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Lineamenti disciplinari

della prevenzione e della messa in sicurezza in funzione antisismica degli edifici, quindi al di là del loro valore storico artistico e architettonico. Per un approfondimento sulla complessa tematica del restauro strutturale si rimanda, più in generale, al capitolo curato dal prof. Silvio Van Riel.

Lineamenti disciplinari

Non si ripercorreranno anche in questo caso le tappe di questa ‘storica mutazione’, oggetto di un’ampia e separata saggistica che da tempo fa parte del bagaglio culturale e formativo di ogni storico dell’arte e di ogni architetto, anche se - come abbiamo denunciato - è andato via via riducendosi lo spazio dedicato dalla didattica alla teoria e alla storia del restauro, e più specificatamente allo studio dei restauri del passato. Nelle proposizioni fondamentali della dottrina resta comunque interessante riconsiderare il significato stesso dato, nel succedersi delle dinamiche storico-evolutive, alla parola ‘monumento’ che identificava da sola, ab origine, l’oggetto dell’azione restaurativa, quasi fosse quella un’attribuzione terminologica invariante, sennonché anche a quella stessa terminologia sono stati abbinati nel tempo significati diversi, in una più ampia visione. Al di là quindi del significato etimologico stretto che attiene al ricordo (dal lat. monumentum), l’espressione ‘monumento’, che in principio definisce l’opera d’arte, ha finito per coincidere più in generale con il profilo dottrinale della disciplina, sintetizzato per l’appunto nella locuzione “restauro dei monumenti” quale principale ‘etichetta’ d’identificazione dell’intervento. Tant’è vero che la locuzione è stata mutuata per estensione dall’opera d’arte all’architettura (o anche alla scultura in genere) ma pur sempre considerandone il particolare pregio artistico e storico. A tale riguardo è calzante la definizione di Cesare Brandi:

Il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte nella sua consistenza fisica e nella duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futura46 .

Inoltre, c’è da dire che il restauro dei monumenti, subordinato al pensiero della critica d’arte e, conseguentemente, al significato stesso dato a quella locuzione, ha anch’esso modificato la sua originaria definizione, acquisendo infine dopo i lavori della Commissione Franceschini che operò fino al 1967, l’attribuzione di ‘bene culturale’, assumendo cioè il più ampio significato di documento, di testimonianza, estendendosi di fatto a molti altri soggetti: nelle arti figurative, ai cicli pittorici e decorativi parietali, nei complessi ambientali, ai giardini, alle sistemazioni urbanistiche, ed oggi ai paesaggi culturali. Si tratta in ogni caso di un’accezione nuova che nell’interlocuzione corrente ha sostituito quella vecchia. Essendo poi i beni culturali declinati per legge in beni storico-artistici, architettonici, archeologici e del paesaggio, ecc. ne è derivata un’ulteriore precisazione che nel settore urbanistico attiene

46 Il restauro, come “schema preconcettuale” dell’intervento “volto a rimettere in efficienza un prodotto dell’attività umana” è stato posto dall’autore come incipit alla monografia da lui dedicata alla “Teoria del Restauro”; la frase riportata nel testo è quindi da considerarsi come un approfondimento critico (Brandi C. 1963, p. 6)

potenzialmente a tutto il costruito storico esistente, anch’esso da intendersi dunque come ‘bene architettonico’ seppur non vincolato da norme sovraordinate di tutela. Non dimentichi della genesi (non sembri questa una ‘questione di lana caprina’), ancor oggi non comprendiamo bene se è la teoria del restauro ad aver subito i maggiori cambiamenti nel tempo o se è il significato aggiornato di ‘monumento’ ad avere indotto un diverso approccio disciplinare verso le testimonianze del passato, e con esso anche l’impalcato metodologico dell’azione sottesa mirata alla conservazione. Si può dunque comprendere come entrambi gli orientamenti abbiano influito determinando anche alterne opzioni nel modo dell’operare di ciascun restauro, laddove la risorsa culturale rappresenta la componente viva e pulsante del tessuto patrimoniale che appartiene alla collettività, quindi da valutare nell’ambito sociale ed economico che questo rappresenta, in altre parole da salvaguardare e valorizzare nei suoi molteplici aspetti, non più solo filologici o materici propri dell’opera d’arte così come imporrebbe l’ortodossia originaria della disciplina, bensì estesi ai centri storici e al paesaggio, come parte integrante del patrimonio culturale da salvaguardare. In considerazione dei molteplici significati universalmente riconosciuti connessi alla definizione di quest’ultimo (Cultural Heritage) e nell’oggettiva necessità di fissare una terminologia unificata a livello internazionale, facendo seguito all’evoluzione disciplinare del restauro sancita, fin dal 1964, con la “Carta di Venezia” e nel 1975 con la “Carta di Amsterdam”, fu promulgata dalla Comunità europea nel 2000 una nuova carta del restauro, nota come la Carta di Cracovia, che sotto il titolo di “Principi per la conservazione ed il restauro del patrimonio costruito” definiva i concetti fondamentali da porre alla base di ogni qualsivoglia progetto conservativo. Dopo quest’ultima dichiarazione si menziona, di specifico interesse per le forti implicazioni sociali e i cambiamenti indotti nell’approccio ai beni culturali e la partecipazione attiva delle comunità locali e dei territori, la “Convenzione di Faro” (Consiglio d’Europa 2005).47

Non meno significativa l’azione di promozione mossa da ICOM (International Council of Museum) per l’aggiornamento della definizione di museo assegnandogli un riconoscimento formale nell’individuare i musei come strumento di “rappresentazione della diversità culturali”, che ritroviamo nella “Raccomandazione dell’Unesco del 2015” e soprattutto nella “Carta di Siena 2.0” (rielaborata nel 2016 nel corso del Convegno di Cagliari dell’ICOM), dedicate ai Musei e ai Paesaggi culturali. (Fig. 1.14) Specialmente nella “Carta di Siena” si ravvisa un nuovo modello e sistema di tutela per il patrimonio culturale in attesa di una riforma che – come si legge nella raccomandazione finale:

47 La Convenzione quadro sul valore del patrimonio culturale per la società (Convenzione di Faro) sposta decisamente l’asse dell’interesse culturale dalle opere all’uomo, definendo «Il patrimonio culturale per la società un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione. Essa comprende tutti gli aspetti dell’ambiente che sono il risultato dell’interazione nel corso del tempo fra popolazioni e i luoghi».

2005-2015 – Convenzione di Faro Si tratta di una Convenzione curata dal Consiglio d’Europa riguardante la protezione e la promozione dei musei e delle collezioni, salvaguardando la loro diversità e il loro ruolo nella società (la convenzione è stata adottata dall’UNESCO nel 2015). Si sottolinea la necessità di rendere accessibili a tutti questi luoghi, operando la cosiddetta “conservazione curativa”, il restauro, la ricerca, la comunicazione, l’educazione a diretto contatto con i territori, adottando linee politiche. 2014-2016 – Carta di Siena 2.0 La Carta, a cura dell’ICOM, riguarda ancora una volta musei e, in aggiunta, i “paesaggi culturali”, riconoscendo che i caratteri del paesaggio italiano sono intimamente connessi alla presenza di un patrimonio culturale esteso, diffuso, denso, stratificato e inscritto all’ambiente, così com’è richiamato dall’art. 9 della Costituzione che ne prevede la tutela, per un nuovo e diverso modello e sistema di gestione tali paesaggi, come i musei, sono presidi di tutela attiva per la comunità che viene ad assumere con tale ruolo una precisa responsabilità.

superi l’attuale partizione delle competenze tra Stato ed enti territoriali, che ricomponga tutela, valorizzazione e gestione del patrimonio culturale e che, in questo quadro rinnovato, preveda maggiori risorse per esso … laddove i musei possono costituire un punto di forza di un nuovo modello di tutela in quanto presidi territoriali di tutela attiva del patrimonio culturale48 .

I musei verrebbero ad assumere il ruolo di presidi territoriali per una tutela attiva, con le comunità insediate finalmente protagoniste nei processi di valorizzazione ambientale, nella gestione dei musei e nella cura del paesaggio culturale sviluppandone la naturale vocazione. Di contro, il patrimonio diffuso verrebbe ad assumere un ruolo centrale in questo processo. Le aree archeologiche, i centri storici, i parchi potrebbero rapidamente divenire i catalizzatori di nuove politiche di valorizzazione ponendo al centro dello sviluppo le azioni di salvaguardia dei valori culturali attraverso azioni programmate di conservazione e restauro dei siti e la creazione di musei espressione del patrimonio culturale esteso, diffuso, denso, stratificato e inscritto nell’ambiente da usufruire come fattore primario di sviluppo sociale ed economico.

Le architetture e i paesaggi: da monumenti a beni culturali

«Si restaura la materia e non la forma» (Brandi C. 1963, op. cit.). Era questo l’assioma che unisce l’opera d’arte al monumento (e oggi di conseguenza al bene architettonico). Un insegnamento questo che fa parte del vademecum di ogni buon restauratore ma che, a fronte delle molteplici sfaccettature ideologiche, potrebbe facilmente essere eluso. Il monumento, alias bene culturale, rappresentando anche un bene di valore economico, se consideriamo il punto di vista fondiario-immobiliare e turistico (un capitale ineludibile per la collettività), si potrebbe anche affermare con brutto neologismo che il fabbricato debba essere ‘attenzionato’ innanzi tutto per il suo valore d’uso e di mercato. Quest’ulteriore denotazione implica nell’azione del restaurare l’esigenza di soddisfare non più la sola conservazione bensì altre opzioni di intervento, in primis – come è stato sopra ricordato e come già prevede la legge - quella relativa alla sua messa in sicurezza, in specie quella in funzione antisismica.49

48 Si veda la proposta di ICOM Italia del 7 luglio 2014 presentata in seno alla Conferenza Internazionale di Siena (Carta di Siena – “Musei e paesaggi culturali”, punto 4). 49 Il MiBACT, fin dal luglio 2008 ha prodotto sotto il nome di Linee Guida per la valutazione e riduzione del rischi sismico del patrimonio culturale, uno strumento operativo da seguire in ordine al restauro post sismico, così come enunciato all’art. 29 del

•Fig. 1.14

Brevi descrizioni della “Raccomandazione di Faro” e della “Carta di Siena 2.0” (ICOM 2005-2016)

Si tratta, come si può notare, di specificità non necessariamente afferenti alla sfera culturale da intendersi in uno spettro più ampio di situazioni per le varie implicazioni d’esercizio che si determinano, dalla riabilitazione strutturale e funzionale all’efficientamento energetico. Le modalità d’intervento idonee al fine di raggiungere questi obiettivi finiscono per confondersi con altre esigenze che possono risultare prevaricanti nella scelta sul come intervenire, includendo categorie che sono escluse dalla matrice conservativa propria del restauro. Ai fini della riabilitazione funzionale entrano in ballo ad esempio gli interventi di riordino distributivo e di rifacimento/ripristino, ancorché producibili in chiave di restauro, che comportano azioni di ristrutturazione che può assumere un carattere più o meno impattante e leggero, oppure di cambio di destinazione d’uso e/o di demolizione/ricostruzione di parte spurie o non funzionali al progetto. Si tratta comunque di selezionare uno ad uno gli interventi non strettamente conservativi e valutarne caso per caso le ragioni. Questa è una problematica di non semplice risoluzione, tutta da esplorare, non emendabile se non sostenuta attraverso ben documentate ragioni, che devono trovare riscontro all’interno di un percorso conoscitivo particolareggiato e rispondere nelle risoluzioni ai lineamenti disciplinari. Nel percorso della conoscenza si è fatta strada come metodica di studio l’analisi preventiva del fabbricato attraverso il raggiungimento progressivo di “Livelli di Conoscenza” e “Livelli di Valutazione”, come definiti nelle Linee Guida ministeriali.50

In tutti i casi si apre la strada alla possibilità che il progetto di restauro in un’ottica di modernizzazione produca anche un rinnovamento nell’assetto del costruito storico preesistente, che potrebbe finire per lasciare fuori dalla porta quelle attenzioni che sarebbero dovute in un ambito strettamente conservativo. In questa medesima direzione deve valutarsi il progetto del nuovo nell’antico, nell’auspicio di una corretta dialettica fra le parti; per questo aspetto si rimanda all’analisi dei principi fondamentali dettati dalla moderna cultura del restauro (cfr. le Carte del Restauro, cit.). Si deve comunque precisare come non possa in nessun caso essere considerato azione di restauro tutto ciò che altera, l’impianto dell’edificio, in particolare i caratteri tipologici e distributivi ereditati dalle trasformazioni e dagli adattamenti del passato che al presente sono da considerare organici, storicamente sedimentati nel corpus della fabbrica, come pure tutte quelle modifiche che possono creare nocumento all’integrità del documento architettonico.

D. Lgs 42/2004, cit. e a maggior precisazione delle Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC 2008), con l’intento di specificare un percorso di conoscenza, valutazione del livello di sicurezza nei confronti delle azioni sismiche e progetto degli eventuali interventi su strutture in muratura concettualmente analogo a quello previsto per le costruzioni non tutelate, ma opportunamente adattato alle esigenze e peculiarità del patrimonio culturale. Le direttive e i protocolli del MiBACT e della Protezione Civile (NTC) sono stati ulteriormente aggiornati nel 2018 (omissis) confermando in buona sostanza i principi enunciati in precedenza. 50 In particolare nelle ‘Linee guida’ del 2008, cit. si possono trovare, per quanto attiene al rischio sismico di palazzi e chiese, ed altri beni di interesse architettonico, alcuni contenuti innovativi che riguardano: “La definizione di protocolli di acquisizione/ definizione del dato materico costruttivo e del danno; l’utilizzo di analisi e banche dati esistenti; l’introduzione dello SLA (Stato Limite di Danno ai Beni Artistici), della Categoria di Rilevanza e della Categoria d’Uso; del “Livello di Conoscenza (LCi)” e “Livello di Valutazione (LVi)”. Meccanismo premiante della conoscenza; Valutazione del rischio a livello territoriale.”

Tra i principi del restauro architettonico per quanto attiene alla conservazione dei materiali si devono rispettare alcune fondamentali regole a salvaguardia dell’identità materica del costruito sul quale si dovrà intervenire, ovvero rispettare la compatibilità chimica e fisica di supporti murari ed intonaci, garantire la reversibilità degli interventi, la riconoscibilità degli stessi e quindi la leggibilità in modo da rendere comprensibile la stratigrafia e le fasi di accrescimento dell’edificio, assicurare la durabilità delle applicazioni e la loro manutenibilità nel tempo, ecc. D’altronde si deve prendere atto in questo caso che il restauro architettonico, diversamente del restauro archeologico, è rivolto ad ‘organismi viventi’ che necessitano di idonei provvedimenti, di prestazioni e cure adeguate, di congrui interventi e progressive manutenzioni. Sul piano concettuale, ogni intervento condotto al difuori dei requisiti qualitativi e degli standard operativi, qualora si richieda una non giustificata modifica dello status quo, devitalizza l’animus stesso che muove le ragioni del restauro, fino a pregiudicare la corretta trasmissione del documento ai posteri, restando quindi escluso dal campo disciplinare. In un quadro così articolato e composito s’innesta anche la tutela del paesaggio (art. 9 della Costituzione), che il “Codice Urbani” ribadisce essere un valore primario dell’ordinamento repubblicano, laddove l’espressione “paesaggio” non deve essere riferita solo a ciò che attiene alla forma esteriore ed estetica del territorio come declinato nella legge del 193951, bensì deve essere interpretata in una accezione più generale con il significato di ambiente. Gli interventi di conservazione e valorizzazione possono dunque assumere una connotazione spiccatamente ambientale che impone anche ulteriori valutazioni che, in chiave d’interesse pubblico, determinano la necessità di operare scelte strategiche a larga scala, preventive. Lo sono i piani paesaggistici, le salvaguardie ecologiche, il mantenimento della biodiversità, la mitigazione d’impatto delle grandi opere e delle infrastrutture e così via dicendo, nonché una più attenta disamina nelle aree dichiarate dall’UNESCO “Patrimonio Mondiale dell’Umanità”, come lo è il Centro Storico di Firenze. Nel merito tecnico, per ogni qualsivoglia intervento di restauro sull’esistente occorre sottolineare il fatto che proteggere il bene architettonico significa anche tutelare la risorsa ambientale che questo bene rappresenta; ragione questa per cui il restauro comprende opportunamente una molteplicità di situazioni e di modalità di intervento che vanno dalla scala del singolo manufatto a quella del paesaggio urbano. In questo ambito resta ancora in parte non risolto il problema della conservazione, riqualificazione/valorizzazione dei documenti singoli o aggregati della cultura materiale (oggetti della devozione popolare, muri a secco, sistemazioni agrarie ma anche dimore e annessi rurali, piccoli aggregati di case, borghi e centri storici minori, ecc.) che sono il più delle volte costituiti da testimonianze storiche involontarie, da compendi di matrice popolare e/o architetture spontanee ma non per questo meno rilevanti sotto il profilo culturale, anzi spesso per il loro carattere autentico e verace caratterizzanti l’identità di una comunità da ricercare fuori dai centri maggiori e dalle aree periurbane fortemente

51 Ci si riferisce alla Legge 29 giugno 1939, n. 1497 “Protezione delle bellezze naturali”.

manomesse e poco leggibili. Anche questi sono ‘monumenti’ per i quali il restauro deve spendersi trattandoli come beni urbanistici e del paesaggio. A dimostrazione di quanto appena affermato, la perdita del valore d’uso può essere compensata da una più attenta azione di salvaguardia. Le vestigia in stato di rudere del passato sono anch’esse parte integrante del patrimonio culturale e archeologico diffuso, quindi da considerare monumenti della storia quali che siano le loro qualità costruttive, lo stato di integrità e di conservazione. Non esiste dunque un confine temporale (antico, moderno e contemporaneo) che possa discriminare l’opera d’arte come oggetto meritevole di tutela. Avvertendo tuttavia, per dirla ancora una volta con Brandi, che «non è facile dire quando nell’opera d’arte cessa l’opera d’arte e appare il rudere» (Brandi C. 1963, p. 31). (Fig. 1.15) Più in generale, i segni del territorio, le permanenze di sistemazioni urbanistiche, di modi di aggregazione del costruito storico, le matrici minerali e cromatiche delle superfici architettoniche sono anch’esse da considerare quali ambiti di specifico interesse per ricostruire i tratti della civiltà umana, che si tratti delle antichità classica o medievale o delle testimonianze della civiltà contadina, dell’archeologia industriale, come pure delle manifatture moderne a rischio di dissoluzione che, pur interessando lo spazio-ambiente o il contesto dei monumenti maggiori, ricadono nel solco metodologico del restauro architettonico/ archeologico, semmai declinato in forme di regolamentazione di carattere compositivo e di salvaguardia dell’immagine tradizionale dei luoghi. Il riconoscimento di questi segni attiene tuttavia non solo all’architettura e/o all’archeologia ma anche, operando alle diverse scale di lettura, all’archeogeografia, all’archeometria, alla topografia antica alla geologia applicata, alle scienze della terra, ecc. Da questo punto di vista il restauro architettonico è volto, a maggior ragione, alla conservazione (sintetizzata nella locuzione di ‘restauro conservativo’, cit.) che si attua attraverso lo studio e il rilievo storico critico, l’analisi delle tecniche costruttive (magisteri originali e trasformazioni successive), lo studio dei materiali, delle superfici e del colore, l’analisi delle patologie, ecc. Infine, capitolo a parte, fondamentale nella disamina preliminare del progetto di restauro, riguarda la risoluzione della querelle mai sopita che ci si pone di fronte nei cantieri, ogni qual volta si contrappone l’esigenza della conservazione alle opere di messa in pristino, integrazione e rifacimento di parti ammalorate, laddove l’impiego dei materiali moderni nelle costruzioni antiche, di metodiche appropriate per il consolidamento o il trattamento delle lacune, ecc. determina una scelta mai semplice o una non scontata risoluzione. Per superare questo scoglio è utile distinguere nel restauro architettonico i due aspetti distintivi della disciplina, che da un lato riguardano il trattamento delle superfici e degli apparati decorativi e dall’altro quello degli elementi finiti e delle strutture di cui si è detto in precedenza. Nel primo caso, fa ormai parte di una consolidata cultura del restauro, largamente condivisa anche a

livello internazionale, attribuire ad ogni bene architettonico, così come ad ogni opera d’arte, una propria specificità che, attraverso la critica storica, mette al centro dell’interesse l’importanza della conservazione e del rispetto dell’autenticità materica, storico artistica, ma al contempo riconosce alcuni limiti operativi oggettivi perché il processo critico di lettura ed analisi dell’esistente con riferimento alle superfici dovrà fare inevitabilmente i conti con le trasformazioni pregresse e in atto. Il ‘restauro del colore’ rientra appunto in questa problematica52 . In relazione alle attività costruttive e di restauro del passato e ai principi uniformatori da tempo contemplati nel ‘restauro moderno’, si dovranno necessariamente contemplare e attuare anche opzioni di rifacimento. Dovremo partire dalla considerazione che quello che osserviamo e che tocchiamo con mano è il frutto di una progressiva sedimentazione e stratigrafia di interventi che nel corso del tempo hanno praticamente portato all’alterazione, fino alla sostituzione, della materia originale, specialmente per quanto riguarda le superfici che per loro natura sono soggette a vari fenomeni di degrado sia naturale che ambientale/antropico. Questa problematica corrisponde al principale paradigma entro cui si situa oggi la disciplina nell’attuazione del progetto di restauro, la cornice di riferimento entro la quale operare nel rispetto dei criteri scientifici da soddisfare nell’applicazione dei vari interventi. La risoluzione estetica dell’intervento e degli interventi di messa in pristino che si congiungono nel restauro dovrà in ogni caso misurarsi coi caratteri intrinsechi del bene sul quale dover andare a mettere le mani. A tale riguardo molto delicata appare nel restauro delle superfici, dal restauro delle pitture di rivestimento a quello degli apparati decorativi di pregio artistico, la questione della cattiva o carente documentazione del trascorso generazionale che può determinare uno scollamento se non addirittura una errata risoluzione progettuale nelle diverse fasi di intervento, dalla manutenzione al consolidamento nella scelta dei materiali. Da qui la necessità di curare, a cominciare dalla formazione dell’architetto restauratore, la preparazione tecnica, ai fini diagnostici e analitici sia nell’ambito delle strutture sia in quello degli apparati decorativi e pittorici. In questa ottica una menzione di riguardo per quanto attiene all’esperienza condotta da chi scrive attiene allo studio del colore come precipuo ambito di studio, certamente propedeutico al restauro delle superfici decorate dei monumenti e, più in generale, dei sistemi di pitturazione e coloritura che interessano le cortine edilizie del costruito storico. Questi sistemi cromatici realizzano per loro natura superfici di sacrificio, soggette al rifacimento piuttosto che alla conservazione. Del resto, non sarebbe possibile mantenere l’aspetto primitivo delle pareti a valere sia nel facciavista sia nelle superfici intonacate e dipinte e neppure ricomporre il colore originario se non imitandone o ripetendone ab libitum il trattamento, senza poter tuttavia trovare quello

52 Centauro G.A., Grandin N.C., Restauro del colore in Architettura. Dal piano al progetto, Firenze 2013

•Fig. 1.15

Parco delle Terme della Torretta (Montecatini T.), scultura vandalizzata (ante 2014)

che era o poteva essere «l’inafferrabile stato originario», per dirla ancora una volta come Brandi, op. cit.

Tuttavia,

il ‘carattere cromatico’ è un valore ambientale fondamentale, che in un’ottica conservativa esige il massimo rispetto formale e una grande attenzione nelle risoluzioni tecniche adottabili nell’azione restaurativa (Centauro G.A, Grandin N.C 2013, p. 7).

In particolare, il colore interessa sia superfici di pregio che ambiti parietali ordinari, nell’edilizia corrente sia il nuovo che il patrimonio edilizio esistente. In tali ambiti il trattamento delle superfici intonacate assume per la sua peculiare connotazione estetica, insieme materica e cromatica, una precisa valenza ambientale, storico documentale e stratigrafica che investe direttamente le problematiche del restauro architettonico. Il linguaggio dell’architettura in qualsivoglia ambiente urbano è sempre veicolato dal colore delle facciate, laddove il paesaggio urbano si trasforma e muta insieme al contesto cromatico e in questo mutevole processo altera anche l’aspetto dei monumenti. Il decoro e l’immagine della città, attraverso le architetture che la realizzano, sono espressioni vive del luogo e, al tempo stesso, è il colore che ne suggella il cambiamento:

Il volto di una città che cambia arbitrariamente i colori si allontana progressivamente dalla memoria del suo passato, decontestualizzando le facciate più vecchie che risultano distoniche rispetto al nuovo (ibidem).

Occorre però subito precisare che

il restauro del colore (in Architettura) deve intendersi realizzabile esclusivamente se posto sul piano materico, stabilendo per ciascun edificio un proprio codice, unitamente ad un’idonea tecnologia applicativa, affidando semmai alle tinte di rifacimento il compito di non tradire la stratigrafia storicamente accertata sui fronti esterni in relazione con i mutamenti consolidati del contesto e conseguentemente rispettare le matrici del colore dalle quali deriveranno tutte le tinte compatibili di progetto (Centauro G.A. 2008).

Nel bagaglio tecnico dell’architetto conservatore e del paesaggista dovrà trovare un posto di rilievo lo studio del colore nell’edilizia storica, e di conseguenza, dei modi di rilevare, misurare e documentare le cromie esistenti, della grammatica e della sintassi del colore, del lessico compositivo del costruito storico, ecc. Negli ambiti degli insegnamenti di restauro della scuola di architettura fiorentina si sono adottati in questi anni alcuni nuovi orientamenti e prodotte ricerche applicate, una per tutte l’esperienza condotta con il Progetto HECO, cit. interamente dedicato al centro storico di Firenze, che, se da un parte hanno confermato la centralità della disciplina nell’offerta formativa, hanno messo in luce anche l’attualità della tematica nell’esigenza di fornire risposte anche attraverso l’esperienza didattica, per la salvaguardia del patrimonio ambientale e architettonico e di spostare l’asse degli studi verso il progetto di restauro attraverso l’esame diretto di complessi monumentali e del contesto urbano, come del resto imponeva di fare il riconoscimento di “Eccezionale Valore Universale” (OUV) attribuito a Firenze quale sito “Patrimonio Mondiale dell’Umanità”. Per ottenere questi risultati e per tutte le ragioni

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