12 minute read

Introduzione

Giorgio Caselli

Conoscenza per la valorizzazione del patrimonio

Un momento di riflessione sul concetto di conoscenza del nostro patrimonio culturale non è mai superfluo, specie se può contribuire all’orientamento di tutti gli operatori della disciplina che con quotidiana applicazione esercitano le proprie professionalità per la conservazione dei beni culturali di proprietà pubblica. Non può essere un caso che il dibattito contemporaneo offra continui contributi ad una questione di chiara elezione nel campo degli studi sul restauro ma che continua a mostrare, specie nella pratica concreta, ancora punti irrisolti.

Pur nell’evidenza del noto postulato ‘conoscere per conservare’, da tutti riconosciuto come indiscutibile nella sua valenza dottrinale, la questione ha assunto nel dibattito odierno una distinta complessità che ogni volta si ripropone nel processo dialettico che s’instaura tra il restauratore e il manufatto sul quale si interviene. In discussione sono le ragioni stesse del cosa e del ‘come’ conoscere per intraprendere il restauro architettonico, laddove si mettono in gioco le competenze stesse, già prerogativa degli architetti, che stanno alla base dell’azione che si intende svolgere.1

Questo processo dialettico tra il restauratore ed il testo architettonico è ancor più rilevante quando si consuma all’interno di strutture tecniche pubbliche dedicate al patrimonio monumentale di proprietà di un’amministrazione di rilievo internazionale, quale quello fiorentina2. All’interno di questo specifico ambito, che coinvolge una pluralità di figure non necessariamente formate nelle facoltà di architettura, non deve risultare banale un richiamo ai precetti normativi della conoscenza, di cui non dobbiamo mai dar per scontata la giusta consapevolezza degli operatori, tenuta in debito conto, tra l’altro, la varietà di scala degli interventi: dallo scavo archeologico al ‘restauro urbano’3, che richiede un impegno critico tutt’altro che banale.

1 Centauro G.A., A. Bacci A. 2017, p. 169. Su questo argomento s’incentra la principale riflessione che sta alla base dell’articolata rassegna di studi che viene qui presentata nell’ambito delle esperienze di conservazione e restauro nella didattica. 2 Chi scrive dirige dal 2009 il Servizio Belle Arti del Comune di Firenze, preposto, all’interno della Direzione dei Servizi Tecnici dell’Ente, alla conservazione del patrimonio storico di proprietà dell’Ente. 3 Dal 2010, per la prima volta nella storia dell’Ufficio Belle Arti, la struttura del Servizio si è dotata di una posizione organizzativa denominata “restauro urbano” dedicata al coordinamento di tutte le azioni conservative riguardanti i complessi architettonici cui è stata riconosciuta una particolare rilevanza per lo sviluppo e la valorizzazione del tessuto urbanistico cittadino, dal recupero delle Murate o di reperti di archeologia industriale quali il Gasometro dell’Anconella, fino alla progettazione di piazze e giardini (quali il giardino del nuovo teatro dell’Opera di Firenze intestato a Vittorio Gui o la piazza del Carmine).

Il Codice dei beni culturali e la stessa costituzione definiscono con chiarezza gli orizzonti di azione delle amministrazioni pubbliche. Quest’ultima, in particolare e prima di ogni altro riferimento moderno, sancisce come la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrano a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio, a promuovere lo sviluppo della cultura, infine, stabilendo il valore identitario delle nostre azioni. Gli obblighi, poi, imputati dal testo a Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni - tenuti ad assicurare e sostenere la pubblica fruizione e la valorizzazione dei beni culturali - puntualizzano la responsabilità comunitaria verso il patrimonio storico quale immenso archivio vivente della memoria culturale collettiva. La conoscenza quindi come responsabilità e dovere civico, prima che professionale, per perseguire l’unico approccio consapevole ai valori oggetto di tutela.

[…] la costante contrapposizione di vedute che esiste tra gli stessi tecnici progettisti circa gli obiettivi primari da assolvere nell’attuazione degli interventi, distinguendo impropriamente tra riabilitazione funzionale di una fabbrica dalla conservazione della sua integrità fisica e materica, quasi che le due cose non fossero più due riconoscibili facce di una stessa medaglia. Ad ogni modo non si tratta di ‘ripiombare’ nel consumato dibattito tra ‘rinnovamento e conservazione’ […] bensì di valutare consapevolmente quali ragioni attendono attraverso il restauro alla trasmissione dei valori da conservare e valorizzare.4

Questo evidente intento del legislatore di porre di fronte agli operatori il loro prioritario orizzonte d’azione – conoscere per conservare e comunicare i valori custoditi nel patrimonio – viene confermato nelle principali disposizione del Codice dei Beni Culturali che nel definire i concetti di tutela (individuare, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, i beni costituenti il patrimonio culturale e garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione) e valorizzazione (promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e assicurarne le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica) chiarisce l’ambito di azione delle Soprintendenze e delle Amministrazioni Pubbliche, declinando il ciclo della conoscenza dalla individuazione alla divulgazione comunitaria dei valori citati attraverso l’uso e la fruizione. Chiarito l’ambito di azione del tecnico conservatore le responsabilità ed il peso delle nostre attribuzioni emergono con drammatica concretezza, non soltanto per gli obiettivi posti dallo Stato, ancor oggi tutt’altro che soddisfatti, specie in termini di fruizione del patrimonio, ma anche per l’esigenza di garantire l’esercizio delle funzioni richieste in un patrimonio di conoscenza ancora inadeguato. Basti pensare come a Firenze, nel XXI secolo, sia ancora possibile trovarsi ad avviare importanti azioni di restauro su complessi monumentali di eccezionale valore cui una soluzione di continuità nella condizione patrimoniale (dismissione della funzione, alienazione, ecc.) ha inibito la trasmissione anche delle più elementari ‘attività conoscitive’ – quali il rilievo dello stesso testo architettonico, per esempio, o le più banali informazioni sulla dotazione impiantistica – che rende di fatto inermi le strutture

4 Centauro G.A., Bacci. A., op.cit.

tecniche nei confronti delle responsabilità citate. Ma anche in condizioni di buona conoscenza del patrimonio, garantita proprio dal lavoro e dalla cura assicurata nel tempo dalle strutture preposte, a queste rimane comunque il compito dell’aggiornamento dei valori di conoscenza raggiunti, generalmente al di sopra delle capacità e delle energie disponibili e, finalmente, della interpretazione critica dei dati. Per non parlare del grande tema della valorizzazione, che nell’uso e nella fruizione, dovrebbe richiamare la nostra attenzione sull’esigenza di garantire ai nostri monumenti, oltre all’auspicata conservazione materica, il giusto grado di ‘comprensione’ anche fuori dai confini delle strutture museali. Quindi attività che ben lungi da esercitarsi in un contesto di conoscenza ricco e solidamente interpretato, come la disinvoltura di tanti colleghi lascerebbe intuire (perché siamo a Firenze, nella culla del saper fare artigianale ed artistico, ma anche nella patria mondiale del restauro) presuppongono un onere di riflessione critica tutt’altro che agevolato dal grado di conoscenza raggiunto, da esercitarsi in un orizzonte quotidiano di azioni che interessano il nostro patrimonio, dalla semplice organizzazione di eventi alla riabilitazione funzionale, mettendo a dura prova la sostanza metodologica degli architetti, dalla conservazione della materia alla leggibilità dei beni culturali. Non mi soffermo sull’ulteriore disagio che tutto ciò può trasmettere all’operatore o sulla concreta possibilità che le esigenze contingenti possano indurre tutti noi a deviare dai precetti disciplinari o, più semplicemente, ad un’applicazione didascalica degli stessi senza la giusta riflessione sui contenuti – prima - e gli esiti – poi - delle nostre azioni. Con l’unico concreto risultato di arginare il depauperamento fisico del nostro patrimonio (anche a costo di pesanti fraintendimenti semantici) ma, al contempo, sprecare le tante opportunità che il lavoro ci pone di fronte per favorire un confronto tra teoria e pratica che oggi appare un po’ sfibrato. Ritengo, invece, molto più utile attirare l’attenzione di tutti sul rischio, purtroppo non remoto, che un tale ‘scarroccio’ disciplinare, già diffuso trasversalmente tra tecnici e organi di tutela, possa arrivare a frenare il processo evolutivo della materia restauro, relegando ciascuno di noi alla riproposizione astratta di principi e metodi. Qualcosa di ciò si nota già oggi nei quotidiani scambi tra professionisti di varia estrazione, restauratori e funzionari preposti alla tutela dei beni, dove al confronto interdisciplinare che richiederebbe l’orizzonte di impegno illustrato pare spesso sovrapporsi la reiterazione meccanica e autoreferenziale di precetti generici e decontestualizzati. In questo contesto si origina e si alimenta nel tempo l’articolato accordo di ricerca tra il Comune di Firenze ed il laboratorio di restauro della Facoltà di Architettura fiorentina che, dal 2015, ha consentito di promuovere studi congiunti su almeno tre eccezionali episodi monumentali cittadini quali la cinta muraria, il Forte di Belvedere e la porzione del complesso conventuale di Santa Maria Novella riacquisita dal Ministero della difesa a seguito del trasferimento della Scuola Marescialli dei Carabinieri nel nuovo complesso realizzato dallo Stato ai margini dell’edificato di Castello. Il primo fondamento di questo duraturo rapporto è quindi squisitamente disciplinare, mutuato dalla convergenza critica, non scontata e tutt’altro che usuale, dei responsabili scientifici delle due strutture – una di ricerca l’altra operativa sul territorio – sul rapporto tra conoscenza e pratica disciplinare,

fondamentale tanto ai fini della formazione delle nuove professionalità che all’accrescimento ed all’aggiornamento di quelle in attività presso il Servizio Belle Arti. Il secondo è l’approfondimento sul patrimonio, condotto con la misura e la modestia reclamata da teorici del secolo scorso, senza obiettivi eccessivamente sfidanti ma con la missione chiara di incrementare il patrimonio di conoscenza a disposizione e, soprattutto, contenerne la dispersione, in un programma di lavoro più sostenibile che privilegia prima ancora dell’aggiornamento, la sistemazione del patrimonio di informazioni acquisito. Il terzo è quello educativo, a stimolare tutti i soggetti coinvolti (dagli studenti agli architetti militanti) a quella pratica di ‘accostamento dei dati’5 che nel garantire concretamente il confronto tra il restauratore ed il manufatto storico possa incrementare anche le nostre capacità di inquadramento critico dell’intervento di restauro. Il confronto tra ricerca e pratica ha un eccezionale valore, tutt’altro che univoco. Non dobbiamo cadere nell’ingenuità di coltivare queste collaborazioni ai fini esclusivi dell’arricchimento di un percorso formativo o dell’implementazione della banca dati sul patrimonio: il rapporto tra operatore e studioso che si determina nella ricerca applicata (si pensi a quella sui restauri pregressi) costituisce una preziosa esperienza di approfondimento per lo stesso tecnico, responsabilizzato ad una rigorosa applicazione dei precetti disciplinari non solo dal ruolo ma anche dall’esigenza di cogliere l’opportunità di raggiungere obiettivi professionali concreti e, infine, stimolato ad accogliere le trasformazioni occorse al ‘dettato metodologico’ di cui parla Giuseppe Centauro6 nel suo contributo sui prolegomeni ed i lineamenti disciplinari nel restauro architettonico, immunizzandosi dalla deriva illustrata. Non è casuale, a tal proposito, che le pubblicazioni volte a raccogliere in maniera organica scritti e lezioni di docenti o esperti che in vari ambiti didattici (dallo stesso Centauro agli appunti di Marco Ciatti7), nascondano un concreto interesse professionale, proprio per inquadrare nel giusto contesto critico l’evoluzione occorsa alla disciplina. Il risultato di quasi un lustro di attività e di confronto è considerabile eccezionale non solo per i risultati conseguiti in termini di acquisizione di nuove informazioni e di sviluppo del patrimonio già a disposizione dell’ufficio, ma anche per gli esiti delle sinergie attivate nel corso dei laboratori che hanno consentito l’ingresso di studenti e laureandi, in forma di stage, nelle attività del Servizio Belle Arti ed il coinvolgimento nelle esperienze didattiche di professionalità fondamentali per la pratica conservativa – valga per tutti la figura classica del Restauratore rappresentata da Guido Botticelli – capace di dilatare l’orizzonte della riflessione con il bagaglio di esperienza applicata, in un percorso a ritroso che forse oggi più di prima può assisterci nella migliore strutturazione delle nostre azioni.

5 Devo questa espressione ad Amedeo Prosperi che nella sua prolusione al Convegno internazionale “La Sala Grande di Palazzo Vecchio e i dipinti di Leonardo. La configurazione architettonica e l’apparato decorativo dalla fine dell’Ottocento a oggi” tenutosi tra Firenze e Vinci dal 14 al 17 Dicembre 2016, ricostruendo le relazioni tra Palazzo Vecchio e la piazza della Signoria ha ricordato a tutti quel ‘concreto accostamento dei dati’ che da sempre ordina e orienta il lavoro dello storico e del conservatore. 6 “ed è proprio in conseguenza di ciò che la disciplina ha modificato, talvolta in modo radicale, il proprio dettato metodologico tanto che ancora oggi il restauro respira novità in un processo in evoluzione”. 7 Ciatti M. 2009.

Conservazione e restauro: aspetti disciplinari

Giuseppe Alberto Centauro

Università degli Studi di Firenze

Abstract

L’azione di restauro che interessa il costruito storico, dal monumento al patrimonio culturale diffuso, si configura sempre di più come un’azione di riqualificazione dell’esistente che viene ad assumere riflessi economici di grande rilievo, ampliando l’accezione della tutela quale fattore irrinunciabile di difesa non solo dei monumenti e delle opere d’arte quanto dell’identità del territorio e delle sue risorse. La figura professionale dell’architetto ha storicamente accompagnato l’evoluzione della disciplina del restauro, nella teoria e nella prassi, approdata nella moderna scienza della conservazione. In questo processo di crescita hanno dato il loro fondamentale contributo critico e tecnico figure di primo piano della cultura scientifica e umanistica che hanno saputo plasmare e dettare gli indirizzi formativi da perseguire nelle facoltà universitarie. Gli aspetti disciplinari che caratterizzano questi saperi stanno ancora oggi alla base delle competenze che ogni scuola di restauro deve poter trasmettere in modo dinamico. Tuttavia, questo legame tra gli architetti e il restauro oggi non è più univoco, assumendo il restauro una sempre più marcata connotazione multidisciplinare che occorre ‘esercitare’ in un confronto continuo tra vecchie e nuove professionalità per essere in grado di rispondere ai molteplici input e ai mutevoli cambiamenti in atto in una sempre più globalizzata società contemporanea. In ragione di questo imperativo le esperienze di conservazione e restauro di cui trattasi nascono innanzi tutto nelle attività dei laboratori didattici di base e di specializzazione che sono le vere fucine dell’apprendimento e dello studio, di sperimentazione e di ricerca per acquisire le competenze e le sensibilità necessarie per affrontare le complesse tematiche che legano a doppio filo conservazione e valorizzazione dei giacimenti culturali: archeologico, architettonico, storico artistico e del paesaggio.

The restoration of historical building, from the monument to the widespread cultural heritage, is increasingly configured as a redevelopment action, expanding the concept of protection as an indispensable defence factor, not only for monuments and artworks but for the identity of the territory and its resources as well. The architects had historically accompanied the evolution of the discipline of restoration, both in theory and in practice, declined in the modern conservation science. In this growth process, key figures of scientific and humanistic culture have given their fundamental critical and technical contribution; they have established and shaped the training guidelines to be pursued in university faculties. However, nowadays this link between architects and restoration is no longer univocal. The restoration takes on a multidisciplinary connotation that needs to be ‘exercised’ in a continuous comparison between old and new professions, in order to be able to meet the multiple inputs and changes taking place. For this reason, the conservation and restoration experiences in question arise first in the activities of the basic and specialized teaching laboratories. These are in fact the main places of learning, experimentation and research where to acquire the necessary skills to deal with the complex issues that link conservation and enhancement of cultural heritage: archaeological, architectural, art-historical and landscape.

This article is from: