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L’approccio al restauro architettonico

•Fig. 1.3 Copertina del volume

Progetto HECO, op. cit. degli interventi e mettere a disposizione in tempo reale i dati a tutti i soggetti interessati (Casciu S., Centauro G.A., Chimenti M. 2000, pp. 208-220). Di fatto è stato elaborato, attraverso quell’esperienza di working in progress, un profilo metodologico completo, fornendo una sorta di ‘codice di pratica’ a valere, più in generale, nella conduzione dei cantieri di restauro più complessi come nella comunicazione dei risultati per la didattica, fornendo un modello da seguire e le linee guida per intervenire, aprendo, altresì, alle innovative procedure dell’analisi preventiva, alle nuove metodologie per le indagini diagnostico-conoscitive e ai sistemi di monitoraggio di controllo via via messi a punto in seno al progetto. D’altronde la creazione di gruppi di lavoro misti Soprintendenza/ Enti locali/ Università/ liberi professionisti, regolati da specifiche convenzioni e coordinati tra loro sia nello svolgimento delle indagini preliminari sia nella definizione del progetto e nel corso d’attuazione degli interventi, rappresenta un esempio ai fini formativi che può trovare anche una sua specifica attuazione nelle scuole di architettura o di scienze per la conservazione nell’ambito dell’organizzazione didattica dei laboratori di restauro di primo, secondo e terzo livello. Su questo solco metodologico si è mosso il Progetto HECO (Heritage Colors) (2014-2017), cit. con gli studi condotti dal gruppo di studio del Dipartimento di Architettura (DIDA) e dall’Ufficio UNESCO del Comune di Firenze (da ora indicato come ‘Ufficio Firenze Patrimonio Mondiale e rapporti con UNESCO’), nell’ambito di un progetto integrato di ricerca finanziato dal MiBACT25 . Per dare continuità all’esperienza e non isolare l’esperienza di ricerca inizialmente prodotta in un ambito di condivisione con altri indirizzi disciplinari, è stato messo in piedi un “Laboratorio congiunto”26

ad hoc (Heritage_City Lab, oggi Heritage Research - HERE) per la valutazione d’impatto sul patrimonio del costruito storico (Heritage Impact Assessments - HIA)27. (Fig. 1.3)

L’approccio al restauro architettonico

Quale restauro, oggi? Questo è un punto di domanda che ricorre frequentemente nei corsi di architettura, quasi fosse una frase rituale che puntualmente, anno dopo anno, accompagna le prime lezioni in aula fin dal momento della presentazione dei programmi. Si tratta di un quesito che solo in apparenza ha un risvolto didattico al fine di introdurre la eterogeneità degli argomenti che caratterizza oggi la disciplina. Lo può certamente essere per il neofita della materia. Per chi abbia già maturato nel

25 AI sensi della L. 77/2006 «Misure speciali di tutela e fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella ‘lista del patrimonio mondiale’». 26 Il “Laboratorio congiunto” consente all’Università e a soggetti pubblici e privati di mettere in condivisione il proprio know-how e le proprie strutture di ricerca realizzando un luogo di incontro con caratteristiche nuove rispetto ai due o più istituti proponenti. I ricercatori universitari e ai partner esterni lavorano congiuntamente allo sviluppo di ‘road map’ scientifiche e tecnologiche di comune interesse e creano partenariati stabili per la partecipazione a bandi competitivi attingendo a finanziamenti per la ricerca e aumentando la potenzialità di attrarre investimenti privati (scheda descrittiva tratta dal sito del Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze, cfr. https://www.dida.unifi.it/vp-638-laboratori-congiunti.htm. L’obiettivo è quello di realizzare e condividere linee guida operative, una sorta di template, uno spazio da riempire in itinere attraverso lo sviluppo delle ricerche. 27 Come frutto di questa esperienza è nata la pubblicazione del Progetto HECO, cfr. Centauro G.A., Francini C. (a cura di) 2017, op. cit.

corso degli studi propri convincimenti assume invece la funzione di una preposizione dialettica, tanto provocatoria quanto retorica, dalle molteplici accezioni e valenze introspettive. Il restauro, del resto, è una materia che si propone nei corsi di laurea al terzo o al quarto anno, quando le conoscenze tecniche hanno già assunto una loro ben determinata consistenza e la coscienza critica dell’operare nel settore può dirsi pienamente formata. Per quanto riguarda la mia personale esperienza di didatta, sia nel primo come nel secondo caso, tale quesito non ha mai ottenuto da parte degli allievi risposte univoche, tuttavia ha sempre avuto il merito di stimolare una riflessione non banale, non convenzionalmente assunta, suscitando negli studenti motivi di più specifico interesse. Quel che è certo è che l’uditorio si è comportato ogni anno in un modo mai uguale: più spesso con risposte estemporanee, rispondendo d’acchito con ammissioni più o meno convinte, tuttavia il più delle volte registrando commenti più articolati solo dopo una seconda e più esplicita sollecitazione. Di solito sono i temi di più viva attualità a suscitare le maggiori osservazioni, specialmente quelli rivolti a episodi riguardanti le criticità ambientali riscontrate alla scala territoriale, oppure tematiche di carattere generale quali la ricostruzione dopo il terremoto o il recupero di siti abbandonati. I meccanismi di collasso delle murature storiche a seguito del sisma sono in questo caso fonte di immediata discussione in relazione alla questione tuttora aperta se sia più opportuno restaurare un edificio lesionato (fortemente danneggiato) o piuttosto ricostruirlo ex novo. Da questo punto di vista si è registrata negli ultimi anni una certa continuità dialettica, richiamata ogni volta da esperienze pregresse, riferite a studi condotti nei corsi precedenti. Tuttavia, anno dopo anno, si generano intorno al mondo del restauro architettonico altri motivi di approfondimento per lo più legati alla progettualità del nuovo nell’antico, piuttosto che alla conservazione dell’esistente nelle preposizioni di riqualificazione del contesto urbano. Emerge sempre di più il ruolo dell’architetto compositore piuttosto che quello dell’architetto conservatore. Atteggiamenti che si deve ritenere sintomatici della difficoltà di accostarsi per gli architetti del domani al restauro come strumento di conoscenza e salvaguardia dei valori ereditati dal passato, espressione della cultura di un’epoca. Da questo punto di vista si producono piuttosto situazioni di volta in volta mutevoli ed incerte, che si traducono in orientamenti piuttosto schematici nei confronti dell’esistente, poco più che luoghi comuni. Questi atteggiamenti danno la misura di un profondo cambiamento in atto, ma anche del precario radicamento ai luoghi d’origine, alla storia dei territori e con questi alle tecniche costruttive e ai materiali del costruito tradizionale. Di certo la questione non è nuova, emersa soprattutto nel dibattito degli Anni ’70 sui destini dei centri storici, e riguarda le ragioni stesse del restauro inteso come espressione di rinnovamento, di reinterpretazione dei modelli costruttivi o tipologici del passato e di riconversione d’uso del patrimonio edilizio esistente.

La lettura delle forme non può sostituire la ricerca delle intenzioni, la dialettica fra le forme stesse e “ciò che esse nascondono”. L’analisi tipologica non si giustifica sul piano scientifico descrittivo, ma sul piano progettuale, non descrive tanto il passato o la città esistente quanto il modo in cui, in un certo momento storico, un

•Fig. 1.4

E. VLD, Notre-Dame di Parigi, La

flèche, 29 0ttobre 1857

(Disegno ad acquerello 1,17 x 0,59), M.S.C. 2137, Parigi C.R.M.H. in Viollet-le-Duc, Ed. de La Reunion des musées nationaux, Paris 1980 settore della cultura architettonica li coglie «… Il tipo rimane uno schema interpretativo, rispetto al quale riaggregare i dati; la tipologia non sostituisce in nessun modo il paziente lavoro d’indagine sulle fonti disponibili che restituisce la conoscenza effettiva di una città … Tutto il contrario, cioè, di quel lavoro di anamnesi minuziosa della vicenda e della consistenza fisica di un edificio sulla quale si fonda il restauro (Grimoldi A.1981, pp. 388-395).

Nel dibattito attuale risulta invece più stimolante ricondursi ad episodi di cronaca che fornisce spunti di dibattito, a testimonianza del fatto che il tema del restauro è sempre più legato al carattere emergenziale degli interventi piuttosto che alla tutela o alla conoscenza preventiva. Per portare un esempio, il tema che si sta ponendo da più di un anno sulla ricostruzione delle coperture di Notre-Dame di Parigi, carbonizzate dall’incendio del 15 aprile 2019, insieme all’iconica fléche di Viollet-le-Duc (Fig. 1.4) ha vivacizzato il dibattito intorno ai modi da perseguire per il rifacimento di quanto è andato perduto e, naturalmente, di riflesso, si è posto al centro il tema del restauro, oggi. Con ciò si conferma il fatto, purtroppo sempre più ricorrente, che per intervenire (e suscitare l’interesse dei media) si debba attendere l’evento traumatico, addirittura l’irreparabile, a prescindere dalle cause e concause che hanno determinato l’accaduto. Questa condizione sembra valere anche per alzare l’attenzione sulle tante modalità del restauro (Centauro G.A. 2019). Nel caso specifico la questione del rinnovamento versus il ripristino ha riaperto lo scontro fra visioni diametralmente opposte su cosa siano o rappresentino i beni culturali e su quali siano le scelte più giuste da perseguire nel rifacimento di ciò che, pur appartenente alla storia dell’arte e del restauro, è andato gravemente danneggiato o perduto. Anche in presenza di molteplici tematiche legate alla salvaguardia dell’immagine storicamente consolidata la questione centrale torna ad essere sempre la stessa, in particolare sul modo di intendere il restauro, oggi: come salvaguardia o piuttosto come trasformazione in forme e materiali dell’esistente rovinosamente pregiudicato. Tali opposte tendenze possono apparire in chiave didattica come filtri coerenti per guardare da angoli visuali asimmetrici le cose del passato al fine di interpretare diversamente l’evoluzione culturale della società e con essa il presente e il futuro, semmai cogliendo nelle trascorse esperienze di restauro occasioni di studio e d’ispirazione per progettare il nuovo. Se il restauro è disciplina volta ad assicurare primariamente la conservazione del patrimonio culturale dovremmo però chiederci quali siano in realtà i beni storico artistici, architettonici e del paesaggio che, al di là degli eventi, necessitano di congrue attenzioni d’intervento al di là della mera rifunzionalizzazione. Una volta riconosciute le precipue valenze storico documentarie ed artistiche, o paesaggistiche sarà dunque quello il patrimonio culturale da porre sotto la lente d’ingrandimento della categoria del “restauro conservativo” da declinare con le dovute cautele in un’azione incessante di cura, laddove prevenzione e manutenzione sono le prime condizioni da assolvere per la salvaguardia. Cos’è allora il restauro se non un percorso ‘inesausto’ di conoscenza del passato e di riconoscimento di valori da trasmettere nelle migliori condizioni di conservazione alle generazioni future? È di tutta

evidenza che l’esigenza primaria del restauro sarà sempre e comunque quella di affrontare un percorso di studio storico evolutivo adeguato alla situazione da affrontare in modo da evitare improprie correlazioni tra ciò che è stato, quantunque ritenuto obsoleto, e ciò che allo stato attuale permane fisicamente dell’originale, sia essa una muratura inglobata in un’altra oppure una stratigrafia di intonaco avente valore di testimonianza, sia pure frammentaria o in stato di rudere. Da questo punto di vista l’esercizio del restauro archeologico dovrebbe trovare un giusto spazio nelle attività dei laboratori per non emarginare tale problematica dal resto degli interventi a dimostrazione della bontà del metodo conservativo. L’azione del restauro dovrà in ogni caso evitare eccessive schematizzazioni e disarmoniche fughe in avanti in modo da assicurare il migliore approccio possibile sul piano del metodo o, per meglio dire, sul piano etico del rispetto dovuto ad ogni giacimento culturale del passato, per accostarsi in modo misurato e consapevole al progetto.

Cominciare dal rilievo

Per gli studenti di architettura l’approccio sul costruito esistente inizia, unitamente alla documentazione fotografica del manufatto e del suo intorno, con il rilievo a vista, schizzato direttamente sul blocco da disegno, ad es. per l’edificio da indagare con la facciata preliminarmente misurata da terra alla linea di gronda, anche attraverso la semplice fettuccia metrica o con l’aiuto di un distanziometro laser. Dopodiché per avere un quadro topografico di riferimento è naturale che si debba procedere, già in una prima fase, con il rilievo celerimetrico per l’indicazione delle misure e la descrizione dei punti battuti utilizzando teodolite e stadia. Per il restauro è tuttavia necessario accostarsi all’edificio in modo più introspettivo e analitico28, non solo quindi per appuntare le quote utili, bensì studiando i materiali (apparati murati e rivestimenti) e le connessioni fra le parti corrispondenti alla composizione del prospetto, per poi procedere con maggior dettaglio al disegno tracciando un eidotipo con la descrizione dei punti battuti, avendo cura di rimanere fedeli alle proporzioni, rispettando l’ordine architettonico e il disegno degli elementi plastico decorativi. Si marcano gli assi di porte e finestre e gli altri elementi caratterizzanti l’elevato, quali zoccolature, basamenti, cornici marcapiano, cantonali, ecc. Questa preliminare presa di visione condotta attraverso schizzi schematici è parte fondamentale del percorso conoscitivo per dar successivamente corso ad una lettura di maggior dettaglio occorrente per sviluppare in modo adeguato il progetto di restauro architettonico, laddove entrano in gioco gli aspetti qualitativi sui materiali, sul colore e, soprattutto, sullo stato di conservazione delle singole parti. L’importanza di recuperare la pratica del disegno a mano libera della fabbrica o degli elementi plastici e decorativi osservati è duplice sia – come ovvio - per fissare i capisaldi e i punti di appoggio per la successiva restituzione grafica a tavolino, sia per quanto concerne la personale e puntuale lettura da parte

28 Cfr., ultra, il contributo di A. Bacci.

del rilevatore dei caratteri costruttivi, materici e plastico scultorei delle superfici. Allo stesso modo sarebbe opportuno che lo stesso procedimento seguito per studiare i vari corpi di fabbrica componenti l’edificio riguardasse ogni altro particolare architettonico, ritenuto significativo per delineare e descrivere la natura costruttiva stessa della fabbrica, per leggere la tessitura e la composizione stratigrafica dei materiali sia in pianta che in elevato. Questo tipo di approccio manuale, meticoloso e attento della realtà percepita, è venuto gradatamente meno nel tempo, sostituito fin dal primo impatto con il manufatto da una lettura meccanica per lo più affidata ai soli sistemi automatici del rilievo, generanti ‘nuvola di punti’ da rielaborare solo in un secondo momento a tavolino grazie all’impiego del Laser scanner 3D. Rilievi fortemente prestazionali in vista della rappresentazione tridimensionale e della gestione computerizzata del disegno ma non per questo sostitutivi del disegno a vista. Gli utilizzi delle nuove tecnologie di rilievo e degli strumenti informatici di supporto hanno indubbiamente aumentato le capacità di elaborazione dei dati, ma al contempo hanno allontanato il rilevatore dal contatto diretto con il manufatto. Si tratta in questa accezione di un fattore di approccio che ha da sempre costituito un momento fondamentale del percorso conoscitivo a valere a maggior ragione per il neofita posto di fronte al soggetto da studiare, all’insostituibile contatto de visu con la materia. Affidandosi totalmente agli strumenti tecnologici si rischia di inibire del tutto la capacità introspettiva personale, requisito fondamentale dell’architetto che si occupa di conservazione. Rimane quindi non sostituibile l’occasione di accostarsi al manufatto e non solo alla sua rappresentazione per saper vedere e capire l’oggetto dell’intervento, nonché per documentare attraverso lo schizzo manuale quanto è stato colto dal manufatto osservato e sul quale poter sempre ritornare in un secondo momento. L’eidotipo, come prima occasione di rappresentazione dal vero, unitamente alla fotografia di cui diremo oltre, sono strumenti primari per la comprensione del tutto, quindi per la rappresentazione e la documentazione di quanto percepito; disegno e fotografia dello stato rilevato fanno parte dunque dell’abbiccì della conoscenza propedeutica al restauro, azioni indispensabili per costruire ogni successivo progetto. Alla luce di quanto osservato per affrontare il progetto conservativo è di primaria importanza perseguire un’attenta lettura del monumento, per poi passare al rilievo architettonico particolareggiato, oggi verificabile con un rigoroso controllo metrico strumentale. D’altronde ogni successiva analisi senza un esaustivo rilievo non troverebbe un giusto riscontro inibendo un confronto diagnostico più sofisticato. Per sviluppare i necessari studi archeometrici, in modo anche da essere in grado di coordinare le varie competenze tecniche che operano nel cantiere, è dunque necessario, adottando le metodologie più opportune, traguardare il rilievo agli obiettivi del restauro che sono, è bene ricordarlo, allo stesso tempo conoscitivi e funzionali alla conservazione.

La rappresentazione di rilievo come prima pratica di restauro

La prima esperienza nei laboratori didattici parte proprio da questo assunto, del resto lo stesso incipit della disciplina moderna dall’Ottocento in poi lo dimostra con chiarezza attraverso l’operato dei suoi artefici. Per dimostrare il radicamento di tale metodo e l’ascendenza storica di tale modo nell’approcciare per conoscere e progettare si illustrano alcuni disegni pubblicati sulla rivista Ricordi di Architettura29 eseguiti per lo studio e il completamento del palazzo di Piero della Francesca a Borgo Sansepolcro, realizzati tra il 1894 e il 1895, dall’arch. Giuseppe Castellucci, profondo conoscitore delle tecniche costruttive della tradizione toscana e sensibile restauratore degli stilemi architettonici medievali e rinascimentali. (Tav. 1.1) In sintesi, si può anche ribadire come il rilievo architettonico per il restauro costituisca l’esperienza principale, imprescindibile nel percorso di studio, osservando come sia sempre il frutto di una metodologia integrata di analisi, al di là degli strumenti e delle attrezzature utilizzate. La fettuccia metrica come il laser scanner sono dunque entrambi strumenti al servizio dell’architetto per il medesimo obiettivo il quale non può però prescindere da un approccio a tutto tondo, dove la storia della fabbrica, l’analisi materica e la perlustrazione sui sistemi costruttivi fanno parte di unico processo di ricerca. Occorre sottolineare che nella tradizione dei laboratori fiorentini del restauro, fin dagli Anni ‘70, questi aspetti sono stati sempre curati con la massima attenzione: ieri, fino all’archiviazione di lucidi, radex e pellicole fotografiche; oggi, del materiale digitale prodotto. (Fig. 1.5). La molteplicità dei rilievi prodotti è stata sempre posta nel campo del restauro e della scienza della conservazione, ben prima del supporto degli strumenti informatici e della computer grafica, del designer delle interfacce utente che oggi governano l’uso del disegno nelle tecnologie più avanzate ecc., dei disegni a mano libera come un patrimonio esso stesso da salvaguardare e mettere a disposizione per ogni successivo studio che si fosse posto in essere, procedendo sistematicamente alla collocazione dei rilievi mossi e scalati indifferentemente dalla scala urbana/edilizia (Fig. 1.6) a quella architettonica fin alla descrizione, laddove presente, del particolare plastico-decorativo semmai accompagnando la documentazione fotografica con le rappresentazioni grafiche di dettaglio raccolte in planimetrie, sezioni e prospetti, all’occorrenza accompagnate da spaccati assonometrici e modelli plastici (Fig. 1.7), per la migliore comprensione dei caratteri costruttivi. L’esperienza di oggi deriva dalla conoscenza degli studi condotti nel passato. (Tav. 1.2) Non meno importanti sono i più recenti sviluppi del rilievo applicato allo studio dei materiali, delle superfici, dei cromatismi. In particolare, lo studio del colore nell’analisi compositiva del costruito storico ha assunto una propria e distinta centralità nell’ambito della conservazione dei valori identitari dell’architettura. Tuttavia, un tal genere analisi non deve tuttavia limitarsi a considerare il problema delle corretta distribuzione delle cromie bensì affrontare, più in generale, il problema della conservazione

29 Cfr. Castellucci G. (1894-95), S. Sepolcro - Palazzo di Piero della Francesca, oggi Collacchioni (dis. dello stato attuale e completamento facciata), in “Ricordi di Architettura” (Vol. IV – Serie II (1894-95), Tav. 32, Firenze.

delle superfici dell’edificato storico e il recupero della tradizione costruttiva. La ‘nostra’ cultura tecnica per molti decenni ci ha portato ad immaginare severi e monocromi edifici monumentali al punto da alterare del tutto la realtà assai più colorata delle più importanti realizzazioni del passato. I grandi edifici storici sono stati per secoli il luogo in cui sperimentare nuove soluzioni compositive, tecnologiche e decorative successivamente trasferite all’edilizia corrente. Inoltre, esiste una simbiosi ambientale tra le superfici plastiche e decorate pittoricamente e lo spazio architettonico, laddove arte ed architettura si completano proprio nelle correlazioni cromatiche. Le superfici decorate e le superfici istoriate e dipinte delle pareti fanno dunque parte integrante di questo processo compositivo e devono essere studiate in modo indistinto l’una per l’altra, anche se i processi storici di trasformazione possono averle disgiunte, ‘decontestualizzate’ o ‘deoggettivate’. Compito del restauro sarà quello di eliminare, una ad una, le parti spurie, le sgrammaticature e l’improprietà lessicali eventualmente presenti nei pregressi trattamenti delle superfici intonacate e pitturate, ristabilire i giusti rapporti, le giuste correlazioni con i testi originali, ricomporre le lacune compositive e risanare le incongrue modificazioni ambientali determinatesi nel tempo nelle diverse cause quali esse siano, antropiche o naturali. Occorre però ricordare che «il colore in architettura è una materia di studio trasversale, se consideriamo i vari settori applicativi che principalmente qualificano la disciplina come arte visiva plastica» (Centauro G.A, Grandin N.C. 2013, p.5). Da questo punto di vista la corretta scala di intervento del restauro del colore può riguardare l’ambito strettamente architettonico del monumento come pure, diffusamente, la scala urbana, ponendo il restauro delle superfici al centro delle attenzioni propedeutiche al restauro del paesaggio.

La fotografia nel restauro: un bagaglio culturale e metodologico della Scuola Fiorentina

In una recente mostra curata dalla Biblioteca di Scienze Tecnologiche /Architettura dell’Università di Firenze30 si è ripercorso attraverso documenti fotografici conservati nell’Archivio Fotografico di Restauro (AFR) l’incipit negli anni ’60 del “restauro come scienza” (Gurrieri F. 1981, pp. 7-12) pienamente

30 Fotografie da una città in restauro - Sanpaolesi e la ‘Scuola Fiorentina’ negli anni Sessanta (mostra a cura di G. Frosali, F. Faga, L. Patriarca, G. Vignarelli, 9 Ottobre 2019 – 8 Novembre 2019).

personificato dal prof. Piero Sanpaolesi, riconosciuto fondatore della Scuola Fiorentina del restauro. E proprio dalla fotografia che documenta doviziosamente alcuni dei suoi interventi, prima e dopo le lavorazioni, cogliamo i caratteri distintivi del suo peculiare percorso di didatta e di grande ricercatore, nonché di conservatore istituzionale. Si tratta di aspetti che hanno, più in generale, segnato gli indirizzi metodologici della disciplina moderna e, a Firenze, rappresentato un sicuro riferimento per tutte le successive attività didattiche. Del resto, la fotografia è stata per il professore un mezzo di introspezione, un selettore informativo privilegiato per condurre analisi preventive e ben ponderare i risultati ottenuti dopo gli interventi effettuati vuoi di consolidamento, di integrazione e messa in pristino dei monumenti. I documenti fotografici di quegli anni ci mostrano esattamente le lavorazioni seguite per eseguire l’integrazione di una mancanza o il rifacimento di una porzione di modanatura perduta e con esse il significato stesso del riordino formale degli apparati decorativi e degli elementi architettonici di una facciata monumentale assicurato dal restauro. È stato detto che «esistono due modi per intendere la fotografia per il restauro: come fonte o come strumento, ambiti i cui confini sono tuttavia labili e a volete sovrapponibili».31

Ecco, possiamo affermare che questo modo di accostarsi al restauro costituisca il segno distintivo della Scuola Fiorentina che ha contraddistinto l’esercizio disciplinare, ma anche la prima tangibile esperienza del neofita della materia a fronte degli insegnamenti ricevuti, passando la mano da docente a docente. Si può dire che la fotografia nel restauro sia andata ben oltre gli epocali cambiamenti tecnologici vissuti negli ultimi trent’anni, mantenendo inalterata la sua principale prerogativa documentale, passando dalla fotografia analogica a quella digitale. D’altronde la scienza applicata alla conservazione passa oggi soprattutto attraverso la ‘diagnostica per immagini’ e gli approfondimenti tecnici ad essa associati, e non meno importanza ha avuto l’assetto documentario che esso pure ha vissuto nel tempo radicali cambiamenti, passando dall’archiviazione di pellicole e provini, alla scansione delle immagini seguendo procedure sempre più sofisticate nelle metodiche di raccolta e gestione dei dati (data collection) e nell’elaborazione e trattamento informatizzato. L’archivio fotografico della Sezione di Restauro di Firenze riveste ormai da anni un ruolo fondamentale anche per la sua valenza documentale a cominciare proprio dalle fotografie di Sanpaolesi che sono fonte importante d’informazione, cosicché oggi possiamo ripercorrere molti degli interventi di quegli anni con dovizia di particolari, fornendo al contempo un ampio resoconto circa i procedimenti seguiti nelle lavorazioni per il restauro dei materiali nei diversi cantieri condotti in molteplici ambiti geografici che oggi, attraverso i sistemi di georeferenziazione e trattamento dati possono essere utilmente sovrapposte alle immagini e ai grafici odierni in una sorta di ideale monitoraggio a ritroso. (Tav. 1.3)

La quotidiana esperienza di studiosi della architettura ci ha insegnato come in realtà, la conoscenza che abbiamo degli edifici, anche quelli più noti, è troppo spesso assai generica e sommaria. Questa generale

31 Bartolozzi A., Sarzotti M. 2012, pp. 431-440. Si veda anche: Belli G. Fanelli G., Maffioli M., Mazza B. 2000, pp. 72-74.

pagina a fronte

Fig. 1.5 Rossi P.A. 1971, prospettiva analitica della struttura (UNIFI AFR, 0347.29)

Coro e Cupola di SS. Annunziata a Firenze, in Collana Rilievi Architettonici (dir. da P. Sanpaolesi) 3, Nistri Lischi Ed., Pisa

Fig. 1.6 Basilica di Santo Spirito, ricostruzione della struttura brunelleschiana

(modello plastico di P. Roselli, O. Superchi 1977) (AFR, 1154-18)

Fig. 1.7 Roselli P. 1974, Rilievi per isolati, tavv, XXI-XIV), in Sanpaolesi P. 1974, Firenze.

Studi e ricerche sul centro antico, vol. 1. L’ampliamento della cattedrale di Santa Reparata, le conseguenze sullo sviluppo della città a nord e la formazione della piazza del Duomo e di quella della SS. Annunziata, Nistri-Lischi Ed., Pisa (AFR, ds-4167)

•Fig. 1.8a Planimetria generale del complesso di San Lorenzo e Cappelle Medicee

Originale in scala 1/200

Fig. 1.8b Pianta della chiesa

Originale in scala 1/100 (AFR)

Figg. 1.8c, 1.8c1 Planimetrie del piano interrato (in alto) e del sottotetto (in basso)

Originali in scala 1/100 (AFR)

pagina a fronte

Figg. 1.8d, 1.8d1 Sezioni trasversali in navata (in

alto) e al transetto (in basso), originali in scala 1/100 (AFR)

Figg. 1.8e, 1.8e1 Sezione prospettica del retrofacciata (in alto) e sezione longitudinale ovest (al centro),

originali in scala 1/100 (AFR)

Fig. 1.8f

Prospetto laterale, originale in scala 1/100 (AFR)

carenza degli studi storici è da imputarsi, tra le altre cose, alla mancanza di un’adeguata documentazione grafica, cioè di rilievi attendibili sia da un punto di vista metrico che da quello, non meno importante, dell’interpretazione e rappresentazione dei materiali, della decorazione, ecc. (Roselli P. 1978, in Centauro G.A. 2012, p.16).

In questo senso, l’archivio fotografico, a cominciare da quello ideato e perseguito da Piero Sanpaolesi e dai suoi proseliti, è da considerare come una pietra miliare.

Dobbiamo pensare che ancor oggi non conosciamo esattamente la quantità degli edifici progettati e costruiti da Filippo Brunelleschi, ma non sappiamo neanche, per quelli di più sicura attribuzione, quale sia l’effettivo apporto del Brunelleschi stesso. Un contributo fondamentale è dato dagli studi promossi dal Sanpaolesi, un altro deriva dalla rilevazione degli edifici che sono stati oggetto dell’attività del Brunelleschi, nonché dal sistematico spoglio delle fonti documentarie /…/» (ibidem, p. 14).32

Sul piano metodologico conoscitivo, nonché per rendere omaggio al grande architetto in occasione delle ricorrenze promosse in questo 2020 dall’Opera di Santa Maria del Fiore 33, si pongono in primo piano alcuni rilievi rimasti inediti, custoditi nell’AFR dell’Università di Firenze, della Basilica di San Lorenzo, foto e disegni eseguiti nel 1977/78 per le celebrazioni brunelleschiane dei 600 anni dalla nascita34 (Figg. da 1.8a a 1.8f). Ed ancora, per dar conto di studi più recenti inerenti all’opera del grande maestro fiorentino si propone un estratto delle ricerche condotte in occasione di tesi di laurea di specializzazione sulla cappella Barbadori - Capponi nella chiesa di Santa Felicita a Firenze.35

32 Si veda, più in generale, l’ampia trattatistica sugli studi brunelleschiani condotta dal prof. Roselli. Si rimanda a: G.A. Centauro, Laboratorio di Restauro. Scritti vari e lezioni (1977/83 - 2012) …, op. cit., p. 16. 33 In questo anno si celebra la ricorrenza dell’avvio dei lavori alla Cupola di Santa Maria del Fiore. 34 G.A. Centauro, O. Superchi, Basilica di San Lorenzo, Rilievo metrico e restituzione grafica (disegni a china), in Comitato Nazionale per la celebrazione del VI Centenario della nascita di Filippo Brunelleschi, Commissione Rilievi, coordinatore Piero Sanpaolesi, Rilievo della Basilica di S. Lorenzo, (coordinatore responsabile Piero Roselli), rilevatori arch. Giuseppe A. Centauro, Orietta Superchi, Firenze 1977-1978. 35 Cfr., ultra, il contributo di M. Castellini.

Gli accertamenti diagnostici

L’indagine visiva diretta non può sempre compensare il quadro conoscitivo necessario per delineare tutti i processi evolutivi che hanno accompagnato la storia della fabbrica e gli aspetti costruttivi che la caratterizzano allo stato attuale, è quindi necessario procedere in modo più dettagliato indagando su strutture e superfici, mettendo in luce ogni ambito murario, rivestimenti e apparati decorativi, puntualizzando sul tipo delle finiture, natura e composizione di intonaci, ecc. Occorre al bisogno condurre ispezioni analitiche specialistiche con rilievi mirati e, soprattutto, per quanto riguarda lo stato di conservazione provvedere ad ulteriori accertamenti diagnostici. L’approccio alla diagnostica architettonica non è tuttavia solo specialistico e, più in generale, fa parte dell’esperienza di un ‘attento’ architetto conservatore. Il riconoscimento e la rappresentazione dei fenomeni accertabili in via preliminare per stabilire l’ordine costruttivo, le patologie e il degrado del manufatto comporta un’attenta verifica e perlustrazione delle superfici quali indicatori privilegiati per segnalare le eventuali morfologie del dissesto, il plesso fessurativo e le forme di alterazione più manifeste. Unitamente alla rappresentazione grafica dei materiali e degli elementi finiti che compongono l’edificio l’accertamento conoscitivo dovrà attendere alla lettura delle loro distribuzione in via topografica su elevati e orizzontamenti, mutuando le procedure di accertamento dalle metodologie archeologiche, attraverso l’individuazione di porzioni omogenee e coeve di tessiture murarie, procedendo alla cosiddetta analisi per “Unità Stratigrafiche Murarie” (U.S.M.), analoga operazione dovrà farsi per le superfici nella scomposizione per “Unità Stratigrafiche di Rivestimento” (U.S.R.). Nel primo, come nel secondo caso, per operare uno screening completo l’approccio per la conservazione dovrà correlare nel miglior modo possibile quanto osservato alla natura costruttiva della fabbrica per stabilire correttamente insieme alla cronologia delle fasi edificatorie, o dei restauri pregressi, le relazioni di causa effetto instaurate dalle patologie osservate. Per eseguire una scansione pianificata con foto digitali delle superfici a facciavista o di porzioni non direttamente osservabili (coperture, ecc.), di grande utilità e al fine di operare una rappresentazione di dettaglio delle aree indagate, è risultato l’impiego di droni fotografici (APR).

•Figg. 1.9, 1.10 Mosaicatura di termogrammi (a sinistra) e assemblaggio di foto a luce radente (a

destra). Abbazia di S. Michele Arcangelo in Passignano, parete del refettorio con dipinti di Domenico Ghirlandaio, indagini diagnostiche di G. A. Centauro 2012

Per il rilievo di elementi plastico-architettonici si possono oggi impiegare con facilità tools con software avanzato, con marchi registrati del tipo Agisoft PhotoScan©, che si basano sulle tecniche fotogrammetriche per l’acquisizione di dati metrici mediante l’elaborazione di coppie di foto stereometriche. Da questo punto di vista, non meravigli il fatto che per la produzione di ortofotopiani sia attraverso l’impiego di droni a pilotaggio remoto sia servendosi di comuni programmi di elaborazione delle immagini, pur rientrando tra gli strumenti del rilievo e della rappresentazione/ restituzione grafica, si considerino piuttosto come applicazioni diagnostiche ‘non invasive’, a supporto dell’indagine visiva. Si tratta di settori in continua evoluzione tecnologica, ormai entrati a far parte dell’uso comune per studenti, tecnici e professionisti del settore. Grazie alla Termografia architettonica (TMV) 36 metodica analitica che interagisce con il campo osservato in modo non invasivo in virtù del diverso comportamento termico dei materiali in opera registrabile dallo strumento, consente di ottenere termogrammi in “falso colore” o in “bianco/ nero” relative alle superfici coperte da intonaci (che fungono da ‘cartine tornasole’ rispetto ai materiali del substrato che sono a contatto) ed accertare per la parti non visibili all’osservazione diretta, la caratterizzazione dell’apparecchio murario mettendo in evidenza, oltre alla diversa tipologia dei materiali, la presenza di discontinuità tessiturali, presenza di aree di rifacimento, l’andamento di fratture e lesioni, ispessimenti di intonaci, distacchi e spanciamenti occulti, come pure accertare l’inclusione nelle murature di elementi architettonici nascosti, obliterati nel corso del tempo, di tamponature, ecc. A dimostrazione delle potenzialità introspettive di tale approccio, si illustra il risultato dell’esame diagnostico in TMV che mette in evidenza la tessitura muraria della parete affrescata da Domenico Ghirlandaio nel Refettorio dell’Abbazia di San Michele Arcangelo a Passignano, mosaicatura di termogrammi messa in relazione con rilievo fotografico a luce radente della superficie dipinta dell’Ultima Cena che occupa l’area centrale sotto i capitelli per l’intera estensione della scena. (Figg. 1.9, 1.10)

36 «La termografia architettonica è un’indagine diagnostica specialistica che ha un ambito d’applicazione pressoché illimitato e polivalente, definito dai diversi obiettivi che possono variamente porsi per indagare sullo stato di conservazione e integrità di strutture edilizie, per stabilire la composizione e la tessitura muraria o la presenza di discontinuità o vacuità nelle varie murature, o per accertare la coibenza delle murature esterne ed anche eventuali carenze o disfunzioni negli impianti di riscaldamento al fine di ottemperare alle esigenze oggi imposte da un razionale utilizzo delle fonti energetiche, ecc.» (dal manuale d’uso E.DI.TECH di M. Seracini, ivi: G.A. Centauro 1988, Diagnostica architettonica, Firenze).

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