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Il restauro, gli architetti, il progetto conservativo e la valorizzazione

Il restauro, gli architetti, il progetto conservativo e la valorizzazione

Un rapporto molto stretto è quello che storicamente lega gli architetti al progetto di restauro architettonico, un legame che, almeno fino agli Anni ‘90 del secolo scorso, era ritenuto indissolubile e indiscutibile. Lo stabiliva, in particolare per i beni aventi un pregio storico-artistico, oltre all’ordinamento professionale (fin dal lontano R.D. 2537 del 1925, ex art. 52)1, un orientamento culturale di ancor più lunga data e la storia stessa della disciplina riconoscendo all’architetto, in virtù delle precipue competenze, un ruolo primario nella stessa conduzione del cantiere del restauro, ancorché condiviso per la parte tecnica con l’ingegnere. Nel campo della conservazione si è trattato di assumere una responsabilità, un prestigio non di poco conto che ha contrassegnato e distinto la figura professionale dell’architetto come progettista restauratore. Questa speciale prerogativa ha attratto per vari lustri tanti giovani laureandi e specializzandi sia nell’intraprendere una carriera istituzionale presso le amministrazioni pubbliche e le soprintendenze sia nella libera professione. Le attività formative in grado di alimentare questa specificità professionale sono state anche per un certo tempo il fiore all’occhiello della scuola italiana di architettura, fortemente caratterizzata nel campo del restauro da un largo spettro di conoscenze (dalle scienze umanistiche a quelle tecnologiche), in virtù del fatto che tale ‘riconosciuto requisito’ doveva essere acquisito attraverso una specifica preparazione, nonché sostenuto da precise esperienze che garantivano l’imprimatur professionale per chi operava con responsabilità diretta nel settore. Per di più, oltre agli insegnamenti universitari, i lasciti del mestiere diffuso, dei saperi della tradizione costruttiva e della bottega artigiana, specie nell’applicazione della “Regola dell’Arte” sono da sempre appartenuti a più generazioni di architetti che hanno personificato il mestiere del restauro, quasi identificandolo. Decine e decine di pagine sono state scritte su questo profilo tematico, anche recentemente nuovi contributi e saggi di autori sia del settore del restauro ma anche di altre discipline hanno arricchito il dibattito e si sono ampiamente occupati dell’argomento concernente, come è stato detto, “il ruolo (e la crisi) dell’architetto nella realtà contemporanea”. In particolare, sulle questioni teoriche che attengono oggi alla disciplina, dalla formazione universitaria alla sfera delle attività professionali, sono fioriti numerosi dibattiti in ambito nazionale. Al di là quindi della vasta serie di articoli, saggi e di résumer giornalistici, nonché alla ampia bibliografia prodotta (per la quale si rimanda al repertorio ordinato in calce al presente volume), in considerazione anche della complessità degli approfondimenti tematici, la Società Italiana per il Restauro dell’Architettura (acronimo SIRA)2 ha dedicato un’intera sezione

1 Capo IV, Art. 52: «Formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative. Tuttavia, le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L.20 giugno 1909, n. 364, per l’antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere». 2 La SIRA – Società Italiana per il Restauro dell’Architettura – è una società scientifica, nata nel 2015, finalizzata alla diffusione

di studi nell’ambito del suo primo convegno, organizzato a Roma nel 2016, alla “Ricerca nel Restauro”, mettendo in primo piano proprio il rapporto instaurato nel tempo tra gli architetti e la disciplina. Quest’importante assise nazionale ha fornito, inoltre, l’occasione di raccogliere in un inedito confronto i punti di vista di docenti esperti, studiosi e giovani ricercatori che operano per il “Restauro architettonico” nelle Università della Repubblica Italiana.3

La formazione

Alla base della formazione un posto preminente lo ha storicamente svolto la conoscenza dei materiali da costruzione, delle alchimie di malte e intonaci e, più in generale, delle tecniche costruttive tradizionali. Un bagaglio di saperi veicolato negli atenei da quegli insegnamenti che hanno caratterizzato fino a non molti anni addietro i vari corsi di Caratteri costruttivi dell’edilizia storica che si basavano innanzitutto sull’esplorazione capillare, il contatto diretto e il meticoloso rilievo del testo architettonico preesistente, antico o moderno che fosse, attraverso lo studio degli elementi costruttivi e dei materiali, del loro impiego storico, delle caratteristiche meccaniche, combinato con la conoscenza dei caratteri stilistici, delle specificità dei manufatti e delle lavorazioni degli elementi finiti e degli apparati decorativi, nonché delle modalità e procedure della messa in opera e dell’organizzazione del cantiere. Su questo solido impianto metodologico la moderna scienza della conservazione ha poi allargato le competenze di base del restauratore mettendo al centro degli studi da assolvere preliminarmente al progetto l’analisi preventiva introducendo tra le materie di studio la diagnostica architettonica al fine di valutare analiticamente le diverse patologie e le fenomenologie del degrado. Nondimeno, al centro della moderna cultura del restauro, sono state poste le ricerche sulle tecniche artistiche e compositive antiche per meglio comprendere la misura degli interventi da rispettare nelle puliture, nel consolidamento di intonaci e colori, nella messa in pristino dei materiali storici recuperati come pure, nel campo strutturale, nel valutare i limiti prestazionali degli organismi architettonici indagati e nel saper distinguere in modo differenziale la stabilità delle murature tradizionali e i cinematismi; in ultimo, delle opere in calcestruzzo armato per la manutenzione e il “restauro del moderno” al fine di operare al meglio rafforzamenti e consolidamenti murari, risarciture di elementi decoesi, disgregati e corrosi. In una parola questi ulteriori studi e questi modi innovativi di approcciare il percorso della conoscenza sull’esistente, meritevole di conservazione o comunque per operare interventi di recupero,

e all’approfondimento della cultura della conservazione e del restauro in Italia e nel mondo, con particolare riferimento ai beni architettonici e del paesaggio. Essa promuove pertanto lo studio e la valorizzazione del patrimonio in ambito scientifico, accademico, civile ed educativo. Si compone di professori e ricercatori universitari inquadrati nel settore scientifico disciplinare del Restauro (ICAR 19) ed è aperta a studiosi e operatori italiani e stranieri a cui venga riconosciuto un ruolo significativo nel campo del restauro e della tutela dei beni culturali e paesaggistici (cfr. http://sira-restauroarchitettonico.it/). 3 Al riguardo si veda: Fiorani D. (coord.) 2017, RICerca REStauro, (11 fascc.), in Atti del I° Convegno Nazionale SIRA Restauro, Conoscenza, Progetto, Cantiere e Gestione (Roma, 26/27 set. 2016), Ed. Quasar, Roma. In particolare, cfr. la Sezione 1A “Questioni teoriche: inquadramento generale” (a cura di S. F. Musso). Ivi, Musso S.F. 2017, Per una riflessione sugli aspetti teorici del Restauro, pp. 96-103.

sarebbero andati sempre più a marcare la differenza del progetto di restauro dal progetto architettonico tout court. Tutto ciò nel tempo ha rappresentato – come possiamo ben comprendere - una grande opportunità di crescita e di conoscenza allargando vieppiù il campo delle esperienze da perseguire anche nell’ambito della didattica di primo e secondo livello (specie per la progettazione del restauro architettonico) fino a estendersi opportunamente al contesto urbano, ai centri storici, al territorio, al paesaggio in ambiti che rappresentano altrettanti aspetti culturali da tutelare, dando vita al variare di scala, dall’architettonica a quella territoriale, ad ulteriori estensioni disciplinari del restauro. Lo dimostrano gli insegnamenti correlati al Restauro Urbano e alle Tecniche del restauro urbano legati alle tematiche della “conservazione integrata”4 . Il motore degli studi di restauro fissava dunque un percorso di ricerca sempre più ampio che dal testo architettonico, affidandosi al rilievo diretto supportato dall’approccio storiografico, andava ad esplorare sempre da più vicino la materia costitutiva dell’architettura per essere in grado di non tradirla in qualsivoglia tipo di intervento, di prevenzione e di manutenzione, di riabilitazione e di messa in pristino dell’esistente operando a qualsiasi scala per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale5 .

La normazione

Il restauro moderno, sempre più vocato al servizio della salvaguardia del patrimonio culturale, congiuntamente delle opere d’arte e dell’architettura, più recentemente del paesaggio, si è andato pian piano plasmando intorno alle tematiche proprie della conservazione che hanno finito per inglobarlo, se non ad identificarlo. Tuttavia, aver legato la disciplina del restauro così strettamente alla scienza della conservazione ha evidenziato alcune contraddizioni, già palesate nelle prassi operative correnti, alimentate dal cosiddetto regime della ‘doppia verità’, da una parte la teoria che fissa criteri e principi generali dall’altra la pratica che deve fare i conti con le dinamiche del mercato e le riconversioni d’uso (Rocchi G. 1987, p. 152). E per quanto l’aspetto conservativo rimanesse l’incipit del progetto l’attività di restauro, specie nel settore edile, ha concesso ampi spazi di manovra derogando caso per caso (e non solo) dai concetti teorici. Si è così aperta una frattura tra la disciplina e la regolamentazione degli interventi in campo urbanistico: da una parte si restaura per conservare dall’altra si restaura per riabilitare, o più genericamente, per rifunzionalizzare o consentire il riuso del bene: «Attualmente le definizioni teoriche del restauro si rifanno a differenti dottrine, alcune ispirate ai corretti principi della conservazione, altre invece propense ad estraniare il restauro dalla cultura storica, allo scopo di «utilizzarlo» come mezzo

4 Cfr. Consiglio D’Europa, Carta del Patrimonio Europeo, Amsterdam 1975. 5 Sul tema della conservazione, declinata nella sue varie applicazioni rispetto al restauro, si veda: European Association for Architectural Education (EAAE), Conservation Network: (Genova 2007, Workshop I - Teaching Conservation/Restoration of the Architectural Heritage; Dublino 2009, Workshop II - Conservation/ Transformation; Bucarest 2011, Workshop III - Conservation/ Regeneration; Roma, Castelvecchio Calvisio 2013, Workshop IV - Conservation/ Reconstruction; Liegi, 2015, Workshop V - Conservation/ Adaptation; La Coruña 2017, Workshop VI - Conservation/Consumption; Praga 2019, - Workshop VII Conservation/ Demolition.

di trasformazione del costruito. … Risulta a tutti evidente la contraddizione che esiste tra teoria e prassi» (Casiello S. 1990, p. 10). Tant’è vero che la querelle se includere o meno nella categoria del restauro il cambio di destinazione negli immobili soggetti alle categorie del Risanamento conservativo (Rc) e al Restauro (Re) è oggi all’ordine del giorno6. La questione, infatti, è passata ad essere oggetto di un’ardua disputa giurisprudenziale nata in relazione alla prassi diffusa di concepire il restauro alla stregua della ‘ristrutturazione leggera’, caratterizzata da modesto impatto finalizzato al recupero edilizio, all’efficientamento, all’adeguamento strutturale, ecc. Così facendo si sono generate situazioni assai disomogenee anche da un punto di vista normativo, creando nell’ambito della conservazione un doppio regime di valutazione tra i beni architettonici sottoposti a vincolo di tutela e l’edilizia storica subordinata alla categoria del Restauro anche in mancanza di una riconosciuta classificazione di merito. Questa discrasia si è ulteriormente amplificata alla luce delle disposizioni acquisite di tutela preventiva a prescindere dalla dichiarazione di interesse culturale, ad es. rispetto alle condizioni di rischio sismico che interessano larghe parti del territorio nazionale. Non è un caso che la stessa Carta del Restauro del 19727 sia stata ampiamente emendata dopo il terremoto in Umbria del 1997 fino ad ammettere l’inclusione del ‘miglioramento strutturale’ tra le prerogative proprie dell’intervento di restauro per i beni vincolati. La messa in sicurezza delle strutture assume quindi una nuova e diversa centralità rispetto alle attività del restauro architettonico come ben indicato nella normativa antisismica in quanto azione preventiva di salvaguardia8. Il miglioramento strutturale è già norma vigente come recita al punto 4, il dispositivo dell’art. 29 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs 42/2004), anche noto come “Codice Urbani”, che definisce puntualmente cosa si debba intendere per restauro all’interno della categoria della conservazione9 . Da annotare altresì come nella definizione di bene culturale introdotta dal Codice del 2004 sia ampiamente sottintesa la sua natura di ‘bene economico’, evidenziata nell’ambito della tutela dal binomio

6 Si rimanda il lettore a quanto ho già avuto modo di osservare, vedasi nel Preambolo. 7 Indicata come Carta Italiana del Restauro, pur non avendo mai avuto una cogenza normativa, anche perché riconosciuta come Circolare essa ha costituito a lungo, ad uso dell’Amministrazione dello Stato, una sorta di regolamentazione generale nel settore della tutela del patrimonio, segnatamente delle opere d’arte, contenente anche le istruzioni per la salvaguardia e il restauro delle antichità (all. a).; per la condotta dei restauri architettonici (all. b.); per l’esecuzione dei restauri pittorici e scultorei (all. c.) e per la tutela dei centri storici (all. d). 8 Cfr., ultra, il contributo di S. Van Riel. 9 «Art. 29 - Conservazione 1. La conservazione del patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro. 2. Per prevenzione si intende il complesso delle attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto. 3. Per manutenzione si intende il complesso delle attività e degli interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento dell’integrità, dell’efficienza funzionale e dell’identità del bene e delle sue parti. 4. Per restauro si intende l’intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali. Nel caso di beni immobili situati nelle zone dichiarate a rischio sismico in base alla normativa vigente, il restauro comprende l’intervento di miglioramento strutturale».

‘conservazione e valorizzazione’.10 Con queste prerogative, in un mercato sempre più dominato dagli strumenti della finanza, è concreto il rischio che il restauro architettonico in quanto espressione di investimenti pubblici, ancorché mosso da ragioni di salvaguardia, venga ad essere inteso come strumento attuativo del riuso funzionale in una logica di mera ingegneria economica dettata dalle esigenze di mercato correlate al recupero edilizio. In tal caso sarà principalmente il business plan a dettare le condizioni da rispettare nel progetto imprenditoriale.

Le competenze

La necessità di allargare ad ambiti disciplinari sempre più estesi ed eterogenei il concetto peculiare del restauro ha fatto sì che nel tempo la figura dell’architetto da figura onnisciente, garante della tutela, assumesse piuttosto il ruolo istituzionale di progettista coordinatore, responsabile del procedimento. Si tratta di una funzione che resta centrale e strategica ma che in realtà è caratterizzata da compiti esecutivi ‘a maglia larga’, sempre più dipendenti da contributi afferenti a distinte specializzazioni tecnicoscientifiche costruite nell’alveo delle aree tecnologiche, matematiche e ingegneristiche (strutturisti, impiantisti, diagnosti, rilevatori, informatici applicati, ecc.), da ruoli storico-competenti provenienti dalle aree umanistiche (della storia dell’arte, della topografia antica e dell’archeologia), o che interessano il ‘fare restauro’ quali la museologia e la critica d’arte, come del resto vale per altri settori scientifico-disciplinari applicati al territorio e ai materiali da costruzione, naturali e artificiali (dalle geoscienze, alla chimica ed altre)11. E non c’è dubbio alcuno che il restauro moderno si eserciti sempre più in un ambito pluridisciplinare. Ma se la multidisciplinarietà è di per se stessa una conquista importante nel campo della conservazione e del restauro, non sempre a questa nuova condizione corrisponde una reale condivisione sul campo delle giuste competenze che accompagnano l’esercizio complesso del restaurare. In ogni caso, resta ancora come principale prerogativa dell’architetto quella della redazione del progetto architettonico, della conoscenza della storia del manufatto e del territorio e, specificatamente, del rilievo degli apparati costruttivi e del progetto diagnostico12 .

10 «Art. 6 - Valorizzazione del patrimonio culturale 1. La valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale. In riferimento al paesaggio, la valorizzazione comprende altresì la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, ovvero la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati. 2. La valorizzazione è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze. 3. La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale». 11 Per quanto riguarda l’attuale formazione universitaria la distinzione in settori scientifico-disciplinari costituisce l’ossatura dell’organizzazione dell’istruzione superiore dalla quale discende anche la competenza tecnico professionale. Il Miur ha provveduto più volte in questo ultimo ventennio a rideterminare ed aggiornare tali suddivisioni apportando una progressiva razionalizzazione alle specificità formative di ciascun raggruppamento. Il restauro architettonico nei settori vigenti, stabili con D.M. 855/2015, è inserito nell’Area 08 (Ingegneria Civile e Architettura), Macrosettore 08/E 8 (disegno, restauro e storia dell’architettura), SSD ICAR 19. 12 Cfr., ultra, il contributo di I. Centauro.

Si conferma perciò il postulato disciplinare che stabilisce come le competenze acquisite nel curriculum degli studi siano quelle che ‘contano’ e non altre, pure necessarie, autonomamente acquisite sul campo a fare la differenza nella formazione e nell’esercizio professionale dell’architetto conservatore. L’architetto deputato al restauro architettonico dovrebbe dunque essere in primis la figura professionale di riferimento per la rappresentazione del rilievo, sia nel loro stato originario che in quello evoluto o modificato nel corso del tempo a causa di varianti, restauri pregressi o successive manipolazioni. Tuttavia, una competenza decisiva che si trova nel curriculum di restauro degli architetti è certamente quella assolta nel campo della conservazione attraverso la conoscenza e un’acquisita familiarità con gli strumenti della ricerca, in particolare dell’analisi archeometrica e della diagnostica architettonica.

È necessario, è fondamentale privilegiare il momento dell’analisi e del progetto rispetto al successivo momento dell’intervento, sostituire la programmazione all’intervento estemporaneo, ai tempi capestro fissati, talora per legge, sulla base di finalità del tutto estranee alle esigenze del riuso13 .

Tralasciando per il momento l’archeometria, come fase di approfondimento analitico di tutto ciò che è antico, interessa sottolineare la rilevanza del progetto diagnostico per la conservazione. Per molteplici ragioni una diagnostica così declinata è parte integrante del progetto di restauro, inteso nella sua forma di terapia d’intervento, anche se le indagini sul campo sono affidate ai tecnici specialisti della scienza: chimici, fisici, geologi, ingegneri informatici; d’altronde anche gli interventi di restauro sugli apparati decorativi, pittorici e scultorei, sono nella pratica precisati e condotti dalle figure tecniche dei restauratori abilitati coordinati dai funzionari istituzionali conservatori e storici dell’arte e non potrebbe essere altrimenti nell’attuale ordinamento giuridico amministrativo. Ed è proprio in questa ‘forzosa’ separazione di carriere e di progressiva specializzazione ed aggiornamento formativo che si rileva come la preparazione dell’architetto, nonostante si professi il contrario, stia perdendo la centralità di un tempo a vantaggio di un ‘spicciolamento tecnicistico’ che nella prassi corrente viene a privilegiare ad altri ambiti formativi, settorializzati in campi disciplinari che non rientrano più negli ordinamenti didattici dell’Architettura. Eppure, proprio i progressi della scienza della conservazione e la necessità di produrre letture sempre più complesse delle trasformazioni in atto, che includono anche il monitoraggio strutturale e ambientale, il restauro archeologico e del territorio, inteso come sommatoria o persistenza di segni antropici, sono tra le condizioni riconosciute del buon operare nel restauro architettonico e del paesaggio che sarebbe opportuno rivalutare tra le competenze dell’architetto. L’eccessiva separazione dei profili di specializzazione per il restauro ha determinato in qualche modo la parcellizzazione e la smaterializzazione della competenza dell’architetto a cominciare proprio dagli insegnamenti che si praticano nelle aule universitarie. E così alcune conoscenze che facevano parte fino a non molto tempo fa del bagaglio professionale degli architetti, ritenute non più caratterizzanti, sono state relegate

13 Cfr. Dezzi Bardeschi M. 1981a, Conclusioni, in “Riuso e riqualificazione” (a cura di C. Di Biase), p. 448.

ad un ruolo marginale se non addirittura obliterate e semmai demandate ai vari indirizzi di studio proposti dai singoli atenei. Basti pensare al ‘declassamento’ dei corsi opzionali, tuttavia primari per il curriculum del restauratore, quali il Restauro delle superfici decorate dei monumenti, il Restauro urbano, oltre al già citato Restauro archeologico, ecc. che si vuole essere compensati dall’inclusione di queste tematiche nelle attività di sintesi che si conducono assai speditamente nei laboratori didattici di prima e seconda fascia. L’importanza dei laboratori di restauro nei processi formativi dell’architetto non può tuttavia sostituirsi alle singole tematiche di approfondimento che sostenevano le carriere curriculari del settore. In un tal genere di trasformazione anche la figura dell’architetto restauratore finirà presto per essere poco più che nominale. Nella prassi le sue competenze finiranno per collocarsi progressivamente fuori dal vivo dei cantieri. Per tali ragioni le esperienze formative per il restauro promosse nei laboratori dovrebbero necessariamente muoversi in maniera decisamente più strutturata in un ambito multidisciplinare su casi studio reali in collaborazione con enti pubblici e privati.

Le criticità

Per certi versi ancor più complesso è il rapporto instaurato nella prassi dall’architetto per quanto concorre alla messa in sicurezza e al restauro strutturale, in particolare quello post-sismico, che oggi lo vede inevitabilmente soccombente nei confronti dell’ingegnere, a meno che si puntasse anche nella preparazione universitaria a creare ad hoc una nuova figura tecnica, ben preparata e pienamente consapevole dell’importanza del proprio ruolo. Inoltre, l’area del confronto con gli storici dell’arte e i conservatori istituzionali non è sempre sgombra da problematiche legate alla necessità di accordare ‘fra pari’ punti di vista diversi. Alla resa dei fatti tutto ciò risulta essere penalizzante proprio nei confronti della figura dell’architetto quasi che fosse messa in discussione la sua capacità di introspezione storico critica rispetto al manufatto da trattare. Le criticità che si lamentano riguardano dunque il bagaglio tecnico di conoscenze acquisite in un duplice aspetto quello storiografico e quello ingegneristico, sottovalutando in tal modo la molteplicità delle competenze dell’architetto quale figura in grado di coniugare perfettamente entrambi gli aspetti nel rispetto che si deve al costruito storico in quanto documento della cultura materiale da salvaguardare. In sintesi - come è stato detto - molte cose sono cambiate in questi ultimi anni, in primis in seno alla legislazione per la tutela (cfr. D.Lgs n. 42/2004 e successive i.i.m.) e alla stessa giurisprudenza di riferimento, contribuendo a modificare il tradizionale approccio nei confronti del restauro architettonico, mettendo in luce nuovi elementi di criticità in merito al significato stesso della disciplina del restauro. Com’è stato già sottolineato, tutto ciò può dipendere dal fatto che è venuta in parte meno l’organicità del percorso formativo di base degli architetti nei confronti del restauro trascurando alcune specificità che hanno assunto una precipua rilevanza istituzionale e una più ampia visibilità sociale. Si è in tal modo generata una falla alla quale si è solo parzialmente posto rimedio provvedendo a compensare in ambiti didattici specialistici, nel cosiddetto ‘terzo livello’, certe lacune formative. In questo senso

sopperiscono a colmare tali carenze le scuole post-laurea di specializzazione specialmente dedicate alla conservazione dei beni architettonici e del paesaggio. Da almeno un decennio, il rischio maggiore è però soprattutto legato alla marginalità che sta contraddistinguendo l’attività del progettista ‘non specializzato’ proprio nell’ambito della conservazione, e quindi del restauro inteso nella sua più canonica accezione. Esiste in questo senso un evidente gap da colmare per riallineare le pur riconosciute abilità dell’architetto al quadro specialistico della conservazione. All’afflato umanistico, già prerogativa della scuola italiana del restauro, hanno sopperito gli storici dell’arte, mentre la querelle che riguarda le competenze tecniche tra ingegneri e architetti resta ancora una questione sostanzialmente non risolta, interessando ormai, oltre alla diagnostica e le scienze della conservazione, anche le innovative tecnologie del rilievo strumentale, il trattamento digitale dei dati, ecc. aprendo un potenziale conflitto tra i modi della rappresentazione tradizionale e le nuove applicazioni proprie della più ‘ingegneristica’ Geomatica per la conservazione, ecc. Si evidenziano, in modo particolare, le differenze tecniche che distinguono l’approccio degli strutturisti, degli impiantisti o degli scienziati dalla più compassata conduzione del restauro degli architetti conservatori, ormai indistinti nei ruoli con i compositivi, i territorialisti e i paesaggisti che interagiscono nel restauro delle città e del territorio. Nella prassi corrente il restauro degli architetti sembra non essere più così coincidente con l’esegesi disciplinare del settore, indicato nel SSD ICAR 19/ Restauro14 . Così facendo anche gli insegnamenti dei maestri del passato non sembrano più connotarsi come punti di riferimento in quella salutare dialettica tra vecchio e nuovo che ha fatto la storia della disciplina, piuttosto essere ritenuti controcorrente rispetto a certo odierno fin troppo disinvolto modo di agire.

Preservare piuttosto che ringiovanire, riparare piuttosto che correggere, armonizzare piuttosto che ricostruire accettando le sottili imperfezioni e le effimere, talvolta labili, differenze materiche contenute in ciascuna opera piuttosto che omologare e consolidare secondo standard prestabiliti o rigidi parametri, distinguere la casualità degli eventi storici e la precarietà di certi interventi pregressi dai complessi ed ineluttabili mutamenti storici fortificati nella materia del trascorrere dei secoli.15 (Fig. 1.1)

La multidisciplinarietà

Dopo avere assistito nel corso di questi ultimi anni ad una progressiva separazione delle carriere nel campo della conservazione, sulla questione delle competenze, emersa ancor più fragorosamente dopo l’esclusione degli architetti dalle Commissioni Tecnico Scientifiche del MiBAC, il 2 luglio 2019, è

14 «Area 08- Ingegneria civile e Architettura – SSD ICAR 19 - Restauro: I contenuti scientifico-disciplinari comprendono i fondamenti teorici della tutela dei valori culturali del costruito, visti anche nella loro evoluzione temporale; le ricerche per la comprensione delle opere nella loro consistenza figurale, materiale, costruttiva e nella loro complessità cronologica, nonché per la diagnosi dei fenomeni di degrado, ai fini di decisioni sulle azioni di tutela; i metodi ed i processi per l’intervento conservativo a scala di edificio, monumento, resto archeologico, parco o giardino storico, centro storico, territorio e per il risanamento, la riqualificazione tecnologica, il consolidamento, la ristrutturazione degli edifici storici». 15 Frase di Leonetto Tintori in Centauro G.A. 2001, p. 128.

•Fig. 1.1 Ritratto di Leonetto Tintori (Prato, 1908 - 2000)

(Archivio privato, Prato)

•Fig. 1.2 Ritratti di padri del restauro moderno

(dall’alto, da sinistra a destra, al basso): Giuseppe Valadier (Roma, 1762 -1839); Eugène ViolettLe-Duc (Parigi, 1814 – Losanna, 1879); John Ruskin (Londra, 1819 – Brantwood, 1900); William Morris (Walthamstow, 1834 – Hammersmith, 1896); Guido Carocci (Firenze, 1851 – 1916); Camillo Boito (Roma, 1836 – Milano, 1914); Alois Riegl (Linz, 1858 – Vienna, 1905); George Gilbert Scott (Gawcott, 1811 – Londra, 1878); Ambrogio Annoni (Milano, 1882 – 1954); Luigi Cavenaghi (Caravaggio, 1844 – Milano, 1918); Max Dvorák (Roudnice nad Labem, 1874 – Hrušovarry nad Jevišovkou, 1921); Luca Beltrami (Milano, 1834 – Roma, 1933); Gustavo Giovannoni (Roma, 1873 – 1947); Renato Bonelli (Orvieto, 1911 – 2004); Cesare Brandi (Siena, 1906 – Vignano, 1988); Piero Sanpaolesi (Rimini, 1904 – Firenze, 1980); Piero Gazzola (Piacenza, 1908 – Verona, 1979); Roberto Pane (Taranto, 1897 – Napoli, 1987); Roberto Di Stefano (Napoli, 1926 – 2005); Umberto Baldini (Pitigliano, 1921 – Massa, 2006) intervenuto anche il Direttivo SIRA16 invitando l’allora Ministro dei Beni Culturali a rivalutare il ruolo svolto dagli architetti proprio perché il «Patrimonio architettonico è una parte cospicua e rilevante della missione di tutela, conservazione e restauro». Fin dagli Anni ‘90 del secolo scorso, la nascente scienza della conservazione e la necessità di allargare in aree disciplinari specialistiche le competenze tecnico scientifiche hanno trasformato profondamente la cultura stessa del restauro e le modalità degli interventi, laddove le esperienze del settore non erano più afferenti all’Architettura, quale ars edificatoria, o all’Arte, espressione delle tecniche artistiche e matrice di cultura, ma neppure al rigore metodologico dettato dai “padri della disciplina” ai quali storicamente riferirsi. (Fig. 1.2)

Restauro come processo critico e restauro come atto creativo sono dunque legati da un rapporto dialettico, in cui il primo definisce le condizioni che l’altro deve adottare come proprie intime premesse e dove l’azione critica realizza la comprensione architettonica, che l’azione creatrice è chiamata a proseguire ed integrare. (Bonelli R. 1963)

Venute meno alcune certezze e modificati i piani di studio nelle scuole di architettura il rapporto tra gli architetti e il progetto conservativo nel restauro è mutato. Inoltre, nel restauro è invalsa una sorta di dialettica ‘generica’ che va a considerare il perimetro della disciplina come un ‘campo aperto’, un terreno che viene contemporaneamente arato da molteplici settori scientifici disciplinari, regolato da contributi spesso scissi da un percorso realmente condiviso. L’architetto conservatore (alias progettista restauratore) deve, in primis, saper gestire i compiti specialistici, essere in grado di acquisire, modellizzare, interpretare, elaborare, archiviare, trattare e divulgare informazioni georeferenziate, inserite in un sistema territoriale di riferimento. Per capire in quali paludosi terreni si viene ad operare si consideri che sempre più frequentemente del progetto di restauro si occupano non tanto gli architetti conservatori quanto altri specialisti, laddove i compositivi sono più spesso più interessati alla grammatica formale e al design che alla salvaguardia del documento. Quindi i fattori positivi di potenziale inclusione di competenze diverse, utili alla crescita qualitativa del progetto, si possono trasformare in strumenti di segno opposto che, a ben guardare, rischiano di scardinare i principi stessi della disciplina. In un quadro così delineato resta complicato trarre insegnamenti positivi al 100% dai progressi scientifici della scienza e della tecnologia al fine di fondare una nuova dialettica intorno al restauro se non

16 La SIRA, cit. (cfr nota 2), svolge oltre ad un incisivo ruolo culturale, anche un riconosciuto ed apprezzato compito istituzionale a salvaguardia della disciplina e, soprattutto, del fondamentale apporto degli architetti nella materia.

rivedendo gli orizzonti formativi dell’architetto e promovendo ad hoc un curriculum di studi dedicato al restauro, al di là delle specializzazioni tecniche, al fine di incrementare le esperienze didattiche di base e le occasioni di approfondimento perché, nel progetto di riqualificazione e recupero dell’esistente, il restauro torni ad essere la spina dorsale del processo critico che sta alla base dell’intervento a salvaguardia dei valori culturali stessi.

L’isolamento disciplinare

I laboratori didattici per il restauro sono oggi fucine teoriche di studi lasciati fuori dalla possibilità di interagire con l’esterno, con il mondo professionale. Nel corso della formazione si potrebbero altresì sviluppare esperienze concrete, ma purtroppo nella realtà non è proprio così, dipendendo quasi esclusivamente dalla possibilità dei singoli docenti di trovare giuste occasioni di confronto, magari stringendo accordi di collaborazione con enti ed istituzioni esterne in modo da sopperire alle croniche limitazioni sofferte dalla sola didattica in aula. Inoltre il contrarsi esasperato delle ore dedicate, in termini di CFU, alla disciplina sta caratterizzando in modo alquanto discutibile tutti i corsi di studio, sia triennali che magistrali. Come se non bastasse altro luogo comune da sfatare, che viene ripetuto con fin troppa enfasi, è quello che ha posto al centro della questione della formazione la figura dell’architetto tout court e non già quella della disciplina, generando le condizioni per un pericoloso isolamento disciplinare promuovendo una dannosa autoreferenza nelle attività del settore. Del resto, il restauro reclama da sempre un maggior spazio formativo che possa consentire di sviluppare adeguatamente la molteplicità degli argomenti da trattare. Tornando invece al tema iniziale è pur sempre l’architetto con le competenze acquisite, forte di una preparazione insieme umanistica e tecnologica, a dovere curare la progettazione per il restauro. Questo speciale riconoscimento ribadito a livello europeo (v. Direttiva 85/384/CEE del Consiglio del 10 giugno 1985) nasce in virtù dei titoli di studio in Architettura che includono nella formazione magistrale, propedeutica alla professione, unitamente alle specifiche conoscenze tecniche, anche la capacità di risolvere in modo appropriato le problematiche della conservazione e del mantenimento funzionale del patrimonio costruito. Su tali prerogative, in estrema sintesi, si fonda il restauro contemporaneo e, in particolare, per l’Italia, ogni altro tipo di intervento, a qualsiasi livello venga svolto, che riguardi i beni storico artistici e ambientali negli ambiti architettonici e paesaggistici (ex D.lgs. 42/2004 e s.m.i.). D’altronde, lo stesso Codice dei beni culturali e del paesaggio, all’art. 29, pone la conservazione come matrice dell’intervento, includendo in essa la prevenzione, la manutenzione e, in ultimo, il restauro quale non più esplicito indicatore disciplinare per la tutela e principale motore del progetto. Facendo un paragone con altre professioni, il Dottore Magistrale in Architettura che si laurea negli atenei europei, prima ancora di specializzarsi in una determinata branca, è equiparabile, da un punto di

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