36
esperienze di conservazione e restauro • giuseppe alberto centauro
Il restauro, gli architetti, il progetto conservativo e la valorizzazione Un rapporto molto stretto è quello che storicamente lega gli architetti al progetto di restauro architettonico, un legame che, almeno fino agli Anni ‘90 del secolo scorso, era ritenuto indissolubile e indiscutibile. Lo stabiliva, in particolare per i beni aventi un pregio storico-artistico, oltre all’ordinamento professionale (fin dal lontano R.D. 2537 del 1925, ex art. 52)1, un orientamento culturale di ancor più lunga data e la storia stessa della disciplina riconoscendo all’architetto, in virtù delle precipue competenze, un ruolo primario nella stessa conduzione del cantiere del restauro, ancorché condiviso per la parte tecnica con l’ingegnere. Nel campo della conservazione si è trattato di assumere una responsabilità, un prestigio non di poco conto che ha contrassegnato e distinto la figura professionale dell’architetto come progettista restauratore. Questa speciale prerogativa ha attratto per vari lustri tanti giovani laureandi e specializzandi sia nell’intraprendere una carriera istituzionale presso le amministrazioni pubbliche e le soprintendenze sia nella libera professione. Le attività formative in grado di alimentare questa specificità professionale sono state anche per un certo tempo il fiore all’occhiello della scuola italiana di architettura, fortemente caratterizzata nel campo del restauro da un largo spettro di conoscenze (dalle scienze umanistiche a quelle tecnologiche), in virtù del fatto che tale ‘riconosciuto requisito’ doveva essere acquisito attraverso una specifica preparazione, nonché sostenuto da precise esperienze che garantivano l’imprimatur professionale per chi operava con responsabilità diretta nel settore. Per di più, oltre agli insegnamenti universitari, i lasciti del mestiere diffuso, dei saperi della tradizione costruttiva e della bottega artigiana, specie nell’applicazione della “Regola dell’Arte” sono da sempre appartenuti a più generazioni di architetti che hanno personificato il mestiere del restauro, quasi identificandolo. Decine e decine di pagine sono state scritte su questo profilo tematico, anche recentemente nuovi contributi e saggi di autori sia del settore del restauro ma anche di altre discipline hanno arricchito il dibattito e si sono ampiamente occupati dell’argomento concernente, come è stato detto, “il ruolo (e la crisi) dell’architetto nella realtà contemporanea”. In particolare, sulle questioni teoriche che attengono oggi alla disciplina, dalla formazione universitaria alla sfera delle attività professionali, sono fioriti numerosi dibattiti in ambito nazionale. Al di là quindi della vasta serie di articoli, saggi e di résumer giornalistici, nonché alla ampia bibliografia prodotta (per la quale si rimanda al repertorio ordinato in calce al presente volume), in considerazione anche della complessità degli approfondimenti tematici, la Società Italiana per il Restauro dell’Architettura (acronimo SIRA)2 ha dedicato un’intera sezione 1 Capo IV, Art. 52: «Formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative. Tuttavia, le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L.20 giugno 1909, n. 364, per l’antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere». 2 La SIRA – Società Italiana per il Restauro dell’Architettura – è una società scientifica, nata nel 2015, finalizzata alla diffusione