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Breve profilo storico evolutivo
La distribuzione termica accertabile sulle superfici, registrata dall’esame TMV nei minimi scarti termici, attentamente mappata può restituire la presenza di umidità nelle pareti, di ponti termici di dispersione, ecc. consentendo una disamina precisa dei fenomeni ben oltre l’evidenza osservabile ad occhio. Per gli esami degli strati profondi della muratura l’indagine preliminare di supporto può invece essere affidata agli esami endoscopici37 che tuttavia comportano un approccio in parte invasivo dovendo praticare dei fori d’entrata sul manufatto da indagare. Queste metodologie di studio possono essere applicate utilmente anche per finalità di studio preventivo laddove si siano espletate tutte le operazioni di rilievo architettonico a carattere generale e di dettaglio.
Breve profilo storico evolutivo
In ogni caso prima di affrontare un qualsivoglia discorso introduttivo si dovrà per l’appunto premettere come il restauro architettonico (olim dei monumenti) nel corso della sua plurisecolare storia abbia assunto nei confronti delle opere del passato posizioni assai diverse, dialettiche e aperte al confronto con la società del momento. Ed anche al presente è così, proprio in conseguenza di ciò che la disciplina ha plasmato, modificando, talvolta in modo radicale, il proprio dettato metodologico tanto che il restauro può considerarsi come uno strumento dinamico in costante evoluzione. L’azione di tutela che sta dietro all’azione istituzionale del restauro conservativo dovrebbe in realtà corrispondere con il diritto-dovere delle comunità insediate, depositarie del patrimonio storico artistico e del paesaggio, di salvaguardare i propri beni culturali. Si tratta, come recita l’art. 9 della Costituzione della Repubblica, di un diritto sancito che pone la tutela a valle dell’obiettivo di promuovere lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tuttavia, nella prassi corrente ciò che osserviamo non sembra coincidere con quella dichiarazione di intenti a salvaguardia delle risorse della collettività. D’altronde sotto il profilo etico tutto ciò che occorrerebbe fare per assolvere a tale compito resta difficilmente codificabile in modo univoco. Parallelamente anche le definizioni date al restauro nelle molteplici declinazioni postulate sono andate via via aggiornandosi, fornendo all’osservatore, al comune cittadino come allo studente di architettura un quadro di riferimento piuttosto complesso. Per la disciplina si evidenzia dunque una narrazione assai articolata che investe in modo diretto la ‘politica tecnica’ sul piano culturale e sul piano operativo il mondo della scienza, così come sul piano letterario quello della critica d’arte, dell’estetica, del pensiero filosofico, e con esso il fare arte e architettura. Il restauro come una qualsiasi altra espressione della cultura necessita dunque di svilupparsi e di accrescersi in seno alla società per poter esercitare coerentemente l’azione di tutela costituzionale verso il paesaggio e il patrimonio storico artistico.
37 L’endoscopica è una tecnica di ispezione visiva particolarmente adatta nella diagnostica edilizia, nella conservazione e nel restauro di facile uso, accessibile a tutti gli operatori tecnici, anche non specializzati.
In modo del tutto analogo, le categorie del restauro registrano sommovimenti inarrestabili, così come del resto è avvenuto in passato, occupando campi di applicazione sempre più estesi, soprattutto in seno all’arte contemporanea e all’architettura moderna, fino a comprendere il territorio, naturale ed antropico, in quanto compendio di segni e testimonianze, ora distintamente valutabili come monumenti o testimonianze meritevoli di essere conservate. Oggi sembra aderire a questa concezione olistica del patrimonio culturale e del paesaggio la categoria del ‘paesaggio culturale’, rappresentato da quelle aree dove l’opera combinata dalla natura e dall’uomo assume per i gruppi sociali un precipuo valore culturale (Cultural Heritage).38 Per le descrizioni e le molteplici implicazioni legate a questi complessi aspetti dottrinali e di ricerca da condursi sul piano epistemologico e filosofico si rimanda il lettore a miei recenti contributi (v. in Bibliografia).39
In estrema sintesi si può comunque asserire che il restauro continua ad attraversare un lungo e laborioso processo diacronico di adattamento nei confronti di una società in trasformazione, ma anche di crescita. La materia del restauro è andata dunque configurandosi per cause derivanti sia da fattori estrinsechi che intrinsechi alla stessa disciplina. Tra le esperienze di restauro da trasmettere nella didattica frontale non può per questo mancare un breve compendio storico della disciplina. Tralasciando l’operare più antico che appartiene oramai alla storia dell’architettura più che alla conservazione tout court così come modernamente la intendiamo, come fattori estrinsechi vi hanno concorso in primis le vicende sociali, politiche e culturali, connesse con i burrascosi avvenimenti dell’Ottocento, e, più ancora, del secolo scorso che hanno inciso profondamente sulle ragioni stesse del restaurare. Si può asserire che in origine il restauro moderno non esista al di fuori di una matrice prevalentemente ‘ideologica’. Nell’Europa della prima metà del XIX sec. registriamo un incipit del restauro conflittuale fra opposte visioni. In principio, la stagione della Restaurazione dell’ancien régime, dopo le devastazioni giacobine di monumenti e testimonianze fisiche di un passato da cancellare, ha spinto per reazione a ricostruire puntigliosamente i simboli perduti, i caratteri identitari (leggi ‘stilistici’) dell’architettura, persino reinventandoli; di contro, la visione romantica di un rinascente classicismo, prorompente in quegli anni sull’onda della riscoperta delle vestigia greche e romane, prendeva le distanze in maniera vibrata da tale concezione, opponendo un no deciso al rifacimento stilistico e al restaurare in genere per privilegiare il mantenimento dello status quo, fosse pure rappresentato da un rudere, a garanzia della ‘bellezza intrinseca’ dell’autenticità. Ed ancora, sulla spinta della riconquistata idealità emotiva per il mondo dell’antichità, mentre la rivoluzione industriale (e borghese) induceva epocali cambiamenti nelle tecnologie costruttive e nell’impiego dei nuovi materiali della produzione, si rivalutava in ristretti circoli
38 UNESCO 2005, Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention, UNESCO World Heritage Centre. Paris, p. 83 39 Cfr. Progetto HECO 2017, op. cit.; Centauro G.A. 2012.
intellettuali un più marcato ritorno alla natura contro ogni tipo di artificio. Corsi e ricorsi della storia! Più di ogni altra cosa però ha pesato, specie nella seconda metà del secolo, la vertiginosa crescita demografica e l’inusitata espansione delle città maggiori fuori da confini storici, procurando un impatto ambientale violento e ‘brutalizzante’ sul patrimonio architettonico. Come effetto dirompente di questo inarrestabile inurbamento si avranno con qualche decennio di scarto gli effetti della cancellazione dei segni territoriali intorno alle metropoli in formazione che hanno reso analfabete verso la storia intere generazioni. L’esigenza di tutelare i monumenti dalle incombenti distruzioni e alterazioni, cercando al tempo stesso un punto di equilibrio fra le opposte tendenze che caratterizzavano in tutta Europa la nascente ‘cultura del restauro’, dalla scuola francese capeggiata da quel grande trascinatore e promotore del rifacimento stilistico che fu Eugéne E. Viollet-Le-Duc, alla scuola inglese di un William Morris40 e, più in generale, dell’Anti-restoration Movement ispirato dal pensiero di John Ruskin, determinarono nel nostro paese, riconosciuta culla dei monumenti dell’antichità classica e medievale, le condizioni per l’enunciazione di alcuni nuovi concetti che di lì a poco avrebbero segnato la via italiana al restauro dei monumenti, indirizzando la disciplina verso un diverso ordine, quello del ‘restauro filologico’; in grado di garantire la salvaguardia dei monumenti e una loro equilibrata lettura. Nella visione di Camillo Boito si preconizzava anche la necessità di catalogare preventivamente l’enorme vastità del patrimonio e si raccomandava, nell’ottica della documentazione postuma, di registrare e dar conto di ogni azione intrapresa sul monumento.41
A valle di questi inizi, l’incipiente modernizzazione e il massiccio inurbamento iniziato alla fine del XIX sec. e proseguito senza soluzione di continuità nel ventennio successivo, troveranno nelle “movimentate” temperie culturali della prima metà del Novecento, attraversato da guerre e ricostruzioni, un approdo alquanto eterogeneo riscontrabile nelle esperienze individuali dei principali artefici del periodo, delineando, nazione per nazione, una babele di situazioni variamente caratterizzate da logiche e interessi contrapposti, dal nazionalismo al socialismo, che trovarono nel restauro un potente ‘amplificatore sociale’ a livello architettonico ed urbano. Il forte valore semantico e pienamente chiarificatore del sentimento popolare verso il monumento fu portato alla ribalta internazionale dal crollo improvviso, il 14 luglio del 1902, del campanile di San Marco (Figg. 1.11 a/b). Il Sindaco della Serenissima, Antonio Grimaldi, attonito come tutta la comunità, per far risorgere quanto era stato improvvisamente tolto ai veneziani coniò l’ormai famosa ed ardimentosa formula del “dov’era com’era”. Ci sarebbero voluti oltre 10 anni per rigenerare nella forma e nella materia quel colosso di 100 metri di altezza che aveva resisto a terremoti, incendi, fulmini e mille altri accadimenti ma che si era sbriciolato
40 Con riferimento, in particolare, alla fondazione e rapida diffusione del movimento artistico Arts and Craft per la riforma delle arti applicate nato in opposizione all’industrializzazione (omissis). 41 La citazione riguarda la stesura del documento elaborato, principalmente da Camillo Boito, a conclusione del IV Congresso Nazionale degli Ingegneri e Architetti, svoltosi a Roma, nel 1883, che segnò anche i principi della cosiddetta ‘via italiana’ al restauro dei monumenti.
•Fig. 1.11a
Venezia, Piazza S. Marco, sezione e pianta del campanile prima del crollo (dis. A. Quadri 1831)
Fig. 11b
Il campanile dopo il crollo del 14 luglio 1902
senza che niente potesse apparentemente spiegare quella sciagura, ma che la gente proprio per questo voleva ritrovare più solido di prima. Da allora quel particolare connubio di intenti, pubblici e privati, che aveva messo tutti d’accordo, al fuori di ogni canone disciplinare, quando ancora si dibatteva fra autentico e falso, fra integrità e rifacimento, sarà l’eccezione che conferma la regola aprendo i cuori alla speranza come uno spot di luce sul restauro. Altre volte imitato in casi eccezionali quasi fosse un genere estremo per un’impresa tutta umana in grado di far rinascere quando era andato per sempre distrutto, il “dov’era com’era” fa ormai parte della storia del restauro. In Italia, per misurare la portata del cambiamento in atto, di fondamentale rilevanza fu tra gli altri l’apporto di Gustavo Giovannoni che in un ventennio pieno di contraddizioni ebbe la forza e la lucidità di porre le basi teoriche di quello che in seguito si chiamerà ‘restauro scientifico’, partendo da una più consona e aggiornata definizione di monumento.
Qualunque costruzione del passato anche modesta, che abbia valore d’arte o di storica testimonianza, ivi considerando le condizioni esterne costituenti l’ambiente, per giungere talvolta all’intero complesso monumentale costituito da una via, una piazza, un quartiere, chè proprio in questo estendersi e democratizzarsi del concetto di monumento ed in questo suo comprendere le condizioni ambientali, sta il nuovo atteggiamento del senso di rispetto, di conservazione, di difesa, e quindi di valorizzazione e restauro (Giovannoni G. 1912).
Di certo si può affermare che, in parallelo a queste vicende, i cardini propositivi della disciplina sono stati dettati dal mutare del pensiero critico intorno ai valori attribuiti alle vestigia del passato e alla storia rappresentata dai monumenti dell’antichità e, quindi, dall’enunciazione dei principi ordinatori che furono teorizzati – come detto nel primo paragrafo - dai cosiddetti ‘padri fondatori’ del restauro. Ragion per cui, a ben guardare la storia del restauro la possiamo leggere soprattutto impressa nelle pietre doviziosamente curate, negli interventi di riordino o ripristino succedutisi in quegli anni, nei decori artistici e nei modelli dei monumenti protagonisti degli interventi. Questi restauri del passato svolgono un ruolo testimoniale fondamentale e in virtù di questo devono essere attentamente studiati e anch’essi fatti oggetto di una speciale salvaguardia.
Nelle esperienze dei laboratori didattici l’attenzione verso i restauri del passato è dunque una costante nei programmi di studio, tutti gli anni arricchita da nuovi casi. Non c’è dubbio, ad es. che tutto il ‘mare magnum’ di enunciazioni confluite nei restauri eseguiti nel passato, tracciano in modo indelebile anche il percorso storico critico della disciplina. Si tratta di un percorso cronologico che ognuno può ripercorrere sui monumenti restaurati e, in parallelo, scorrendo il dettato dei contributi dottrinali elaborati sul piano teorico, attraverso le “Carte del Restauro e dell’Urbanistica” che ancora oggi sono da considerare strumenti indispensabili per ricomporre la storia della disciplina non soltanto ai fini formativi, rappresentando al tempo stesso altrettanti pilastri della teoria e insostituibili punti di riferimento, compiutamente da analizzare (Figg. 1.12, 1.13).42
Queste esperienze, differite nel tempo, sono state in ultimo recepite, pur con qualche traslazione temporale, dalle disposizioni normative, ingabbiando in regole i modi e i criteri da osservare nella predisposizione e redazione del progetto e, soprattutto, nella conduzione dei lavori nei cantieri.43
Non sempre però questa saldatura tra l’impalcato normativo e le raccomandazioni dettate dalle convenzioni internazionali trovano un reale riscontro determinando talvolta una scollatura istituzionale a discapito della salvaguardia del patrimonio culturale nelle sue varie ed articolate sfumature. Resta dunque di fondamentale importanza condurre studi e ricerche sul campo per radicare esperienze di tutela attiva, rivolta non più rivolta ai singoli beni ma alla totalità del patrimonio in relazione all’inscindibile rapporto con il contesto ambientale. Un tal genere di esperienze è quasi esclusivamente producibile nell’ambito delle sperimentazioni progettuali che possono sostenersi negli atenei solo attraverso le attività dei laboratori didattici. Nel percorso formativo questi insegnamenti rappresentano i cosiddetti prolegomeni della disciplina, da porre alla base di ogni attività di conservazione e valorizzazione prima ancora che di restauro. Questo variegato percorso di affinamento che si è principalmente intensificato nell’età moderna post industriale non è tuttavia concluso e molto resta da esplorare com’è naturale che sia in ogni processo evolutivo. Restano, infatti, ancora aperti molti cassetti nel campo della conservazione e niente può darsi veramente per scontato nell’approccio conoscitivo che ci attende nel futuro, nella gestione e nel monitoraggio degli interventi, laddove per il progettista restauratore resterà sempre e comunque il cantiere il vero campo di ricerca, la principale palestra dalla quale attingere conoscenza e consapevolezza delle proprie azioni.
42 Per tutto il secolo scorso questi documenti hanno accompagnato la graduale elaborazione di principi e prescrizioni, in parte approdati ad una codifica ad uso di guida agli interventi, trovando corrispondenza nel quadro normativo per la tutela dei monumenti e delle bellezze naturali, oggi dei beni architettonici e del paesaggio. 43 Si rimanda alla lettura delle principali Carte (omissis), cfr. Fig. 1.13
Uno sguardo alle nuove tendenze
In un tale contesto il rapido accrescimento tecnologico degli ultimi 50 anni ha determinato un nuovo tipo di modello di sviluppo e di controllo nelle attività di restauro, caratterizzandolo definitivamente come settore disciplinare afferente all’ambito tecnico scientifico. Sulla scorta di questa pur ‘generalissima’ osservazione dovremo indicare il restauro architettonico come lo specchio di una società scientifica in movimento, la naturale interfaccia tra la scienza applicata alla conservazione, la critica d’arte e le dinamiche di una cultura camaleontica che cambia espressione e connotati. D’altronde la valenza creativa insita nell’opera d’arte come testimonianza materiale e prodotto non riproducibile dell’ingegno umano è un qualcosa che resterà al centro dell’azione conservativa. La conservazione fisica della materia resta comunque il presupposto principale che nessuna ulteriore rivoluzione tecnologica potrà scalfire o mutuare nella trasmissione di questi valori ai posteri. La preservazione della materia originale non potrà essere surrogata dall’immagine, riprodotta ad altissima definizione o ricostruita in modo virtuale, neppure la ‘realtà aumentata’ potrà sostituire le ragioni del restauro conservativo, a meno che non si intenda fare a meno dell’originale documento materiale. I nuovi strumenti della comunicazione digitale e della divulgazione hanno piuttosto una valenza divulgativa che proietta il restauro in una dimensione estranea al suo stesso essere sostituita da eterei processi didascalici. Il baricentro dell’interesse per i beni culturali sembra tuttavia spostarsi sulla loro rappresentazione piuttosto che sulla loro conservazione fisica, ad uso e consumo di una domanda che tende a ‘deoggettivare’ il manufatto, assecondando le tendenze di un marketing turistico frettoloso da facilitare ad ogni costo. A dimostrazione di quanto sia pressante questa richiesta si stanno generando anche nuovi indirizzi per la salvaguardia e gestione del patrimonio.44
A tale proposito occorre ribadire che la conservazione non può certamente farsi al di fuori del mantenimento fisico del manufatto, artistico, architettonico e archeologico che sia, e neppure si può definire come restauro, quanto piuttosto come riproduzione la riproposizione digitale di un’opera scomparsa, quand’anche ci si basi su una ricca documentazione pregressa. Tutt’al più si può servirsi di tale escamotage per riproporre il contesto ambientale di una preesistenza perduta, come si fa in archeologia per mantenere viva la fruibilità di un sito ambientalmente compromesso, al fine di proteggere l’aura culturale di ciò che era e che sopravvive nei reperti ancorché ‘decontestualizzati’ rispetto al territorio di appartenenza. Di fronte a situazioni estreme, anche in un recente passato, partendo da condizioni del tutto eccezionali si è giustificato e autorizzato a procedere alla ricostruzione non virtuale di ciò che un evento traumatico ed improvviso poteva aver tolto alla collettività. Esiste però – come abbiamo visto – una
44 Nel 50° Anniversario della ‘Carta di Venezia’, ICOMOS (International Council on Monuments and Sites) ha prodotto in assemblea generale la Dichiarazione di Firenze, Heritage and Landscape as Human Values (2014), dove al punto 8, si dichiara che «Le politiche di salvaguardia, tutela e gestione del patrimonio culturale delle destinazioni turistiche, richiedono la definizione di un set olistico di piani integrati, politiche, regolamenti e pratiche (che abbracciano e superano la pianificazione della conservazione)».
1931 – Carta di Atene Si compone di 10 punti che, più che stabilire dei veri e propri principi, detta delle raccomandazioni, rivolte ai governi degli stati, così riassunte: 1) curare il patrimonio; 2) uniformare le legislazioni così da non far prevalere l’interesse privato su quello pubblico; 3) ampliare lo studio dell’arte così da insegnare nelle popolazioni l’amore e il rispetto per il proprio patrimonio architettonico. 1932 – Carta Italiana del Restauro In essa si affermano principi analoghi a quelli della “Carta di Atene”, ma in più la posizione espressa in quegli anni da Gustavo Giovannoni, definita come “restauro scientifico”. Il Giovannoni fu il primo che suggerì che in ogni intervento bisogna sfruttare tutte le più moderne tecnologie per poter giungere a interventi scientifici di restauro. La Carta del 1932 fu emanata dal Consiglio Superiore per le Antichità, presso il Ministero della Pubblica Istruzione. 1964 – Carta di Venezia La Carta si compone di 16 articoli e riassume in maniera mirabile i principi che possono essere considerati immutabili della metodologia del restauro architettonico. Questa carta sottolinea soprattutto l’importanza dell’aspetto storico di un edificio, e introduce per la prima volta il concetto di conservazione anche dell’ambiente urbano che circonda gli edifici monumentali. A questa Carta diedero un fondamentale contributo personale Roberto Pane e Piero Gazzola. 1972 – Carta Italiana del Restauro Nei 12 articoli della Carta, in cui si riconosce la mano di Cesare Brandi, sono definiti gli oggetti interessati dalle azioni di salvaguardia e restauro: tali azioni si estendono dalle singole opere d’arte, ai complessi di edifici d’interesse monumentale, storico e/o ambientale, ai centri storici, alle collezioni artistiche, agli arredamenti, ai giardini, ai parchi e ai resti antichi scoperti in ricerche terrestri e subacquee. Le indicazioni fornite dalla Carta costituiscono una sorta di normativa generale per la conservazione e il restauro delle opere d’arte. 1975 – Carta di Amsterdam Emanata dal Consiglio d’Europa, la Carta sancisce che la conservazione del patrimonio architettonico deve essere uno dei principali obiettivi della pianificazione urbana e dell’assetto territoriale in un’ottica di “conservazione integrata” che impegna la responsabilità degli enti locali ed esige la partecipazione dei cittadini e un adeguamento delle misure legislative e amministrative. La “conservazione integrata” è il risultato dell’uso congiunto della tecnica del restauro e della ricerca delle funzioni appropriate. 1987 – Carta di Washington La Carta è redatta dal Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti (ICOMOS), completando il dettato della Carta di Venezia del 1964. Si riconosce come tutte le città del mondo, risultanti sia da uno sviluppo più o meno spontaneo sia da un determinato progetto, sono le espressioni materiali della diversità delle società attraverso la storia e sono, per questo, tutte storiche. La carta si prefigura dunque come “Carta internazionale per la salvaguardia delle città storiche”. Questa deve far parte integrante di una politica coerente di sviluppo… 2000 – Carta di Cracovia Promulgata dalla Comunità Europea come Carta del Restauro, dal titolo “Principi per la conservazione ed il restauro del patrimonio costruito”. In essa si dichiara esplicitamente che il concetto di “patrimonio” sostituisce quello di “monumento” architettonico. Per questo la Carta si pone l’obiettivo di sensibilizzare alla conservazione e manutenzione l’intero territorio, comprese le aree paesaggistiche non costruite, in quanto è l’intero territorio a custodire elementi molto importanti della storia e della cultura umana.
sostanziale differenza nell’originaria formulazione del “dov’era e com’era” che oggi si vorrebbe talvolta generalizzare e impropriamente riproporre ad uso e consumo dell’industria turistica a comporre una sorta di outlet della cultura. Nell’azione restaurativa la speciale attenzione, anche per parti perdute o profondamente disgregate, era stata originariamente associata all’aspetto artistico del manufatto e alla preservazione dell’idea creativa originaria (o presunta tale), prodotta dal suo artefice, come un ‘respiro’ della società che l’aveva generato. Nel gusto contemporaneo la scrostatura di un affresco, la lacuna pittorica, seguendo particolari accorgimenti sono oggetto di trattamenti di restauro d’integrazione, quindi non più nel senso del mero
•Fig. 1.12
Copertina della prima pubblicazione della Carta di Atene, 1943
•Fig. 1.13
Ideogramma delle principali Carte del Restauro e dell’Urbanistica (1931-2000) con breve descrizione
rifacimento di completamento, giustificato con il fine di non perderne l’unitarietà e, al tempo stesso, di restituire all’opera una compiuta leggibilità senza necessariamente ricadere nei modi del ‘falso artistico’ di una volta. Tuttavia, il confine può essere assai labile e la tecnica impiegata non sempre coerente coi principi dichiarati. Allo stesso modo anche la mancanza di parti architettoniche, specialmente negli apparati plastico decorativi da ripristinare può considerarsi alla stregua di quella artistica, senza per questo dover incorrere nel ‘falso storico’. Diviene fondamentale per orientare gli interventi nel modo corretto saper far corrispondere alle scelte tecniche un’attenta analisi del manufatto sul quale dovere mettere le mani, distinguendo oculatamente fra manifattura tradizionale e manifattura moderna, tra pietra naturale e pietra artificiale, tra effetto pittorico e restituzione pittoresca.
Alcune note sul restauro strutturale
Nel campo del restauro delle strutture l’attenzione che si deve porre al bene architettonico non può essere disgiunta dall’esigenza di mettere in sicurezza la fabbrica, il manufatto oggetto di cura e quindi, al contrario di quanto può valere in campo artistico, l’azione conservativa non può limitarsi alla sola pulitura, o produrre un’azione timida, di scarsa consistenza ancorché apprezzabile come risoluzione percepita specie laddove l’intervento non si possa limitare alle sole superfici o solo marginalmente agli apparati murari. E, di certo, non si tratta certo di una novità nel campo della riabilitazione strutturale perché da decenni si parla del restauro di consolidamento, già preconizzato dal Giovannoni, come una delle cinque categorie del restauro.45
Il restauro architettonico, laddove occorra, è dunque rivolto al mantenimento in efficienza degli apparati strutturali e funzionali al fine di riportare l’edificio in condizioni di efficienza. Per gli edifici di più vecchia datazione, trattandosi anche di ‘beni storici’ sopportando il peso degli anni, quindi ‘invecchiati’ più o meno bene, ma il più delle volte risultanti obsoleti, le ragioni che muovono gli interventi di consolidamento albergano soprattutto nel controllo della stabilità delle murature tradizionali attraverso l’attenta verifica della rispondenza ai requisiti di solidità (o tenuta) della ‘scatola strutturale dell’edificio’ e nella verifica dell’efficienza da far corrispondere alle esigenze funzionali, o prestazionali richieste dalla destinazione d’uso. L’elevata vulnerabilità del costruito storico, come hanno messo in evidenza gli eventi tellurici che accomunano gran parte delle regioni italiane, ha posto più recentemente l’attenzione sull’importanza
45 Gustavo Giovannoni, cit. nell’ambito del “restauro scientifico” include le seguenti categorie: 1) il consolidamento (da compiere tramite le risorse della tecnica moderna); 2) la ricomposizione (l’anastilosi in campo archeologico con eventuali integrazioni distinguibili); 3) la liberazione (eliminazione di ‘masse amorfe’ che danneggiano la preesistenza); 4) il completamento (prevedendo aggiunte, seppure limitate, ed escludendo rifacimenti e inserzioni attuali); 5) l’innovazione (rendendo lecita anche l’aggiunta di parti nuova concezione ed il rinnovamento di quelle esistenti). Per una più ampia retrospettiva dell’attività del Giovannoni, si vedano gli Atti del “Convegno Internazionale, Gustavo Giovannoni e l’architetto integrale” (Accademia Nazionale di San Luca, Roma 25 - 27/ novembre 2015) in Bonaccorso G., Moschini F. (a cura di), 2019, “Quaderni degli Atti”, 2015-2016, Accademia Nazionale di San Luca, Roma.