembra intravedersi nella riforma ordinistica attualmente in discussione in sede di CNA che propone la soppressione delle tre figure professionali che attualmente caratterizzano la figura professionale dell’architetto, di pianificatore, di paesaggista e di conservatore, al fine, apparentemente positivo, di tornare a far convergere in un unici ruolo codificato, richiama, in mancanza di specifici curricula formativi, la necessità di un coordinamento più stretto tra l’Università e le Istituzioni laddove la stessa specializzazione si verrebbe a svuotare di contenuti per affidarsi piuttosto a criteri legati all’anzianità di servizio che alle reali competenze acquisite, magari attraverso le scuole e le esperienze universitarie di secondo e terzo livello. Per tutte queste ragioni non ci potremo affidare in futuro alla sola didattica a distanza, optando per l’autoreferenzialità dei saperi decontestualizzati da far valere surrettiziamente come le più solide basi del futuro plateau formativo, con buona pace dell’esegesi della disciplina.
I protocolli d’intesa
Prima di dar conto delle esperienze selezionate nell’ambito delle attività didattiche svolte nell’ultimo quadriennio attraverso alcuni approfondimenti tematici occorre ricordare che sono stati sottoscritti, sotto la responsabilità scientifica di chi scrive, alcuni accordi di collaborazione con soggetti esterni che hanno permesso di avere le giuste occasione operative e di finalizzare su obiettivi concreti le attività didattiche dei laboratori. In questo modo si sono potuti svolgere in modo proficuo i programmi di studio. Il primo Protocollo d’intesa, in ordine cronologico che, in data 30 ottobre 2015, è stato stipulato tra il Dipartimento di Architettura e il Comune di Firenze, Direzione Servizi Tecnici, Servizio Belle Arti e Fabbrica Palazzo Vecchio, rappresentato dall’arch. Giorgio Caselli, Dirigente del Servizio Belle Arti. Questa collaborazione di ricerca si è sviluppata nell’A.A. 2015/2016 con il Laboratorio di Restauro (CdLM in Progettazione dell’Architettura)1 con un’attività di studio e di ricerca didattica integrata avente per oggetto lo ‘Studio per il restauro, la riabilitazione funzionale per la conservazione futura e la valorizzazione del sistema delle mura e delle torri e spazi urbani collegati’. All’interno di questo progetto di ricerca sono state rilevate le mura, le torri e i bastioni del sistema fortificato medioevale dell’Oltrarno e non solo.2 In particolare, sono stati approfonditi i temi riguardanti le seguenti architetture: Torre della Zecca, Torre della Serpe, Torre San Niccolò, Porta San Frediano, Mura di Verzaia e Torrino di Santa Rosa, Porta San Giorgio. A seguito di questi studi sono state prodotte alcune tesi di laurea interessando sia il corso di studio magistrale (nelle due caratterizzazioni: CdL in Architettura, c.u. quinquennale, e CdL in Progettazione dell’Architettura, biennale) sia quello triennale (CdL in Scienze dell’Architettura). L’anno seguente (A.A. 2016/2017), a fronte di analogo accordo, è stato affrontato il
1 Nell’ambito dei corsi di Restauro (prof. G.A. Centauro), di Statica e stabilità delle costruzioni murarie (prof. U. Tonietti) e di Geomatica per la conservazione (prof.sa. L. Fiorini). 2 A questo progetto di ricerca ha collaborato anche il corso di restauro tenuto dal prof. R. Sabelli e il corso di Caratteri Costruttivi dell’Edilizia Storica (A.A. 2015/2016), tenuto da chi scrive.
rilievo per il restauro del Forte di Belvedere, anche in questo caso il responsabile della ricerca per l’Amministrazione comunale è stato l’arch. Giorgio Caselli.3
Queste due esperienze hanno permesso, tra le altre cose, di verificare alcune metodologie di studio, mutuate dal settore archeologico, allo scopo di attuare un rilievo diagnostico integrato ai fini conservativi delle mura, procedendo congiuntamente alla lettura dei materiali e del degrado delle superfici, correlando i dati con le opportune verifiche di maggior dettaglio attraverso il rilievo congiunto, in aree campione rappresentative dei caratteri costruttivi e dei restauri pregressi. Una svolta significativa per la messa a punto delle metodologie di rilievo e di progetto si è prodotta con il Protocollo d’intesa del 6 dicembre 2017, sottoscritto ancora una volta con il Servizio Belle Arti, riguardante lo Studio per il restauro, la riabilitazione funzionale per la conservazione futura e la valorizzazione del complesso di Santa Maria Novella e Monastero Nuovo in Firenze. 4 Questo accordo ha interessato l’attività del laboratorio per l’A.A. 2017/2018. Lo studio degli spazi (Chiostro Grande e Monastero Nuovo) tornati nella disponibilità dell’Amministrazione comunale ha permesso di simulare con le proposte elaborate dagli allievi del laboratorio un utilizzo ai fini museali in relazione con le proposte che gli stessi uffici comunali stavano predisponendo.5 Assegnista di ricerca: dott. arch. Andrea Bacci. Lavorando in sinergia con l’Amministrazione comunale l’esperienza didattica ha assunto il carattere di uno stage formativo avanzato, laddove anche lo svolgimento delle lezioni si è svolto in situ, producendo una ricca e documentata serie di elaborati, presentanti al pubblico a completamento dell’esperienza. Un terzo Accordo di collaborazione è stato realizzato nel biennio 2018/2019 con l’Ufficio Firenze Patrimonio Mondiale e rapporti con UNESCO, responsabile dott. Carlo Francini, in stretta continuità con il Progetto HECO6, avente per oggetto Studio ed analisi architettonica e tipologica degli edifici monumentali dell’Oltrarno, dei materiali, del degrado e del colore delle cortine edilizie per un totale di 1863 facciate, per la conservazione e valorizzazione della scena urbana del sito Firenze- Centro Storico di
3 Con la conduzione del modulo di Geomatica da parte della prof.sa V. Bonora. 4 (Ex art.1) «Nello specifico, i temi di approfondimento nell’ambito del più esteso studio del complesso di Santa Maria Novella, riguarderanno i corpi di fabbrica già facenti parte dell’ex scuola dei Marescialli e dei Brigadieri di Firenze, oggi nella disponibilità dell’amministrazione comunale dopo il trasferimento in altra sede della scuola. In particolare, le aree interessate per gli approfondimenti di rilievo e progetto riguarderanno le seguenti strutture comprensive degli elementi accessori, decorativi e pittorici: Chiostro Grande e spazi limitrofi; Dormitorio del Convento e refettorio; Cappella di Leone X (o dei Papi); Monastero Nuovo (ex Caserma “Mameli”)» Per la conduzione dei moduli di Statica e stabilità delle costruzioni murarie (prof. U. Tonietti) e di Geomatica per la conservazione (prof.sa. L. Fiorini). 5 L’occasione di condurre questi studi è stata propizia per accompagnare anche tirocini formativi e l’attivazione di una ricerca a carattere multidisciplinare, grazie alla collaborazione del restauratore Guido Botticelli che, in passato, aveva lavorato al restauro dei cicli pittorici in Santa Maria Novella, estendendo i rilievi architettonici allo studio dello stato di conservazione delle 52 lunette dipinte che istoriano le pareti claustrali. Il ciclo pittorico del Chiostro Grande di Santa Maria Novella si qualifica di grande interesse non solo per la storia dell’Ordine domenicano quanto per la qualità dei pittori che vi hanno lavorato tra il XVI e il XVIII sec.; non in perfetto stato di conservazione richiede una grande cura e una corretta manutenzione come è emerso dai rilievi eseguiti in seno al laboratorio. 6 Centauro G.A., Francini C. (a cura di) 2017.
Firenze - Patrimonio dell’Umanità’ (acronimo del progetto HECO-2). Assegnista di ricerca: dott. arch. Andrea Bacci; borsista di ricerca: dott. arch. Erica Ventrella. Con l’Arcidiocesi di Firenze sono state sottoscritte nello stesso periodo di quelle testé citate, due distinte convenzioni per lo svolgimento in comune di attività di pubblico interesse mediante accordo di ricerca (ex art. 15 della Legge 241/90) che sono andate ad interessare le attività deI Laboratori di Restauro I e II (CdL LM-4 Ciclo Unico in Architettura), rispettivamente per gli A.A. 2017/2018 e 2018/2019, quest’ultimo concluso nell’agosto 2019. La prima Convenzione, stipulata nel 2017 e conclusasi nel dicembre dell’anno successivo, ha avuto per oggetto Studi propedeutici all’individuazione delle procedure per il progetto di restauro dei seguenti edifici di culto: Santo Spirito e San Giorgio alla Costa, Santa Felicita in Piazza, San Jacopo Sopr’Arno e Santi Apostoli e Biagio. Borsista di ricerca: arch. Francesco Masci. Questi studi sono correlati con le ricerche condotte con il Comune di Firenze e l’Ufficio Firenze Patrimonio Mondiale e rapporti con UNESCO7, queste ultime dedicate a «Studi e rilievi per la conoscenza e la conservazione di fabbriche ed edifici di culto posti nella città di Firenze». Gli studi inerenti i complessi monumentali sono tuttora in corso interessando per l’annualità 2020-2021, il complesso di Santo Spirito, mentre i laboratori monitorati nel presente volume hanno riguardato, in particolare, Santa Felicita e San Giorgio, cit. Gli studi dei caratteri costruttivi e degli elementi architettonici, proseguiti come workshop anche nell’anno 2019-2020, si sono avvalsi anche della co-docenza del prof. Silvio Van Riel per gli aspetti del consolidamento strutturale e della prof. sa Fauzia Farneti per quanto concerne la storia dell’arte e l’incontro con il Barocco a Firenze e, nella fase degli studi preliminari e del rilievo, di altri importanti contributi.8
La seconda Convenzione, stipulata nel 2018, ha visto l’Arcidiocesi di Firenze, già interessata a sostenere con erogazione di propri contributi le attività didattiche e di ricerca finalizzate al rilievo per la conoscenza e studi propedeutici alla conservazione e riabilitazione funzionale di altri complessi ecclesiali
7 Il progetto si colloca nel profilo di ricerca “Valutazione d’Impatto Patrimoniale per il Sito Centro Storico di Firenze, Comune di Firenze, Area di coordinamento amministrativa, referente del Sito UNESCO, Ufficio Firenze Patrimonio Mondiale e rapporti con UNESCO, dott. Carlo Francini. In questo caso l’obiettivo dell’attività dell’Ufficio, insieme all’Heritage City Lab (DIDA), è stato quello di promuovere un modello di valutazione d’impatto sul patrimonio a valere per il sito Patrimonio Mondiale, Centro Storico di Firenze. 8 Infatti, le esperienze didattiche condotte per queste ricerche, seguite come tutor per le esercitazioni dagli arch. Francesco Masci e Andrea Bacci, hanno contato su apporti interdisciplinari esterni che hanno accompagnato tutte le fasi di studio. Per gli studi storici, il supporto di M. Cristina François, già bibliotecaria dell’archivio di Santa Felicita in Piazza, è stato molto incisivo per la ricostruzione degli avvenimenti storici e la trasmissione delle informazioni tratte dal regesto documentale inerente alle vicende storico artistiche relative alle opere conservate (e perdute) nelle chiese di Santa Felicita e di San Giorgio alla Costa in vista di promuovere un percorso museale e una nuova ipotesi di fruizione dei beni culturali entro l’articolato progetto d’interfaccia con la chiesa e il Corridoio Vasariano passante sopra le cappelle Barbadori - Capponi e Canigiani. Per le attività diagnostiche, le lezioni intercorso dell’ing. Maurizio Seracini sono state di grande utilità per approfondire gli aspetti pratici ed applicativi dell’indagini. Per le attività di restauro, il contributo della restauratrice Daniela Valentini che stava operando interventi conservativi nella chiesa di San Giorgio alla Costa, è stato particolarmente utile ai fini didattici, consentendo agli allievi di entrare nel vivo delle attività di cantiere attraverso uno stage dimostrativo delle applicazioni.
ed immobili di proprietà della stessa Arcidiocesi e/o di altri enti ad essa sottoposti, ubicati nel centro storico di Firenze; in particolare, hanno riguardato i seguenti edifici: Seminario Arcivescovile Maggiore di Firenze, Chiesa di San Francesco di Sales nel complesso dell’ex Conventino.9 Borsista di ricerca: dott. arch. Francesco Masci. In questo caso lo studio sui complessi monumentali si è allargato alle problematiche della riqualificazione estese all’intero quartiere di San Frediano, alle piazze del Carmine, dopo la nuova sistemazione di arredo urbano e quella del Cestello, fatta oggetto di un percorso di recupero funzionale e di valorizzazione da parte dell’Amministrazione comunale. Tirando le somme di queste esperienze di ricerca condotte in seno ai laboratori, qui soprattutto riferite all’Oltrarno, si può affermare che lo studio per il restauro dei monumenti, quali che siano le fabbriche interessate, non può essere disgiunto dall’analisi del contesto urbano, comprendente quindi l’intero corpus del costruito storico e, quindi, dal recupero delle ‘buone pratiche’ per la conservazione, prevenzione e manutenzione del patrimonio architettonico esteso, con particolare riferimento alle superfici di facciate e lastrici, laddove l’autenticità e l’integrità di materiali lapidei, apparati decorativi, intonaci e colore qualificano l’originalità e la bellezza della città.
9 Entrambe le convenzioni sono state sottoscritte per il Dipartimento di Architettura, dal Direttore, prof. Saverio Mecca, e per l’Arcidiocesi di Firenze, dall’Arcivescovo S. Em.za Rev.ma Giuseppe Card. Betori.
Giuseppe Alberto Centauro
Università degli Studi di Firenze
La cultura della tutela è un fatto storico ineliminabile che, nell’ordinamento italiano si traduce in una lunga serie di norme, e finalmente nell’art. 9 della Costituzione che a essa dà un posto rilevante tra i principi fondamentali dello Stato. Conservare e non distruggere è dunque, almeno in Italia, anche un tema della legalità. (Settis S. 2014, p. 56)
La scelta di Firenze come area privilegiata di studio per condurre questa raccolta di esperienze sulla didattica del restauro architettonico è dettata dalla storia stessa della città, dallo straordinario compendio ambientale che la contraddistingue fin dalle origini lungo un percorso plurimillenario che ha plasmato la sua identità urbanistica sintetizzata nel Centro Storico, quale sito riconosciuto, fin dal 1982, come Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Intorno a questo centro si agita un dibattito sul modo di intendere e attuare la categoria d’intervento del restauro che si riflette, oltre i confini della città, in una querelle mai sopita sul significato contemporaneo del ‘fare restauro’. Per tale ragione il progetto di ricerca, sviluppato nell’ambito dei laboratori di restauro del Dipartimento di Architettura, intende aprire un confronto a partire dall’esperienza fiorentina a valere per qualsiasi realtà italiana. Con questa finalità sono stati composti i contributi che si presentano in questo volume collettaneo tenendo ben ferma la centralità disciplinare del settore scientifico ICAR/19.
Il restauro architettonico a Firenze tra tutela giuridica1 e interpretazioni giurisprudenziali2
Stralcio dell’Osservazione alla Variante al RU del Comune di Firenze, con testo redatto da chi scrive nel luglio 2018 per conto dell’Unità di Ricerca PPcP del Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze (coord. A. Di Cinto)
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Firenze, centro antico, ambiente urbano
Scorcio prospettico da piazza della SS,ma Annunziata-via de’ Servi alla Cattedrale di Santa Maria del Fiore
1 Il significato di “tutela giuridica” riferito al diritto costituzionale che equipara tutti i manufatti, nessuno escluso, che compongono il patrimonio architettonico e paesaggistico, riguarda sia i beni posti sotto la tutela istituzionale sia quelli riconosciuti e classificati come tali dalle comunità insediate che sono inseriti nello strumento urbanistico. Si tratta di un concetto che riteniamo essere stato oggi “dimenticato” nella redazione delle norme che si vuole introdurre per l’aggiornamento della definizione di limite di intervento da applicare al patrimonio edilizio esistente di interesse storico-architettonico e documentale. 2 Si fa riferimento al quadro giurisprudenziale dettato per il caso Firenze dal combinato effetto di recenti sentenze del Consiglio di Stato prima (giugno 2016) e della Cassazione (febbraio 2017) che ha determinato da parte dell’Amministrazione comunale l’adozione di una «Variante al RU per l’aggiornamento della definizione del limite di intervento da applicare al patrimonio edilizio esistente di interesse storico-architettonico e documentale rispetto all’innovato quadro normativo».
«/…/ Sul tema in questione occorre subito precisare che il Restauro rientra in modo diretto e specifico nel campo della conservazione e quindi della tutela attiva da esercitare nel trattamento dei beni architettonici e paesaggistici. Da questo punto di vista osserviamo che la declinazione urbanistica della conservazione è stata da tempo assunta e consolidata dalla prassi operativa e trova traccia nelle consuetudini applicative riferite alle categorie d’intervento del Restauro (Re) e del Risanamento conservativo (Rc), e non già della categoria Ristrutturazione (Ri) che oggi s’intende pure adattare all’inedito tipo giuridico della “ristrutturazione leggera”, al fine di soddisfare una procedura gestionale degli interventi più flessibile nel caleidoscopico insieme delle possibili attribuzioni ammissibili per la valorizzazione del patrimonio esistente. Al riguardo si esprimono tre distinte considerazioni: 1.Come prima considerazione si mette in evidenza il fatto che le risoluzioni paventate dall’Amministrazione per gestire ‘il percorso di rigenerazione urbana’ sembrano avere trascurato le caratterizzazioni intrinseche della ‘disciplina restauro’, a cominciare da quelle inerenti al dibattito storico sui destini dei centri storici e sulla corretta applicazione della “conservazione integrata” sottoscritta dal
Consiglio d’Europa fin dal 1975, ovvero ancor prima che si tracciasse il Testo Unico 490/1999 per le leggi generali della tutela architettonica e del paesaggio, concetti poi ribaditi nei principi per la conservazione ed il restauro del patrimonio del costruito storico sottoscritti dalla Comunità Europea (Carta di Cracovia, 2000). Più in generale possiamo sostenere, senza tema di smentita, che il restauro e la scienza della conservazione esulano ormai da tempo dalle ristrette definizioni che si sono affermate in ambito urbanistico, fin dalla L. 457 del 1978 che confinava la definizione di “restauro e risanamento conservativo” in una mera configurazione di ammissibilità/ non ammissibilità degli interventi sulla scorta di una sfera limitata di interventi di tipo quantitativo piuttosto che qualitativo, all’opposto di quanto promulgato costituzionalmente per la conservazione legata piuttosto alla tutela del patrimonio storico e artistico. Resta tuttavia il merito della legge di allora, assai apprezzabile a quel tempo, di aver posto l’attenzione sul “riuso” al fine di promuovere il recupero edilizio piuttosto che il consumo non sempre contenibile del territorio. In questo senso la storia odierna sembra riproporre medesime problematiche in un indirizzo non tanto di riduzione del degrado ambientale (alla base della L. 457), bensì sulla scorta della valorizzazione da rendita di posizione e di messa in valore degli ‘attributi culturali’ che attengono non a tutto il costruito esistente ma, specificatamente, ai beni architettonici e del paesaggio caratterizzanti contesti urbani di antica formazione (centri storici, aree di pregio ecc.), appetibili proprio per gli attributi ad essi riconosciuti. In questa ottica era posto l’intervento di recupero/riuso del costruito esistente (un tempo riservato esteso al “patrimonio edilizio esistente”) e diversamente declinato per tipi di intervento, più o meno ammissibili in base alle valenze storico documentarie di appartenenza purché accertate e registrate in appositi elenchi di edifici e/o distinte in classificazioni di merito. Oggi, riferendosi al patrimonio edilizio di interesse storicoarchitettonico e documentale, la condizione della recuperabilità si pone esplicitamente in un’altra