Esperienze di conservazione e restauro | Giuseppe Alberto Centauro

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a cura di giuseppe alberto centauro

Esperienze di conservazione e restauro Didattica, ricerca, gestione dati e progetto


La collana Ricerche di architettura, restauro, paesaggio, design, città e territorio, ha l’obiettivo di diffondere i risultati della ricerca in architettura, restauro, paesaggio, design, città e territorio, condotta a livello nazionale e internazionale. Ogni volume è soggetto ad una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata al Comitato Scientifico Editoriale del Dipartimento di Architettura ed al Consiglio editoriale della Firenze University Press. Tutte le pubblicazioni sono inoltre open access sul Web, favorendone non solo la diffusione ma anche una valutazione aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. Il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze e la Firenze University Press promuovono e sostengono questa collana per offrire il loro contributo alla ricerca internazionale sul progetto sia sul piano teorico-critico che operativo.

The Research on architecture, restoration, landscape, design, the city and the territory series of scientific publications has the purpose of divulging the results of national and international research carried out on architecture, restoration, landscape, design, the city and the territory. The volumes are subject to a qualitative process of acceptance and evaluation based on peer review, which is entrusted to the Scientific Publications Committee of the Department of Architecture (DIDA) and to the Editorial Board of Firenze University Press. Furthermore, all publications are available on an open-access basis on the Internet, which not only favors their diffusion, but also fosters an effective evaluation from the entire international scientific community. The Department of Architecture of the University of Florence and the Firenze University Press promote and support this series in order to offer a useful contribution to international research on architectural design, both at the theoretico-critical and operative levels.




a cura di giuseppe alberto centauro contributi di giuseppe alberto centauro giorgio caselli marta castellini silvio van riel irene centauro david fastelli andrea bacci francesco masci luca brandini

Esperienze di conservazione e restauro Didattica, ricerca, gestione dati e progetto


Il volume è l’esito di un progetto di ricerca condotto dal Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. La pubblicazione è stata oggetto di una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata dal Comitato Scientifico del Dipartimento DIDA con il sistema di blind review. Tutte le pubblicazioni del Dipartimento di Architettura DIDA sono open access sul web, favorendo una valutazione effettiva aperta a tutta la comunità scientifica internazionale.

in copertina Omaggio a Filippo Brunelleschi per i 600 anni dell’apertura del cantiere della Cupola di Santa Maria del Fiore. Firenze, Basilica di San Lorenzo. Sezione al transetto, particolare (rilievo di G.A. Centauro, O. Superchi, 1977).

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Federica Giulivo

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2020 ISBN 978-88-3338-113-8

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


indice

Nota del curatore Giuseppe Alberto Centauro

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Premessa 21 Giuseppe Alberto Centauro Introduzione 27 Giorgio Caselli

Conservazione e restauro: aspetti disciplinari Giuseppe Alberto Centauro

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Il restauro, gli architetti, il progetto conservativo e la valorizzazione

36

Il percorso formativo

46

L’approccio al restauro architettonico

54

Breve profilo storico evolutivo

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Lineamenti disciplinari

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Esperienze dal mondo della didattica

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Approfondimenti. La definizione di un palinsesto di studi per il restauro Giuseppe Alberto Centauro, Margherita Pelosi

91

Approfondimenti. L’indagine scientifica tra conservazione e ricerca: Il caso della Cappella Barbadori-Capponi nella Chiesa di Santa Felicita Marta Castellini

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Approccio al restauro strutturale Silvio Van Riel

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La conoscenza della struttura architettonica

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Il consolidamento strutturale

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esperienze di conservazione e restauro • giuseppe alberto centauro

Diagnostica architettonica e monitoraggio Irene Centauro

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Il ruolo della diagnostica per il restauro architettonico

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Tecniche analitiche per i materiali lapidei naturali e artificiali

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Sviluppi e prospettive future

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Normative di riferimento

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Gestione e analisi dati per il patrimonio architettonico David Fastelli

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Problematiche e nuove prospettive

153

Business Intelligence per i Beni Culturali: flusso di lavoro ed elaborazione dati

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Applicazione della BI per il patrimonio architettonico: il caso-studio dell’Oltrarno

159

Normative di riferimento

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Rilievo urbano e architettonico per il restauro Andrea Bacci

165

Le attività nei laboratori didattici

167

Le metodologie

169

Lo studio delle fenomenologie urbane

172

Il rilievo del manufatto architettonico

175

L’importanza del metodo

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Dallo studio al progetto di restauro Francesco Masci

201

L’esperienza didattica

203

Il progetto conservativo

205

La riabilitazione funzionale

211

L’analisi dei valori

213


indice

Procedure e normative nel restauro Luca Brandini

235

Riferimenti normativi e aspetti culturali, storici del progetto

235

Cenni normativi sui “livelli di progettazione�

242

Il progetto di restauro in relazione agli aspetti normativi e qualitativi

245

Epilogo 249 La decostruzione della disciplina del restauro Giuseppe Alberto Centauro

251

Apparati

255

Bibliografia generale a cura degli autori

257

Referenze grafiche e fotografiche

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Ringraziamenti 283 Elenco studenti

284

Brevi note curriculari degli autori

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Esperienze di conservazione e restauro

Didattica, ricerca, gestione dati e progetto a cura di giuseppe alberto centauro

contributi di giuseppe alberto centauro, giorgio caselli, marta castellini, silvio van riel, irene centauro, david fastelli, andrea bacci, francesco masci, luca brandini



nota del curatore Giuseppe Alberto Centauro

Università degli Studi di Firenze

Per cominciare: alcune note sulla didattica a distanza per emergenza da coronavirus Nel trascorso mese di febbraio la presente opera monografica incentrata sulle esperienze della didattica nel restauro poteva dirsi già sostanzialmente ‘chiusa’. Restava da montare il “pre-impaginato-blind” richiesto per il referaggio per poi condurre gli ultimi aggiustamenti in attesa di avviare la fase compositiva finale per essere in grado di pubblicare il libro per l’inizio dell’A.A. 2020/2021. Del resto, le esperienze condotte nel triennio 2017-2019 selezionate e monitorate per dar conto delle dinamiche dell’insegnamento di una disciplina, quale il restauro nell’architettura, in continua evoluzione dialettica con il contesto sociale, politico, amministrativo e, soprattutto professionale, era principalmente orientata a mettere al centro del dibattito alcune problematiche particolarmente avvertite nella conduzione stessa del percorso formativo dei futuri architetti. Questo primo semestre del 2020-2021 ha però avuto – come ben sappiamo – un risvolto del tutto inatteso e drammatico a causa del deflagrare dell’infezione da COVID-19. L’effetto del virus SARSCOV2 si è fatto pesantemente sentire anche nell’organizzazione dell’opera. Alla luce degli stravolgimenti prodotti nella modalità stesse introdotte con la didattica da svolgersi sostanzialmente ancora a distanza, l’impatto è stato ‘dirompente’ quel tanto da mettere persino in dubbio l’opportunità di tracciare le esperienze pregresse, svolte prima di questi eventi, come punti di riferimento per la definizione dei programmi dei prossimi laboratori. Infatti, molti e radicali erano i fattori destabilizzanti rispetto all’impalcato del volume che si sarebbe dato di lì a poco alle stampe. Sarebbe forse stato più opportuno guardare al cambiamento in atto e misurare le esperienze didattiche nel restauro in maniera diversa, magari valutando nel tempo gli effetti producibili dal distanziamento messo in atto e dal diverso modo di guardare ai giacimenti culturali anche in chiave di analisi e fruibilità futura. Pur tuttavia, il 31 gennaio scorso con la dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria semestrale (recentemente prorogato dal Cdm fino al febbraio 2021) al fine di contrastare adeguatamente il diffondersi epidemico della infezione da coronavirus, nessuno avrebbe immaginato che nel giro di tre mesi si sarebbe rovesciata un’onda così devastante sull’intera nazione nell’inevitabile condivisione pandemica di dimensioni planetarie. Il mondo della scuola e quello universitario in particolare sono stati tra i settori maggiormente toccati dal prolungamento del lockdown connesso con i vari provvedimenti addotti per ragioni di tutela sanitaria e dal procrastinarsi di misure di prevenzione e controllo di sicurezza. E, facendo un parallelo letterario, come ogni tempesta di sabbia ammanta e ricopre qualunque cosa che sta al disotto fino

pagina a fronte Plesso didattico di Santa Teresa Un’aula di laboratorio dopo l’emergenza da coronavirus


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esperienze di conservazione e restauro • giuseppe alberto centauro

a far sparire i contorni stessi della realtà percepita, così i provvedimenti ministeriali hanno prodotto un corto circuito riducendo ai minimi termini quello che ritenevamo consolidato nelle più consumate consuetudini del condurre la didattica, del fare ricerca. Gli stessi sistemi di comunicazione interpersonale sono apparsi inapplicabili e persino obsoleti soppiantati dallo smart working resosi necessario alla luce delle esigenze di marcare il distanziamento. Oltre la pandemia si è mostrata l’inadeguatezza degli strumenti ordinari del fare didattica fin allora utilizzati. La scarsa attitudine a ricorrere all’e-learning nell’esercizio corrente della didattica è subito apparsa, al di là dell’emergenza, come un handicap grave al quale dovere porre rimedio. Ma il problema non era, com’è stato ben dimostrato dopo poche settimane di sperimentazione, quello dell’utilizzo allargato delle piattaforme informatiche da parte del sistema scolastico, bensì quello legato ai contenuti della didattica. Non è stato quindi, se non in minima parte, un problema di aggiornamento tecnologico e di un più sapiente e consapevole ricorso agli strumenti relazionali di rete. Le attività dei laboratori di architettura hanno ragione di svolgere la loro funzione se condivise a diretto contatto con il contesto al quale sono rivolti sia analiticamente che progettualmente. Si dice da più parti che una volta passata l’emergenza tutto tornerà come prima, anzi migliorato da un punto di vista dell’efficienza e dell’economia di scala, ma non sarà esattamente così. Del resto, il rischio tangibile del propagarsi del contagio in attesa degli antidoti andava rivoluzionando anche il nostro stesso modo di vivere, di abitare, di stare con gli altri e, più in generale, di muoversi in città e sul territorio. È forse presto per dirlo, ma come gli esperti presagiscono: “niente sarà più come prima”. Per quanto poi preme qui trattare, questo forzoso cambiamento a livello sociale, reso di colpo come l’unico scenario possibile, andava minando l’assetto stesso dell’insegnamento nei fondamenti della didattica in presenza, ben oltre i presunti demeriti di praticare nei corsi di studio conduzioni dal ‘sapore antico’. Queste prassi sono già adesso nel mirino e rischiano di essere incasellate come anacronistiche incrostazioni del passato. Spazzando brutalmente via i modi tradizionali dell’approcciare agli argomenti, la modernizzazione (leggasi “virtualizzazione digitale”) è assicurata non tenendo, tuttavia, nel dovuto conto che in discipline come il restauro sono proprio quelli della trasmissione diretta dei saperi, dei rapporti ad personam tra docente e discenti, i punti di forza sui quali gli allievi possono costruire al meglio le proprie esperienze e competenze, individuali e in totale autonomia critica. Così facendo sarebbero inoltre venute meno gran parte delle osservazioni qui poste al centro della riflessione sulle questioni metodologiche. Ancora una volta non si tratta di puntare il dito sui nuovi strumenti della comunicazione quanto piuttosto sui metodi che l’uso ‘totalizzante’ ed indiscriminato delle nuove tecnologie possono negativamente determinare. C’è da dire che, oltre al distanziamento imposto dall’emergenza, pesano le criticità avvertite nel settore disciplinare, emerse ancor prima del lockdown. Infatti, è mutato, o sta rapidamente mutando nella società di questo primo ventennio del XXI secolo, il radicamento ai luoghi da parte delle comunità insediate e con esso la percezione degli indicatori culturali da salvaguardare (già fortemente condizionati dalla globalizzazione). Il periodo post pandemico che in parte stiamo già attraversando mette in


nota del curatore

evidenza la fragilità delle relazioni instaurabili con le permanenze del patrimonio culturale e la storia, con l’analisi dei valori e il rapporto ecosistemico con l’ambiente. E, per quanto attiene all’esercizio della didattica nella sua pratica attuazione, da sempre basata sul confronto diretto tra il maestro e l’allievo, è anch’esso mutato. Le esperienze didattiche nel campo del restauro annotate e commentate nelle pagine che seguono fanno dunque riferimento ad un altro modo di procedere, non certo estraneo o disattento rispetto ai cambiamenti, all’utilizzo dell’informatica, alle nuove tecnologie della comunicazione, attingendo ai modi più consolidati intorno ai quali è profondamente incardinato l’esercizio pratico dell’insegnamento e della professione. Tutto ciò può apparire oggi pleonastico, del tutto superfluo da dirsi, ma non è esattamente così perché, a distanza di soli quattro mesi dalla chiusura delle aule universitarie, molte cose sembrano già irreversibilmente mutate e niente appare più essere uguale a prima. C’è anche chi sostiene che le condizioni post pandemiche non siano così transitorie com’è stato detto in principio perché saranno ulteriormente testate ed ampliate le tecniche del webinar se non altro per ragioni gestionali, con le attività svolte in aule virtuali producendo un oggettivo risparmio di costi e di tempi, perciò avranno effetti durevoli. Ho già avuto modo di chiosare in articoli a stampa l’esperienza didattica di queste ultime settimane, specie per quanto riguarda l’e-learning, non soltanto nella conduzione ex cathedra delle lezioni a distanza che, semmai si sono rilevate anche ‘buona cosa’, evidenziano non pochi aspetti positivi, quanto piuttosto nello svolgimento delle attività dei laboratori pur supportate nel pratico svolgimento da piattaforme informatiche di interscambio ma drammaticamente private del rapporto diretto tra corpo docente e studenti. Il continuo evolversi e semplificarsi degli strumenti informatici e di connessioni in rete ha reso particolarmente efficace il ricorso al webinar come efficace mezzo di dialogo tra le parti ma non certamente in grado di sostituire le attività di laboratorio. Al di là dell’uso intelligente dello smart working in molte delle attività legate alla quotidianità, non possiamo non avvertire un profondo disagio quando si deve affrontare lo studio del testo architettonico e del paesaggio, dell’opera d’arte per il rilievo e il restauro. Tutto ciò, al di là dell’emergenza, non potrà per certo assumersi in futuro come linea preferenziale da perseguire per la didattica e per la corretta trasmissione delle conoscenze. Questo fattore incognito che al presente aleggia sopra le aule universitarie acuisce dunque le problematiche che da tempo si avvertono nel campo della conservazione e del restauro. La crescente attitudine a svolgere indagini e rilievi a distanza, anche in totale remote sensing, è ormai prassi comune, ben oltre l’utile e il necessario. L’ulteriore separazione che si preannuncia per il futuro metterà ancor più in discussione il ruolo dell’architetto conservatore, la specificità del suo lavoro persino nell’utilizzo degli strumenti specialistici del rilievo che, semmai dovesse venire meno l’analisi critica de visu sul testo architettonico, segnerebbe l’avvio di una crisi irreversibile. La pandemia, il distacco forzoso al quale siamo stati nolenti o volenti chiamati anche nella didattica rischia dunque di accelerare una tendenza già in atto che si cerca di arginare attraverso la rivalutazione dei processi analitici che coniugano la rappresentazione dei dati storici, l’osservazione e il contatto diretto con la materia da conservare. Del resto anche la progettazione nel restauro architettonico e

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esperienze di conservazione e restauro • giuseppe alberto centauro

nel paesaggio, ovvero condotta alle diverse scale dal manufatto al paesaggio urbano e al territorio, così come sembra intravedersi nella riforma ordinistica attualmente in discussione in sede di CNA che propone la soppressione delle tre figure professionali che attualmente caratterizzano la figura professionale dell’architetto, di pianificatore, di paesaggista e di conservatore, al fine, apparentemente positivo, di tornare a far convergere in un unici ruolo codificato, richiama, in mancanza di specifici curricula formativi, la necessità di un coordinamento più stretto tra l’Università e le Istituzioni laddove la stessa specializzazione si verrebbe a svuotare di contenuti per affidarsi piuttosto a criteri legati all’anzianità di servizio che alle reali competenze acquisite, magari attraverso le scuole e le esperienze universitarie di secondo e terzo livello. Per tutte queste ragioni non ci potremo affidare in futuro alla sola didattica a distanza, optando per l’autoreferenzialità dei saperi decontestualizzati da far valere surrettiziamente come le più solide basi del futuro plateau formativo, con buona pace dell’esegesi della disciplina. I protocolli d’intesa Prima di dar conto delle esperienze selezionate nell’ambito delle attività didattiche svolte nell’ultimo quadriennio attraverso alcuni approfondimenti tematici occorre ricordare che sono stati sottoscritti, sotto la responsabilità scientifica di chi scrive, alcuni accordi di collaborazione con soggetti esterni che hanno permesso di avere le giuste occasione operative e di finalizzare su obiettivi concreti le attività didattiche dei laboratori. In questo modo si sono potuti svolgere in modo proficuo i programmi di studio. Il primo Protocollo d’intesa, in ordine cronologico che, in data 30 ottobre 2015, è stato stipulato tra il Dipartimento di Architettura e il Comune di Firenze, Direzione Servizi Tecnici, Servizio Belle Arti e Fabbrica Palazzo Vecchio, rappresentato dall’arch. Giorgio Caselli, Dirigente del Servizio Belle Arti. Questa collaborazione di ricerca si è sviluppata nell’A.A. 2015/2016 con il Laboratorio di Restauro (CdLM in Progettazione dell’Architettura)1 con un’attività di studio e di ricerca didattica integrata avente per oggetto lo ‘Studio per il restauro, la riabilitazione funzionale per la conservazione futura e la valorizzazione del sistema delle mura e delle torri e spazi urbani collegati’. All’interno di questo progetto di ricerca sono state rilevate le mura, le torri e i bastioni del sistema fortificato medioevale dell’Oltrarno e non solo.2 In particolare, sono stati approfonditi i temi riguardanti le seguenti architetture: Torre della Zecca, Torre della Serpe, Torre San Niccolò, Porta San Frediano, Mura di Verzaia e Torrino di Santa Rosa, Porta San Giorgio. A seguito di questi studi sono state prodotte alcune tesi di laurea interessando sia il corso di studio magistrale (nelle due caratterizzazioni: CdL in Architettura, c.u. quinquennale, e CdL in Progettazione dell’Architettura, biennale) sia quello triennale (CdL in Scienze dell’Architettura). L’anno seguente (A.A. 2016/2017), a fronte di analogo accordo, è stato affrontato il 1 Nell’ambito dei corsi di Restauro (prof. G.A. Centauro), di Statica e stabilità delle costruzioni murarie (prof. U. Tonietti) e di Geomatica per la conservazione (prof.sa. L. Fiorini). 2 A questo progetto di ricerca ha collaborato anche il corso di restauro tenuto dal prof. R. Sabelli e il corso di Caratteri Costruttivi dell’Edilizia Storica (A.A. 2015/2016), tenuto da chi scrive.


nota del curatore

rilievo per il restauro del Forte di Belvedere, anche in questo caso il responsabile della ricerca per l’Amministrazione comunale è stato l’arch. Giorgio Caselli.3 Queste due esperienze hanno permesso, tra le altre cose, di verificare alcune metodologie di studio, mutuate dal settore archeologico, allo scopo di attuare un rilievo diagnostico integrato ai fini conservativi delle mura, procedendo congiuntamente alla lettura dei materiali e del degrado delle superfici, correlando i dati con le opportune verifiche di maggior dettaglio attraverso il rilievo congiunto, in aree campione rappresentative dei caratteri costruttivi e dei restauri pregressi. Una svolta significativa per la messa a punto delle metodologie di rilievo e di progetto si è prodotta con il Protocollo d’intesa del 6 dicembre 2017, sottoscritto ancora una volta con il Servizio Belle Arti, riguardante lo Studio per il restauro, la riabilitazione funzionale per la conservazione futura e la valorizzazione del complesso di Santa Maria Novella e Monastero Nuovo in Firenze.4 Questo accordo ha interessato l’attività del laboratorio per l’A.A. 2017/2018. Lo studio degli spazi (Chiostro Grande e Monastero Nuovo) tornati nella disponibilità dell’Amministrazione comunale ha permesso di simulare con le proposte elaborate dagli allievi del laboratorio un utilizzo ai fini museali in relazione con le proposte che gli stessi uffici comunali stavano predisponendo.5 Assegnista di ricerca: dott. arch. Andrea Bacci. Lavorando in sinergia con l’Amministrazione comunale l’esperienza didattica ha assunto il carattere di uno stage formativo avanzato, laddove anche lo svolgimento delle lezioni si è svolto in situ, producendo una ricca e documentata serie di elaborati, presentanti al pubblico a completamento dell’esperienza. Un terzo Accordo di collaborazione è stato realizzato nel biennio 2018/2019 con l’Ufficio Firenze Patrimonio Mondiale e rapporti con UNESCO, responsabile dott. Carlo Francini, in stretta continuità con il Progetto HECO6, avente per oggetto Studio ed analisi architettonica e tipologica degli edifici monumentali dell’Oltrarno, dei materiali, del degrado e del colore delle cortine edilizie per un totale di 1863 facciate, per la conservazione e valorizzazione della scena urbana del sito Firenze- Centro Storico di Con la conduzione del modulo di Geomatica da parte della prof.sa V. Bonora. (Ex art.1) «Nello specifico, i temi di approfondimento nell’ambito del più esteso studio del complesso di Santa Maria Novella, riguarderanno i corpi di fabbrica già facenti parte dell’ex scuola dei Marescialli e dei Brigadieri di Firenze, oggi nella disponibilità dell’amministrazione comunale dopo il trasferimento in altra sede della scuola. In particolare, le aree interessate per gli approfondimenti di rilievo e progetto riguarderanno le seguenti strutture comprensive degli elementi accessori, decorativi e pittorici: Chiostro Grande e spazi limitrofi; Dormitorio del Convento e refettorio; Cappella di Leone X (o dei Papi); Monastero Nuovo (ex Caserma “Mameli”)» Per la conduzione dei moduli di Statica e stabilità delle costruzioni murarie (prof. U. Tonietti) e di Geomatica per la conservazione (prof.sa. L. Fiorini). 5 L’occasione di condurre questi studi è stata propizia per accompagnare anche tirocini formativi e l’attivazione di una ricerca a carattere multidisciplinare, grazie alla collaborazione del restauratore Guido Botticelli che, in passato, aveva lavorato al restauro dei cicli pittorici in Santa Maria Novella, estendendo i rilievi architettonici allo studio dello stato di conservazione delle 52 lunette dipinte che istoriano le pareti claustrali. Il ciclo pittorico del Chiostro Grande di Santa Maria Novella si qualifica di grande interesse non solo per la storia dell’Ordine domenicano quanto per la qualità dei pittori che vi hanno lavorato tra il XVI e il XVIII sec.; non in perfetto stato di conservazione richiede una grande cura e una corretta manutenzione come è emerso dai rilievi eseguiti in seno al laboratorio. 6 Centauro G.A., Francini C. (a cura di) 2017. 3 4

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esperienze di conservazione e restauro • giuseppe alberto centauro

Firenze - Patrimonio dell’Umanità’ (acronimo del progetto HECO-2). Assegnista di ricerca: dott. arch. Andrea Bacci; borsista di ricerca: dott. arch. Erica Ventrella. Con l’Arcidiocesi di Firenze sono state sottoscritte nello stesso periodo di quelle testé citate, due distinte convenzioni per lo svolgimento in comune di attività di pubblico interesse mediante accordo di ricerca (ex art. 15 della Legge 241/90) che sono andate ad interessare le attività deI Laboratori di Restauro I e II (CdL LM-4 Ciclo Unico in Architettura), rispettivamente per gli A.A. 2017/2018 e 2018/2019, quest’ultimo concluso nell’agosto 2019. La prima Convenzione, stipulata nel 2017 e conclusasi nel dicembre dell’anno successivo, ha avuto per oggetto Studi propedeutici all’individuazione delle procedure per il progetto di restauro dei seguenti edifici di culto: Santo Spirito e San Giorgio alla Costa, Santa Felicita in Piazza, San Jacopo Sopr’Arno e Santi Apostoli e Biagio. Borsista di ricerca: arch. Francesco Masci. Questi studi sono correlati con le ricerche condotte con il Comune di Firenze e l’Ufficio Firenze Patrimonio Mondiale e rapporti con UNESCO7, queste ultime dedicate a «Studi e rilievi per la conoscenza e la conservazione di fabbriche ed edifici di culto posti nella città di Firenze». Gli studi inerenti i complessi monumentali sono tuttora in corso interessando per l’annualità 2020-2021, il complesso di Santo Spirito, mentre i laboratori monitorati nel presente volume hanno riguardato, in particolare, Santa Felicita e San Giorgio, cit. Gli studi dei caratteri costruttivi e degli elementi architettonici, proseguiti come workshop anche nell’anno 2019-2020, si sono avvalsi anche della co-docenza del prof. Silvio Van Riel per gli aspetti del consolidamento strutturale e della prof. sa Fauzia Farneti per quanto concerne la storia dell’arte e l’incontro con il Barocco a Firenze e, nella fase degli studi preliminari e del rilievo, di altri importanti contributi.8 La seconda Convenzione, stipulata nel 2018, ha visto l’Arcidiocesi di Firenze, già interessata a sostenere con erogazione di propri contributi le attività didattiche e di ricerca finalizzate al rilievo per la conoscenza e studi propedeutici alla conservazione e riabilitazione funzionale di altri complessi ecclesiali Il progetto si colloca nel profilo di ricerca “Valutazione d’Impatto Patrimoniale per il Sito Centro Storico di Firenze, Comune di Firenze, Area di coordinamento amministrativa, referente del Sito UNESCO, Ufficio Firenze Patrimonio Mondiale e rapporti con UNESCO, dott. Carlo Francini. In questo caso l’obiettivo dell’attività dell’Ufficio, insieme all’Heritage City Lab (DIDA), è stato quello di promuovere un modello di valutazione d’impatto sul patrimonio a valere per il sito Patrimonio Mondiale, Centro Storico di Firenze. 8 Infatti, le esperienze didattiche condotte per queste ricerche, seguite come tutor per le esercitazioni dagli arch. Francesco Masci e Andrea Bacci, hanno contato su apporti interdisciplinari esterni che hanno accompagnato tutte le fasi di studio. Per gli studi storici, il supporto di M. Cristina François, già bibliotecaria dell’archivio di Santa Felicita in Piazza, è stato molto incisivo per la ricostruzione degli avvenimenti storici e la trasmissione delle informazioni tratte dal regesto documentale inerente alle vicende storico artistiche relative alle opere conservate (e perdute) nelle chiese di Santa Felicita e di San Giorgio alla Costa in vista di promuovere un percorso museale e una nuova ipotesi di fruizione dei beni culturali entro l’articolato progetto d’interfaccia con la chiesa e il Corridoio Vasariano passante sopra le cappelle Barbadori - Capponi e Canigiani. Per le attività diagnostiche, le lezioni intercorso dell’ing. Maurizio Seracini sono state di grande utilità per approfondire gli aspetti pratici ed applicativi dell’indagini. Per le attività di restauro, il contributo della restauratrice Daniela Valentini che stava operando interventi conservativi nella chiesa di San Giorgio alla Costa, è stato particolarmente utile ai fini didattici, consentendo agli allievi di entrare nel vivo delle attività di cantiere attraverso uno stage dimostrativo delle applicazioni. 7


nota del curatore

ed immobili di proprietà della stessa Arcidiocesi e/o di altri enti ad essa sottoposti, ubicati nel centro storico di Firenze; in particolare, hanno riguardato i seguenti edifici: Seminario Arcivescovile Maggiore di Firenze, Chiesa di San Francesco di Sales nel complesso dell’ex Conventino.9 Borsista di ricerca: dott. arch. Francesco Masci. In questo caso lo studio sui complessi monumentali si è allargato alle problematiche della riqualificazione estese all’intero quartiere di San Frediano, alle piazze del Carmine, dopo la nuova sistemazione di arredo urbano e quella del Cestello, fatta oggetto di un percorso di recupero funzionale e di valorizzazione da parte dell’Amministrazione comunale. Tirando le somme di queste esperienze di ricerca condotte in seno ai laboratori, qui soprattutto riferite all’Oltrarno, si può affermare che lo studio per il restauro dei monumenti, quali che siano le fabbriche interessate, non può essere disgiunto dall’analisi del contesto urbano, comprendente quindi l’intero corpus del costruito storico e, quindi, dal recupero delle ‘buone pratiche’ per la conservazione, prevenzione e manutenzione del patrimonio architettonico esteso, con particolare riferimento alle superfici di facciate e lastrici, laddove l’autenticità e l’integrità di materiali lapidei, apparati decorativi, intonaci e colore qualificano l’originalità e la bellezza della città.

9 Entrambe le convenzioni sono state sottoscritte per il Dipartimento di Architettura, dal Direttore, prof. Saverio Mecca, e per l’Arcidiocesi di Firenze, dall’Arcivescovo S. Em.za Rev.ma Giuseppe Card. Betori.

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premessa Giuseppe Alberto Centauro

Università degli Studi di Firenze

La cultura della tutela è un fatto storico ineliminabile che, nell’ordinamento italiano si traduce in una lunga serie di norme, e finalmente nell’art. 9 della Costituzione che a essa dà un posto rilevante tra i principi fondamentali dello Stato. Conservare e non distruggere è dunque, almeno in Italia, anche un tema della legalità. (Settis S. 2014, p. 56)

La scelta di Firenze come area privilegiata di studio per condurre questa raccolta di esperienze sulla didattica del restauro architettonico è dettata dalla storia stessa della città, dallo straordinario compendio ambientale che la contraddistingue fin dalle origini lungo un percorso plurimillenario che ha plasmato la sua identità urbanistica sintetizzata nel Centro Storico, quale sito riconosciuto, fin dal 1982, come Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Intorno a questo centro si agita un dibattito sul modo di intendere e attuare la categoria d’intervento del restauro che si riflette, oltre i confini della città, in una querelle mai sopita sul significato contemporaneo del ‘fare restauro’. Per tale ragione il progetto di ricerca, sviluppato nell’ambito dei laboratori di restauro del Dipartimento di Architettura, intende aprire un confronto a partire dall’esperienza fiorentina a valere per qualsiasi realtà italiana. Con questa finalità sono stati composti i contributi che si presentano in questo volume collettaneo tenendo ben ferma la centralità disciplinare del settore scientifico ICAR/19. Il restauro architettonico a Firenze tra tutela giuridica1 e interpretazioni giurisprudenziali2 Stralcio dell’Osservazione alla Variante al RU del Comune di Firenze, con testo redatto da chi scrive nel luglio 2018 per conto dell’Unità di Ricerca PPcP del Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze (coord. A. Di Cinto)

1 Il significato di “tutela giuridica” riferito al diritto costituzionale che equipara tutti i manufatti, nessuno escluso, che compongono il patrimonio architettonico e paesaggistico, riguarda sia i beni posti sotto la tutela istituzionale sia quelli riconosciuti e classificati come tali dalle comunità insediate che sono inseriti nello strumento urbanistico. Si tratta di un concetto che riteniamo essere stato oggi “dimenticato” nella redazione delle norme che si vuole introdurre per l’aggiornamento della definizione di limite di intervento da applicare al patrimonio edilizio esistente di interesse storico-architettonico e documentale. 2 Si fa riferimento al quadro giurisprudenziale dettato per il caso Firenze dal combinato effetto di recenti sentenze del Consiglio di Stato prima (giugno 2016) e della Cassazione (febbraio 2017) che ha determinato da parte dell’Amministrazione comunale l’adozione di una «Variante al RU per l’aggiornamento della definizione del limite di intervento da applicare al patrimonio edilizio esistente di interesse storico-architettonico e documentale rispetto all’innovato quadro normativo».

pagina a fronte Firenze, centro antico, ambiente urbano Scorcio prospettico da piazza della SS,ma Annunziata-via de’ Servi alla Cattedrale di Santa Maria del Fiore


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«/…/ Sul tema in questione occorre subito precisare che il Restauro rientra in modo diretto e specifico nel campo della conservazione e quindi della tutela attiva da esercitare nel trattamento dei beni architettonici e paesaggistici. Da questo punto di vista osserviamo che la declinazione urbanistica della conservazione è stata da tempo assunta e consolidata dalla prassi operativa e trova traccia nelle consuetudini applicative riferite alle categorie d’intervento del Restauro (Re) e del Risanamento conservativo (Rc), e non già della categoria Ristrutturazione (Ri) che oggi s’intende pure adattare all’inedito tipo giuridico della “ristrutturazione leggera”, al fine di soddisfare una procedura gestionale degli interventi più flessibile nel caleidoscopico insieme delle possibili attribuzioni ammissibili per la valorizzazione del patrimonio esistente. Al riguardo si esprimono tre distinte considerazioni: 1. Come prima considerazione si mette in evidenza il fatto che le risoluzioni paventate dall’Amministrazione per gestire ‘il percorso di rigenerazione urbana’ sembrano avere trascurato le caratterizzazioni intrinseche della ‘disciplina restauro’, a cominciare da quelle inerenti al dibattito storico sui destini dei centri storici e sulla corretta applicazione della “conservazione integrata” sottoscritta dal Consiglio d’Europa fin dal 1975, ovvero ancor prima che si tracciasse il Testo Unico 490/1999 per le leggi generali della tutela architettonica e del paesaggio, concetti poi ribaditi nei principi per la conservazione ed il restauro del patrimonio del costruito storico sottoscritti dalla Comunità Europea (Carta di Cracovia, 2000). Più in generale possiamo sostenere, senza tema di smentita, che il restauro e la scienza della conservazione esulano ormai da tempo dalle ristrette definizioni che si sono affermate in ambito urbanistico, fin dalla L. 457 del 1978 che confinava la definizione di “restauro e risanamento conservativo” in una mera configurazione di ammissibilità/ non ammissibilità degli interventi sulla scorta di una sfera limitata di interventi di tipo quantitativo piuttosto che qualitativo, all’opposto di quanto promulgato costituzionalmente per la conservazione legata piuttosto alla tutela del patrimonio storico e artistico. Resta tuttavia il merito della legge di allora, assai apprezzabile a quel tempo, di aver posto l’attenzione sul “riuso” al fine di promuovere il recupero edilizio piuttosto che il consumo non sempre contenibile del territorio. In questo senso la storia odierna sembra riproporre medesime problematiche in un indirizzo non tanto di riduzione del degrado ambientale (alla base della L. 457), bensì sulla scorta della valorizzazione da rendita di posizione e di messa in valore degli ‘attributi culturali’ che attengono non a tutto il costruito esistente ma, specificatamente, ai beni architettonici e del paesaggio caratterizzanti contesti urbani di antica formazione (centri storici, aree di pregio ecc.), appetibili proprio per gli attributi ad essi riconosciuti. In questa ottica era posto l’intervento di recupero/riuso del costruito esistente (un tempo riservato esteso al “patrimonio edilizio esistente”) e diversamente declinato per tipi di intervento, più o meno ammissibili in base alle valenze storico documentarie di appartenenza purché accertate e registrate in appositi elenchi di edifici e/o distinte in classificazioni di merito. Oggi, riferendosi al patrimonio edilizio di interesse storicoarchitettonico e documentale, la condizione della recuperabilità si pone esplicitamente in un’altra


premessa

dimensione che non può non riguardare la conservazione delle strutture e della forma se non marginalmente. Appare di tutta evidenza che il costruito esistente debba essere classificato in base alle valenze culturali la cui trasformazione deve essere esercitata in modo coerente e rispettoso con la natura materica e costruttiva stessa delle fabbriche storiche e dei luoghi rappresentativi dell’identità collettiva, come ben precisato nella Convenzione di Faro (Consiglio d’Europa. 2005) sull’eredità culturale per la società; e quindi accomunare le modalità di trattamento a tutti i soggetti ritenuti meritevoli di tutela, quindi non solo per gli edifici di interesse storico-architettonico e documentale inseriti negli elenchi dei beni vincolati ex D.lgs. 42/2004 (“Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”). Saranno semmai gli istruttori, così come già avviene nelle attuali procedure amministrative, a richiedere alle Soprintendenze una verifica sovraordinata per i tipi monumentali senza generare condizioni di trattamento differenziate. La città di Firenze da questo punto di vista non ha mai posto sotto stretta tutela attiva il proprio Centro Storico, seppur risultato classificato per i suoi caratteri di interesse monumentale e storico-documentale; fanno eccezione i recenti studi sul sito perimetrato dal 1982 come Patrimonio Mondiale dell’Umanità e per questo incluso nella lista dei siti UNESCO. Studi che hanno posto l’attenzione su tutto il ‘paesaggio urbano’ del centro storico, costituito dalle superfici materiche e cromatiche dell’edilizia esistente, monumentale e non, dei lastrici e la tutela istituzionale che riguarda gli edifici, pubblici e privati, le piazze ecc. in regime di vincolo. 2. Una seconda considerazione riguarda ancor più esplicitamente il caso Firenze. Si prende atto delle difficoltà odierne determinatesi a livello burocratico nel dar corso alle procedure riguardanti gli interventi nel centro storico, sul quale gravano nell’ambito della stessa definizione urbanistica di restauro, le conseguenze indotte dalla sentenza 6873 del 2017 della Corte di Cassazione. Quest’ultima, pur formulata per un caso specifico, il palazzo Tornabuoni trasformato in residence di lusso, ha introdotto un principio difficilmente aggirabile. Infatti, a seguito di quel pronunciamento, si è prima determinato in attesa di chiarimenti giuridici un blocco dei cantieri e, successivamente, una non risolta complessità procedurale, in specie nella gestione degli interventi privati laddove il cambio di destinazione veniva a prefigurare l’intervento come ristrutturazione non più motivato da esigenze di conservazione. Scavalcando in questo assunto le valutazioni derivanti dalle ragioni proprie del restauro che si sono bypassate in quanto che il restauro (disciplina) contempla pure nel suo essere anche aspetti progettuali di trasformazione purché compatibili con la qualità intrinseca dell’immobile (adeguamenti impiantistici, abbattimento delle barriere architettoniche, efficientamento strutturale, prevenzione ai fini sismici ecc.). In realtà questa sentenza, solo in apparenza di garanzia per il mantenimento dello status quo, ha prodotto effetti diametralmente opposti sia nel merito stretto del pronunciamento sia nella sua pratica attuazione, aprendo la strada alla “declassificazione” delle categorie d’intervento ai fini del rilascio autorizzativo richiesto, ovvero spostando il baricentro della questione, allargando l’ambito interpretativo della ristrutturazione, con svilimento della pratica del restauro, intesa dal legislatore in un’ottica di mero conservatorismo assai distante dalle

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metodologie proprie della disciplina. La ristrutturazione, ancorché limitata nella sua applicazione non potrà mai contemplare le attenzioni e gli approfondimenti che si richiedono per il restauro, altrimenti cadrebbero le distinzioni tra queste categorie d’intervento e le opzioni sui modi del fare o l’una o l’altra sarebbero del tutto equiparabili. In realtà il restauro, a fronte di un’attenta e motivata anamnesi storico funzionale, di un rilievo architettonico particolareggiato, contiene già alla bisogna opzioni di messa in pristino e di riuso legate anche al possibile mutamento di destinazioni d’uso. Il restauro, infatti, vive nel progetto diagnostico ed architettonico e si sostanzia nel corretto approccio a salvaguardia dei valori culturali (non feticistici) espressi dalle emergenze architettoniche sulle quali si va ad intervenire a tutela delle valenze storico-documentali, nonché nel rispetto del tessuto edilizio esistente (prevalentemente seriale o di cortina) e degli aggregati che lo compongono per le loro valenze paesaggistiche, materiche e cromatiche. Oggi, procedendo in termini dettati dalla ristrutturazione, pur ricompresa in una versione light che ne limita l’accezione e la portata, si viene ad assumere senza alcuna contropartita il rischio dell’arbitrio, della gratuità del cambiamento, venendo meno tutte le necessarie salvaguardie e l’integrità stessa del costruito storico, non più ‘esaminato’ per l’autenticità dei caratteri. Si deve ulteriormente osservare che la disposizione imposta dalla Cassazione non è sostanzialmente migliorata ai fini della tutela neppure con la sentenza del Tar Toscana che limita la possibilità del provvedimento alle sole opere che non comportano modifiche interne che anzi! evidenzia ancor più la profonda discrasia esistente tra conservazione e rinnovamento, non considerando affatto che il riordino distributivo, qualora motivato, fa anch’esso parte dell’abaco degli interventi composti per il restauro delle unità immobiliari, specialmente quando queste ultime sono state oggetto nel passato di incongrue trasformazioni, frazionamenti o accorpamenti, frutto di sopraelevazioni, saturazioni ecc. Alla luce di questa considerazione non è dunque sulla categoria restauro in sé che dobbiamo intervenire, quanto piuttosto nel considerare le valenze intrinseche delle architetture nei centri storici da salvaguardare nei valori essenziali, architettonici e paesaggistici e non già negli stereotipi tipologici e distributivi. Per tali ragioni non possiamo prescindere, per la disciplina del restauro dal considerare quanto il dibattito culturale e scientifico abbia prodotto negli anni, rifacendosi quanto meno alla Carta del Restauro del 1972 e, in particolare, all’allegato C riguardante la tutela dei centri storici. Partendo dal concetto già espresso nel 1963 da Cesare Brandi che, in chiave di conservazione, si restaura solo la materia e non la forma, resta difficile immaginare che il restauro, in quanto sottocategoria della conservazione, unitamente alla prevenzione e alla manutenzione (ex Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, cit.), equivalga tout court alla ristrutturazione (così com’è declinata nell’eccezione normativa che s’intende introdurre). All’opposto riteniamo che il ripristino architettonico – che pure fa eccezionalmente parte del restauro (nella sua traduzione urbanistica) – non possa prescindere dall’esigenza del riordino funzionale e distributivo degli immobili da sanare, laddove alterazioni non congrue, arbitrarie e difettose possono aver prodotto fenomeni di impropria modificazione. Il restauro, anche alla scala


premessa

urbana, prende dunque forma e sostanza dalla conoscenza, dalla storia, dal rilievo strutturale e materico dell’organismo architettonico e dalla morfologia delle aggregazioni edilizie che non sono predeterminate e congelate nel loro status attuale, come qualcuno ha la volontà di far credere. Si tratta di fattori, che, definiremo piuttosto come naturali variabili dell’evoluzione costruttiva e della modernizzazione dell’edificato che non possono essere compressi e contraddistinti da demarcazioni lineari che si riflettono solo sull’astrattezza schematica della tipologia per avere i requisiti dell’ammissibilità. D’altronde una chiara dimostrazione di tale evidenza è rappresentata oggi dal restauro post sismico e dalla stessa necessità di mettere in sicurezza preventivamente le strutture murarie tradizionali, laddove la querelle tra miglioramento e adeguamento a contrasto del rischio sismico ne offre una palese dimostrazione. È dunque non solo ammissibile, ma anche necessario, intervenire a migliorare la staticità e la natura costruttiva degli edifici laddove se ne ravvisassero fattori di degrado, patologie e difetti costruttivi palesi, non a discapito del rafforzamento degli apparati murari tradizionali. Non altrettanto può dirsi nell’ambito del cambio di destinazione che evidentemente attiene ad altro tipo di utilità funzionali, o di motivazioni strategiche, come pare suggerire il gruppo di lavoro fiorentino a giustificazione dei cosiddetti processi di ‘rigenerazione urbana’. Piuttosto che generalizzare la definizione del limite di intervento da applicare al patrimonio esistente, sarebbe preferibile precisare, se l’obiettivo è la ‘rigenerazione’ (sul concetto di tale locuzione osserveremo più avanti), predeterminare le situazioni eccezionali per le quali si ravvisano, definendone i piani attuativi, procedure speciali di intervento, dichiarandoli preventivamente in un processo di confronto democratico e di partecipazione dei soggetti sociali coinvolti. 3. Come terza considerazione riteniamo che non possa essere dunque la giurisprudenza, attraverso una sentenza passata in giudicato per un caso specifico, come pure si evidenzia nella sentenza postuma del Tribunale Amministrativo Toscano, a sancire la regola generale attraverso la quale gestire il futuro dei centri storici. La mera estensione del caso particolare al piano generale è da giudicarsi come scelta impropria, se non addirittura azzardata, in quanto introduce fattori di imprevedibilità che altresì dovrebbero essere attentamente valutati. Pericolose estensioni del diritto di tutela dei beni architettonici e del paesaggio sono spesso contraddittorie perché si troverebbero ad essere causa/effetto di interventi ora ammissibili per la prassi urbanistica ora inammissibili per la prassi istituzionale della tutela. La proposizione del nuovo disposto normativo (nella Variante al RU) che determina a priori quali debbano essere le tipologie d’intervento autorizzabili e quali non, senza valutare nel merito le condizioni ex ante dell’oggetto sul quale si interviene può facilmente assumere caratteri di non idoneità e/o di astrattezza, al difuori del significato stesso delle parole e degli intendimenti. Infatti, il processo di trasformazione potrebbe avvenire senza avere prima definito e verificato quali siano i reali valori di autenticità ed integrità dei beni da conservare, preservare e manutenere rispetto a quelli da rinnovare, riadattare, riformare anche perché non sarebbe più necessario farlo nell’ambito della ristrutturazione.

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4. Infatti, già il citato art. 29 del D.Lgs. 42/2004, ha stabilito per i beni soggetti da tutelare che la conservazione non può essere disgiunta dalla valorizzazione, rendendo implicito il concetto che anche il cambiamento della destinazione d’uso, con o senza opere distributive interne, una volta verificata la compatibilità con i caratteri propri dell’edificio, ovvero dei valori intrinsechi di quello, rientra nelle condizioni operative contemplate nel restauro. Per non equivocare, la valorizzazione va qui intesa come operazione di precipua valenza culturale e non già, come oggi più frequentemente s’intende, di mera rendita, o di compenso finanziario rispetto all’investimento fatto (o da fare), valutato in un’ottica di monocultura turistico-alberghiera o tout court dettata dalla domanda turistica, di certo più interessata al riuso di ambiti di valore che al recupero di aree dismesse o degradate. Postilla: alcuni richiami normativi Per tornare al dibattito odierno è senz’altro utile rifarsi alla sentenza 6873 della Corte di Cassazione penale (14 febbraio 2017), rileggendo il testo emendato del testo unico del decreto del 6 giugno 2001, n. 380) di cui all’ art. 65 bis, così com’è stato varato dal Senato della Repubblica. Ad esempio, l’articolo 65-bis (Interventi di restauro e di risanamento conservativo): inserito dalla Camera – modifica il Testo unico in materia edilizia, in materia di definizione degli interventi edilizi di restauro e di risanamento conservativo, al fine di prevedere che tali interventi consentono, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, anche il mutamento delle destinazioni d’uso, purché con tali elementi compatibili nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. La disposizione modifica il comma 1, lettera c), dell’articolo 3 del D.P.R. 380/01, recante il Testo Unico in materia edilizia, che disciplina la definizione degli interventi edilizi relativi agli interventi di restauro e di risanamento conservativo. Con questo dettato normativo si prevede che tali interventi - rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità, mediante un insieme sistematico di opere – ne consentono, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, anche il mutamento delle destinazioni d’uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. La disciplina vigente prevede che gli interventi di restauro e di risanamento conservativo consentono, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, destinazioni d’uso con essi compatibili. In particolare, si ricorda che la lettera c), oggetto del testo normativo, definisce come “interventi di restauro e di risanamento conservativo”, gli interventi edilizi rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio.


premessa

Si segnala che con la recente sentenza n. 6873/2017, la Cassazione penale, nel cassare la sentenza di merito e rinviare alla Corte d’Appello, si è pronunciata sulla materia in questione, enunciando tra l’altro come il cambio di destinazione d’uso di immobili, a prescindere dei lavori, e dunque anche per interventi modesti, configura in ogni caso una ristrutturazione edilizia ‘pesante’, che richiede il relativo titolo edilizio, quale permesso di costruire. Più nel dettaglio, la Corte di Cassazione (punto 6.6.2. della sent. cit.) ha rilevato che la categoria Ristrutturazione edilizia, a fronte del più ristretto ambito di quelle del Risanamento conservativo e del Restauro, come configurate dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, e dal Decreto Legislativo n. 42 del 2004, comporta la radicale ed integrale trasformazione dei componenti dell’intero edificio, con mutamento della qualificazione tipologica e degli elementi formali di esso, comportanti l’aumento delle unità immobiliari nonché l’alterazione dell’originale impianto tipologico - distributivo e dei caratteri architettonici, ricordando che «quanto al mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie, deve ricordarsi che, qualora esso venga realizzato dopo l’ultimazione del fabbricato e durante la sua esistenza, si configura in ogni caso un’ipotesi di ristrutturazione edilizia secondo la definizione fornita dall’articolo 3, comma 1, lettera d) del cit. T.U., in quanto l’esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di “un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente», per cui l’intervento rimane assoggettato al previo rilascio del permesso a costruire (con pagamento del contributo di costruzione dovuto per la diversa destinazione) (punto 6.6.3). Inoltre, dopo aver evidenziato come non abbia rilievo l’entità’ delle opere eseguite, considerando che la necessità del permesso di costruire permane per gli interventi: • di manutenzione straordinaria, qualora comportino modifiche delle destinazioni d’uso (articolo 3, comma 1, lettera b, del cit. T.U.); • di restauro e risanamento conservativo, qualora comportino il mutamento degli ‘elementi tipologici’ dell’edificio, cioè di quei caratteri non soltanto architettonici ma anche funzionali che ne consentano la qualificazione in base alle tipologie edilizie (articolo 3, comma 1, lettera c, T.U. Edilizia), ha affermato che gli interventi anzidetti, invero, devono considerarsi ‘di nuova costruzione’, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera e, cit. T.U. (punto 6.6.4., sent. cit.); per cui, ove il necessario permesso di costruire non sia stato rilasciato, sono applicabili le sanzioni amministrative e penali richiamate dalla stessa Corte. La Corte ha poi affermato (punto 6.7., sent. cit.) che la imprescindibile necessità di mantenere l’originaria destinazione d’uso caratterizza ancor oggi gli “interventi di manutenzione straordinaria”, non avendo alcun rilievo l’eventuale frazionamento degli interventi - anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico- e affermato che ciò vale anche per gli interventi di “restauro e risanamento conservativo” (punto 6.8., sent. cit). Infine, in ordine al concetto di restauro, la Corte ha ricordato (si veda, più ampiamente, il punto 6.9

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della sent. cit.) la funzione essenzialmente conservativa e ripristinatoria rispetto al bene da restaurare (richiamando, sul punto, Sez. 3, n. 1978 del 18/06/2014, secondo cui nella categoria degli “interventi di restauro o di risanamento conservativo”, per i quali non occorre il permesso di costruire, possono essere annoverate soltanto le opere di ‘recupero abitativo’, che mantengono in essere le preesistenti strutture, alle quali apportano un consolidamento, un rinnovo o l’inserimento di nuovi elementi costitutivi, a condizione che siano complessivamente rispettate tipologia, forma e struttura dell’edificio). La pronuncia afferma quindi che, in ogni caso, gli interventi di restauro e risanamento conservativo richiedono sempre il permesso di costruire quando riguardano immobili ricadenti - in zona omogenea A, nel caso di specie all’esame della Corte - dei quali venga mutata la destinazione d’uso anche all’interno della medesima categoria funzionale. A ribadire questo concetto era intervenuto anche il Consiglio di Stato con la sentenza 2395 del 6 giugno 2016 che pare interpretare il restauro come intervento che basa la sua stessa ragion d’essere nel riportare l’edificio al suo stato primitivo (originale?), giudicando ogni qualsivoglia modifica all’impianto esistente (non solo sotto il profilo distributivo, ma anche impiantistico e funzionale come “ristrutturazione”), di certo non aiutando a fare emergere le vere ragioni della salvaguardia dei valori culturali intrinsechi o legati alla trasmissione dei valori immateriali che appartengono alla comunità insediata.


introduzione Giorgio Caselli

Conoscenza per la valorizzazione del patrimonio Un momento di riflessione sul concetto di conoscenza del nostro patrimonio culturale non è mai superfluo, specie se può contribuire all’orientamento di tutti gli operatori della disciplina che con quotidiana applicazione esercitano le proprie professionalità per la conservazione dei beni culturali di proprietà pubblica. Non può essere un caso che il dibattito contemporaneo offra continui contributi ad una questione di chiara elezione nel campo degli studi sul restauro ma che continua a mostrare, specie nella pratica concreta, ancora punti irrisolti. Pur nell’evidenza del noto postulato ‘conoscere per conservare’, da tutti riconosciuto come indiscutibile nella sua valenza dottrinale, la questione ha assunto nel dibattito odierno una distinta complessità che ogni volta si ripropone nel processo dialettico che s’instaura tra il restauratore e il manufatto sul quale si interviene. In discussione sono le ragioni stesse del cosa e del ‘come’ conoscere per intraprendere il restauro architettonico, laddove si mettono in gioco le competenze stesse, già prerogativa degli architetti, che stanno alla base dell’azione che si intende svolgere.1

Questo processo dialettico tra il restauratore ed il testo architettonico è ancor più rilevante quando si consuma all’interno di strutture tecniche pubbliche dedicate al patrimonio monumentale di proprietà di un’amministrazione di rilievo internazionale, quale quello fiorentina2. All’interno di questo specifico ambito, che coinvolge una pluralità di figure non necessariamente formate nelle facoltà di architettura, non deve risultare banale un richiamo ai precetti normativi della conoscenza, di cui non dobbiamo mai dar per scontata la giusta consapevolezza degli operatori, tenuta in debito conto, tra l’altro, la varietà di scala degli interventi: dallo scavo archeologico al ‘restauro urbano’3, che richiede un impegno critico tutt’altro che banale. 1 Centauro G.A., A. Bacci A. 2017, p. 169. Su questo argomento s’incentra la principale riflessione che sta alla base dell’articolata rassegna di studi che viene qui presentata nell’ambito delle esperienze di conservazione e restauro nella didattica. 2 Chi scrive dirige dal 2009 il Servizio Belle Arti del Comune di Firenze, preposto, all’interno della Direzione dei Servizi Tecnici dell’Ente, alla conservazione del patrimonio storico di proprietà dell’Ente. 3 Dal 2010, per la prima volta nella storia dell’Ufficio Belle Arti, la struttura del Servizio si è dotata di una posizione organizzativa denominata “restauro urbano” dedicata al coordinamento di tutte le azioni conservative riguardanti i complessi architettonici cui è stata riconosciuta una particolare rilevanza per lo sviluppo e la valorizzazione del tessuto urbanistico cittadino, dal recupero delle Murate o di reperti di archeologia industriale quali il Gasometro dell’Anconella, fino alla progettazione di piazze e giardini (quali il giardino del nuovo teatro dell’Opera di Firenze intestato a Vittorio Gui o la piazza del Carmine).


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Il Codice dei beni culturali e la stessa costituzione definiscono con chiarezza gli orizzonti di azione delle amministrazioni pubbliche. Quest’ultima, in particolare e prima di ogni altro riferimento moderno, sancisce come la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrano a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio, a promuovere lo sviluppo della cultura, infine, stabilendo il valore identitario delle nostre azioni. Gli obblighi, poi, imputati dal testo a Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni - tenuti ad assicurare e sostenere la pubblica fruizione e la valorizzazione dei beni culturali - puntualizzano la responsabilità comunitaria verso il patrimonio storico quale immenso archivio vivente della memoria culturale collettiva. La conoscenza quindi come responsabilità e dovere civico, prima che professionale, per perseguire l’unico approccio consapevole ai valori oggetto di tutela. […] la costante contrapposizione di vedute che esiste tra gli stessi tecnici progettisti circa gli obiettivi primari da assolvere nell’attuazione degli interventi, distinguendo impropriamente tra riabilitazione funzionale di una fabbrica dalla conservazione della sua integrità fisica e materica, quasi che le due cose non fossero più due riconoscibili facce di una stessa medaglia. Ad ogni modo non si tratta di ‘ripiombare’ nel consumato dibattito tra ‘rinnovamento e conservazione’ […] bensì di valutare consapevolmente quali ragioni attendono attraverso il restauro alla trasmissione dei valori da conservare e valorizzare.4

Questo evidente intento del legislatore di porre di fronte agli operatori il loro prioritario orizzonte d’azione – conoscere per conservare e comunicare i valori custoditi nel patrimonio – viene confermato nelle principali disposizione del Codice dei Beni Culturali che nel definire i concetti di tutela (individuare, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, i beni costituenti il patrimonio culturale e garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione) e valorizzazione (promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e assicurarne le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica) chiarisce l’ambito di azione delle Soprintendenze e delle Amministrazioni Pubbliche, declinando il ciclo della conoscenza dalla individuazione alla divulgazione comunitaria dei valori citati attraverso l’uso e la fruizione. Chiarito l’ambito di azione del tecnico conservatore le responsabilità ed il peso delle nostre attribuzioni emergono con drammatica concretezza, non soltanto per gli obiettivi posti dallo Stato, ancor oggi tutt’altro che soddisfatti, specie in termini di fruizione del patrimonio, ma anche per l’esigenza di garantire l’esercizio delle funzioni richieste in un patrimonio di conoscenza ancora inadeguato. Basti pensare come a Firenze, nel XXI secolo, sia ancora possibile trovarsi ad avviare importanti azioni di restauro su complessi monumentali di eccezionale valore cui una soluzione di continuità nella condizione patrimoniale (dismissione della funzione, alienazione, ecc.) ha inibito la trasmissione anche delle più elementari ‘attività conoscitive’ – quali il rilievo dello stesso testo architettonico, per esempio, o le più banali informazioni sulla dotazione impiantistica – che rende di fatto inermi le strutture 4

Centauro G.A., Bacci. A., op.cit.


introduzione

tecniche nei confronti delle responsabilità citate. Ma anche in condizioni di buona conoscenza del patrimonio, garantita proprio dal lavoro e dalla cura assicurata nel tempo dalle strutture preposte, a queste rimane comunque il compito dell’aggiornamento dei valori di conoscenza raggiunti, generalmente al di sopra delle capacità e delle energie disponibili e, finalmente, della interpretazione critica dei dati. Per non parlare del grande tema della valorizzazione, che nell’uso e nella fruizione, dovrebbe richiamare la nostra attenzione sull’esigenza di garantire ai nostri monumenti, oltre all’auspicata conservazione materica, il giusto grado di ‘comprensione’ anche fuori dai confini delle strutture museali. Quindi attività che ben lungi da esercitarsi in un contesto di conoscenza ricco e solidamente interpretato, come la disinvoltura di tanti colleghi lascerebbe intuire (perché siamo a Firenze, nella culla del saper fare artigianale ed artistico, ma anche nella patria mondiale del restauro) presuppongono un onere di riflessione critica tutt’altro che agevolato dal grado di conoscenza raggiunto, da esercitarsi in un orizzonte quotidiano di azioni che interessano il nostro patrimonio, dalla semplice organizzazione di eventi alla riabilitazione funzionale, mettendo a dura prova la sostanza metodologica degli architetti, dalla conservazione della materia alla leggibilità dei beni culturali. Non mi soffermo sull’ulteriore disagio che tutto ciò può trasmettere all’operatore o sulla concreta possibilità che le esigenze contingenti possano indurre tutti noi a deviare dai precetti disciplinari o, più semplicemente, ad un’applicazione didascalica degli stessi senza la giusta riflessione sui contenuti – prima - e gli esiti – poi - delle nostre azioni. Con l’unico concreto risultato di arginare il depauperamento fisico del nostro patrimonio (anche a costo di pesanti fraintendimenti semantici) ma, al contempo, sprecare le tante opportunità che il lavoro ci pone di fronte per favorire un confronto tra teoria e pratica che oggi appare un po’ sfibrato. Ritengo, invece, molto più utile attirare l’attenzione di tutti sul rischio, purtroppo non remoto, che un tale ‘scarroccio’ disciplinare, già diffuso trasversalmente tra tecnici e organi di tutela, possa arrivare a frenare il processo evolutivo della materia restauro, relegando ciascuno di noi alla riproposizione astratta di principi e metodi. Qualcosa di ciò si nota già oggi nei quotidiani scambi tra professionisti di varia estrazione, restauratori e funzionari preposti alla tutela dei beni, dove al confronto interdisciplinare che richiederebbe l’orizzonte di impegno illustrato pare spesso sovrapporsi la reiterazione meccanica e autoreferenziale di precetti generici e decontestualizzati. In questo contesto si origina e si alimenta nel tempo l’articolato accordo di ricerca tra il Comune di Firenze ed il laboratorio di restauro della Facoltà di Architettura fiorentina che, dal 2015, ha consentito di promuovere studi congiunti su almeno tre eccezionali episodi monumentali cittadini quali la cinta muraria, il Forte di Belvedere e la porzione del complesso conventuale di Santa Maria Novella riacquisita dal Ministero della difesa a seguito del trasferimento della Scuola Marescialli dei Carabinieri nel nuovo complesso realizzato dallo Stato ai margini dell’edificato di Castello. Il primo fondamento di questo duraturo rapporto è quindi squisitamente disciplinare, mutuato dalla convergenza critica, non scontata e tutt’altro che usuale, dei responsabili scientifici delle due strutture – una di ricerca l’altra operativa sul territorio – sul rapporto tra conoscenza e pratica disciplinare,

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fondamentale tanto ai fini della formazione delle nuove professionalità che all’accrescimento ed all’aggiornamento di quelle in attività presso il Servizio Belle Arti. Il secondo è l’approfondimento sul patrimonio, condotto con la misura e la modestia reclamata da teorici del secolo scorso, senza obiettivi eccessivamente sfidanti ma con la missione chiara di incrementare il patrimonio di conoscenza a disposizione e, soprattutto, contenerne la dispersione, in un programma di lavoro più sostenibile che privilegia prima ancora dell’aggiornamento, la sistemazione del patrimonio di informazioni acquisito. Il terzo è quello educativo, a stimolare tutti i soggetti coinvolti (dagli studenti agli architetti militanti) a quella pratica di ‘accostamento dei dati’5 che nel garantire concretamente il confronto tra il restauratore ed il manufatto storico possa incrementare anche le nostre capacità di inquadramento critico dell’intervento di restauro. Il confronto tra ricerca e pratica ha un eccezionale valore, tutt’altro che univoco. Non dobbiamo cadere nell’ingenuità di coltivare queste collaborazioni ai fini esclusivi dell’arricchimento di un percorso formativo o dell’implementazione della banca dati sul patrimonio: il rapporto tra operatore e studioso che si determina nella ricerca applicata (si pensi a quella sui restauri pregressi) costituisce una preziosa esperienza di approfondimento per lo stesso tecnico, responsabilizzato ad una rigorosa applicazione dei precetti disciplinari non solo dal ruolo ma anche dall’esigenza di cogliere l’opportunità di raggiungere obiettivi professionali concreti e, infine, stimolato ad accogliere le trasformazioni occorse al ‘dettato metodologico’ di cui parla Giuseppe Centauro6 nel suo contributo sui prolegomeni ed i lineamenti disciplinari nel restauro architettonico, immunizzandosi dalla deriva illustrata. Non è casuale, a tal proposito, che le pubblicazioni volte a raccogliere in maniera organica scritti e lezioni di docenti o esperti che in vari ambiti didattici (dallo stesso Centauro agli appunti di Marco Ciatti7), nascondano un concreto interesse professionale, proprio per inquadrare nel giusto contesto critico l’evoluzione occorsa alla disciplina. Il risultato di quasi un lustro di attività e di confronto è considerabile eccezionale non solo per i risultati conseguiti in termini di acquisizione di nuove informazioni e di sviluppo del patrimonio già a disposizione dell’ufficio, ma anche per gli esiti delle sinergie attivate nel corso dei laboratori che hanno consentito l’ingresso di studenti e laureandi, in forma di stage, nelle attività del Servizio Belle Arti ed il coinvolgimento nelle esperienze didattiche di professionalità fondamentali per la pratica conservativa – valga per tutti la figura classica del Restauratore rappresentata da Guido Botticelli – capace di dilatare l’orizzonte della riflessione con il bagaglio di esperienza applicata, in un percorso a ritroso che forse oggi più di prima può assisterci nella migliore strutturazione delle nostre azioni. 5 Devo questa espressione ad Amedeo Prosperi che nella sua prolusione al Convegno internazionale “La Sala Grande di Palazzo Vecchio e i dipinti di Leonardo. La configurazione architettonica e l’apparato decorativo dalla fine dell’Ottocento a oggi” tenutosi tra Firenze e Vinci dal 14 al 17 Dicembre 2016, ricostruendo le relazioni tra Palazzo Vecchio e la piazza della Signoria ha ricordato a tutti quel ‘concreto accostamento dei dati’ che da sempre ordina e orienta il lavoro dello storico e del conservatore. 6 “ed è proprio in conseguenza di ciò che la disciplina ha modificato, talvolta in modo radicale, il proprio dettato metodologico tanto che ancora oggi il restauro respira novità in un processo in evoluzione”. 7 Ciatti M. 2009.



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introduzione

Conservazione e restauro: aspetti disciplinari

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conservazione e restauro: aspetti disciplinari Giuseppe Alberto Centauro

Università degli Studi di Firenze

Abstract L’azione di restauro che interessa il costruito storico, dal monumento al patrimonio culturale diffuso, si configura sempre di più come un’azione di riqualificazione dell’esistente che viene ad assumere riflessi economici di grande rilievo, ampliando l’accezione della tutela quale fattore irrinunciabile di difesa non solo dei monumenti e delle opere d’arte quanto dell’identità del territorio e delle sue risorse. La figura professionale dell’architetto ha storicamente accompagnato l’evoluzione della disciplina del restauro, nella teoria e nella prassi, approdata nella moderna scienza della conservazione. In questo processo di crescita hanno dato il loro fondamentale contributo critico e tecnico figure di primo piano della cultura scientifica e umanistica che hanno saputo plasmare e dettare gli indirizzi formativi da perseguire nelle facoltà universitarie. Gli aspetti disciplinari che caratterizzano questi saperi stanno ancora oggi alla base delle competenze che ogni scuola di restauro deve poter trasmettere in modo dinamico. Tuttavia, questo legame tra gli architetti e il restauro oggi non è più univoco, assumendo il restauro una sempre più marcata connotazione multidisciplinare che occorre ‘esercitare’ in un confronto continuo tra vecchie e nuove professionalità per essere in grado di rispondere ai molteplici input e ai mutevoli cambiamenti in atto in una sempre più globalizzata società contemporanea. In ragione di questo imperativo le esperienze di conservazione e restauro di cui trattasi nascono innanzi tutto nelle attività dei laboratori didattici di base e di specializzazione che sono le vere fucine dell’apprendimento e dello studio, di sperimentazione e di ricerca per acquisire le competenze e le sensibilità necessarie per affrontare le complesse tematiche che legano a doppio filo conservazione e valorizzazione dei giacimenti culturali: archeologico, architettonico, storico artistico e del paesaggio. The restoration of historical building, from the monument to the widespread cultural heritage, is increasingly configured as a redevelopment action, expanding the concept of protection as an indispensable defence factor, not only for monuments and artworks but for the identity of the territory and its resources as well. The architects had historically accompanied the evolution of the discipline of restoration, both in theory and in practice, declined in the modern conservation science. In this growth process, key figures of scientific and humanistic culture have given their fundamental critical and technical contribution; they have established and shaped the training guidelines to be pursued in university faculties. However, nowadays this link between architects and restoration is no longer univocal. The restoration takes on a multidisciplinary connotation that needs to be ‘exercised’ in a continuous comparison between old and new professions, in order to be able to meet the multiple inputs and changes taking place. For this reason, the conservation and restoration experiences in question arise first in the activities of the basic and specialized teaching laboratories. These are in fact the main places of learning, experimentation and research where to acquire the necessary skills to deal with the complex issues that link conservation and enhancement of cultural heritage: archaeological, architectural, art-historical and landscape.


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Il restauro, gli architetti, il progetto conservativo e la valorizzazione Un rapporto molto stretto è quello che storicamente lega gli architetti al progetto di restauro architettonico, un legame che, almeno fino agli Anni ‘90 del secolo scorso, era ritenuto indissolubile e indiscutibile. Lo stabiliva, in particolare per i beni aventi un pregio storico-artistico, oltre all’ordinamento professionale (fin dal lontano R.D. 2537 del 1925, ex art. 52)1, un orientamento culturale di ancor più lunga data e la storia stessa della disciplina riconoscendo all’architetto, in virtù delle precipue competenze, un ruolo primario nella stessa conduzione del cantiere del restauro, ancorché condiviso per la parte tecnica con l’ingegnere. Nel campo della conservazione si è trattato di assumere una responsabilità, un prestigio non di poco conto che ha contrassegnato e distinto la figura professionale dell’architetto come progettista restauratore. Questa speciale prerogativa ha attratto per vari lustri tanti giovani laureandi e specializzandi sia nell’intraprendere una carriera istituzionale presso le amministrazioni pubbliche e le soprintendenze sia nella libera professione. Le attività formative in grado di alimentare questa specificità professionale sono state anche per un certo tempo il fiore all’occhiello della scuola italiana di architettura, fortemente caratterizzata nel campo del restauro da un largo spettro di conoscenze (dalle scienze umanistiche a quelle tecnologiche), in virtù del fatto che tale ‘riconosciuto requisito’ doveva essere acquisito attraverso una specifica preparazione, nonché sostenuto da precise esperienze che garantivano l’imprimatur professionale per chi operava con responsabilità diretta nel settore. Per di più, oltre agli insegnamenti universitari, i lasciti del mestiere diffuso, dei saperi della tradizione costruttiva e della bottega artigiana, specie nell’applicazione della “Regola dell’Arte” sono da sempre appartenuti a più generazioni di architetti che hanno personificato il mestiere del restauro, quasi identificandolo. Decine e decine di pagine sono state scritte su questo profilo tematico, anche recentemente nuovi contributi e saggi di autori sia del settore del restauro ma anche di altre discipline hanno arricchito il dibattito e si sono ampiamente occupati dell’argomento concernente, come è stato detto, “il ruolo (e la crisi) dell’architetto nella realtà contemporanea”. In particolare, sulle questioni teoriche che attengono oggi alla disciplina, dalla formazione universitaria alla sfera delle attività professionali, sono fioriti numerosi dibattiti in ambito nazionale. Al di là quindi della vasta serie di articoli, saggi e di résumer giornalistici, nonché alla ampia bibliografia prodotta (per la quale si rimanda al repertorio ordinato in calce al presente volume), in considerazione anche della complessità degli approfondimenti tematici, la Società Italiana per il Restauro dell’Architettura (acronimo SIRA)2 ha dedicato un’intera sezione 1 Capo IV, Art. 52: «Formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative. Tuttavia, le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L.20 giugno 1909, n. 364, per l’antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere». 2 La SIRA – Società Italiana per il Restauro dell’Architettura – è una società scientifica, nata nel 2015, finalizzata alla diffusione


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di studi nell’ambito del suo primo convegno, organizzato a Roma nel 2016, alla “Ricerca nel Restauro”, mettendo in primo piano proprio il rapporto instaurato nel tempo tra gli architetti e la disciplina. Quest’importante assise nazionale ha fornito, inoltre, l’occasione di raccogliere in un inedito confronto i punti di vista di docenti esperti, studiosi e giovani ricercatori che operano per il “Restauro architettonico” nelle Università della Repubblica Italiana.3 La formazione Alla base della formazione un posto preminente lo ha storicamente svolto la conoscenza dei materiali da costruzione, delle alchimie di malte e intonaci e, più in generale, delle tecniche costruttive tradizionali. Un bagaglio di saperi veicolato negli atenei da quegli insegnamenti che hanno caratterizzato fino a non molti anni addietro i vari corsi di Caratteri costruttivi dell’edilizia storica che si basavano innanzitutto sull’esplorazione capillare, il contatto diretto e il meticoloso rilievo del testo architettonico preesistente, antico o moderno che fosse, attraverso lo studio degli elementi costruttivi e dei materiali, del loro impiego storico, delle caratteristiche meccaniche, combinato con la conoscenza dei caratteri stilistici, delle specificità dei manufatti e delle lavorazioni degli elementi finiti e degli apparati decorativi, nonché delle modalità e procedure della messa in opera e dell’organizzazione del cantiere. Su questo solido impianto metodologico la moderna scienza della conservazione ha poi allargato le competenze di base del restauratore mettendo al centro degli studi da assolvere preliminarmente al progetto l’analisi preventiva introducendo tra le materie di studio la diagnostica architettonica al fine di valutare analiticamente le diverse patologie e le fenomenologie del degrado. Nondimeno, al centro della moderna cultura del restauro, sono state poste le ricerche sulle tecniche artistiche e compositive antiche per meglio comprendere la misura degli interventi da rispettare nelle puliture, nel consolidamento di intonaci e colori, nella messa in pristino dei materiali storici recuperati come pure, nel campo strutturale, nel valutare i limiti prestazionali degli organismi architettonici indagati e nel saper distinguere in modo differenziale la stabilità delle murature tradizionali e i cinematismi; in ultimo, delle opere in calcestruzzo armato per la manutenzione e il “restauro del moderno” al fine di operare al meglio rafforzamenti e consolidamenti murari, risarciture di elementi decoesi, disgregati e corrosi. In una parola questi ulteriori studi e questi modi innovativi di approcciare il percorso della conoscenza sull’esistente, meritevole di conservazione o comunque per operare interventi di recupero,

e all’approfondimento della cultura della conservazione e del restauro in Italia e nel mondo, con particolare riferimento ai beni architettonici e del paesaggio. Essa promuove pertanto lo studio e la valorizzazione del patrimonio in ambito scientifico, accademico, civile ed educativo. Si compone di professori e ricercatori universitari inquadrati nel settore scientifico disciplinare del Restauro (ICAR 19) ed è aperta a studiosi e operatori italiani e stranieri a cui venga riconosciuto un ruolo significativo nel campo del restauro e della tutela dei beni culturali e paesaggistici (cfr. http://sira-restauroarchitettonico.it/). 3 Al riguardo si veda: Fiorani D. (coord.) 2017, RICerca REStauro, (11 fascc.), in Atti del I° Convegno Nazionale SIRA Restauro, Conoscenza, Progetto, Cantiere e Gestione (Roma, 26/27 set. 2016), Ed. Quasar, Roma. In particolare, cfr. la Sezione 1A “Questioni teoriche: inquadramento generale” (a cura di S. F. Musso). Ivi, Musso S.F. 2017, Per una riflessione sugli aspetti teorici del Restauro, pp. 96-103.

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sarebbero andati sempre più a marcare la differenza del progetto di restauro dal progetto architettonico tout court. Tutto ciò nel tempo ha rappresentato – come possiamo ben comprendere - una grande opportunità di crescita e di conoscenza allargando vieppiù il campo delle esperienze da perseguire anche nell’ambito della didattica di primo e secondo livello (specie per la progettazione del restauro architettonico) fino a estendersi opportunamente al contesto urbano, ai centri storici, al territorio, al paesaggio in ambiti che rappresentano altrettanti aspetti culturali da tutelare, dando vita al variare di scala, dall’architettonica a quella territoriale, ad ulteriori estensioni disciplinari del restauro. Lo dimostrano gli insegnamenti correlati al Restauro Urbano e alle Tecniche del restauro urbano legati alle tematiche della “conservazione integrata”4. Il motore degli studi di restauro fissava dunque un percorso di ricerca sempre più ampio che dal testo architettonico, affidandosi al rilievo diretto supportato dall’approccio storiografico, andava ad esplorare sempre da più vicino la materia costitutiva dell’architettura per essere in grado di non tradirla in qualsivoglia tipo di intervento, di prevenzione e di manutenzione, di riabilitazione e di messa in pristino dell’esistente operando a qualsiasi scala per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale5. La normazione Il restauro moderno, sempre più vocato al servizio della salvaguardia del patrimonio culturale, congiuntamente delle opere d’arte e dell’architettura, più recentemente del paesaggio, si è andato pian piano plasmando intorno alle tematiche proprie della conservazione che hanno finito per inglobarlo, se non ad identificarlo. Tuttavia, aver legato la disciplina del restauro così strettamente alla scienza della conservazione ha evidenziato alcune contraddizioni, già palesate nelle prassi operative correnti, alimentate dal cosiddetto regime della ‘doppia verità’, da una parte la teoria che fissa criteri e principi generali dall’altra la pratica che deve fare i conti con le dinamiche del mercato e le riconversioni d’uso (Rocchi G. 1987, p. 152). E per quanto l’aspetto conservativo rimanesse l’incipit del progetto l’attività di restauro, specie nel settore edile, ha concesso ampi spazi di manovra derogando caso per caso (e non solo) dai concetti teorici. Si è così aperta una frattura tra la disciplina e la regolamentazione degli interventi in campo urbanistico: da una parte si restaura per conservare dall’altra si restaura per riabilitare, o più genericamente, per rifunzionalizzare o consentire il riuso del bene: «Attualmente le definizioni teoriche del restauro si rifanno a differenti dottrine, alcune ispirate ai corretti principi della conservazione, altre invece propense ad estraniare il restauro dalla cultura storica, allo scopo di «utilizzarlo» come mezzo Cfr. Consiglio D’Europa, Carta del Patrimonio Europeo, Amsterdam 1975. Sul tema della conservazione, declinata nella sue varie applicazioni rispetto al restauro, si veda: European Association for Architectural Education (EAAE), Conservation Network: (Genova 2007, Workshop I - Teaching Conservation/Restoration of the Architectural Heritage; Dublino 2009, Workshop II - Conservation/ Transformation; Bucarest 2011, Workshop III - Conservation/ Regeneration; Roma, Castelvecchio Calvisio 2013, Workshop IV - Conservation/ Reconstruction; Liegi, 2015, Workshop V - Conservation/ Adaptation; La Coruña 2017, Workshop VI - Conservation/Consumption; Praga 2019, - Workshop VII Conservation/ Demolition. 4 5


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di trasformazione del costruito. … Risulta a tutti evidente la contraddizione che esiste tra teoria e prassi» (Casiello S. 1990, p. 10). Tant’è vero che la querelle se includere o meno nella categoria del restauro il cambio di destinazione negli immobili soggetti alle categorie del Risanamento conservativo (Rc) e al Restauro (Re) è oggi all’ordine del giorno6. La questione, infatti, è passata ad essere oggetto di un’ardua disputa giurisprudenziale nata in relazione alla prassi diffusa di concepire il restauro alla stregua della ‘ristrutturazione leggera’, caratterizzata da modesto impatto finalizzato al recupero edilizio, all’efficientamento, all’adeguamento strutturale, ecc. Così facendo si sono generate situazioni assai disomogenee anche da un punto di vista normativo, creando nell’ambito della conservazione un doppio regime di valutazione tra i beni architettonici sottoposti a vincolo di tutela e l’edilizia storica subordinata alla categoria del Restauro anche in mancanza di una riconosciuta classificazione di merito. Questa discrasia si è ulteriormente amplificata alla luce delle disposizioni acquisite di tutela preventiva a prescindere dalla dichiarazione di interesse culturale, ad es. rispetto alle condizioni di rischio sismico che interessano larghe parti del territorio nazionale. Non è un caso che la stessa Carta del Restauro del 19727 sia stata ampiamente emendata dopo il terremoto in Umbria del 1997 fino ad ammettere l’inclusione del ‘miglioramento strutturale’ tra le prerogative proprie dell’intervento di restauro per i beni vincolati. La messa in sicurezza delle strutture assume quindi una nuova e diversa centralità rispetto alle attività del restauro architettonico come ben indicato nella normativa antisismica in quanto azione preventiva di salvaguardia8. Il miglioramento strutturale è già norma vigente come recita al punto 4, il dispositivo dell’art. 29 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs 42/2004), anche noto come “Codice Urbani”, che definisce puntualmente cosa si debba intendere per restauro all’interno della categoria della conservazione9. Da annotare altresì come nella definizione di bene culturale introdotta dal Codice del 2004 sia ampiamente sottintesa la sua natura di ‘bene economico’, evidenziata nell’ambito della tutela dal binomio

Si rimanda il lettore a quanto ho già avuto modo di osservare, vedasi nel Preambolo. Indicata come Carta Italiana del Restauro, pur non avendo mai avuto una cogenza normativa, anche perché riconosciuta come Circolare essa ha costituito a lungo, ad uso dell’Amministrazione dello Stato, una sorta di regolamentazione generale nel settore della tutela del patrimonio, segnatamente delle opere d’arte, contenente anche le istruzioni per la salvaguardia e il restauro delle antichità (all. a).; per la condotta dei restauri architettonici (all. b.); per l’esecuzione dei restauri pittorici e scultorei (all. c.) e per la tutela dei centri storici (all. d). 8 Cfr., ultra, il contributo di S. Van Riel. 9 «Art. 29 - Conservazione 1. La conservazione del patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro. 2. Per prevenzione si intende il complesso delle attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto. 3. Per manutenzione si intende il complesso delle attività e degli interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento dell’integrità, dell’efficienza funzionale e dell’identità del bene e delle sue parti. 4. Per restauro si intende l’intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali. Nel caso di beni immobili situati nelle zone dichiarate a rischio sismico in base alla normativa vigente, il restauro comprende l’intervento di miglioramento strutturale». 6 7

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‘conservazione e valorizzazione’.10 Con queste prerogative, in un mercato sempre più dominato dagli strumenti della finanza, è concreto il rischio che il restauro architettonico in quanto espressione di investimenti pubblici, ancorché mosso da ragioni di salvaguardia, venga ad essere inteso come strumento attuativo del riuso funzionale in una logica di mera ingegneria economica dettata dalle esigenze di mercato correlate al recupero edilizio. In tal caso sarà principalmente il business plan a dettare le condizioni da rispettare nel progetto imprenditoriale. Le competenze La necessità di allargare ad ambiti disciplinari sempre più estesi ed eterogenei il concetto peculiare del restauro ha fatto sì che nel tempo la figura dell’architetto da figura onnisciente, garante della tutela, assumesse piuttosto il ruolo istituzionale di progettista coordinatore, responsabile del procedimento. Si tratta di una funzione che resta centrale e strategica ma che in realtà è caratterizzata da compiti esecutivi ‘a maglia larga’, sempre più dipendenti da contributi afferenti a distinte specializzazioni tecnicoscientifiche costruite nell’alveo delle aree tecnologiche, matematiche e ingegneristiche (strutturisti, impiantisti, diagnosti, rilevatori, informatici applicati, ecc.), da ruoli storico-competenti provenienti dalle aree umanistiche (della storia dell’arte, della topografia antica e dell’archeologia), o che interessano il ‘fare restauro’ quali la museologia e la critica d’arte, come del resto vale per altri settori scientifico-disciplinari applicati al territorio e ai materiali da costruzione, naturali e artificiali (dalle geoscienze, alla chimica ed altre)11. E non c’è dubbio alcuno che il restauro moderno si eserciti sempre più in un ambito pluridisciplinare. Ma se la multidisciplinarietà è di per se stessa una conquista importante nel campo della conservazione e del restauro, non sempre a questa nuova condizione corrisponde una reale condivisione sul campo delle giuste competenze che accompagnano l’esercizio complesso del restaurare. In ogni caso, resta ancora come principale prerogativa dell’architetto quella della redazione del progetto architettonico, della conoscenza della storia del manufatto e del territorio e, specificatamente, del rilievo degli apparati costruttivi e del progetto diagnostico12. «Art. 6 - Valorizzazione del patrimonio culturale 1. La valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale. In riferimento al paesaggio, la valorizzazione comprende altresì la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, ovvero la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati. 2. La valorizzazione è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze. 3. La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale». 11 Per quanto riguarda l’attuale formazione universitaria la distinzione in settori scientifico-disciplinari costituisce l’ossatura dell’organizzazione dell’istruzione superiore dalla quale discende anche la competenza tecnico professionale. Il Miur ha provveduto più volte in questo ultimo ventennio a rideterminare ed aggiornare tali suddivisioni apportando una progressiva razionalizzazione alle specificità formative di ciascun raggruppamento. Il restauro architettonico nei settori vigenti, stabili con D.M. 855/2015, è inserito nell’Area 08 (Ingegneria Civile e Architettura), Macrosettore 08/E 8 (disegno, restauro e storia dell’architettura), SSD ICAR 19. 12 Cfr., ultra, il contributo di I. Centauro. 10


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Si conferma perciò il postulato disciplinare che stabilisce come le competenze acquisite nel curriculum degli studi siano quelle che ‘contano’ e non altre, pure necessarie, autonomamente acquisite sul campo a fare la differenza nella formazione e nell’esercizio professionale dell’architetto conservatore. L’architetto deputato al restauro architettonico dovrebbe dunque essere in primis la figura professionale di riferimento per la rappresentazione del rilievo, sia nel loro stato originario che in quello evoluto o modificato nel corso del tempo a causa di varianti, restauri pregressi o successive manipolazioni. Tuttavia, una competenza decisiva che si trova nel curriculum di restauro degli architetti è certamente quella assolta nel campo della conservazione attraverso la conoscenza e un’acquisita familiarità con gli strumenti della ricerca, in particolare dell’analisi archeometrica e della diagnostica architettonica. È necessario, è fondamentale privilegiare il momento dell’analisi e del progetto rispetto al successivo momento dell’intervento, sostituire la programmazione all’intervento estemporaneo, ai tempi capestro fissati, talora per legge, sulla base di finalità del tutto estranee alle esigenze del riuso13.

Tralasciando per il momento l’archeometria, come fase di approfondimento analitico di tutto ciò che è antico, interessa sottolineare la rilevanza del progetto diagnostico per la conservazione. Per molteplici ragioni una diagnostica così declinata è parte integrante del progetto di restauro, inteso nella sua forma di terapia d’intervento, anche se le indagini sul campo sono affidate ai tecnici specialisti della scienza: chimici, fisici, geologi, ingegneri informatici; d’altronde anche gli interventi di restauro sugli apparati decorativi, pittorici e scultorei, sono nella pratica precisati e condotti dalle figure tecniche dei restauratori abilitati coordinati dai funzionari istituzionali conservatori e storici dell’arte e non potrebbe essere altrimenti nell’attuale ordinamento giuridico amministrativo. Ed è proprio in questa ‘forzosa’ separazione di carriere e di progressiva specializzazione ed aggiornamento formativo che si rileva come la preparazione dell’architetto, nonostante si professi il contrario, stia perdendo la centralità di un tempo a vantaggio di un ‘spicciolamento tecnicistico’ che nella prassi corrente viene a privilegiare ad altri ambiti formativi, settorializzati in campi disciplinari che non rientrano più negli ordinamenti didattici dell’Architettura. Eppure, proprio i progressi della scienza della conservazione e la necessità di produrre letture sempre più complesse delle trasformazioni in atto, che includono anche il monitoraggio strutturale e ambientale, il restauro archeologico e del territorio, inteso come sommatoria o persistenza di segni antropici, sono tra le condizioni riconosciute del buon operare nel restauro architettonico e del paesaggio che sarebbe opportuno rivalutare tra le competenze dell’architetto. L’eccessiva separazione dei profili di specializzazione per il restauro ha determinato in qualche modo la parcellizzazione e la smaterializzazione della competenza dell’architetto a cominciare proprio dagli insegnamenti che si praticano nelle aule universitarie. E così alcune conoscenze che facevano parte fino a non molto tempo fa del bagaglio professionale degli architetti, ritenute non più caratterizzanti, sono state relegate

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Cfr. Dezzi Bardeschi M. 1981a, Conclusioni, in “Riuso e riqualificazione” (a cura di C. Di Biase), p. 448.

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ad un ruolo marginale se non addirittura obliterate e semmai demandate ai vari indirizzi di studio proposti dai singoli atenei. Basti pensare al ‘declassamento’ dei corsi opzionali, tuttavia primari per il curriculum del restauratore, quali il Restauro delle superfici decorate dei monumenti, il Restauro urbano, oltre al già citato Restauro archeologico, ecc. che si vuole essere compensati dall’inclusione di queste tematiche nelle attività di sintesi che si conducono assai speditamente nei laboratori didattici di prima e seconda fascia. L’importanza dei laboratori di restauro nei processi formativi dell’architetto non può tuttavia sostituirsi alle singole tematiche di approfondimento che sostenevano le carriere curriculari del settore. In un tal genere di trasformazione anche la figura dell’architetto restauratore finirà presto per essere poco più che nominale. Nella prassi le sue competenze finiranno per collocarsi progressivamente fuori dal vivo dei cantieri. Per tali ragioni le esperienze formative per il restauro promosse nei laboratori dovrebbero necessariamente muoversi in maniera decisamente più strutturata in un ambito multidisciplinare su casi studio reali in collaborazione con enti pubblici e privati. Le criticità Per certi versi ancor più complesso è il rapporto instaurato nella prassi dall’architetto per quanto concorre alla messa in sicurezza e al restauro strutturale, in particolare quello post-sismico, che oggi lo vede inevitabilmente soccombente nei confronti dell’ingegnere, a meno che si puntasse anche nella preparazione universitaria a creare ad hoc una nuova figura tecnica, ben preparata e pienamente consapevole dell’importanza del proprio ruolo. Inoltre, l’area del confronto con gli storici dell’arte e i conservatori istituzionali non è sempre sgombra da problematiche legate alla necessità di accordare ‘fra pari’ punti di vista diversi. Alla resa dei fatti tutto ciò risulta essere penalizzante proprio nei confronti della figura dell’architetto quasi che fosse messa in discussione la sua capacità di introspezione storico critica rispetto al manufatto da trattare. Le criticità che si lamentano riguardano dunque il bagaglio tecnico di conoscenze acquisite in un duplice aspetto quello storiografico e quello ingegneristico, sottovalutando in tal modo la molteplicità delle competenze dell’architetto quale figura in grado di coniugare perfettamente entrambi gli aspetti nel rispetto che si deve al costruito storico in quanto documento della cultura materiale da salvaguardare. In sintesi - come è stato detto - molte cose sono cambiate in questi ultimi anni, in primis in seno alla legislazione per la tutela (cfr. D.Lgs n. 42/2004 e successive i.i.m.) e alla stessa giurisprudenza di riferimento, contribuendo a modificare il tradizionale approccio nei confronti del restauro architettonico, mettendo in luce nuovi elementi di criticità in merito al significato stesso della disciplina del restauro. Com’è stato già sottolineato, tutto ciò può dipendere dal fatto che è venuta in parte meno l’organicità del percorso formativo di base degli architetti nei confronti del restauro trascurando alcune specificità che hanno assunto una precipua rilevanza istituzionale e una più ampia visibilità sociale. Si è in tal modo generata una falla alla quale si è solo parzialmente posto rimedio provvedendo a compensare in ambiti didattici specialistici, nel cosiddetto ‘terzo livello’, certe lacune formative. In questo senso


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sopperiscono a colmare tali carenze le scuole post-laurea di specializzazione specialmente dedicate alla conservazione dei beni architettonici e del paesaggio. Da almeno un decennio, il rischio maggiore è però soprattutto legato alla marginalità che sta contraddistinguendo l’attività del progettista ‘non specializzato’ proprio nell’ambito della conservazione, e quindi del restauro inteso nella sua più canonica accezione. Esiste in questo senso un evidente gap da colmare per riallineare le pur riconosciute abilità dell’architetto al quadro specialistico della conservazione. All’afflato umanistico, già prerogativa della scuola italiana del restauro, hanno sopperito gli storici dell’arte, mentre la querelle che riguarda le competenze tecniche tra ingegneri e architetti resta ancora una questione sostanzialmente non risolta, interessando ormai, oltre alla diagnostica e le scienze della conservazione, anche le innovative tecnologie del rilievo strumentale, il trattamento digitale dei dati, ecc. aprendo un potenziale conflitto tra i modi della rappresentazione tradizionale e le nuove applicazioni proprie della più ‘ingegneristica’ Geomatica per la conservazione, ecc. Si evidenziano, in modo particolare, le differenze tecniche che distinguono l’approccio degli strutturisti, degli impiantisti o degli scienziati dalla più compassata conduzione del restauro degli architetti conservatori, ormai indistinti nei ruoli con i compositivi, i territorialisti e i paesaggisti che interagiscono nel restauro delle città e del territorio. Nella prassi corrente il restauro degli architetti sembra non essere più così coincidente con l’esegesi disciplinare del settore, indicato nel SSD ICAR 19/ Restauro14. Così facendo anche gli insegnamenti dei maestri del passato non sembrano più connotarsi come punti di riferimento in quella salutare dialettica tra vecchio e nuovo che ha fatto la storia della disciplina, piuttosto essere ritenuti controcorrente rispetto a certo odierno fin troppo disinvolto modo di agire. Preservare piuttosto che ringiovanire, riparare piuttosto che correggere, armonizzare piuttosto che ricostruire accettando le sottili imperfezioni e le effimere, talvolta labili, differenze materiche contenute in ciascuna opera piuttosto che omologare e consolidare secondo standard prestabiliti o rigidi parametri, distinguere la casualità degli eventi storici e la precarietà di certi interventi pregressi dai complessi ed ineluttabili mutamenti storici fortificati nella materia del trascorrere dei secoli.15 (Fig. 1.1)

La multidisciplinarietà Dopo avere assistito nel corso di questi ultimi anni ad una progressiva separazione delle carriere nel campo della conservazione, sulla questione delle competenze, emersa ancor più fragorosamente dopo l’esclusione degli architetti dalle Commissioni Tecnico Scientifiche del MiBAC, il 2 luglio 2019, è

14 «Area 08- Ingegneria civile e Architettura – SSD ICAR 19 - Restauro: I contenuti scientifico-disciplinari comprendono i fondamenti teorici della tutela dei valori culturali del costruito, visti anche nella loro evoluzione temporale; le ricerche per la comprensione delle opere nella loro consistenza figurale, materiale, costruttiva e nella loro complessità cronologica, nonché per la diagnosi dei fenomeni di degrado, ai fini di decisioni sulle azioni di tutela; i metodi ed i processi per l’intervento conservativo a scala di edificio, monumento, resto archeologico, parco o giardino storico, centro storico, territorio e per il risanamento, la riqualificazione tecnologica, il consolidamento, la ristrutturazione degli edifici storici». 15 Frase di Leonetto Tintori in Centauro G.A. 2001, p. 128.

Fig. 1.1 Ritratto di Leonetto Tintori (Prato, 1908 - 2000) (Archivio privato, Prato)

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Fig. 1.2 Ritratti di padri del restauro moderno (dall’alto, da sinistra a destra, al basso): Giuseppe Valadier (Roma, 1762 -1839); Eugène ViolettLe-Duc (Parigi, 1814 – Losanna, 1879); John Ruskin (Londra, 1819 – Brantwood, 1900); William Morris (Walthamstow, 1834 – Hammersmith, 1896); Guido Carocci (Firenze, 1851 – 1916); Camillo Boito (Roma, 1836 – Milano, 1914); Alois Riegl (Linz, 1858 – Vienna, 1905); George Gilbert Scott (Gawcott, 1811 – Londra, 1878); Ambrogio Annoni (Milano, 1882 – 1954); Luigi Cavenaghi (Caravaggio, 1844 – Milano, 1918); Max Dvorák (Roudnice nad Labem, 1874 – Hrušovarry nad Jevišovkou, 1921); Luca Beltrami (Milano, 1834 – Roma, 1933); Gustavo Giovannoni (Roma, 1873 – 1947); Renato Bonelli (Orvieto, 1911 – 2004); Cesare Brandi (Siena, 1906 – Vignano, 1988); Piero Sanpaolesi (Rimini, 1904 – Firenze, 1980); Piero Gazzola (Piacenza, 1908 – Verona, 1979); Roberto Pane (Taranto, 1897 – Napoli, 1987); Roberto Di Stefano (Napoli, 1926 – 2005); Umberto Baldini (Pitigliano, 1921 – Massa, 2006)

intervenuto anche il Direttivo SIRA16 invitando l’allora Ministro dei Beni Culturali a rivalutare il ruolo svolto dagli architetti proprio perché il «Patrimonio architettonico è una parte cospicua e rilevante della missione di tutela, conservazione e restauro». Fin dagli Anni ‘90 del secolo scorso, la nascente scienza della conservazione e la necessità di allargare in aree disciplinari specialistiche le competenze tecnico scientifiche hanno trasformato profondamente la cultura stessa del restauro e le modalità degli interventi, laddove le esperienze del settore non erano più afferenti all’Architettura, quale ars edificatoria, o all’Arte, espressione delle tecniche artistiche e matrice di cultura, ma neppure al rigore metodologico dettato dai “padri della disciplina” ai quali storicamente riferirsi. (Fig. 1.2) Restauro come processo critico e restauro come atto creativo sono dunque legati da un rapporto dialettico, in cui il primo definisce le condizioni che l’altro deve adottare come proprie intime premesse e dove l’azione critica realizza la comprensione architettonica, che l’azione creatrice è chiamata a proseguire ed integrare. (Bonelli R. 1963)

Venute meno alcune certezze e modificati i piani di studio nelle scuole di architettura il rapporto tra gli architetti e il progetto conservativo nel restauro è mutato. Inoltre, nel restauro è invalsa una sorta di dialettica ‘generica’ che va a considerare il perimetro della disciplina come un ‘campo aperto’, un terreno che viene contemporaneamente arato da molteplici settori scientifici disciplinari, regolato da contributi spesso scissi da un percorso realmente condiviso. L’architetto conservatore (alias progettista restauratore) deve, in primis, saper gestire i compiti specialistici, essere in grado di acquisire, modellizzare, interpretare, elaborare, archiviare, trattare e divulgare informazioni georeferenziate, inserite in un sistema territoriale di riferimento. Per capire in quali paludosi terreni si viene ad operare si consideri che sempre più frequentemente del progetto di restauro si occupano non tanto gli architetti conservatori quanto altri specialisti, laddove i compositivi sono più spesso più interessati alla grammatica formale e al design che alla salvaguardia del documento. Quindi i fattori positivi di potenziale inclusione di competenze diverse, utili alla crescita qualitativa del progetto, si possono trasformare in strumenti di segno opposto che, a ben guardare, rischiano di scardinare i principi stessi della disciplina. In un quadro così delineato resta complicato trarre insegnamenti positivi al 100% dai progressi scientifici della scienza e della tecnologia al fine di fondare una nuova dialettica intorno al restauro se non La SIRA, cit. (cfr nota 2), svolge oltre ad un incisivo ruolo culturale, anche un riconosciuto ed apprezzato compito istituzionale a salvaguardia della disciplina e, soprattutto, del fondamentale apporto degli architetti nella materia.

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rivedendo gli orizzonti formativi dell’architetto e promovendo ad hoc un curriculum di studi dedicato al restauro, al di là delle specializzazioni tecniche, al fine di incrementare le esperienze didattiche di base e le occasioni di approfondimento perché, nel progetto di riqualificazione e recupero dell’esistente, il restauro torni ad essere la spina dorsale del processo critico che sta alla base dell’intervento a salvaguardia dei valori culturali stessi. L’isolamento disciplinare I laboratori didattici per il restauro sono oggi fucine teoriche di studi lasciati fuori dalla possibilità di interagire con l’esterno, con il mondo professionale. Nel corso della formazione si potrebbero altresì sviluppare esperienze concrete, ma purtroppo nella realtà non è proprio così, dipendendo quasi esclusivamente dalla possibilità dei singoli docenti di trovare giuste occasioni di confronto, magari stringendo accordi di collaborazione con enti ed istituzioni esterne in modo da sopperire alle croniche limitazioni sofferte dalla sola didattica in aula. Inoltre il contrarsi esasperato delle ore dedicate, in termini di CFU, alla disciplina sta caratterizzando in modo alquanto discutibile tutti i corsi di studio, sia triennali che magistrali. Come se non bastasse altro luogo comune da sfatare, che viene ripetuto con fin troppa enfasi, è quello che ha posto al centro della questione della formazione la figura dell’architetto tout court e non già quella della disciplina, generando le condizioni per un pericoloso isolamento disciplinare promuovendo una dannosa autoreferenza nelle attività del settore. Del resto, il restauro reclama da sempre un maggior spazio formativo che possa consentire di sviluppare adeguatamente la molteplicità degli argomenti da trattare. Tornando invece al tema iniziale è pur sempre l’architetto con le competenze acquisite, forte di una preparazione insieme umanistica e tecnologica, a dovere curare la progettazione per il restauro. Questo speciale riconoscimento ribadito a livello europeo (v. Direttiva 85/384/CEE del Consiglio del 10 giugno 1985) nasce in virtù dei titoli di studio in Architettura che includono nella formazione magistrale, propedeutica alla professione, unitamente alle specifiche conoscenze tecniche, anche la capacità di risolvere in modo appropriato le problematiche della conservazione e del mantenimento funzionale del patrimonio costruito. Su tali prerogative, in estrema sintesi, si fonda il restauro contemporaneo e, in particolare, per l’Italia, ogni altro tipo di intervento, a qualsiasi livello venga svolto, che riguardi i beni storico artistici e ambientali negli ambiti architettonici e paesaggistici (ex D.lgs. 42/2004 e s.m.i.). D’altronde, lo stesso Codice dei beni culturali e del paesaggio, all’art. 29, pone la conservazione come matrice dell’intervento, includendo in essa la prevenzione, la manutenzione e, in ultimo, il restauro quale non più esplicito indicatore disciplinare per la tutela e principale motore del progetto. Facendo un paragone con altre professioni, il Dottore Magistrale in Architettura che si laurea negli atenei europei, prima ancora di specializzarsi in una determinata branca, è equiparabile, da un punto di

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vista etico e deontologico, al medico di base che ha pronunciato il giuramento di Ippocrate prima di iniziare l’esercizio della professione, quale che sia la sua futura specifica qualifica. Da questo punto di vista la consapevolezza del ruolo che l’architetto è, o dovrebbe essere, in grado di svolgere per la salvaguardia del patrimonio culturale resta un requisito essenziale dello stesso progettista che pure si muove sul piano dell’invenzione e della creatività, facendo di queste doti le ragioni primarie della propria attività futura. Nella formazione dell’architetto lo sviluppo tecnologico, una volta rispettate le convenzioni, si rivolge – come abbiamo osservato in precedenza – più al progetto compositivo che al restauro in quanto tale, anche perché la scienza della conservazione è parzialmente ‘passata di mano’ ad altri soggetti tecnici e professionali. Ma se il progettista è già tale quando è ancora alle prese con gli studi iniziatici, posto di fronte al foglio bianco sul quale abbozzare l’idea, così come il pentagramma vuoto lo è per il compositore, la carta da spolvero o la tela per il pittore, o il quaderno ancor intonso per lo scrittore, deve essere concesso al neofita del restauro di potersi confrontare con l’oggetto del suo operare quale esso sia. L’importanza della formazione è dunque per tutti questi soggetti vitale nella delicata fase di apprendimento, ed anche per questo la didattica dovrà corrispondere in modo adeguato a questa imprescindibile esigenza. Il percorso formativo Il percorso della conoscenza che attiene al progetto di conservazione e restauro segna sempre una precipua complessità che presuppone la capacità di assolvere alle problematiche tecniche in un ambito di ricerca da sviluppare coerentemente nei confronti dell’oggetto o del campo dell’intervento sia che si operi nella manutenzione preventiva come nella riabilitazione funzionale. Inoltre, per soddisfare il binomio conservazione/valorizzazione s’impone per il progettista una doppia verifica di congruità e di fattibilità da presentare alla committenza. Questa narrazione mette alla dura prova la capacità dell’architetto di costruire in parallelo all’intervento una comunicazione in grado di mettere in evidenza il plusvalore derivante dalla sua azione di restauro. In questo percorso il restauratore oltre ai benefici propri dell’intervento può eventualmente esaltare anche le “verità nascoste” che sono emerse durante lo studio del manufatto, o direttamente nel cantiere, come coagulo culturale di nuove conoscenze. Tuttavia, occorre in primo luogo che questi fornisca specifiche giustificazioni (o motivazioni) circa la compatibilità e l’efficacia delle scelte adottate in relazione alla valorizzazione e fruibilità futura del bene restaurato nella sua valenza culturale. «La coscienza che le opere d’arte debbano essere tutelate in modo organico e paritetico» (Brandi C. 1963, ried. 1977, p. 7) rappresenta da tempo il fondamento dell’operare nel restauro che «costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro» (ibidem, p. 133).


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Il restauro dovrà in ogni caso garantire, non tradendo la materia, la trasmissione nel tempo di quei valori intrinsechi già posti alla base dell’azione di riconoscimento della risorsa culturale, vuoi artistica che architettonica, anche come documento di cultura materiale e di scienza. Non c’è dubbio, infatti, che il cantiere costituisca un’occasione, spesso unica e per questo irripetibile, di conoscenza ed arricchimento. Naturalmente ancor più ampia potrà essere la portata dei risultati acquisiti operando intorno alle opere d’arte, richiedendo da parte del restauratore un grande bagaglio di saperi ed adeguati strumenti critici di analisi, di discernimento in corso d’opera e di valutazione. Si può infine affermare che da questi assunti discendono le ragioni stesse del ‘buon restauro’, qui da intendersi ancora una volta non solo come risultato delle ‘buone pratiche’ bensì come strumento di conoscenza. Non basta dunque la buona osservanza dei protocolli per garantire all’intervento di restauro il buon esito, per quanto si tratti di principi e criteri che pure devono essere soddisfatti in ogni progetto, quali compatibilità, reversibilità, riconoscibilità, leggibilità, durabilità, manutenibilità ecc. Questi concetti, se non ben declinati nell’ambito del percorso di conoscenza sul manufatto oggetto dell’intervento, restano opzioni e qualità inespresse, vuoti e impersonali accenti nell’ambito della conservazione. Ancor più spinose sono le tematiche relative al ruolo del restauro nella società contemporanea, una società che ha perduto il traino della memoria, laddove la stessa istanza storica è stata da tempo messa in discussione, laddove l’autenticità del bene gioca un ruolo sempre meno centrale nella conservazione a vantaggio dell’immagine e della ricomposizione estetica e funzionale. Il concetto di ‘restauro’ è uno dei più complessi che, su un piano culturale ed operativo, sia possibile incontrare oggi. Sia per la rapidità con cui istituzionalmente e scientificamente si è evoluto, sia per le implicazioni di ordine sociale ed economico che comporta. Bisogna subito riflettere, infatti, sul fatto che se il “«restauro dei monumenti” può essere ricondotto ad un unico solco metodologico, quello dei beni culturali deriva la sua specificità proprio dall’aspetto economico, strumentale, funzionale, urbano che ha l’oggetto da restaurare (Gurrieri F. 1978, p.3).

Di certo, dietro a queste specifiche qualità, si richiedono per l’architetto restauratore molteplici esperienze derivanti da percorsi formativi molto accurati e lunghi, una volta prerogativa delle botteghe dell’arte, laddove l’allievo incontrava il maestro imparando sullo stesso cantiere, cosa che la scuola non è in grado di sostenere. Allora resta di fondamentale importanza l’insegnamento delle metodologie dell’operare a fronte di una accertata propensione da parte dell’allievo a conoscere, a dialogare con il contesto, a studiare con umiltà e pazienza sui documenti del passato. Da questo punto di vista esiste oggi, pure nell’era della libera circolazione dei dati in rete, anche un problema di rintracciabilità e sapiente utilizzo delle fonti documentarie, sia quelle cartacee, storico archivistiche sia quelle digitali, dalle quali attingere i dati e le giuste coordinate spazio-temporali per condurre al meglio l’introspezione sul testo architettonico. L’altro valore messo frequentemente in discussione è dato dalla valutazione dell’integrità del bene da conservare, una qualità questa che non è più relazionata con l’unitarietà stilistica del documento

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storico, che la moderna critica architettonica ha spicciolato in molteplici accezioni da rispettare per quanto non tutte ugualmente significanti. … Si restaura perché si è primariamente riconosciuto ad una serie di oggetti (e non a tutte le preesistenze, per il solo fatto di essere tali) un «valore» particolare, artistico o documentario, estetico o storico, perché questi oggetti, in sostanza, sono considerati dalla cultura attuale, quale si è storicamente configurata anch’essa, come opere d’arte o come testimonianza di storia, o anche, come le due cose assieme. In ogni caso come «oggetti di scienza» e, in altre parole, come «oggetti di cultura», beni culturali, appunto, secondo la dizione ormai più diffusa e consolidata. Ma tale riconoscimento non può essere effettuato se non con gli strumenti della storiografia generale e di quella storico-artistica: da qui il legame primario del restauro e della conservazione con le discipline storiche ed il fondamento storico-critico del restauro stesso (Carbonara G. 1988, p. 30).

Si deve sottolineare che anche il rilievo, pur nelle più avanzate e moderne applicazioni tecnologiche, non consente di evidenziare, senza una chiave di lettura critica, i valori architettonici nella loro stratigrafia muraria e di rivestimento, per la qual cosa occorre condurre una corretta distinzione tra autentico e falso, tra posteriorità o contemporaneità stratigrafica, privilegiando semmai la riproposizione dell’immagine integrale, senza lacune e sovrapposizioni indesiderate. Senza entrare nel merito dell’annosa questione dei ‘falsi storici’ che hanno caratterizzato l’evoluzione stessa del concetto di restauro, dall’arbitrio della ricostruzione tipologica all’analisi filologica, dal rifacimento al conservatorismo, argomenti lungamente trattati che parevano definitivamente risolti, morti e sepolti dalla critica d’arte, stiamo in realtà ricadendo nella vexata quaestio proprio a causa della perdita della memoria e al venir meno della volontà di ponderare fino in fondo le coordinate della lettura storiografica. Così facendo si rischia nuovamente di fare rientrare dalla finestra, con la semplificazione dei processi di indagine, la cancellazione delle tracce del passaggio del tempo, delle cosiddette ‘rughe dell’invecchiamento’, dai monumenti, dalle opere d’arte, a vantaggio di un’ipotetica unitarietà estetica d’immagine o peggio ancora in chiave funzionale sia che si tratti del bene architettonico che di quello artistico mistificato, semmai da omologare e ringiovanire attraverso l’azione del restauro, dalla pulitura al consolidamento, producendo di fatto una mutazione del documento, quasi ad ottenere una nuova declinazione semantica del ‘falso artistico’ di una volta. Per il trattamento delle superfici sia monumentali che del costruito storico resta ancora largamente insoluto il problema delle patine e del colore di rivestimento nella complessiva sottovalutazione delle problematiche di pulitura dei lapidei a facciavista, nonché delle compatibilità fisico chimiche dei sistemi di tinteggio e coloritura dei rivestimenti moderni nel rispetto alle facciate storiche caratterizzate da supporti murari tradizionali e intonaci antichi a calce. Di nuovo, per gli architetti che operano nel restauro si apre in questa situazione un’ampia zona d’ombra che pone l’accento sulla marginalità dell’azione conservativa del progettista nei confronti dell’architettura esistente assistendo, da una parte, ad una progressiva ingegnerizzazione del restauro perseguito da altri soggetti tecnici e, dall’altra, dallo svuotamento di competenze in ambiti storicamente propri degli architetti.


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Il Codice dei contratti pubblici, il progetto di restauro conservativo e la manutenzione programmata Nel Codice dei contratti pubblici (ex D.lgs 50/2016) non si fa più riferimento agli architetti come attori unici del progetto di restauro, per i lavori aventi ad oggetto beni culturali.17 Aver sottratto agli architetti le competenze in materia di trattamento delle superfici architettoniche decorate, pittoriche o plastiche, il monitoraggio e la manutenzione di tali beni, equivale ad aver tolto tali competenze anche dal progetto di restauro conservativo che, per sua natura, si realizza sulla materia piuttosto che sulla forma.18 Si spiega così il mutamento sancito con delibera del Consiglio di Stato che riserva agli architetti, riconosciuti esperti di restauro, un ruolo di carattere generale, una sorta di direzione in parte estranea dalla pratica esecutiva, ribadendo quanto affermato nel dispositivo dell’art. 9 bis del citato Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.19 D’altronde le azioni di manutenzione e monitoraggio, nelle loro varie declinazioni, dal su menzionato D.Lgs 42/2004 e nell’ambito della recente revisione del Codice dei contratti pubblici sono riconosciute come azioni prioritarie per la buona conservazione del patrimonio, intendendo con esse tutte le attività volte a massimizzare la salvaguardia materiale del bene attraverso il controllo periodico e frequente delle sue condizioni di conservazione.20 In particolare, la cura dei beni patrimoniali è (e sarà sempre più) legata alla possibilità di interagire in modo preventivo, organico e tempestivo sull’osservanza del buono stato di conservazione degli immobili e segnatamente delle superfici di questi. Le competenze dell’architetto sono quindi di basilare importanza in questa prospettiva d’intervento. L’ampiezza e la diffusione dei fenomeni di degrado, di compromissione strutturale come di alterazione visiva sul piano paesaggistico che, con il passare del tempo, comportano la radicalizzazione e l’aggravarsi delle patologie e/o di comportamenti antropici incongrui rispetto ai caratteri (D.Lgs 50/2016) «Capo III - Appalti nel settore dei beni culturali. Art 147, comma 2: Per i lavori aventi ad oggetto beni culturali è richiesta in sede di progetto di fattibilità, la redazione di una scheda tecnica finalizzata all’individuazione delle caratteristiche del bene oggetto dell’intervento, redatta da professionisti in possesso di specifica competenza tecnica in relazione all’oggetto dell’intervento». Con il decreto di cui all’art. 146, comma 4, sono definiti gli interventi relativi a beni culturali mobili, superfici decorate di beni architettonici e materiali storicizzati di beni immobili di interesse storico artistico o archeologico, per i quali la scheda deve essere redatta da restauratori di beni culturali, qualificati ai sensi della normativa vigente. 18 Ibidem, comma 3: «Per i lavori di monitoraggio, manutenzione o restauro di beni culturali mobili, superfici decorate di beni architettonici e materiali storicizzati di beni immobili di interesse storico artistico o archeologico, il progetto di fattibilità comprende oltre alla scheda tecnica di cui al comma 2, le ricerche preliminari, le relazioni illustrative e il calcolo sommario di spesa. Il progetto definitivo approfondisce gli studi condotti con il progetto di fattibilità, individuando, anche attraverso indagini diagnostiche e conoscitive multidisciplinari, i fattori di degrado e le modalità tecnico-esecutive degli interventi ed è elaborato sulla base di indagini dirette ed adeguate campionature di intervento, giustificate dall’unicità dell’intervento conservativo. Il progetto esecutivo contiene anche un Piano di monitoraggio e manutenzione». 19 Art. 9bis - Professionisti competenti ad eseguire interventi sui beni culturali (D.Lgs. 42/2004), al punto 1: «In conformità a quanto disposto dagli articoli 4 e 7 (omissis) e fatte salve le competenze degli operatori delle professioni già regolamentate, gli interventi operativi di tutela, protezione e conservazione dei beni culturali nonché quelli relativi alla valorizzazione e alla fruizione dei beni stessi, di cui ai titoli I e II della parte seconda del presente codice, sono affidati alla responsabilità e all’attuazione, secondo le rispettive competenze, di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, fisici, restauratori di beni culturali e collaboratori restauratori di beni culturali, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali e storici dell’arte, in possesso di adeguata formazione ed esperienza professionale». 20 DM 154/2017 “Regolamento sugli appalti pubblici riguardanti i beni culturali tutelati ai sensi del D.Lgs 42/2004, di cui al D.Lgs 50/2016”. 17

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storico architettonici da tutelare, impongono nell’interesse della collettività di operare scelte strategiche, qualitativamente idonee alla scala urbana, al fine di contrastare il progressivo decadimento materico delle strutture e l’obsolescenza funzionale, tecnologica ed economica dei beni architettonici ancor prima di ricorrere al restauro come estrema ratio. È possibile ottimizzare l’affidabilità complessiva dell’edilizia storica attraverso una costante opera di manutenzione programmata. Si tratta di una attività che prevede procedure continue e pianificate di controllo e utilizzo in ambienti GIS di dati conoscitivi, di archivio e di monitoraggio. Un modo di gestione che si rende necessario per la conservazione di un gran numero di soggetti e per il riallineamento funzionale delle prestazioni di ciascun edificio. La norma UNI 11257:2007 “Manutenzione dei patrimoni immobiliari - Criteri per la stesura del piano e del programma di manutenzione dei beni edilizi - Linee guida”, fornisce i criteri in base con i quali elaborare i piani e i programmi per lo svolgimento delle attività manutentive tanto sul costruito storico che su quello di nuova formazione, indipendentemente dalla destinazione d’uso. La conservazione del patrimonio edilizio assume nei processi di manutenzione programmata una caratterizzazione che va oltre l’azione di tutela del bene architettonico di riconosciuto interesse culturale per interessare più direttamente la corretta gestione dell’esistente con evidenti risvolti legati ad un commisurato e parsimonioso impiego delle risorse economiche disponibili. Alla sottrazione delle competenze specialistiche dell’architetto fa perciò ulteriore riscontro l’allargamento delle procedure d’intervento affidate con tutta evidenza a soggetti tecnico professionali diversi. Tuttavia, la fase istruttoria iniziale, la pianificazione della manutenzione programmata, ordinaria e straordinaria, così come quella predittiva riveste in questo contesto un’importanza fondamentale in tutto il processo gestionale, in quanto l’acquisizione di un quadro preliminare di conoscenze e di dati è necessario all’individuazione precisa dello stato fisico e funzionale dell’immobile e, quindi, alla definizione degli obiettivi da soddisfare con gli interventi riabilitativi e di restauro. La “manutenzione predittiva”, a differenza di quella programmata, è da valutarsi come un tipo di manutenzione preventiva che viene effettuata in cantiere per il miglioramento degli edifici, a seguito dell’individuazione di uno o più parametri che vengono misurati ed elaborati utilizzando appropriati modelli matematici allo scopo di individuare il tempo residuo prima del decadimento materico o del guasto. Nel cantiere di restauro, attraverso l’impiego di nuove tecnologie d’intervento e la messa in opera di materiali speciali (ad es. utilizzando materiali smart, sensorizzati e sostenibili per il costruito storico), adeguatamente monitorati, si riesce a portare avanti interventi migliorativi da un punto di vista prestazionale ottenendo risultati più durevoli, senza impatti economici pesanti, grazie alla pianificazione, alla progettazione di interventi di manutenzione predittiva. Il ruolo che l’architetto può svolgere in questa fase non può non essere di nuovo centrale per la molteplicità e la complessità delle azioni da pianificare e delle tecnologie da utilizzare nel campo del restauro. Infatti, la predisposizione di un tale quadro conoscitivo va effettuata secondo un principio di gradualità, distinguendo tra informazioni ‘indispensabili’ e informazioni ‘utili’. Il piano di manutenzione,


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sebbene applicabile a diversi livelli di scala (a un patrimonio immobiliare, a un singolo edificio e alle sue pertinenze, a subsistemi edilizi e impiantistici, a elementi tecnici), è quindi da intendersi come un insieme strutturato e integrato di azioni da condurre alle diverse scale. Occorre rilevare che le forme di intervento manutentivo sono fondamentalmente due: manutenzione preventiva e manutenzione correttiva o a guasto. La prima è particolarmente indicata per gli edifici che presentano elevati livelli di criticità, mentre la seconda – che riguarda gli interventi effettuati a seguito della rilevazione di guasti – può essere adottata su componenti che non interessano sistemi critici o di sicurezza. Queste strategie di manutenzione possono ovviamente essere adottate in combinazione, secondo condizioni, forme e tempistiche opportunamente stabilite. La norma UNI 11257:2007 si configura come una guida completa in grado di fornire un supporto concreto alla gestione delle proprietà immobiliari: dai criteri generali di un programma di manutenzione, ai criteri e alle fasi di stesura; dagli orientamenti per la scelta delle strategie più opportune, alla programmazione operativa e al preventivo di spesa. La gestione informatica dei dati Le nuove competenze da acquisire da parte dei conservatori, come i temi della manutenzione degli edifici e dei relativi criteri di ‘informatizzazione’ dei dati e dei processi decisionali, nonostante il relativamente recente panorama normativo21, non sono ancora definiti da procedure unificate e standardizzate per quanto riguarda l’ambito specifico del restauro dei beni architettonici. In questo senso, il contributo degli strumenti di Business Intelligence (di seguito: BI) per la conoscenza e la gestione del patrimonio architettonico, può rivelarsi estremamente significativo e rappresenta ancora un campo piuttosto inesplorato. Più in generale si può affermare che esista ad oggi, nonostante l’avanzamento tecnologico e le ampie possibilità offerte, un certo ritardo nello sviluppo ai fini gestionali della ricerca sul patrimonio architettonico e nell’applicazione ai fini progettuali degli strumenti informativi per il restauro (DATA-BASE, GIS, BIM, ecc.), dove in carenza di appropriati riscontri analitici e, soprattutto, di una mirata sperimentazione permane una naturale diffidenza verso l’utilizzo di tali sistemi. La digitalizzazione nel restauro o si realizza in ambito scientifico oppure resta un esercizio teorico, non privo di palesi contraddizioni sul piano analitico. Non altrettanto sembra potersi dire nel settore della comunicazione e dell’archiviazione dei beni culturali dove da tempo sono state prodotte significative esperienze, anche a livello didattico22. In estrema sintesi, gli strumenti di BI nascono per risolvere problemi comuni in ambito aziendale e bene si prestano per un efficace controllo degli interventi nell’ambito della conservazione: presenza di dati eterogenei per formato e tipologia e provenienti da più fonti, ridondanti, incompleti, di difficile fruizione e difficilmente integrabili tra di loro. Cfr. UNI 10951:2001 “Sistemi informativi per la gestione della manutenzione dei patrimoni immobiliari”; UNI 11257:2007 “Criteri per la stesura del piano e del programma di manutenzione dei beni edilizi”, cit. 22 Cfr, ultra, il contributo di D. Fastelli. 21

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Tali difficoltà sono riscontrabili quindi non solo in ambito aziendale, ma tipicamente affliggono i sistemi di documentazione e archiviazione (ove esistano) adottati in ambito di gestione del patrimonio architettonico e degli interventi di restauro e conservazione. Molto spesso gli enti preposti alla tutela dei beni architettonici e gli stessi professionisti nell’approcciarsi all’intervento, quale esso sia, su un manufatto/complesso architettonico o su un ambito urbano, si scontrano con la scarsa reperibilità e conoscenza dei dati di quel determinato edificio o contesto, con la difficile ricostruzione della filiera che li ha prodotti nel tempo, o ancora con la consultazione di banche dati obsolete e caratterizzate magari da un eccesso di dati inutili o non aggiornati che impedisce di discriminare quelli interessanti e significativi, rendendo quindi ardua l’operazione di analisi delle informazioni. La BI per sua stessa definizione23, può essere declinata con successo dal mondo aziendale all’ambito del restauro al fine di superare tali ostacoli, ma perché ciò si realizzi non è sufficiente ‘informatizzare’ gli archivi, digitalizzando documenti e creando le più disparate banche dati o molteplici fogli di calcolo: la tecnologia che i sistemi di BI offrono costituisce, infatti, il supporto al processo decisionale e non la soluzione. È dunque cruciale il contributo dei tecnici, dei professionisti, dei ricercatori che devono essere in grado di interpretare le informazioni in modo corretto per poter formulare le idonee ipotesi di intervento, coadiuvati in questo compito dalla BI, che semmai ha lo scopo di evitare alle persone di preoccuparsi di come accedere ai dati e come analizzarli, perdendo tempo e risorse preziose. L’architetto, in particolare, a cui compete nel restauro architettonico e del paesaggio la regia del progetto e del cantiere, non può non essere un artefice primario nella conduzione, applicazione e gestione dei sistemi informativi avanzati. Tuttavia, in queste specifiche competenze il gap di conoscenze da colmare resta ancora notevole. Nei laboratori di restauro che analizzeremo più avanti sono state portate avanti con risultati incoraggianti specifiche esperienze di questo tipo. Le scuole di architettura e le esperienze di trattamento dati per il restauro Appare di tutta evidenza che nelle scuole di architettura possa esserci, anche per queste problematiche, un problema legato alla formazione, soprattutto per quanto riguarda l’aggiornamento dei curricula degli studi nel restauro, nella progettazione come nella gestione dei dati per la conservazione, specialmente dopo aver fatto convergere nei laboratori tutti i corsi di un tempo sia quelli caratterizzanti che opzionali della disciplina. Nei corsi di studio del dipartimento di architettura dell’ateneo fiorentino, i laboratori di restauro del corso di studio triennale, del ciclo unico quinquennale e del biennio magistrale di progettazione dell’architettura hanno l’arduo compito di assicurare, contando ciascuno su “La Business Intelligence è un sistema di modelli, metodi, processi, persone e strumenti che rendono possibile la raccolta regolare e organizzata del patrimonio dati generato da un’azienda. Inoltre, attraverso elaborazioni, analisi o aggregazioni, ne permettono la trasformazione in informazioni, la loro conservazione, reperibilità e presentazione in una forma semplice, flessibile ed efficace, tale da costituire un supporto alle decisioni strategiche, tattiche e operative” (cfr. Rezzani A. 2017, p.7).

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pochi mesi di attività didattica, la copertura di competenze, tecnico-scientifiche e umanistiche, prima assicurate da una molteplicità di insegnamenti spalmati in curricula mirati, operando in poche settimane nella necessità di trasferire i fondamenti della disciplina e di tradurre in esperienze sul campo le attività seminariali e di esercitazione. Alla luce di queste sintetiche considerazioni, come si può ben comprendere, non si tratta di compendiare il restauro in nozioni di base, bensì di fornire gli strumenti conoscitivi e operativi per approfondire le molte competenze che oggi si richiedono e si pongono all’attenzione del mondo della conservazione. Occorre, altresì, intraprendere in una visione olistica un percorso di integrazione tra i vari soggetti che operano nel settore, forti anche di esperienze positive che negli anni passati sono state condotte con successo sia al di fuori delle università dal MiBACT, come pure all’interno degli atenei e nelle scuole di specializzazione. In ogni caso, per la messa punto di aggiornati programmi di studio e di ricerca è importante poter comunicare e trasferire il know-how prodotto dalle più avanzate esperienze di settore, recependole in modo integrale nei programmi didattici. Basti pensare, ad esempio, cosa negli Anni ’90 del secolo scorso ha significato e contribuito all’allargamento del dibattito scientifico, alla messa a punto di metodologie ed applicazioni per il restauro, l’esperienza maturata per la risoluzione del complesso problema conservativo affrontato per la conservazione del ciclo di dipinti murali, istoriati da Piero della Francesca nella Cappella Maggiore ad Arezzo, che ha visto operare all’unisono architetti, storici dell’arte, strutturisti, restauratori, esperti in diagnostica architettonica e ambientale, chimici, fisici, informatici ecc. Sotto il nome di Progetto Piero della Francesca, nell’arco di oltre tre lustri (1983 - 2000) si è tracciato e documentato l’intero ‘percorso della conoscenza’ per il restauro, dalle prime osservazioni sulle cause del degrado e delle patologie degli affreschi, al radicamento metodologico affidato alla ricerca storica come canovaccio da seguire in ogni ricerca, dal rilievo fotogrammetrico all’analisi diagnostica e al monitoraggio di controllo fino al compimento dell’intervento di restauro, pubblicando step by step24 non solo i risultati delle indagini eseguite, bensì l’intero profilo dialettico partecipato dalle diverse competenze scese in campo che ha preceduto, accompagnato e, infine, valutato, l’intervento restaurativo, interessando gli aspetti architettonici, le superfici dipinte, gli ambiti ambientali e il contesto urbano, ovvero tutte le diverse scale di lavoro che potrebbero interessare ogni cantiere del restauro. Tutto questo è avvenuto attraverso un affinamento congiunto delle problematiche conservative incontrate, risolte di volta in volta sotto l’attenta supervisione della Soprintendenza, attraverso un consulto multidisciplinare sia durante lo svolgimento delle ricerche che nella progettazione ed esecuzione dell’intervento, seguendo al tempo stesso l’evoluzione tecnologica degli strumenti in uso, creando all’uopo anche il “Sistema di Documentazione Archivio” (SDA) in grado di migliorare la gestione

Cfr. Centauro G.A., Maffioli M. (a cura di) 1989; Centauro G. 1990; Centauro G., Moriondo Lenzini M. (a cura di), 1993; Centauro G.A., Settesoldi E. 2000.

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degli interventi e mettere a disposizione in tempo reale i dati a tutti i soggetti interessati (Casciu S., Centauro G.A., Chimenti M. 2000, pp. 208-220). Di fatto è stato elaborato, attraverso quell’esperienza di working in progress, un profilo metodologico completo, fornendo una sorta di ‘codice di pratica’ a valere, più in generale, nella conduzione dei cantieri di restauro più complessi come nella comunicazione dei risultati per la didattica, fornendo un modello da seguire e le linee guida per intervenire, aprendo, altresì, alle innovative procedure dell’analisi preventiva, alle nuove metodologie per le indagini diagnostico-conoscitive e ai sistemi di monitoraggio di controllo via via messi a punto in seno al progetto. D’altronde la creazione di gruppi di lavoro misti

Fig. 1.3 Copertina del volume Progetto HECO, op. cit.

Soprintendenza/ Enti locali/ Università/ liberi professionisti, regolati da specifiche convenzioni e coordinati tra loro sia nello svolgimento delle indagini preliminari sia nella definizione del progetto e nel corso d’attuazione degli interventi, rappresenta un esempio ai fini formativi che può trovare anche una sua specifica attuazione nelle scuole di architettura o di scienze per la conservazione nell’ambito dell’organizzazione didattica dei laboratori di restauro di primo, secondo e terzo livello. Su questo solco metodologico si è mosso il Progetto HECO (Heritage Colors) (2014-2017), cit. con gli studi condotti dal gruppo di studio del Dipartimento di Architettura (DIDA) e dall’Ufficio UNESCO del Comune di Firenze (da ora indicato come ‘Ufficio Firenze Patrimonio Mondiale e rapporti con UNESCO’), nell’ambito di un progetto integrato di ricerca finanziato dal MiBACT25. Per dare continuità all’esperienza e non isolare l’esperienza di ricerca inizialmente prodotta in un ambito di condivisione con altri indirizzi disciplinari, è stato messo in piedi un “Laboratorio congiunto”26 ad hoc (Heritage_City Lab, oggi Heritage Research - HERE) per la valutazione d’impatto sul patrimonio del costruito storico (Heritage Impact Assessments - HIA)27. (Fig. 1.3) L’approccio al restauro architettonico Quale restauro, oggi? Questo è un punto di domanda che ricorre frequentemente nei corsi di architettura, quasi fosse una frase rituale che puntualmente, anno dopo anno, accompagna le prime lezioni in aula fin dal momento della presentazione dei programmi. Si tratta di un quesito che solo in apparenza ha un risvolto didattico al fine di introdurre la eterogeneità degli argomenti che caratterizza oggi la disciplina. Lo può certamente essere per il neofita della materia. Per chi abbia già maturato nel

AI sensi della L. 77/2006 «Misure speciali di tutela e fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella ‘lista del patrimonio mondiale’». 26 Il “Laboratorio congiunto” consente all’Università e a soggetti pubblici e privati di mettere in condivisione il proprio know-how e le proprie strutture di ricerca realizzando un luogo di incontro con caratteristiche nuove rispetto ai due o più istituti proponenti. I ricercatori universitari e ai partner esterni lavorano congiuntamente allo sviluppo di ‘road map’ scientifiche e tecnologiche di comune interesse e creano partenariati stabili per la partecipazione a bandi competitivi attingendo a finanziamenti per la ricerca e aumentando la potenzialità di attrarre investimenti privati (scheda descrittiva tratta dal sito del Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze, cfr. https://www.dida.unifi.it/vp-638-laboratori-congiunti.htm. L’obiettivo è quello di realizzare e condividere linee guida operative, una sorta di template, uno spazio da riempire in itinere attraverso lo sviluppo delle ricerche. 27 Come frutto di questa esperienza è nata la pubblicazione del Progetto HECO, cfr. Centauro G.A., Francini C. (a cura di) 2017, op. cit. 25


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corso degli studi propri convincimenti assume invece la funzione di una preposizione dialettica, tanto provocatoria quanto retorica, dalle molteplici accezioni e valenze introspettive. Il restauro, del resto, è una materia che si propone nei corsi di laurea al terzo o al quarto anno, quando le conoscenze tecniche hanno già assunto una loro ben determinata consistenza e la coscienza critica dell’operare nel settore può dirsi pienamente formata. Per quanto riguarda la mia personale esperienza di didatta, sia nel primo come nel secondo caso, tale quesito non ha mai ottenuto da parte degli allievi risposte univoche, tuttavia ha sempre avuto il merito di stimolare una riflessione non banale, non convenzionalmente assunta, suscitando negli studenti motivi di più specifico interesse. Quel che è certo è che l’uditorio si è comportato ogni anno in un modo mai uguale: più spesso con risposte estemporanee, rispondendo d’acchito con ammissioni più o meno convinte, tuttavia il più delle volte registrando commenti più articolati solo dopo una seconda e più esplicita sollecitazione. Di solito sono i temi di più viva attualità a suscitare le maggiori osservazioni, specialmente quelli rivolti a episodi riguardanti le criticità ambientali riscontrate alla scala territoriale, oppure tematiche di carattere generale quali la ricostruzione dopo il terremoto o il recupero di siti abbandonati. I meccanismi di collasso delle murature storiche a seguito del sisma sono in questo caso fonte di immediata discussione in relazione alla questione tuttora aperta se sia più opportuno restaurare un edificio lesionato (fortemente danneggiato) o piuttosto ricostruirlo ex novo. Da questo punto di vista si è registrata negli ultimi anni una certa continuità dialettica, richiamata ogni volta da esperienze pregresse, riferite a studi condotti nei corsi precedenti. Tuttavia, anno dopo anno, si generano intorno al mondo del restauro architettonico altri motivi di approfondimento per lo più legati alla progettualità del nuovo nell’antico, piuttosto che alla conservazione dell’esistente nelle preposizioni di riqualificazione del contesto urbano. Emerge sempre di più il ruolo dell’architetto compositore piuttosto che quello dell’architetto conservatore. Atteggiamenti che si deve ritenere sintomatici della difficoltà di accostarsi per gli architetti del domani al restauro come strumento di conoscenza e salvaguardia dei valori ereditati dal passato, espressione della cultura di un’epoca. Da questo punto di vista si producono piuttosto situazioni di volta in volta mutevoli ed incerte, che si traducono in orientamenti piuttosto schematici nei confronti dell’esistente, poco più che luoghi comuni. Questi atteggiamenti danno la misura di un profondo cambiamento in atto, ma anche del precario radicamento ai luoghi d’origine, alla storia dei territori e con questi alle tecniche costruttive e ai materiali del costruito tradizionale. Di certo la questione non è nuova, emersa soprattutto nel dibattito degli Anni ’70 sui destini dei centri storici, e riguarda le ragioni stesse del restauro inteso come espressione di rinnovamento, di reinterpretazione dei modelli costruttivi o tipologici del passato e di riconversione d’uso del patrimonio edilizio esistente. La lettura delle forme non può sostituire la ricerca delle intenzioni, la dialettica fra le forme stesse e “ciò che esse nascondono”. L’analisi tipologica non si giustifica sul piano scientifico descrittivo, ma sul piano progettuale, non descrive tanto il passato o la città esistente quanto il modo in cui, in un certo momento storico, un

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settore della cultura architettonica li coglie «… Il tipo rimane uno schema interpretativo, rispetto al quale riaggregare i dati; la tipologia non sostituisce in nessun modo il paziente lavoro d’indagine sulle fonti disponibili che restituisce la conoscenza effettiva di una città … Tutto il contrario, cioè, di quel lavoro di anamnesi minuziosa della vicenda e della consistenza fisica di un edificio sulla quale si fonda il restauro (Grimoldi A.1981, pp. 388-395).

Nel dibattito attuale risulta invece più stimolante ricondursi ad episodi di cronaca che fornisce spunti di dibattito, a testimonianza del fatto che il tema del restauro è sempre più legato al carattere emergenziale degli interventi piuttosto che alla tutela o alla conoscenza preventiva. Per portare un esempio, il tema che si sta ponendo da più di un anno sulla ricostruzione delle coperture di Notre-Dame di Parigi, carbonizzate dall’incendio del 15 aprile 2019, insieme all’iconica fléche di Viollet-le-Duc (Fig. 1.4) ha vivacizzato il dibattito intorno ai modi da perseguire per il rifacimento di quanto è andato perduto e, naturalmente, di riflesso, si è posto al centro il tema del restauro, oggi. Con ciò si conferma il fatto, purtroppo sempre più ricorrente, che per intervenire (e suscitare l’interesse dei media) si debba attendere l’evento traumatico, addirittura l’irreparabile, a prescindere dalle cause e

Fig. 1.4 E. VLD, Notre-Dame di Parigi, La flèche, 29 0ttobre 1857 (Disegno ad acquerello 1,17 x 0,59), M.S.C. 2137, Parigi C.R.M.H. in Viollet-le-Duc, Ed. de La Reunion des musées nationaux, Paris 1980

concause che hanno determinato l’accaduto. Questa condizione sembra valere anche per alzare l’attenzione sulle tante modalità del restauro (Centauro G.A. 2019). Nel caso specifico la questione del rinnovamento versus il ripristino ha riaperto lo scontro fra visioni diametralmente opposte su cosa siano o rappresentino i beni culturali e su quali siano le scelte più giuste da perseguire nel rifacimento di ciò che, pur appartenente alla storia dell’arte e del restauro, è andato gravemente danneggiato o perduto. Anche in presenza di molteplici tematiche legate alla salvaguardia dell’immagine storicamente consolidata la questione centrale torna ad essere sempre la stessa, in particolare sul modo di intendere il restauro, oggi: come salvaguardia o piuttosto come trasformazione in forme e materiali dell’esistente rovinosamente pregiudicato. Tali opposte tendenze possono apparire in chiave didattica come filtri coerenti per guardare da angoli visuali asimmetrici le cose del passato al fine di interpretare diversamente l’evoluzione culturale della società e con essa il presente e il futuro, semmai cogliendo nelle trascorse esperienze di restauro occasioni di studio e d’ispirazione per progettare il nuovo. Se il restauro è disciplina volta ad assicurare primariamente la conservazione del patrimonio culturale dovremmo però chiederci quali siano in realtà i beni storico artistici, architettonici e del paesaggio che, al di là degli eventi, necessitano di congrue attenzioni d’intervento al di là della mera rifunzionalizzazione. Una volta riconosciute le precipue valenze storico documentarie ed artistiche, o paesaggistiche sarà dunque quello il patrimonio culturale da porre sotto la lente d’ingrandimento della categoria del “restauro conservativo” da declinare con le dovute cautele in un’azione incessante di cura, laddove prevenzione e manutenzione sono le prime condizioni da assolvere per la salvaguardia. Cos’è allora il restauro se non un percorso ‘inesausto’ di conoscenza del passato e di riconoscimento di valori da trasmettere nelle migliori condizioni di conservazione alle generazioni future? È di tutta


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evidenza che l’esigenza primaria del restauro sarà sempre e comunque quella di affrontare un percorso di studio storico evolutivo adeguato alla situazione da affrontare in modo da evitare improprie correlazioni tra ciò che è stato, quantunque ritenuto obsoleto, e ciò che allo stato attuale permane fisicamente dell’originale, sia essa una muratura inglobata in un’altra oppure una stratigrafia di intonaco avente valore di testimonianza, sia pure frammentaria o in stato di rudere. Da questo punto di vista l’esercizio del restauro archeologico dovrebbe trovare un giusto spazio nelle attività dei laboratori per non emarginare tale problematica dal resto degli interventi a dimostrazione della bontà del metodo conservativo. L’azione del restauro dovrà in ogni caso evitare eccessive schematizzazioni e disarmoniche fughe in avanti in modo da assicurare il migliore approccio possibile sul piano del metodo o, per meglio dire, sul piano etico del rispetto dovuto ad ogni giacimento culturale del passato, per accostarsi in modo misurato e consapevole al progetto. Cominciare dal rilievo Per gli studenti di architettura l’approccio sul costruito esistente inizia, unitamente alla documentazione fotografica del manufatto e del suo intorno, con il rilievo a vista, schizzato direttamente sul blocco da disegno, ad es. per l’edificio da indagare con la facciata preliminarmente misurata da terra alla linea di gronda, anche attraverso la semplice fettuccia metrica o con l’aiuto di un distanziometro laser. Dopodiché per avere un quadro topografico di riferimento è naturale che si debba procedere, già in una prima fase, con il rilievo celerimetrico per l’indicazione delle misure e la descrizione dei punti battuti utilizzando teodolite e stadia. Per il restauro è tuttavia necessario accostarsi all’edificio in modo più introspettivo e analitico28, non solo quindi per appuntare le quote utili, bensì studiando i materiali (apparati murati e rivestimenti) e le connessioni fra le parti corrispondenti alla composizione del prospetto, per poi procedere con maggior dettaglio al disegno tracciando un eidotipo con la descrizione dei punti battuti, avendo cura di rimanere fedeli alle proporzioni, rispettando l’ordine architettonico e il disegno degli elementi plastico decorativi. Si marcano gli assi di porte e finestre e gli altri elementi caratterizzanti l’elevato, quali zoccolature, basamenti, cornici marcapiano, cantonali, ecc. Questa preliminare presa di visione condotta attraverso schizzi schematici è parte fondamentale del percorso conoscitivo per dar successivamente corso ad una lettura di maggior dettaglio occorrente per sviluppare in modo adeguato il progetto di restauro architettonico, laddove entrano in gioco gli aspetti qualitativi sui materiali, sul colore e, soprattutto, sullo stato di conservazione delle singole parti. L’importanza di recuperare la pratica del disegno a mano libera della fabbrica o degli elementi plastici e decorativi osservati è duplice sia – come ovvio - per fissare i capisaldi e i punti di appoggio per la successiva restituzione grafica a tavolino, sia per quanto concerne la personale e puntuale lettura da parte 28

Cfr., ultra, il contributo di A. Bacci.

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del rilevatore dei caratteri costruttivi, materici e plastico scultorei delle superfici. Allo stesso modo sarebbe opportuno che lo stesso procedimento seguito per studiare i vari corpi di fabbrica componenti l’edificio riguardasse ogni altro particolare architettonico, ritenuto significativo per delineare e descrivere la natura costruttiva stessa della fabbrica, per leggere la tessitura e la composizione stratigrafica dei materiali sia in pianta che in elevato. Questo tipo di approccio manuale, meticoloso e attento della realtà percepita, è venuto gradatamente meno nel tempo, sostituito fin dal primo impatto con il manufatto da una lettura meccanica per lo più affidata ai soli sistemi automatici del rilievo, generanti ‘nuvola di punti’ da rielaborare solo in un secondo momento a tavolino grazie all’impiego del Laser scanner 3D. Rilievi fortemente prestazionali in vista della rappresentazione tridimensionale e della gestione computerizzata del disegno ma non per questo sostitutivi del disegno a vista. Gli utilizzi delle nuove tecnologie di rilievo e degli strumenti informatici di supporto hanno indubbiamente aumentato le capacità di elaborazione dei dati, ma al contempo hanno allontanato il rilevatore dal contatto diretto con il manufatto. Si tratta in questa accezione di un fattore di approccio che ha da sempre costituito un momento fondamentale del percorso conoscitivo a valere a maggior ragione per il neofita posto di fronte al soggetto da studiare, all’insostituibile contatto de visu con la materia. Affidandosi totalmente agli strumenti tecnologici si rischia di inibire del tutto la capacità introspettiva personale, requisito fondamentale dell’architetto che si occupa di conservazione. Rimane quindi non sostituibile l’occasione di accostarsi al manufatto e non solo alla sua rappresentazione per saper vedere e capire l’oggetto dell’intervento, nonché per documentare attraverso lo schizzo manuale quanto è stato colto dal manufatto osservato e sul quale poter sempre ritornare in un secondo momento. L’eidotipo, come prima occasione di rappresentazione dal vero, unitamente alla fotografia di cui diremo oltre, sono strumenti primari per la comprensione del tutto, quindi per la rappresentazione e la documentazione di quanto percepito; disegno e fotografia dello stato rilevato fanno parte dunque dell’abbiccì della conoscenza propedeutica al restauro, azioni indispensabili per costruire ogni successivo progetto. Alla luce di quanto osservato per affrontare il progetto conservativo è di primaria importanza perseguire un’attenta lettura del monumento, per poi passare al rilievo architettonico particolareggiato, oggi verificabile con un rigoroso controllo metrico strumentale. D’altronde ogni successiva analisi senza un esaustivo rilievo non troverebbe un giusto riscontro inibendo un confronto diagnostico più sofisticato. Per sviluppare i necessari studi archeometrici, in modo anche da essere in grado di coordinare le varie competenze tecniche che operano nel cantiere, è dunque necessario, adottando le metodologie più opportune, traguardare il rilievo agli obiettivi del restauro che sono, è bene ricordarlo, allo stesso tempo conoscitivi e funzionali alla conservazione.


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La rappresentazione di rilievo come prima pratica di restauro La prima esperienza nei laboratori didattici parte proprio da questo assunto, del resto lo stesso incipit della disciplina moderna dall’Ottocento in poi lo dimostra con chiarezza attraverso l’operato dei suoi artefici. Per dimostrare il radicamento di tale metodo e l’ascendenza storica di tale modo nell’approcciare per conoscere e progettare si illustrano alcuni disegni pubblicati sulla rivista Ricordi di Architettura29 eseguiti per lo studio e il completamento del palazzo di Piero della Francesca a Borgo Sansepolcro, realizzati tra il 1894 e il 1895, dall’arch. Giuseppe Castellucci, profondo conoscitore delle tecniche costruttive della tradizione toscana e sensibile restauratore degli stilemi architettonici medievali e rinascimentali. (Tav. 1.1) In sintesi, si può anche ribadire come il rilievo architettonico per il restauro costituisca l’esperienza principale, imprescindibile nel percorso di studio, osservando come sia sempre il frutto di una metodologia integrata di analisi, al di là degli strumenti e delle attrezzature utilizzate. La fettuccia metrica come il laser scanner sono dunque entrambi strumenti al servizio dell’architetto per il medesimo obiettivo il quale non può però prescindere da un approccio a tutto tondo, dove la storia della fabbrica, l’analisi materica e la perlustrazione sui sistemi costruttivi fanno parte di unico processo di ricerca. Occorre sottolineare che nella tradizione dei laboratori fiorentini del restauro, fin dagli Anni ‘70, questi aspetti sono stati sempre curati con la massima attenzione: ieri, fino all’archiviazione di lucidi, radex e pellicole fotografiche; oggi, del materiale digitale prodotto. (Fig. 1.5). La molteplicità dei rilievi prodotti è stata sempre posta nel campo del restauro e della scienza della conservazione, ben prima del supporto degli strumenti informatici e della computer grafica, del designer delle interfacce utente che oggi governano l’uso del disegno nelle tecnologie più avanzate ecc., dei disegni a mano libera come un patrimonio esso stesso da salvaguardare e mettere a disposizione per ogni successivo studio che si fosse posto in essere, procedendo sistematicamente alla collocazione dei rilievi mossi e scalati indifferentemente dalla scala urbana/edilizia (Fig. 1.6) a quella architettonica fin alla descrizione, laddove presente, del particolare plastico-decorativo semmai accompagnando la documentazione fotografica con le rappresentazioni grafiche di dettaglio raccolte in planimetrie, sezioni e prospetti, all’occorrenza accompagnate da spaccati assonometrici e modelli plastici (Fig. 1.7), per la migliore comprensione dei caratteri costruttivi. L’esperienza di oggi deriva dalla conoscenza degli studi condotti nel passato. (Tav. 1.2) Non meno importanti sono i più recenti sviluppi del rilievo applicato allo studio dei materiali, delle superfici, dei cromatismi. In particolare, lo studio del colore nell’analisi compositiva del costruito storico ha assunto una propria e distinta centralità nell’ambito della conservazione dei valori identitari dell’architettura. Tuttavia, un tal genere analisi non deve tuttavia limitarsi a considerare il problema delle corretta distribuzione delle cromie bensì affrontare, più in generale, il problema della conservazione Cfr. Castellucci G. (1894-95), S. Sepolcro - Palazzo di Piero della Francesca, oggi Collacchioni (dis. dello stato attuale e completamento facciata), in “Ricordi di Architettura” (Vol. IV – Serie II (1894-95), Tav. 32, Firenze.

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delle superfici dell’edificato storico e il recupero della tradizione costruttiva. La ‘nostra’ cultura tecnica per molti decenni ci ha portato ad immaginare severi e monocromi edifici monumentali al punto da alterare del tutto la realtà assai più colorata delle più importanti realizzazioni del passato. I grandi edifici storici sono stati per secoli il luogo in cui sperimentare nuove soluzioni compositive, tecnologiche e decorative successivamente trasferite all’edilizia corrente. Inoltre, esiste una simbiosi ambientale tra le superfici plastiche e decorate pittoricamente e lo spazio architettonico, laddove arte ed architettura si completano proprio nelle correlazioni cromatiche. Le superfici decorate e le superfici istoriate e dipinte delle pareti fanno dunque parte integrante di questo processo compositivo e devono essere studiate in modo indistinto l’una per l’altra, anche se i processi storici di trasformazione possono averle disgiunte, ‘decontestualizzate’ o ‘deoggettivate’. Compito del restauro sarà quello di eliminare, una ad una, le parti spurie, le sgrammaticature e l’improprietà lessicali eventualmente presenti nei pregressi trattamenti delle superfici intonacate e pitturate, ristabilire i giusti rapporti, le giuste correlazioni con i testi originali, ricomporre le lacune compositive e risanare le incongrue modificazioni ambientali determinatesi nel tempo nelle diverse cause quali esse siano, antropiche o naturali. Occorre però ricordare che «il colore in architettura è una materia di studio trasversale, se consideriamo i vari settori applicativi che principalmente qualificano la disciplina come arte visiva plastica» (Centauro G.A, Grandin N.C. 2013, p.5). Da questo punto di vista la corretta scala di intervento del restauro del colore può riguardare l’ambito strettamente architettonico del monumento come pure, diffusamente, la scala urbana, ponendo il restauro delle superfici al centro delle attenzioni propedeutiche al restauro del paesaggio. La fotografia nel restauro: un bagaglio culturale e metodologico della Scuola Fiorentina In una recente mostra curata dalla Biblioteca di Scienze Tecnologiche /Architettura dell’Università di Firenze30 si è ripercorso attraverso documenti fotografici conservati nell’Archivio Fotografico di Restauro (AFR) l’incipit negli anni ’60 del “restauro come scienza” (Gurrieri F. 1981, pp. 7-12) pienamente Fotografie da una città in restauro - Sanpaolesi e la ‘Scuola Fiorentina’ negli anni Sessanta (mostra a cura di G. Frosali, F. Faga, L. Patriarca, G. Vignarelli, 9 Ottobre 2019 – 8 Novembre 2019).

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personificato dal prof. Piero Sanpaolesi, riconosciuto fondatore della Scuola Fiorentina del restauro. E proprio dalla fotografia che documenta doviziosamente alcuni dei suoi interventi, prima e dopo le lavorazioni, cogliamo i caratteri distintivi del suo peculiare percorso di didatta e di grande ricercatore, nonché di conservatore istituzionale. Si tratta di aspetti che hanno, più in generale, segnato gli indirizzi metodologici della disciplina moderna e, a Firenze, rappresentato un sicuro riferimento per tutte le successive attività didattiche. Del resto, la fotografia è stata per il professore un mezzo di introspezione, un selettore informativo privilegiato per condurre analisi preventive e ben ponderare i risultati ottenuti dopo gli interventi effettuati vuoi di consolidamento, di integrazione e messa in pristino dei monumenti. I documenti fotografici di quegli anni ci mostrano esattamente le lavorazioni seguite per eseguire l’integrazione di una mancanza o il rifacimento di una porzione di modanatura perduta e con esse il significato stesso del riordino formale degli apparati decorativi e degli elementi architettonici di una facciata monumentale assicurato dal restauro. È stato detto che «esistono due modi per intendere la fotografia per il restauro: come fonte o come strumento, ambiti i cui confini sono tuttavia labili e a volete sovrapponibili».31 Ecco, possiamo affermare che questo modo di accostarsi al restauro costituisca il segno distintivo della Scuola Fiorentina che ha contraddistinto l’esercizio disciplinare, ma anche la prima tangibile esperienza del neofita della materia a fronte degli insegnamenti ricevuti, passando la mano da docente a docente. Si può dire che la fotografia nel restauro sia andata ben oltre gli epocali cambiamenti tecnologici vissuti negli ultimi trent’anni, mantenendo inalterata la sua principale prerogativa documentale, passando dalla fotografia analogica a quella digitale. D’altronde la scienza applicata alla conservazione passa oggi soprattutto attraverso la ‘diagnostica per immagini’ e gli approfondimenti tecnici ad essa associati, e non meno importanza ha avuto l’assetto documentario che esso pure ha vissuto nel tempo radicali cambiamenti, passando dall’archiviazione di pellicole e provini, alla scansione delle immagini seguendo procedure sempre più sofisticate nelle metodiche di raccolta e gestione dei dati (data collection) e nell’elaborazione e trattamento informatizzato. L’archivio fotografico della Sezione di Restauro di Firenze riveste ormai da anni un ruolo fondamentale anche per la sua valenza documentale a cominciare proprio dalle fotografie di Sanpaolesi che sono fonte importante d’informazione, cosicché oggi possiamo ripercorrere molti degli interventi di quegli anni con dovizia di particolari, fornendo al contempo un ampio resoconto circa i procedimenti seguiti nelle lavorazioni per il restauro dei materiali nei diversi cantieri condotti in molteplici ambiti geografici che oggi, attraverso i sistemi di georeferenziazione e trattamento dati possono essere utilmente sovrapposte alle immagini e ai grafici odierni in una sorta di ideale monitoraggio a ritroso. (Tav. 1.3) La quotidiana esperienza di studiosi della architettura ci ha insegnato come in realtà, la conoscenza che abbiamo degli edifici, anche quelli più noti, è troppo spesso assai generica e sommaria. Questa generale

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Bartolozzi A., Sarzotti M. 2012, pp. 431-440. Si veda anche: Belli G. Fanelli G., Maffioli M., Mazza B. 2000, pp. 72-74.

pagina a fronte Fig. 1.5 Rossi P.A. 1971, prospettiva analitica della struttura (UNIFI AFR, 0347.29) Coro e Cupola di SS. Annunziata a Firenze, in Collana Rilievi Architettonici (dir. da P. Sanpaolesi) 3, Nistri Lischi Ed., Pisa Fig. 1.6 Basilica di Santo Spirito, ricostruzione della struttura brunelleschiana (modello plastico di P. Roselli, O. Superchi 1977) (AFR, 1154-18) Fig. 1.7 Roselli P. 1974, Rilievi per isolati, tavv, XXI-XIV), in Sanpaolesi P. 1974, Firenze. Studi e ricerche sul centro antico, vol. 1. L’ampliamento della cattedrale di Santa Reparata, le conseguenze sullo sviluppo della città a nord e la formazione della piazza del Duomo e di quella della SS. Annunziata, Nistri-Lischi Ed., Pisa (AFR, ds-4167)

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carenza degli studi storici è da imputarsi, tra le altre cose, alla mancanza di un’adeguata documentazione grafica, cioè di rilievi attendibili sia da un punto di vista metrico che da quello, non meno importante, dell’interpretazione e rappresentazione dei materiali, della decorazione, ecc. (Roselli P. 1978, in Centauro G.A. 2012, p.16).

Fig. 1.8a Planimetria generale del complesso di San Lorenzo e Cappelle Medicee Originale in scala 1/200 Fig. 1.8b Pianta della chiesa Originale in scala 1/100 (AFR)

In questo senso, l’archivio fotografico, a cominciare da quello ideato e perseguito da Piero Sanpaolesi e dai suoi proseliti, è da considerare come una pietra miliare.

Figg. 1.8c, 1.8c1 Planimetrie del piano interrato (in alto) e del sottotetto (in basso) Originali in scala 1/100 (AFR)

Dobbiamo pensare che ancor oggi non conosciamo esattamente la quantità degli edifici progettati e costruiti da Filippo Brunelleschi, ma non sappiamo neanche, per quelli di più sicura attribuzione, quale sia l’effettivo apporto del Brunelleschi stesso. Un contributo fondamentale è dato dagli studi promossi dal Sanpaolesi, un altro deriva dalla rilevazione degli edifici che sono stati oggetto dell’attività del Brunelleschi, nonché dal sistematico spoglio delle fonti documentarie /…/» (ibidem, p. 14).32

Sul piano metodologico conoscitivo, nonché per rendere omaggio al grande architetto in occasione delle ricorrenze promosse in questo 2020 dall’Opera di Santa Maria del Fiore 33, si pongono in primo piano alcuni rilievi rimasti inediti, custoditi nell’AFR dell’Università di Firenze, della Basilica di San Lorenzo, foto e disegni eseguiti nel 1977/78 per le celebrazioni brunelleschiane dei 600 anni dalla nascita34 (Figg. da 1.8a a 1.8f). Ed ancora, per dar conto di studi più recenti inerenti all’opera del grande pagina a fronte Figg. 1.8d, 1.8d1 Sezioni trasversali in navata (in alto) e al transetto (in basso), originali in scala 1/100 (AFR) Figg. 1.8e, 1.8e1 Sezione prospettica del retrofacciata (in alto) e sezione longitudinale ovest (al centro), originali in scala 1/100 (AFR) Fig. 1.8f Prospetto laterale, originale in scala 1/100 (AFR)

maestro fiorentino si propone un estratto delle ricerche condotte in occasione di tesi di laurea di specializzazione sulla cappella Barbadori - Capponi nella chiesa di Santa Felicita a Firenze.35 Si veda, più in generale, l’ampia trattatistica sugli studi brunelleschiani condotta dal prof. Roselli. Si rimanda a: G.A. Centauro, Laboratorio di Restauro. Scritti vari e lezioni (1977/83 - 2012) …, op. cit., p. 16. 33 In questo anno si celebra la ricorrenza dell’avvio dei lavori alla Cupola di Santa Maria del Fiore. 34 G.A. Centauro, O. Superchi, Basilica di San Lorenzo, Rilievo metrico e restituzione grafica (disegni a china), in Comitato Nazionale per la celebrazione del VI Centenario della nascita di Filippo Brunelleschi, Commissione Rilievi, coordinatore Piero Sanpaolesi, Rilievo della Basilica di S. Lorenzo, (coordinatore responsabile Piero Roselli), rilevatori arch. Giuseppe A. Centauro, Orietta Superchi, Firenze 1977-1978. 35 Cfr., ultra, il contributo di M. Castellini. 32


conservazione e restauro: aspetti disciplinari • giuseppe alberto centauro

Gli accertamenti diagnostici L’indagine visiva diretta non può sempre compensare il quadro conoscitivo necessario per delineare tutti i processi evolutivi che hanno accompagnato la storia della fabbrica e gli aspetti costruttivi che la caratterizzano allo stato attuale, è quindi necessario procedere in modo più dettagliato indagando su strutture e superfici, mettendo in luce ogni ambito murario, rivestimenti e apparati decorativi, puntualizzando sul tipo delle finiture, natura e composizione di intonaci, ecc. Occorre al bisogno condurre ispezioni analitiche specialistiche con rilievi mirati e, soprattutto, per quanto riguarda lo stato di conservazione provvedere ad ulteriori accertamenti diagnostici. L’approccio alla diagnostica architettonica non è tuttavia solo specialistico e, più in generale, fa parte dell’esperienza di un ‘attento’ architetto conservatore. Il riconoscimento e la rappresentazione dei fenomeni accertabili in via preliminare per stabilire l’ordine costruttivo, le patologie e il degrado del manufatto comporta un’attenta verifica e perlustrazione delle superfici quali indicatori privilegiati per segnalare le eventuali morfologie del dissesto, il plesso fessurativo e le forme di alterazione più manifeste. Unitamente alla rappresentazione grafica dei materiali e degli elementi finiti che compongono l’edificio l’accertamento conoscitivo dovrà attendere alla lettura delle loro distribuzione in via topografica su elevati e orizzontamenti, mutuando le procedure di accertamento dalle metodologie archeologiche, attraverso l’individuazione di porzioni omogenee e coeve di tessiture murarie, procedendo alla cosiddetta analisi per “Unità Stratigrafiche Murarie” (U.S.M.), analoga operazione dovrà farsi per le superfici nella scomposizione per “Unità Stratigrafiche di Rivestimento” (U.S.R.). Nel primo, come nel secondo caso, per operare uno screening completo l’approccio per la conservazione dovrà correlare nel miglior modo possibile quanto osservato alla natura costruttiva della fabbrica per stabilire correttamente insieme alla cronologia delle fasi edificatorie, o dei restauri pregressi, le relazioni di causa effetto instaurate dalle patologie osservate. Per eseguire una scansione pianificata con foto digitali delle superfici a facciavista o di porzioni non direttamente osservabili (coperture, ecc.), di grande utilità e al fine di operare una rappresentazione di dettaglio delle aree indagate, è risultato l’impiego di droni fotografici (APR).

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Figg. 1.9, 1.10 Mosaicatura di termogrammi (a sinistra) e assemblaggio di foto a luce radente (a destra). Abbazia di S. Michele Arcangelo in Passignano, parete del refettorio con dipinti di Domenico Ghirlandaio, indagini diagnostiche di G. A. Centauro 2012

Per il rilievo di elementi plastico-architettonici si possono oggi impiegare con facilità tools con software avanzato, con marchi registrati del tipo Agisoft PhotoScan©, che si basano sulle tecniche fotogrammetriche per l’acquisizione di dati metrici mediante l’elaborazione di coppie di foto stereometriche. Da questo punto di vista, non meravigli il fatto che per la produzione di ortofotopiani sia attraverso l’impiego di droni a pilotaggio remoto sia servendosi di comuni programmi di elaborazione delle immagini, pur rientrando tra gli strumenti del rilievo e della rappresentazione/ restituzione grafica, si considerino piuttosto come applicazioni diagnostiche ‘non invasive’, a supporto dell’indagine visiva. Si tratta di settori in continua evoluzione tecnologica, ormai entrati a far parte dell’uso comune per studenti, tecnici e professionisti del settore. Grazie alla Termografia architettonica (TMV) 36 metodica analitica che interagisce con il campo osservato in modo non invasivo in virtù del diverso comportamento termico dei materiali in opera registrabile dallo strumento, consente di ottenere termogrammi in “falso colore” o in “bianco/ nero” relative alle superfici coperte da intonaci (che fungono da ‘cartine tornasole’ rispetto ai materiali del substrato che sono a contatto) ed accertare per la parti non visibili all’osservazione diretta, la caratterizzazione dell’apparecchio murario mettendo in evidenza, oltre alla diversa tipologia dei materiali, la presenza di discontinuità tessiturali, presenza di aree di rifacimento, l’andamento di fratture e lesioni, ispessimenti di intonaci, distacchi e spanciamenti occulti, come pure accertare l’inclusione nelle murature di elementi architettonici nascosti, obliterati nel corso del tempo, di tamponature, ecc. A dimostrazione delle potenzialità introspettive di tale approccio, si illustra il risultato dell’esame diagnostico in TMV che mette in evidenza la tessitura muraria della parete affrescata da Domenico Ghirlandaio nel Refettorio dell’Abbazia di San Michele Arcangelo a Passignano, mosaicatura di termogrammi messa in relazione con rilievo fotografico a luce radente della superficie dipinta dell’Ultima Cena che occupa l’area centrale sotto i capitelli per l’intera estensione della scena. (Figg. 1.9, 1.10)

«La termografia architettonica è un’indagine diagnostica specialistica che ha un ambito d’applicazione pressoché illimitato e polivalente, definito dai diversi obiettivi che possono variamente porsi per indagare sullo stato di conservazione e integrità di strutture edilizie, per stabilire la composizione e la tessitura muraria o la presenza di discontinuità o vacuità nelle varie murature, o per accertare la coibenza delle murature esterne ed anche eventuali carenze o disfunzioni negli impianti di riscaldamento al fine di ottemperare alle esigenze oggi imposte da un razionale utilizzo delle fonti energetiche, ecc.» (dal manuale d’uso E.DI.TECH di M. Seracini, ivi: G.A. Centauro 1988, Diagnostica architettonica, Firenze). 36


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La distribuzione termica accertabile sulle superfici, registrata dall’esame TMV nei minimi scarti termici, attentamente mappata può restituire la presenza di umidità nelle pareti, di ponti termici di dispersione, ecc. consentendo una disamina precisa dei fenomeni ben oltre l’evidenza osservabile ad occhio. Per gli esami degli strati profondi della muratura l’indagine preliminare di supporto può invece essere affidata agli esami endoscopici37 che tuttavia comportano un approccio in parte invasivo dovendo praticare dei fori d’entrata sul manufatto da indagare. Queste metodologie di studio possono essere applicate utilmente anche per finalità di studio preventivo laddove si siano espletate tutte le operazioni di rilievo architettonico a carattere generale e di dettaglio. Breve profilo storico evolutivo In ogni caso prima di affrontare un qualsivoglia discorso introduttivo si dovrà per l’appunto premettere come il restauro architettonico (olim dei monumenti) nel corso della sua plurisecolare storia abbia assunto nei confronti delle opere del passato posizioni assai diverse, dialettiche e aperte al confronto con la società del momento. Ed anche al presente è così, proprio in conseguenza di ciò che la disciplina ha plasmato, modificando, talvolta in modo radicale, il proprio dettato metodologico tanto che il restauro può considerarsi come uno strumento dinamico in costante evoluzione. L’azione di tutela che sta dietro all’azione istituzionale del restauro conservativo dovrebbe in realtà corrispondere con il diritto-dovere delle comunità insediate, depositarie del patrimonio storico artistico e del paesaggio, di salvaguardare i propri beni culturali. Si tratta, come recita l’art. 9 della Costituzione della Repubblica, di un diritto sancito che pone la tutela a valle dell’obiettivo di promuovere lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tuttavia, nella prassi corrente ciò che osserviamo non sembra coincidere con quella dichiarazione di intenti a salvaguardia delle risorse della collettività. D’altronde sotto il profilo etico tutto ciò che occorrerebbe fare per assolvere a tale compito resta difficilmente codificabile in modo univoco. Parallelamente anche le definizioni date al restauro nelle molteplici declinazioni postulate sono andate via via aggiornandosi, fornendo all’osservatore, al comune cittadino come allo studente di architettura un quadro di riferimento piuttosto complesso. Per la disciplina si evidenzia dunque una narrazione assai articolata che investe in modo diretto la ‘politica tecnica’ sul piano culturale e sul piano operativo il mondo della scienza, così come sul piano letterario quello della critica d’arte, dell’estetica, del pensiero filosofico, e con esso il fare arte e architettura. Il restauro come una qualsiasi altra espressione della cultura necessita dunque di svilupparsi e di accrescersi in seno alla società per poter esercitare coerentemente l’azione di tutela costituzionale verso il paesaggio e il patrimonio storico artistico.

L’endoscopica è una tecnica di ispezione visiva particolarmente adatta nella diagnostica edilizia, nella conservazione e nel restauro di facile uso, accessibile a tutti gli operatori tecnici, anche non specializzati.

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In modo del tutto analogo, le categorie del restauro registrano sommovimenti inarrestabili, così come del resto è avvenuto in passato, occupando campi di applicazione sempre più estesi, soprattutto in seno all’arte contemporanea e all’architettura moderna, fino a comprendere il territorio, naturale ed antropico, in quanto compendio di segni e testimonianze, ora distintamente valutabili come monumenti o testimonianze meritevoli di essere conservate. Oggi sembra aderire a questa concezione olistica del patrimonio culturale e del paesaggio la categoria del ‘paesaggio culturale’, rappresentato da quelle aree dove l’opera combinata dalla natura e dall’uomo assume per i gruppi sociali un precipuo valore culturale (Cultural Heritage).38 Per le descrizioni e le molteplici implicazioni legate a questi complessi aspetti dottrinali e di ricerca da condursi sul piano epistemologico e filosofico si rimanda il lettore a miei recenti contributi (v. in Bibliografia).39 In estrema sintesi si può comunque asserire che il restauro continua ad attraversare un lungo e laborioso processo diacronico di adattamento nei confronti di una società in trasformazione, ma anche di crescita. La materia del restauro è andata dunque configurandosi per cause derivanti sia da fattori estrinsechi che intrinsechi alla stessa disciplina. Tra le esperienze di restauro da trasmettere nella didattica frontale non può per questo mancare un breve compendio storico della disciplina. Tralasciando l’operare più antico che appartiene oramai alla storia dell’architettura più che alla conservazione tout court così come modernamente la intendiamo, come fattori estrinsechi vi hanno concorso in primis le vicende sociali, politiche e culturali, connesse con i burrascosi avvenimenti dell’Ottocento, e, più ancora, del secolo scorso che hanno inciso profondamente sulle ragioni stesse del restaurare. Si può asserire che in origine il restauro moderno non esista al di fuori di una matrice prevalentemente ‘ideologica’. Nell’Europa della prima metà del XIX sec. registriamo un incipit del restauro conflittuale fra opposte visioni. In principio, la stagione della Restaurazione dell’ancien régime, dopo le devastazioni giacobine di monumenti e testimonianze fisiche di un passato da cancellare, ha spinto per reazione a ricostruire puntigliosamente i simboli perduti, i caratteri identitari (leggi ‘stilistici’) dell’architettura, persino reinventandoli; di contro, la visione romantica di un rinascente classicismo, prorompente in quegli anni sull’onda della riscoperta delle vestigia greche e romane, prendeva le distanze in maniera vibrata da tale concezione, opponendo un no deciso al rifacimento stilistico e al restaurare in genere per privilegiare il mantenimento dello status quo, fosse pure rappresentato da un rudere, a garanzia della ‘bellezza intrinseca’ dell’autenticità. Ed ancora, sulla spinta della riconquistata idealità emotiva per il mondo dell’antichità, mentre la rivoluzione industriale (e borghese) induceva epocali cambiamenti nelle tecnologie costruttive e nell’impiego dei nuovi materiali della produzione, si rivalutava in ristretti circoli UNESCO 2005, Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention, UNESCO World Heritage Centre. Paris, p. 83 39 Cfr. Progetto HECO 2017, op. cit.; Centauro G.A. 2012. 38


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intellettuali un più marcato ritorno alla natura contro ogni tipo di artificio. Corsi e ricorsi della storia! Più di ogni altra cosa però ha pesato, specie nella seconda metà del secolo, la vertiginosa crescita demografica e l’inusitata espansione delle città maggiori fuori da confini storici, procurando un impatto ambientale violento e ‘brutalizzante’ sul patrimonio architettonico. Come effetto dirompente di questo inarrestabile inurbamento si avranno con qualche decennio di scarto gli effetti della cancellazione dei segni territoriali intorno alle metropoli in formazione che hanno reso analfabete verso la storia intere generazioni. L’esigenza di tutelare i monumenti dalle incombenti distruzioni e alterazioni, cercando al tempo stesso un punto di equilibrio fra le opposte tendenze che caratterizzavano in tutta Europa la nascente ‘cultura del restauro’, dalla scuola francese capeggiata da quel grande trascinatore e promotore del rifacimento stilistico che fu Eugéne E. Viollet-Le-Duc, alla scuola inglese di un William Morris40 e, più in generale, dell’Anti-restoration Movement ispirato dal pensiero di John Ruskin, determinarono nel nostro paese, riconosciuta culla dei monumenti dell’antichità classica e medievale, le condizioni per l’enunciazione di alcuni nuovi concetti che di lì a poco avrebbero segnato la via italiana al restauro dei monumenti, indirizzando la disciplina verso un diverso ordine, quello del ‘restauro filologico’; in grado di garantire la salvaguardia dei monumenti e una loro equilibrata lettura. Nella visione di Camillo Boito si preconizzava anche la necessità di catalogare preventivamente l’enorme vastità del patrimonio e si raccomandava, nell’ottica della documentazione postuma, di registrare e dar conto di ogni azione intrapresa sul monumento.41 A valle di questi inizi, l’incipiente modernizzazione e il massiccio inurbamento iniziato alla fine del XIX sec. e proseguito senza soluzione di continuità nel ventennio successivo, troveranno nelle “movimentate” temperie culturali della prima metà del Novecento, attraversato da guerre e ricostruzioni, un approdo alquanto eterogeneo riscontrabile nelle esperienze individuali dei principali artefici del periodo, delineando, nazione per nazione, una babele di situazioni variamente caratterizzate da logiche e interessi contrapposti, dal nazionalismo al socialismo, che trovarono nel restauro un potente ‘amplificatore sociale’ a livello architettonico ed urbano. Il forte valore semantico e pienamente chiarificatore del sentimento popolare verso il monumento fu portato alla ribalta internazionale dal crollo improvviso, il 14 luglio del 1902, del campanile di San Marco (Figg. 1.11 a/b). Il Sindaco della Serenissima, Antonio Grimaldi, attonito come tutta la comunità, per far risorgere quanto era stato improvvisamente tolto ai veneziani coniò l’ormai famosa ed ardimentosa formula del “dov’era com’era”. Ci sarebbero voluti oltre 10 anni per rigenerare nella forma e nella materia quel colosso di 100 metri di altezza che aveva resisto a terremoti, incendi, fulmini e mille altri accadimenti ma che si era sbriciolato 40 Con riferimento, in particolare, alla fondazione e rapida diffusione del movimento artistico Arts and Craft per la riforma delle arti applicate nato in opposizione all’industrializzazione (omissis). 41 La citazione riguarda la stesura del documento elaborato, principalmente da Camillo Boito, a conclusione del IV Congresso Nazionale degli Ingegneri e Architetti, svoltosi a Roma, nel 1883, che segnò anche i principi della cosiddetta ‘via italiana’ al restauro dei monumenti.

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Fig. 1.11a Venezia, Piazza S. Marco, sezione e pianta del campanile prima del crollo (dis. A. Quadri 1831) Fig. 11b Il campanile dopo il crollo del 14 luglio 1902

senza che niente potesse apparentemente spiegare quella sciagura, ma che la gente proprio per questo voleva ritrovare più solido di prima. Da allora quel particolare connubio di intenti, pubblici e privati, che aveva messo tutti d’accordo, al fuori di ogni canone disciplinare, quando ancora si dibatteva fra autentico e falso, fra integrità e rifacimento, sarà l’eccezione che conferma la regola aprendo i cuori alla speranza come uno spot di luce sul restauro. Altre volte imitato in casi eccezionali quasi fosse un genere estremo per un’impresa tutta umana in grado di far rinascere quando era andato per sempre distrutto, il “dov’era com’era” fa ormai parte della storia del restauro. In Italia, per misurare la portata del cambiamento in atto, di fondamentale rilevanza fu tra gli altri l’apporto di Gustavo Giovannoni che in un ventennio pieno di contraddizioni ebbe la forza e la lucidità di porre le basi teoriche di quello che in seguito si chiamerà ‘restauro scientifico’, partendo da una più consona e aggiornata definizione di monumento. Qualunque costruzione del passato anche modesta, che abbia valore d’arte o di storica testimonianza, ivi considerando le condizioni esterne costituenti l’ambiente, per giungere talvolta all’intero complesso monumentale costituito da una via, una piazza, un quartiere, chè proprio in questo estendersi e democratizzarsi del concetto di monumento ed in questo suo comprendere le condizioni ambientali, sta il nuovo atteggiamento del senso di rispetto, di conservazione, di difesa, e quindi di valorizzazione e restauro (Giovannoni G. 1912).

Di certo si può affermare che, in parallelo a queste vicende, i cardini propositivi della disciplina sono stati dettati dal mutare del pensiero critico intorno ai valori attribuiti alle vestigia del passato e alla storia rappresentata dai monumenti dell’antichità e, quindi, dall’enunciazione dei principi ordinatori che furono teorizzati – come detto nel primo paragrafo - dai cosiddetti ‘padri fondatori’ del restauro. Ragion per cui, a ben guardare la storia del restauro la possiamo leggere soprattutto impressa nelle pietre doviziosamente curate, negli interventi di riordino o ripristino succedutisi in quegli anni, nei decori artistici e nei modelli dei monumenti protagonisti degli interventi. Questi restauri del passato svolgono un ruolo testimoniale fondamentale e in virtù di questo devono essere attentamente studiati e anch’essi fatti oggetto di una speciale salvaguardia.


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Nelle esperienze dei laboratori didattici l’attenzione verso i restauri del passato è dunque una costante nei programmi di studio, tutti gli anni arricchita da nuovi casi. Non c’è dubbio, ad es. che tutto il ‘mare magnum’ di enunciazioni confluite nei restauri eseguiti nel passato, tracciano in modo indelebile anche il percorso storico critico della disciplina. Si tratta di un percorso cronologico che ognuno può ripercorrere sui monumenti restaurati e, in parallelo, scorrendo il dettato dei contributi dottrinali elaborati sul piano teorico, attraverso le “Carte del Restauro e dell’Urbanistica” che ancora oggi sono da considerare strumenti indispensabili per ricomporre la storia della disciplina non soltanto ai fini formativi, rappresentando al tempo stesso altrettanti pilastri della teoria e insostituibili punti di riferimento, compiutamente da analizzare (Figg. 1.12, 1.13).42 Queste esperienze, differite nel tempo, sono state in ultimo recepite, pur con qualche traslazione temporale, dalle disposizioni normative, ingabbiando in regole i modi e i criteri da osservare nella predisposizione e redazione del progetto e, soprattutto, nella conduzione dei lavori nei cantieri.43 Non sempre però questa saldatura tra l’impalcato normativo e le raccomandazioni dettate dalle convenzioni internazionali trovano un reale riscontro determinando talvolta una scollatura istituzionale a discapito della salvaguardia del patrimonio culturale nelle sue varie ed articolate sfumature. Resta dunque di fondamentale importanza condurre studi e ricerche sul campo per radicare esperienze di tutela attiva, rivolta non più rivolta ai singoli beni ma alla totalità del patrimonio in relazione all’inscindibile rapporto con il contesto ambientale. Un tal genere di esperienze è quasi esclusivamente producibile nell’ambito delle sperimentazioni progettuali che possono sostenersi negli atenei solo attraverso le attività dei laboratori didattici. Nel percorso formativo questi insegnamenti rappresentano i cosiddetti prolegomeni della disciplina, da porre alla base di ogni attività di conservazione e valorizzazione prima ancora che di restauro. Questo variegato percorso di affinamento che si è principalmente intensificato nell’età moderna post industriale non è tuttavia concluso e molto resta da esplorare com’è naturale che sia in ogni processo evolutivo. Restano, infatti, ancora aperti molti cassetti nel campo della conservazione e niente può darsi veramente per scontato nell’approccio conoscitivo che ci attende nel futuro, nella gestione e nel monitoraggio degli interventi, laddove per il progettista restauratore resterà sempre e comunque il cantiere il vero campo di ricerca, la principale palestra dalla quale attingere conoscenza e consapevolezza delle proprie azioni.

Per tutto il secolo scorso questi documenti hanno accompagnato la graduale elaborazione di principi e prescrizioni, in parte approdati ad una codifica ad uso di guida agli interventi, trovando corrispondenza nel quadro normativo per la tutela dei monumenti e delle bellezze naturali, oggi dei beni architettonici e del paesaggio. 43 Si rimanda alla lettura delle principali Carte (omissis), cfr. Fig. 1.13 42

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Uno sguardo alle nuove tendenze In un tale contesto il rapido accrescimento tecnologico degli ultimi 50 anni ha determinato un nuovo tipo di modello di sviluppo e di controllo nelle attività di restauro, caratterizzandolo definitivamente come settore disciplinare afferente all’ambito tecnico scientifico. Sulla scorta di questa pur ‘generalissima’ osservazione dovremo indicare il restauro architettonico come lo specchio di una società scientifica in movimento, la naturale interfaccia tra la scienza applicata alla conservazione, la critica d’arte e le dinamiche di una cultura camaleontica che cambia espressione e connotati. D’altronde la valenza creativa insita nell’opera d’arte come testimonianza materiale e prodotto non riproducibile dell’ingegno umano è un qualcosa che resterà al centro dell’azione conservativa. La conservazione fisica della materia resta comunque il presupposto principale che nessuna ulteriore rivoluzione tecnologica potrà scalfire o mutuare nella trasmissione di questi valori ai posteri. La preservazione della materia originale non potrà essere surrogata dall’immagine, riprodotta ad altissima definizione o ricostruita in modo virtuale, neppure la ‘realtà aumentata’ potrà sostituire le ragioni del restauro conservativo, a meno che non si intenda fare a meno dell’originale documento materiale. I nuovi strumenti della comunicazione digitale e della divulgazione hanno piuttosto una valenza divulgativa che proietta il restauro in una dimensione estranea al suo stesso essere sostituita da eterei processi didascalici. Il baricentro dell’interesse per i beni culturali sembra tuttavia spostarsi sulla loro rappresentazione piuttosto che sulla loro conservazione fisica, ad uso e consumo di una domanda che tende a ‘deoggettivare’ il manufatto, assecondando le tendenze di un marketing turistico frettoloso da facilitare ad ogni costo. A dimostrazione di quanto sia pressante questa richiesta si stanno generando anche nuovi indirizzi per la salvaguardia e gestione del patrimonio.44 A tale proposito occorre ribadire che la conservazione non può certamente farsi al di fuori del mantenimento fisico del manufatto, artistico, architettonico e archeologico che sia, e neppure si può definire come restauro, quanto piuttosto come riproduzione la riproposizione digitale di un’opera scomparsa, quand’anche ci si basi su una ricca documentazione pregressa. Tutt’al più si può servirsi di tale escamotage per riproporre il contesto ambientale di una preesistenza perduta, come si fa in archeologia per mantenere viva la fruibilità di un sito ambientalmente compromesso, al fine di proteggere l’aura culturale di ciò che era e che sopravvive nei reperti ancorché ‘decontestualizzati’ rispetto al territorio di appartenenza. Di fronte a situazioni estreme, anche in un recente passato, partendo da condizioni del tutto eccezionali si è giustificato e autorizzato a procedere alla ricostruzione non virtuale di ciò che un evento traumatico ed improvviso poteva aver tolto alla collettività. Esiste però – come abbiamo visto – una Nel 50° Anniversario della ‘Carta di Venezia’, ICOMOS (International Council on Monuments and Sites) ha prodotto in assemblea generale la Dichiarazione di Firenze, Heritage and Landscape as Human Values (2014), dove al punto 8, si dichiara che «Le politiche di salvaguardia, tutela e gestione del patrimonio culturale delle destinazioni turistiche, richiedono la definizione di un set olistico di piani integrati, politiche, regolamenti e pratiche (che abbracciano e superano la pianificazione della conservazione)».

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1931 – Carta di Atene Si compone di 10 punti che, più che stabilire dei veri e propri principi, detta delle raccomandazioni, rivolte ai governi degli stati, così riassunte: 1) curare il patrimonio; 2) uniformare le legislazioni così da non far prevalere l’interesse privato su quello pubblico; 3) ampliare lo studio dell’arte così da insegnare nelle popolazioni l’amore e il rispetto per il proprio patrimonio architettonico. 1932 – Carta Italiana del Restauro In essa si affermano principi analoghi a quelli della “Carta di Atene”, ma in più la posizione espressa in quegli anni da Gustavo Giovannoni, definita come “restauro scientifico”. Il Giovannoni fu il primo che suggerì che in ogni intervento bisogna sfruttare tutte le più moderne tecnologie per poter giungere a interventi scientifici di restauro. La Carta del 1932 fu emanata dal Consiglio Superiore per le Antichità, presso il Ministero della Pubblica Istruzione. 1964 – Carta di Venezia La Carta si compone di 16 articoli e riassume in maniera mirabile i principi che possono essere considerati immutabili della metodologia del restauro architettonico. Questa carta sottolinea soprattutto l’importanza dell’aspetto storico di un edificio, e introduce per la prima volta il concetto di conservazione anche dell’ambiente urbano che circonda gli edifici monumentali. A questa Carta diedero un fondamentale contributo personale Roberto Pane e Piero Gazzola. 1972 – Carta Italiana del Restauro Nei 12 articoli della Carta, in cui si riconosce la mano di Cesare Brandi, sono definiti gli oggetti interessati dalle azioni di salvaguardia e restauro: tali azioni si estendono dalle singole opere d’arte, ai complessi di edifici d’interesse monumentale, storico e/o ambientale, ai centri storici, alle collezioni artistiche, agli arredamenti, ai giardini, ai parchi e ai resti antichi scoperti in ricerche terrestri e subacquee. Le indicazioni fornite dalla Carta costituiscono una sorta di normativa generale per la conservazione e il restauro delle opere d’arte. 1975 – Carta di Amsterdam Emanata dal Consiglio d’Europa, la Carta sancisce che la conservazione del patrimonio architettonico deve essere uno dei principali obiettivi della pianificazione urbana e dell’assetto territoriale in un’ottica di “conservazione integrata” che impegna la responsabilità degli enti locali ed esige la partecipazione dei cittadini e un adeguamento delle misure legislative e amministrative. La “conservazione integrata” è il risultato dell’uso congiunto della tecnica del restauro e della ricerca delle funzioni appropriate. 1987 – Carta di Washington La Carta è redatta dal Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti (ICOMOS), completando il dettato della Carta di Venezia del 1964. Si riconosce come tutte le città del mondo, risultanti sia da uno sviluppo più o meno spontaneo sia da un determinato progetto, sono le espressioni materiali della diversità delle società attraverso la storia e sono, per questo, tutte storiche. La carta si prefigura dunque come “Carta internazionale per la salvaguardia delle città storiche”. Questa deve far parte integrante di una politica coerente di sviluppo… 2000 – Carta di Cracovia Promulgata dalla Comunità Europea come Carta del Restauro, dal titolo “Principi per la conservazione ed il restauro del patrimonio costruito”. In essa si dichiara esplicitamente che il concetto di “patrimonio” sostituisce quello di “monumento” architettonico. Per questo la Carta si pone l’obiettivo di sensibilizzare alla conservazione e manutenzione l’intero territorio, comprese le aree paesaggistiche non costruite, in quanto è l’intero territorio a custodire elementi molto importanti della storia e della cultura umana.

sostanziale differenza nell’originaria formulazione del “dov’era e com’era” che oggi si vorrebbe talvolta generalizzare e impropriamente riproporre ad uso e consumo dell’industria turistica a comporre una sorta di outlet della cultura. Nell’azione restaurativa la speciale attenzione, anche per parti perdute o profondamente disgregate, era stata originariamente associata all’aspetto artistico del manufatto e alla preservazione dell’idea creativa originaria (o presunta tale), prodotta dal suo artefice, come un ‘respiro’ della società che l’aveva generato. Nel gusto contemporaneo la scrostatura di un affresco, la lacuna pittorica, seguendo particolari accorgimenti sono oggetto di trattamenti di restauro d’integrazione, quindi non più nel senso del mero

Fig. 1.12 Copertina della prima pubblicazione della Carta di Atene, 1943

Fig. 1.13 Ideogramma delle principali Carte del Restauro e dell’Urbanistica (1931-2000) con breve descrizione

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rifacimento di completamento, giustificato con il fine di non perderne l’unitarietà e, al tempo stesso, di restituire all’opera una compiuta leggibilità senza necessariamente ricadere nei modi del ‘falso artistico’ di una volta. Tuttavia, il confine può essere assai labile e la tecnica impiegata non sempre coerente coi principi dichiarati. Allo stesso modo anche la mancanza di parti architettoniche, specialmente negli apparati plastico decorativi da ripristinare può considerarsi alla stregua di quella artistica, senza per questo dover incorrere nel ‘falso storico’. Diviene fondamentale per orientare gli interventi nel modo corretto saper far corrispondere alle scelte tecniche un’attenta analisi del manufatto sul quale dovere mettere le mani, distinguendo oculatamente fra manifattura tradizionale e manifattura moderna, tra pietra naturale e pietra artificiale, tra effetto pittorico e restituzione pittoresca. Alcune note sul restauro strutturale Nel campo del restauro delle strutture l’attenzione che si deve porre al bene architettonico non può essere disgiunta dall’esigenza di mettere in sicurezza la fabbrica, il manufatto oggetto di cura e quindi, al contrario di quanto può valere in campo artistico, l’azione conservativa non può limitarsi alla sola pulitura, o produrre un’azione timida, di scarsa consistenza ancorché apprezzabile come risoluzione percepita specie laddove l’intervento non si possa limitare alle sole superfici o solo marginalmente agli apparati murari. E, di certo, non si tratta certo di una novità nel campo della riabilitazione strutturale perché da decenni si parla del restauro di consolidamento, già preconizzato dal Giovannoni, come una delle cinque categorie del restauro.45 Il restauro architettonico, laddove occorra, è dunque rivolto al mantenimento in efficienza degli apparati strutturali e funzionali al fine di riportare l’edificio in condizioni di efficienza. Per gli edifici di più vecchia datazione, trattandosi anche di ‘beni storici’ sopportando il peso degli anni, quindi ‘invecchiati’ più o meno bene, ma il più delle volte risultanti obsoleti, le ragioni che muovono gli interventi di consolidamento albergano soprattutto nel controllo della stabilità delle murature tradizionali attraverso l’attenta verifica della rispondenza ai requisiti di solidità (o tenuta) della ‘scatola strutturale dell’edificio’ e nella verifica dell’efficienza da far corrispondere alle esigenze funzionali, o prestazionali richieste dalla destinazione d’uso. L’elevata vulnerabilità del costruito storico, come hanno messo in evidenza gli eventi tellurici che accomunano gran parte delle regioni italiane, ha posto più recentemente l’attenzione sull’importanza Gustavo Giovannoni, cit. nell’ambito del “restauro scientifico” include le seguenti categorie: 1) il consolidamento (da compiere tramite le risorse della tecnica moderna); 2) la ricomposizione (l’anastilosi in campo archeologico con eventuali integrazioni distinguibili); 3) la liberazione (eliminazione di ‘masse amorfe’ che danneggiano la preesistenza); 4) il completamento (prevedendo aggiunte, seppure limitate, ed escludendo rifacimenti e inserzioni attuali); 5) l’innovazione (rendendo lecita anche l’aggiunta di parti nuova concezione ed il rinnovamento di quelle esistenti). Per una più ampia retrospettiva dell’attività del Giovannoni, si vedano gli Atti del “Convegno Internazionale, Gustavo Giovannoni e l’architetto integrale” (Accademia Nazionale di San Luca, Roma 25 - 27/ novembre 2015) in Bonaccorso G., Moschini F. (a cura di), 2019, “Quaderni degli Atti”, 2015-2016, Accademia Nazionale di San Luca, Roma.

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della prevenzione e della messa in sicurezza in funzione antisismica degli edifici, quindi al di là del loro valore storico artistico e architettonico. Per un approfondimento sulla complessa tematica del restauro strutturale si rimanda, più in generale, al capitolo curato dal prof. Silvio Van Riel. Lineamenti disciplinari Non si ripercorreranno anche in questo caso le tappe di questa ‘storica mutazione’, oggetto di un’ampia e separata saggistica che da tempo fa parte del bagaglio culturale e formativo di ogni storico dell’arte e di ogni architetto, anche se - come abbiamo denunciato - è andato via via riducendosi lo spazio dedicato dalla didattica alla teoria e alla storia del restauro, e più specificatamente allo studio dei restauri del passato. Nelle proposizioni fondamentali della dottrina resta comunque interessante riconsiderare il significato stesso dato, nel succedersi delle dinamiche storico-evolutive, alla parola ‘monumento’ che identificava da sola, ab origine, l’oggetto dell’azione restaurativa, quasi fosse quella un’attribuzione terminologica invariante, sennonché anche a quella stessa terminologia sono stati abbinati nel tempo significati diversi, in una più ampia visione. Al di là quindi del significato etimologico stretto che attiene al ricordo (dal lat. monumentum), l’espressione ‘monumento’, che in principio definisce l’opera d’arte, ha finito per coincidere più in generale con il profilo dottrinale della disciplina, sintetizzato per l’appunto nella locuzione “restauro dei monumenti” quale principale ‘etichetta’ d’identificazione dell’intervento. Tant’è vero che la locuzione è stata mutuata per estensione dall’opera d’arte all’architettura (o anche alla scultura in genere) ma pur sempre considerandone il particolare pregio artistico e storico. A tale riguardo è calzante la definizione di Cesare Brandi: Il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte nella sua consistenza fisica e nella duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futura46.

Inoltre, c’è da dire che il restauro dei monumenti, subordinato al pensiero della critica d’arte e, conseguentemente, al significato stesso dato a quella locuzione, ha anch’esso modificato la sua originaria definizione, acquisendo infine dopo i lavori della Commissione Franceschini che operò fino al 1967, l’attribuzione di ‘bene culturale’, assumendo cioè il più ampio significato di documento, di testimonianza, estendendosi di fatto a molti altri soggetti: nelle arti figurative, ai cicli pittorici e decorativi parietali, nei complessi ambientali, ai giardini, alle sistemazioni urbanistiche, ed oggi ai paesaggi culturali. Si tratta in ogni caso di un’accezione nuova che nell’interlocuzione corrente ha sostituito quella vecchia. Essendo poi i beni culturali declinati per legge in beni storico-artistici, architettonici, archeologici e del paesaggio, ecc. ne è derivata un’ulteriore precisazione che nel settore urbanistico attiene Il restauro, come “schema preconcettuale” dell’intervento “volto a rimettere in efficienza un prodotto dell’attività umana” è stato posto dall’autore come incipit alla monografia da lui dedicata alla “Teoria del Restauro”; la frase riportata nel testo è quindi da considerarsi come un approfondimento critico (Brandi C. 1963, p. 6)

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potenzialmente a tutto il costruito storico esistente, anch’esso da intendersi dunque come ‘bene architettonico’ seppur non vincolato da norme sovraordinate di tutela. Non dimentichi della genesi (non sembri questa una ‘questione di lana caprina’), ancor oggi non comprendiamo bene se è la teoria del restauro ad aver subito i maggiori cambiamenti nel tempo o se è il significato aggiornato di ‘monumento’ ad avere indotto un diverso approccio disciplinare verso le testimonianze del passato, e con esso anche l’impalcato metodologico dell’azione sottesa mirata alla conservazione. Si può dunque comprendere come entrambi gli orientamenti abbiano influito determinando anche alterne opzioni nel modo dell’operare di ciascun restauro, laddove la risorsa culturale rappresenta la componente viva e pulsante del tessuto patrimoniale che appartiene alla collettività, quindi da valutare nell’ambito sociale ed economico che questo rappresenta, in altre parole da salvaguardare e valorizzare nei suoi molteplici aspetti, non più solo filologici o materici propri dell’opera d’arte così come imporrebbe l’ortodossia originaria della disciplina, bensì estesi ai centri storici e al paesaggio, come parte integrante del patrimonio culturale da salvaguardare. In considerazione dei molteplici significati universalmente riconosciuti connessi alla definizione di quest’ultimo (Cultural Heritage) e nell’oggettiva necessità di fissare una terminologia unificata a livello internazionale, facendo seguito all’evoluzione disciplinare del restauro sancita, fin dal 1964, con la “Carta di Venezia” e nel 1975 con la “Carta di Amsterdam”, fu promulgata dalla Comunità europea nel 2000 una nuova carta del restauro, nota come la Carta di Cracovia, che sotto il titolo di “Principi per la conservazione ed il restauro del patrimonio costruito” definiva i concetti fondamentali da porre alla base di ogni qualsivoglia progetto conservativo. Dopo quest’ultima dichiarazione si menziona, di specifico interesse per le forti implicazioni sociali e i cambiamenti indotti nell’approccio ai beni culturali e la partecipazione attiva delle comunità locali e dei territori, la “Convenzione di Faro” (Consiglio d’Europa 2005).47 Non meno significativa l’azione di promozione mossa da ICOM (International Council of Museum) per l’aggiornamento della definizione di museo assegnandogli un riconoscimento formale nell’individuare i musei come strumento di “rappresentazione della diversità culturali”, che ritroviamo nella “Raccomandazione dell’Unesco del 2015” e soprattutto nella “Carta di Siena 2.0” (rielaborata nel 2016 nel corso del Convegno di Cagliari dell’ICOM), dedicate ai Musei e ai Paesaggi culturali. (Fig. 1.14) Specialmente nella “Carta di Siena” si ravvisa un nuovo modello e sistema di tutela per il patrimonio culturale in attesa di una riforma che – come si legge nella raccomandazione finale:

La Convenzione quadro sul valore del patrimonio culturale per la società (Convenzione di Faro) sposta decisamente l’asse dell’interesse culturale dalle opere all’uomo, definendo «Il patrimonio culturale per la società un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione. Essa comprende tutti gli aspetti dell’ambiente che sono il risultato dell’interazione nel corso del tempo fra popolazioni e i luoghi».

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2005-2015 – Convenzione di Faro Si tratta di una Convenzione curata dal Consiglio d’Europa riguardante la protezione e la promozione dei musei e delle collezioni, salvaguardando la loro diversità e il loro ruolo nella società (la convenzione è stata adottata dall’UNESCO nel 2015). Si sottolinea la necessità di rendere accessibili a tutti questi luoghi, operando la cosiddetta “conservazione curativa”, il restauro, la ricerca, la comunicazione, l’educazione a diretto contatto con i territori, adottando linee politiche. 2014-2016 – Carta di Siena 2.0 La Carta, a cura dell’ICOM, riguarda ancora una volta musei e, in aggiunta, i “paesaggi culturali”, riconoscendo che i caratteri del paesaggio italiano sono intimamente connessi alla presenza di un patrimonio culturale esteso, diffuso, denso, stratificato e inscritto all’ambiente, così com’è richiamato dall’art. 9 della Costituzione che ne prevede la tutela, per un nuovo e diverso modello e sistema di gestione tali paesaggi, come i musei, sono presidi di tutela attiva per la comunità che viene ad assumere con tale ruolo una precisa responsabilità.

superi l’attuale partizione delle competenze tra Stato ed enti territoriali, che ricomponga tutela, valorizzazione e gestione del patrimonio culturale e che, in questo quadro rinnovato, preveda maggiori risorse per esso … laddove i musei possono costituire un punto di forza di un nuovo modello di tutela in quanto presidi territoriali di tutela attiva del patrimonio culturale48.

I musei verrebbero ad assumere il ruolo di presidi territoriali per una tutela attiva, con le comunità insediate finalmente protagoniste nei processi di valorizzazione ambientale, nella gestione dei musei e nella cura del paesaggio culturale sviluppandone la naturale vocazione. Di contro, il patrimonio diffuso verrebbe ad assumere un ruolo centrale in questo processo. Le aree archeologiche, i centri storici, i parchi potrebbero rapidamente divenire i catalizzatori di nuove politiche di valorizzazione ponendo al centro dello sviluppo le azioni di salvaguardia dei valori culturali attraverso azioni programmate di conservazione e restauro dei siti e la creazione di musei espressione del patrimonio culturale esteso, diffuso, denso, stratificato e inscritto nell’ambiente da usufruire come fattore primario di sviluppo sociale ed economico. Le architetture e i paesaggi: da monumenti a beni culturali «Si restaura la materia e non la forma» (Brandi C. 1963, op. cit.). Era questo l’assioma che unisce l’opera d’arte al monumento (e oggi di conseguenza al bene architettonico). Un insegnamento questo che fa parte del vademecum di ogni buon restauratore ma che, a fronte delle molteplici sfaccettature ideologiche, potrebbe facilmente essere eluso. Il monumento, alias bene culturale, rappresentando anche un bene di valore economico, se consideriamo il punto di vista fondiario-immobiliare e turistico (un capitale ineludibile per la collettività), si potrebbe anche affermare con brutto neologismo che il fabbricato debba essere ‘attenzionato’ innanzi tutto per il suo valore d’uso e di mercato. Quest’ulteriore denotazione implica nell’azione del restaurare l’esigenza di soddisfare non più la sola conservazione bensì altre opzioni di intervento, in primis – come è stato sopra ricordato e come già prevede la legge quella relativa alla sua messa in sicurezza, in specie quella in funzione antisismica.49 Si veda la proposta di ICOM Italia del 7 luglio 2014 presentata in seno alla Conferenza Internazionale di Siena (Carta di Siena – “Musei e paesaggi culturali”, punto 4). 49 Il MiBACT, fin dal luglio 2008 ha prodotto sotto il nome di Linee Guida per la valutazione e riduzione del rischi sismico del patrimonio culturale, uno strumento operativo da seguire in ordine al restauro post sismico, così come enunciato all’art. 29 del 48

Fig. 1.14 Brevi descrizioni della “Raccomandazione di Faro” e della “Carta di Siena 2.0” (ICOM 2005-2016)

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Si tratta, come si può notare, di specificità non necessariamente afferenti alla sfera culturale da intendersi in uno spettro più ampio di situazioni per le varie implicazioni d’esercizio che si determinano, dalla riabilitazione strutturale e funzionale all’efficientamento energetico. Le modalità d’intervento idonee al fine di raggiungere questi obiettivi finiscono per confondersi con altre esigenze che possono risultare prevaricanti nella scelta sul come intervenire, includendo categorie che sono escluse dalla matrice conservativa propria del restauro. Ai fini della riabilitazione funzionale entrano in ballo ad esempio gli interventi di riordino distributivo e di rifacimento/ripristino, ancorché producibili in chiave di restauro, che comportano azioni di ristrutturazione che può assumere un carattere più o meno impattante e leggero, oppure di cambio di destinazione d’uso e/o di demolizione/ricostruzione di parte spurie o non funzionali al progetto. Si tratta comunque di selezionare uno ad uno gli interventi non strettamente conservativi e valutarne caso per caso le ragioni. Questa è una problematica di non semplice risoluzione, tutta da esplorare, non emendabile se non sostenuta attraverso ben documentate ragioni, che devono trovare riscontro all’interno di un percorso conoscitivo particolareggiato e rispondere nelle risoluzioni ai lineamenti disciplinari. Nel percorso della conoscenza si è fatta strada come metodica di studio l’analisi preventiva del fabbricato attraverso il raggiungimento progressivo di “Livelli di Conoscenza” e “Livelli di Valutazione”, come definiti nelle Linee Guida ministeriali.50 In tutti i casi si apre la strada alla possibilità che il progetto di restauro in un’ottica di modernizzazione produca anche un rinnovamento nell’assetto del costruito storico preesistente, che potrebbe finire per lasciare fuori dalla porta quelle attenzioni che sarebbero dovute in un ambito strettamente conservativo. In questa medesima direzione deve valutarsi il progetto del nuovo nell’antico, nell’auspicio di una corretta dialettica fra le parti; per questo aspetto si rimanda all’analisi dei principi fondamentali dettati dalla moderna cultura del restauro (cfr. le Carte del Restauro, cit.). Si deve comunque precisare come non possa in nessun caso essere considerato azione di restauro tutto ciò che altera, l’impianto dell’edificio, in particolare i caratteri tipologici e distributivi ereditati dalle trasformazioni e dagli adattamenti del passato che al presente sono da considerare organici, storicamente sedimentati nel corpus della fabbrica, come pure tutte quelle modifiche che possono creare nocumento all’integrità del documento architettonico. D. Lgs 42/2004, cit. e a maggior precisazione delle Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC 2008), con l’intento di specificare un percorso di conoscenza, valutazione del livello di sicurezza nei confronti delle azioni sismiche e progetto degli eventuali interventi su strutture in muratura concettualmente analogo a quello previsto per le costruzioni non tutelate, ma opportunamente adattato alle esigenze e peculiarità del patrimonio culturale. Le direttive e i protocolli del MiBACT e della Protezione Civile (NTC) sono stati ulteriormente aggiornati nel 2018 (omissis) confermando in buona sostanza i principi enunciati in precedenza. 50 In particolare nelle ‘Linee guida’ del 2008, cit. si possono trovare, per quanto attiene al rischio sismico di palazzi e chiese, ed altri beni di interesse architettonico, alcuni contenuti innovativi che riguardano: “La definizione di protocolli di acquisizione/ definizione del dato materico costruttivo e del danno; l’utilizzo di analisi e banche dati esistenti; l’introduzione dello SLA (Stato Limite di Danno ai Beni Artistici), della Categoria di Rilevanza e della Categoria d’Uso; del “Livello di Conoscenza (LCi)” e “Livello di Valutazione (LVi)”. Meccanismo premiante della conoscenza; Valutazione del rischio a livello territoriale.”


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Tra i principi del restauro architettonico per quanto attiene alla conservazione dei materiali si devono rispettare alcune fondamentali regole a salvaguardia dell’identità materica del costruito sul quale si dovrà intervenire, ovvero rispettare la compatibilità chimica e fisica di supporti murari ed intonaci, garantire la reversibilità degli interventi, la riconoscibilità degli stessi e quindi la leggibilità in modo da rendere comprensibile la stratigrafia e le fasi di accrescimento dell’edificio, assicurare la durabilità delle applicazioni e la loro manutenibilità nel tempo, ecc. D’altronde si deve prendere atto in questo caso che il restauro architettonico, diversamente del restauro archeologico, è rivolto ad ‘organismi viventi’ che necessitano di idonei provvedimenti, di prestazioni e cure adeguate, di congrui interventi e progressive manutenzioni. Sul piano concettuale, ogni intervento condotto al difuori dei requisiti qualitativi e degli standard operativi, qualora si richieda una non giustificata modifica dello status quo, devitalizza l’animus stesso che muove le ragioni del restauro, fino a pregiudicare la corretta trasmissione del documento ai posteri, restando quindi escluso dal campo disciplinare. In un quadro così articolato e composito s’innesta anche la tutela del paesaggio (art. 9 della Costituzione), che il “Codice Urbani” ribadisce essere un valore primario dell’ordinamento repubblicano, laddove l’espressione “paesaggio” non deve essere riferita solo a ciò che attiene alla forma esteriore ed estetica del territorio come declinato nella legge del 193951, bensì deve essere interpretata in una accezione più generale con il significato di ambiente. Gli interventi di conservazione e valorizzazione possono dunque assumere una connotazione spiccatamente ambientale che impone anche ulteriori valutazioni che, in chiave d’interesse pubblico, determinano la necessità di operare scelte strategiche a larga scala, preventive. Lo sono i piani paesaggistici, le salvaguardie ecologiche, il mantenimento della biodiversità, la mitigazione d’impatto delle grandi opere e delle infrastrutture e così via dicendo, nonché una più attenta disamina nelle aree dichiarate dall’UNESCO “Patrimonio Mondiale dell’Umanità”, come lo è il Centro Storico di Firenze. Nel merito tecnico, per ogni qualsivoglia intervento di restauro sull’esistente occorre sottolineare il fatto che proteggere il bene architettonico significa anche tutelare la risorsa ambientale che questo bene rappresenta; ragione questa per cui il restauro comprende opportunamente una molteplicità di situazioni e di modalità di intervento che vanno dalla scala del singolo manufatto a quella del paesaggio urbano. In questo ambito resta ancora in parte non risolto il problema della conservazione, riqualificazione/valorizzazione dei documenti singoli o aggregati della cultura materiale (oggetti della devozione popolare, muri a secco, sistemazioni agrarie ma anche dimore e annessi rurali, piccoli aggregati di case, borghi e centri storici minori, ecc.) che sono il più delle volte costituiti da testimonianze storiche involontarie, da compendi di matrice popolare e/o architetture spontanee ma non per questo meno rilevanti sotto il profilo culturale, anzi spesso per il loro carattere autentico e verace caratterizzanti l’identità di una comunità da ricercare fuori dai centri maggiori e dalle aree periurbane fortemente 51

Ci si riferisce alla Legge 29 giugno 1939, n. 1497 “Protezione delle bellezze naturali”.

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manomesse e poco leggibili. Anche questi sono ‘monumenti’ per i quali il restauro deve spendersi trattandoli come beni urbanistici e del paesaggio. A dimostrazione di quanto appena affermato, la perdita del valore d’uso può essere compensata da una più attenta azione di salvaguardia. Le vestigia in stato di rudere del passato sono anch’esse parte integrante del patrimonio culturale e archeologico diffuso, quindi da considerare monumenti della storia quali che siano le loro qualità costruttive, lo stato di integrità e di conservazione. Non esiste dunque un confine temporale (antico, moderno e contemporaneo) che possa discriminare l’opera d’arte come oggetto meritevole di tutela. Avvertendo tuttavia, per dirla ancora una volta con Brandi, che «non è facile dire quando nell’opera d’arte cessa l’opera d’arte e appare il rudere» (Brandi C. 1963, p. 31). (Fig. 1.15) Più in generale, i segni del territorio, le permanenze di sistemazioni urbanistiche, di modi di aggregazione del costruito storico, le matrici minerali e cromatiche delle superfici architettoniche sono anch’esse da considerare quali ambiti di specifico interesse per ricostruire i tratti della civiltà umana, che si tratti delle antichità classica o medievale o delle testimonianze della civiltà contadina, dell’archeologia industriale, come pure delle manifatture moderne a rischio di dissoluzione che, pur interessando lo spazio-ambiente o il contesto dei monumenti maggiori, ricadono nel solco metodologico del restauro architettonico/ archeologico, semmai declinato in forme di regolamentazione di carattere compositivo e di salvaguardia dell’immagine tradizionale dei luoghi. Il riconoscimento di questi segni attiene tuttavia non solo all’architettura e/o all’archeologia ma anche, operando alle diverse scale di lettura, all’archeogeografia, all’archeometria, alla topografia antica alla geologia applicata, alle scienze della terra, ecc. Da questo punto di vista il restauro architettonico è volto, a maggior ragione, alla conservazione (sintetizzata nella locuzione di ‘restauro conservativo’, cit.) che si attua attraverso lo studio e il rilievo storico critico, l’analisi delle tecniche costruttive (magisteri originali e trasformazioni successive), lo studio dei materiali, delle superfici e del colore, l’analisi delle patologie, ecc. Infine, capitolo a parte, fondamentale nella disamina preliminare del progetto di restauro, riguarda la risoluzione della querelle mai sopita che ci si pone di fronte nei cantieri, ogni qual volta si contrappone l’esigenza della conservazione alle opere di messa in pristino, integrazione e rifacimento di parti ammalorate, laddove l’impiego dei materiali moderni nelle costruzioni antiche, di metodiche appropriate per il consolidamento o il trattamento delle lacune, ecc. determina una scelta mai semplice o una non scontata risoluzione. Per superare questo scoglio è utile distinguere nel restauro architettonico i due aspetti distintivi della disciplina, che da un lato riguardano il trattamento delle superfici e degli apparati decorativi e dall’altro quello degli elementi finiti e delle strutture di cui si è detto in precedenza. Nel primo caso, fa ormai parte di una consolidata cultura del restauro, largamente condivisa anche a


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livello internazionale, attribuire ad ogni bene architettonico, così come ad ogni opera d’arte, una propria specificità che, attraverso la critica storica, mette al centro dell’interesse l’importanza della conservazione e del rispetto dell’autenticità materica, storico artistica, ma al contempo riconosce alcuni limiti operativi oggettivi perché il processo critico di lettura ed analisi dell’esistente con riferimento alle superfici dovrà fare inevitabilmente i conti con le trasformazioni pregresse e in atto. Il ‘restauro del colore’ rientra appunto in questa problematica52. In relazione alle attività costruttive e di restauro del passato e ai principi uniformatori da tempo contemplati nel ‘restauro moderno’, si dovranno necessariamente contemplare e attuare anche opzioni di rifacimento. Dovremo partire dalla considerazione che quello che osserviamo e che tocchiamo con mano è il frutto di una progressiva sedimentazione e stratigrafia di interventi che nel corso del tempo hanno praticamente portato all’alterazione, fino alla sostituzione, della materia originale, specialmente per quanto riguarda le superfici che per loro natura sono soggette a vari fenomeni di degrado sia naturale che ambientale/antropico. Questa problematica corrisponde al principale paradigma entro cui si situa oggi la disciplina nell’attuazione del progetto di restauro, la cornice di riferimento entro la quale operare nel rispetto dei criteri scientifici da soddisfare nell’applicazione dei vari interventi. La risoluzione estetica dell’intervento e degli interventi di messa in pristino che si congiungono nel restauro dovrà in ogni caso misurarsi coi caratteri intrinsechi del bene sul quale dover andare a mettere le mani. A tale riguardo molto delicata appare nel restauro delle superfici, dal restauro delle pitture di rivestimento a quello degli apparati decorativi di pregio artistico, la questione della cattiva o carente documentazione del trascorso generazionale che può determinare uno scollamento se non addirittura una errata risoluzione progettuale nelle diverse fasi di intervento, dalla manutenzione al consolidamento nella scelta dei materiali. Da qui la necessità di curare, a cominciare dalla formazione dell’architetto restauratore, la preparazione tecnica, ai fini diagnostici e analitici sia nell’ambito delle strutture sia in quello degli apparati decorativi e pittorici. In questa ottica una menzione di riguardo per quanto attiene all’esperienza condotta da chi scrive attiene allo studio del colore come precipuo ambito di studio, certamente propedeutico al restauro delle superfici decorate dei monumenti e, più in generale, dei sistemi di pitturazione e coloritura che interessano le cortine edilizie del costruito storico. Questi sistemi cromatici realizzano per loro natura superfici di sacrificio, soggette al rifacimento piuttosto che alla conservazione. Del resto, non sarebbe possibile mantenere l’aspetto primitivo delle pareti a valere sia nel facciavista sia nelle superfici intonacate e dipinte e neppure ricomporre il colore originario se non imitandone o ripetendone ab libitum il trattamento, senza poter tuttavia trovare quello 52

Centauro G.A., Grandin N.C., Restauro del colore in Architettura. Dal piano al progetto, Firenze 2013

Fig. 1.15 Parco delle Terme della Torretta (Montecatini T.), scultura vandalizzata (ante 2014)

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che era o poteva essere «l’inafferrabile stato originario», per dirla ancora una volta come Brandi, op. cit. Tuttavia, il ‘carattere cromatico’ è un valore ambientale fondamentale, che in un’ottica conservativa esige il massimo rispetto formale e una grande attenzione nelle risoluzioni tecniche adottabili nell’azione restaurativa (Centauro G.A, Grandin N.C 2013, p. 7).

In particolare, il colore interessa sia superfici di pregio che ambiti parietali ordinari, nell’edilizia corrente sia il nuovo che il patrimonio edilizio esistente. In tali ambiti il trattamento delle superfici intonacate assume per la sua peculiare connotazione estetica, insieme materica e cromatica, una precisa valenza ambientale, storico documentale e stratigrafica che investe direttamente le problematiche del restauro architettonico. Il linguaggio dell’architettura in qualsivoglia ambiente urbano è sempre veicolato dal colore delle facciate, laddove il paesaggio urbano si trasforma e muta insieme al contesto cromatico e in questo mutevole processo altera anche l’aspetto dei monumenti. Il decoro e l’immagine della città, attraverso le architetture che la realizzano, sono espressioni vive del luogo e, al tempo stesso, è il colore che ne suggella il cambiamento: Il volto di una città che cambia arbitrariamente i colori si allontana progressivamente dalla memoria del suo passato, decontestualizzando le facciate più vecchie che risultano distoniche rispetto al nuovo (ibidem).

Occorre però subito precisare che il restauro del colore (in Architettura) deve intendersi realizzabile esclusivamente se posto sul piano materico, stabilendo per ciascun edificio un proprio codice, unitamente ad un’idonea tecnologia applicativa, affidando semmai alle tinte di rifacimento il compito di non tradire la stratigrafia storicamente accertata sui fronti esterni in relazione con i mutamenti consolidati del contesto e conseguentemente rispettare le matrici del colore dalle quali deriveranno tutte le tinte compatibili di progetto (Centauro G.A. 2008).

Nel bagaglio tecnico dell’architetto conservatore e del paesaggista dovrà trovare un posto di rilievo lo studio del colore nell’edilizia storica, e di conseguenza, dei modi di rilevare, misurare e documentare le cromie esistenti, della grammatica e della sintassi del colore, del lessico compositivo del costruito storico, ecc. Negli ambiti degli insegnamenti di restauro della scuola di architettura fiorentina si sono adottati in questi anni alcuni nuovi orientamenti e prodotte ricerche applicate, una per tutte l’esperienza condotta con il Progetto HECO, cit. interamente dedicato al centro storico di Firenze, che, se da un parte hanno confermato la centralità della disciplina nell’offerta formativa, hanno messo in luce anche l’attualità della tematica nell’esigenza di fornire risposte anche attraverso l’esperienza didattica, per la salvaguardia del patrimonio ambientale e architettonico e di spostare l’asse degli studi verso il progetto di restauro attraverso l’esame diretto di complessi monumentali e del contesto urbano, come del resto imponeva di fare il riconoscimento di “Eccezionale Valore Universale” (OUV) attribuito a Firenze quale sito “Patrimonio Mondiale dell’Umanità”. Per ottenere questi risultati e per tutte le ragioni


conservazione e restauro: aspetti disciplinari • giuseppe alberto centauro

sopra esposte, all’interno dei laboratori il percorso teorico della disciplina è stato in parte compresso per lasciare spazio alle esercitazioni e ai seminari tematici, proiettando le attività fuori dalle aule in un confronto dialettico con l’esterno e le problematiche di maggiore attualità. Tenendo conto di questo preciso profilo di studio si collocano i contributi che costituiscono l’ossatura della presente pubblicazione allo scopo di fornire, guardando al futuro attraverso le esperienze maturate all’interno dei laboratori di restauro, un percorso didattico e di ricerca, di gestione dati e di progetto. Esperienze dal mondo della didattica

Nell’esperienza didattica sono stati messi a punto vari espedienti per far meglio entrare in sintonia gli studenti con il manufatto architettonico, il contesto urbano, le opere d’arte e il vissuto che appartiene alla storia del territorio di volta in volta indagato e oggetto di progetto. Se sul piano dell’innovazione tecnologica molto si è fatto nelle varie scuole di architettura in sede di sviluppo dei programmi formativi, nonostante il forte ridimensionamento del curriculum dedicato al restauro, includendo nelle attività dei laboratori, oltre alle ‘tradizionali’ ricerche monografiche ed esercitazioni sui temi di esame, un profilo più aggiornato e internazionale, dilatando il Syllabus53 dei corsi con contenuti riguardanti, al di là delle tematiche disciplinari caratterizzanti, nuovi orizzonti di ricerca rispetto ai consueti e prefissati obiettivi del percorso di studio finalizzati all’acquisizione da parte degli allievi di conoscenze e capacità critiche di base, molto resta da fare sul piano della formulazione e della sperimentazione progettuale. Infatti non si è fatta molto strada, come del resto nella professione, nel confronto dialettico tra teoria e prassi. Da qualche anno a questa parte per superare tale impasse, specie nell’approccio ai temi monografici, ovvero per andare oltre la fase di rilievo e di ricerca storico documentaria, nonché per ampliare il dettato degli obiettivi formativi che allo stato attuale accomunano largamente i vari insegnamenti di restauro del primo e del secondo livello54. Seguendo il palinsesto dell’ordinamento didattico si sono proposte varie soluzioni articolando le attività di laboratorio per ambiti di studio tra loro interconnessi, partendo dai fondamenti teorici della disciplina e la conoscenza storico critica: a) la conduzione del rilievo per il restauro e la ricerca I testi del Syllabus di ciascuna disciplina corrispondono al piano didattico dell’insegnamento proposto dal docente per lo svolgimento del programma di studi che descrive l’insieme delle conoscenze e precipue abilità alle quali condurre gli studenti nell’ambito dell’attività svolta. 54 Il Laboratorio di Restauro si propone di fornire agli studenti le metodologie e gli strumenti di analisi per poter operare sul patrimonio storico edilizio secondo i principi del restauro e della conservazione. Applicazione delle conoscenze e capacità di comprensione raggiunte. Il corso è rivolto a far sì che gli allievi siano in grado di acquisire competenze in relazione a: 1) aspetti conoscitivi dei fondamenti della disciplina in un quadro di riferimento interdisciplinare; 2) capacità di organizzare e condurre una campagna di indagini e rilevazioni specifiche; 3) capacità di produrre materiali documentari esaurienti; 4) applicare le conoscenze acquisite alla elaborazione di un progetto diagnostico sul costruito storico; 5) capacità di giudizio autonomo; 6) capacità di apprendimento dalla raccolta e interpretazione dei dati fino alla capacità di integrare le conoscenze in modo autonomo e gestire le complessità, incluse quelle relative ad ambienti di lavoro interdisciplinari; 7) abilità comunicative e capacità di sintesi e corretta restituzione grafica in rapporto con le peculiarità dei temi affrontati, dalla scala urbana e del paesaggio a quella architettonica e dei particolari costruttivi e relativi ai caratteri storico artistici degli apparati decorativi e pittorici delle superfici. 53

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catalografica; b) la diagnostica architettonica e gli studi per la conservazione delle superfici; c) l’analisi dei caratteri costruttivi, materici e strutturali, della fabbrica; d) Il progetto conservativo e di restauro. Tuttavia anche questa razionalizzazione sui temi da trattare presenta alcuni evidenti limiti per quanto concerne in particolare l’ambito di ricerca riferito al progetto, già cronicamente penalizzato dall’impossibilità di interagire con il cantiere. Per quanto riguarda la mia personale esperienza è da tempo iniziata una fase più sperimentale di ricerca finalizzata a migliorare l’approccio alla disciplina da parte degli allievi fino ad introdurre l’attività progettuale curando non solo gli aspetti metodologici e l’affinamento degli strumenti tecnico-scientifici utili, ma anche ricercando una più incisiva collocazione sul piano concettuale delle possibili soluzioni di salvaguardia da riservare all’azione di recupero funzionale e di fruizione del bene culturale oggetto dell’intervento. Si tratta di un profilo progettuale che passa soprattutto per il bene in esame attraverso il riconoscimento e l’acquisizione delle peculiarità ambientali, vocazionali e di accertata compatibilità storicamente comprovabili, riferibili alle qualità storico artistiche e architettoniche, nonché dei valori formali ed estetici. In una prima serie di esperienze condotte sul campo, nel caso di beni pubblici o di pubblico interesse, al fine di assolvere all’esigenza di non astrarre eccessivamente il tema del progetto quale esso sia (di restauro o di riuso) dai desiderata della comunità insediata, la questione si è risolta pragmaticamente assegnando a gruppi di studio formati dagli studenti del laboratorio medesimi temi progettuali da porre a livello seminariale a confronto. Queste tematiche spesso desunte o associate a concorsi d’idee o bandi pubblici convergenti su precisi obiettivi di valorizzazione del patrimonio esistente hanno ottenuto buoni risultati sul piano formativo. Le esperienze acquisite dagli studenti sono state soprattutto soddisfacenti nella misura in cui gli obiettivi progettuali erano parametrati sui precisi requisiti di fattibilità e/o di utilità per lo sviluppo locale. Tuttavia, l’escamotage di perseguire un comune progetto così orientato, se pur d’interesse, educativo e in qualche modo ‘professionalizzante’, non è sempre risultato pienamente in sintonia con le esigenze della conservazione e la corretta esposizione delle tematiche del restauro per una mal posta sollecitazione da parte dell’ente proponente. Una prima spinta, rivelatasi poi decisiva per la sperimentazione di un nuovo modo di approcciare al progetto di restauro, si è concretizzata nel corso dell’esperienza maturata più recentemente, nel 2014/2015, in seno al laboratorio dedicato allo “Studio per il restauro, la riabilitazione funzionale per la conservazione futura e la valorizzazione del parco storico delle Terme della Torretta e dei manufatti e complessi architettonici in esso ricadenti”55. Un progetto nato dall’oggettiva necessita di salvare dal In particolare si tratta del corso di Restauro Architettonico, condotto dal sottoscritto, nel Laboratorio di Restauro 2014-2015 condotto unitamente ai moduli di Geomatica per la conservazione dei Beni Culturali (prof.sa Grazia Tucci) e Statica e stabilità delle strutture murarie (prof. Ugo Tonietti), oggetto di un programma didattico e di ricerca convenzionato con accordo di collaborazione stipulato tra il Comune di Montecatini Terme, la Società Terme di Montecatini e ii Dipartimento di Architettura

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degrado incipiente un parco monumentale di grande rilevanza ambientale e storico architettonica, ospitando episodi artisti ed architettonici di specifico interesse, testimoni autentici della fertile stagione toscana del Liberty. In precedenza, nel 2013/2014, un’analoga esperienza, per certi versi antesignana della metodologia sopra descritta, era stata condotta per la conservazione della Fattoria (Cascina) di Lorenzo il Magnifico, posta nella frazione di Tavola nel Comune di Prato, ridotta da anni in completo disfacimento, e per quello che rimaneva dell’antico ambito poderale frazionato e in gran parte obliterato nell’annesso parco.56 Nella necessità di progettare una soluzione non utopica ed immaginifica, bensì produrre una narrazione realistica e al tempo stesso capace di attrarre l’attenzione del pubblico e del privato come potenziali investitori si è puntato a sottolineare la valenza multipla (ambientale, architettonica e artistica) del luogo, affidando le proposte scaturite dai gruppi di studio ai sistemi multimediali in un’azione condivisa con gli altri moduli di progettazione operanti all’interno del laboratorio come sopra richiamati. Nell’ambito della formulazione degli scenari posti al centro dell’interesse, è stata dedicata in via preliminare alla fase progettuale per il restauro ambientale ed architettonico una tavola concettuale aggiuntiva (identificata come moodboard) mutuandola dalle esperienze di altri profili professionali, di tipo creativo, operanti nel mondo della pubblicistica e dell’editoria. Questo tipo elaborato, curato dai gruppi di studio sulla scorta delle ricerche storiche, dei rilievi architettonici e dei reportage fotografici estesi al contesto urbano, è apparsa utile per sostenere e far sviluppare da parte degli allievi un concept di progetto in grado attraverso un procedimento di design e di computer grafica, di comunicare e spiegare sul piano visivo le scelte strategiche successivamente poste alla base del progetto e con esse l’ambientazione congeniale per sviluppare la narrazione. «Il moodboard diventa un poster di immagini, testi, suoni, musica, link … talora anche oggetti fisici, arrangiati in una composizione progettata».57 (Figg. 1.16, 1.17) Del resto, il moodboard altro non è che la trasposizione contemporanea della dimensione immateriale ed evocativa che attiene alla memoria collettiva e alla sensibilità individuale che trova nel bene culturale, nell’autenticità del monumento come nei resti frammentari e scomposti di passate civiltà, le ragioni della bellezza, ovvero un valore da proteggere e trasmettere per chi dopo di noi verrà. Si tratta, in definitiva, di un’azione inesausta di ricerca e analisi dei valori che sta alla base stessa della moderna disciplina del restauro, che fa parte della sua stessa storia come intuito e teorizzato da Alois Riegl, laddove si colloca l’analisi dei valori come proiezione soggettiva della memoria. Ed in questo diviene criterio selettivo per operare le scelte che indirizzano, o meglio determinano, in processi che legano i rapporti dialettici tra ciò che si conserva e ciò che si trasforma (Foramitti V. 2017, pp. 82-85). (DIDA) e Ingegneria Civile e Ambientale (DICEA) dell’Università degli Studi Firenze. 56 G.A. Centauro (a cura di) 2016. 57 Definizione tratta dal progetto multimediale (proff. M.A. Alberti, A Berolo e P. Pasteris), CdL in Comunicazione digitale (A.A. 2011-2012).

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Figg. 1.16, 1.17 Terme della Torretta, moodboards (Laboratorio di Restauro, prof. G.A. Centauro et alii, A.A. 2014-2015)

Come proprio Riegl ci ha ricordato: Il senso e il significato dei monumenti non spetta alle opere in virtù della loro destinazione originale. Ma siamo piuttosto noi, i soggetti moderni, che li attribuiamo ad esse.58

Questo tipo di elaborato ben si attaglia alle forme di comunicazione oggi più praticate dagli studenti di architettura, ma soprattutto permette agli allievi di esprimere in modo diretto e autentico l’idea concettuale che, a fronte degli studi e delle conoscenze prodotte, sta alla base del processo di riconoscimento dei valori materiali e immateriali del bene ambientale e culturale da salvaguardare. Di certo, non potrà essere solo questo l’elaborato della narrazione progettuale, preceduto dalla restituzione documentata dei quadri informativi storici e contestuali rilevati, seguito dal progetto diagnostico ed analitico a sostegno della descrizione puntuale degli interventi conservativi proposti e concluso dal progetto finale. Negli ultimi anni le esperienze didattiche nell’ambito del restauro hanno alimentato un processo di progressiva revisione critica non tanto per quanto attiene le modalità di somministrazione della didattica frontale, ma piuttosto nello svolgimento da parte degli allievi delle prime esperienze, ancorché esercitative, propedeutiche alle attività di restauro che, pur in mancanza del cantiere, sono l’asse portante dei laboratori; del resto analoghe riflessioni dovrebbero farsi anche sui tirocini universitari specificatamente per quelli rivolti alla disciplina al fine di andare oltre le croniche difficoltà che – come abbiamo visto - affliggono l’esercizio professionale del restauratore progettista e con esse anche, almeno in parte, i limiti operativi che adesso dividono la materia anche sul piano istituzionale fra funzionari conservatori e architetti liberi professionisti. Al riguardo si sono dimostrati particolarmente utili i tirocini svolti, con tutor universitario presso le Amministrazioni pubbliche e gli uffici della Soprintendenza.

Riegl A. 1903, Der moderne Dankmalkultus. Sein Wesen und seine Entstehunh, Vienna e Lipsia, 1903, in Riegl. A. 1985, Il culto moderno dei monumenti. Il suo carattere e i suoi inizi, trad. It. a cura di R. Trost, S. Scarrocchia), Nuova Alfa, Bologna 1987.

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Del resto, le stesse “Scuole di specializzazione per i beni architettonici e del paesaggio” che dalle esperienze di questi laboratori prendono le mosse e costituiscono il passaggio ulteriore per tutti coloro che intraprendono una carriera nel settore dei beni culturali, sono ormai da anni indirizzate ad offrire precise competenze. E, con esse, un cambio generazionale nei quadri tecnici che operano nel campo della tutela. Le nuove abilità dei giovani laureati nel restauro architettonico sono una linfa importante per l’applicazione delle nuove tecnologie applicate ai beni culturali in grado di aprire le porte alle carriere concorsuali presso gli enti pubblici.

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Tav. 1.1 Eidotipi di G. Castellucci: Casa di Piero della Francesca, Borgo Sansepolcro Stato attuale e completamento in “Ricordi di architettura” 1894-95, vol. IV, tav. 32

Tav. 1.2 Palazzo Bartolini Salimbeni, Firenze (P. Sanpaolesi, restauro della facciata 1961-1962) Prima e dopo l’intervento di consolidamento e integrazione delle parti lapidee (AFR, in alto a sx, AB 8.34 e a dx AB 181.31; in basso a sx, AB 31.4 e a dx AB 60.3)


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Tav. 1.3 Complesso di Santo Spirito in P. Roselli (a cura di), 1964-1977 Studi, rappresentazioni grafiche e documentazioni storiche (AFR, disc. 0258 e 0273); in alto, Sagrestia Vecchia, vista assonometrica con ombre e sezione trasversale; al centro, pianta (dis. F. Roselli, P. F. Vallecchi 1964); a dx, planimetria del complesso (AFR, 2300) - Comitato Nazionale per la celebrazione del VI Centenario della nascita di Filippo Brunelleschi, 1977: Commissione Rilievi, coordinatore Piero Sanpaolesi, Rilievo della Basilica di S. Lorenzo, (coord. responsabile Piero Roselli), rilievi e disegni di Giuseppe A. Centauro e Orietta Superchi (in AFR)

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approfondimenti Giuseppe Alberto Centauro, Margherita Pelosi

La definizione di un palinsesto di studi per il restauro

Facendo riferimento alle più recenti esperienze condotte da chi scrive, l’apertura a molteplici ambiti tematici di studio nello svolgimento delle attività didattiche tenute nei laboratori di restauro, ha determinato un progressivo affinamento anche per quanto riguarda le modalità di ricerca svolte sul campo dagli studenti che ha già prodotto un consolidato assetto di lavoro. Nelle esercitazioni, in particolare, si è andato delineando una sorta di un modello orientativo valido nei corsi di laurea magistrali a ciclo unico o specialistico per il miglior conseguimento degli obiettivi formativi per la conservazione e la valorizzazione delle risorse architettoniche e ambientali. La chiave di volta è stata la definizione e messa a punto di un palinsesto univoco per la produzione di tavole grafiche da redigere in parallelo ai rispettivi programmi di studio. L’attuale ordinamento didattico offre spazi di lavoro e spunti interessanti rispetto agli obiettivi sopra indicati da raggiungere sia ai fini della tutela con un coerente piano metodologico sia per gli aspetti applicativi per l’attuazione delle ‘buone pratiche’ da soddisfare in relazione per quanto riguarda i disciplinari stipulati con i partner pubblici attraverso rilievi, catalogazioni, analisi conservative e/o più semplicemente per instaurare un proficuo confronto di idee con il committente, ecc. In linea generale si è operato su due piani distinti di lavoro: uno alla scala urbana (o di quartiere) e alla scala architettonica (selezionando complessi monumentali e/o edifici con vincolo di tutela). Prendendo spunto da una recente tesi di laurea magistrale59, discussa da Margherita Pelosi, si pone all’attenzione del lettore un possibile palinsesto di studi da condurre nell’ambito del restauro, dalla scala urbana a quella architettonica, con la traccia degli elaborati da produrre. Si veda nelle pagine seguenti una nota descrittiva degli apparati illustrativi selezionati a cura dell’autrice delle schede grafiche e delle tavole (M.P.) Elaborati alla scala urbana 1. Inquadramento storico evolutivo e urbanistico dell’area di studio assegnata con riferimento all’ambito territoriale di appartenenza. (Fig. 1.18). Cfr. Ri-partire Santa Maria Novella: accoglienza e comunicazione degli spazi ritrovati, Tesi di Laura Magistrale in Architettura (CdL B076) di Margherita Pelosi, discussa il 15 aprile 2019 (Rel. Prof. G.A. Centauro, corr. Arch. G. Caselli, Comune di Firenze e PhD A. Bacci (Assegnista di Ricerca).

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pagina a fronte Palazzo Rucellai in via della Vigna Nuova Particolare dell’incompleta facciata


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Il progetto illustrato nelle figure che seguono è un lavoro di tesi di laurea, congiunto a tirocinio svolto presso il Comune di Firenze, frutto di un attento ed approfondito studio, sviluppatosi dalla ricerca storica sul complesso di S.M. Novella, dalla sua fondazione al giorno d’oggi. Studi ed indagini rivelatisi fondamentali durante la stesura del progetto di restauro e musealizzazione degli ambienti liberati dalla Scuola Marescialli e Brigadieri che versavano in uno stato di degrado avanzato. L’intento di questo studio, come emerge dalle tavole che seguono, era quello di dare nuova vita ad ambienti dimenticati ed opere nate per questo meraviglioso complesso e negli anni frammentati per musei e collezioni private di tutto il mondo. (M.P.)

Fig. 1.18 Santa Maria Novella, regesto storico in sintesi (linea del tempo cartografica e descrittiva) (Tesi di Laurea Magistrale di M. Pelosi, rel. Prof. G.A Centauro, A.A. 2018-2019; (cfr. scheda descrittiva in fondo al testo)


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Fig. 1.19 Santa Maria Novella, principali fasi costruttive di chiesa e convento, ibidem

Tale tematica è sviluppata sia a valere analisi del contesto dei monumenti sia per problematiche di restauro e riqualificazione urbana. Consta, in particolare, di elaborazioni grafiche relative a: documentazione di rilievo fotografico d’insieme di comparti urbani e di organismi architettonici complessi, con corredo di foto-indice orientativo; quadro d’unione delle unità di facciata ricadenti nell’isolato o dei singoli prospetti riconducibili alla planimetria di base adottata (SIT). Queste identificazioni sono eseguite perimetrando i fronti sulla base rappresentazioni in eidotipo/i assemblato/i dei vari fronti edilizi aggregati, quotati e recanti scala metrica a piè di tavola. Ogni tavola reca il riferimento bibliografico e didascalie esplicative ecc. La soluzione più frequentemente adottata è stata quella di inserire nella tavola una “linea del tempo” che segua senza soluzione di continuità l’evoluzione cronologica degli accrescimenti urbani accompagnata da estratti di carte e/o mappe tratte dal repertorio storico e archivistico, ecc. (Fig. 1.19) 2. Elaborati grafici illustrativi dei caratteri tipologici, cromatici, materici e del degrado del costruito storico esistente con individuazione degli aggregati edilizi facenti capo al caso studio predefinito. La tematica si svilupperà attraverso grafici d’insieme riferiti ai fronti edilizi aggregati e di dettaglio in scala metrica proporzionata, riferiti al caso studio (prospetto grafico, fotopiano) con analisi del colore (misure in coordinate cromatiche), dello stato di conservazione (patologie) e dei principali indicatori presenti nella scheda ecc. 3. Progetto di restauro urbano (in scala metrica adattata alla tavola) con indicazione degli interventi di riqualificazione urbana da farsi nell’area assegnata (conservazione, manutenzione programmata e rifunzionalizzazione). La tematica si espliciterà seguendo gli indicatori emersi dall’analisi catalografica estesa al contesto urbano di riferimento o all’intero centro, alla dotazione di servizi, ecc. (Fig. 1.20). Indicatori privilegiati derivanti dall’analisi SWOT, ovvero con individuazione delle criticità e dei punti di forza dell’area urbana (Fig. 1.21), nonché dallo studio dei caratteri edilizi ricorrenti e dallo stato di conservazione (priorità, alterazione e vulnerabilità visiva ecc.)


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I Musei di Firenze | Da Firenze Patrimonio Mondiale Il piano di gestione del centro storico di Firenze – Patrimonio Mondiale Unesco. 1. Galleria degli Uffizi 2. Palazzo Pitti 3. Galleria dell’Accademia 4. Museo Nazionale del Bargello 5. Museo di San Marco 6. Cenacolo di Ognissanti 7. Cenacolo di Andrea Del Sarto 8. Cenacolo di Fuglino 9. Cenacolo di Sant’apollonia 10.Museo Opificio delle Pietre Dure 11. Museo archeologico nazionale e Museo egizio 12. Museo di Palazzo Vecchio 13. Museo di Santa Maria Novella 14. Basilica di Santo Spirito 15. Museo del Novecento 16. Cappella Brancacci

17. Museo di Stefano Bardini 18. Museo dell’Opera del Duomo 19. Museo del Bigallo 20. Casa Rodolfo Siviero 21. Museo Palazzo Medici Riccardi 22. Museo di Storia Naturale 23. Museo Horne 24. Museo Galileo 25. Casa Buonarroti 26. Museo Marino Marini 27. Museo ed Istituto Fiorentino di Preistoria “Paolo Graziosi” 28. Complesso di San Firenze 29. Palazzo Gondi 30. Basilica di San Lorenzo 31. Loggia del mercato nuovo 32. Orsanmichele

Fig. 1.19 Santa Maria Novella, inquadramento urbano e dei servizi museali, ibidem

L’evoluzione di Firenze 33. Palagio di parte guelfa 34. Palazzo Strozzi 35. Palazzo Davanzati 36. Palazzo Pandolfini 37. Chiesa di Ognissanti 38. Fortezza Da Basso 39. Sinagoga 40. Palazzo Rucellai 41. Forte Belvedere 42. Chiesa di Santa Felicita 43. Chiesa di Santa Maria Del Carmine 44. Giardino dei Semplici 45. Giardino di Boboli 46. Giardino Torrigiani 47. Giardino Della Gherardesca 48. Orti Oricellari

I-III sec. 1078-1173 XIII-XVIII sec. 1835 1864 1906

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Fig. 1.21 Santa Maria Novella, principali attrattori turistici, ibidem Stazione di Santa Maria Novella 6000000 visitatori l’anno Fortezza Da Basso 200000 visitatori l’anno Museo Maggio Musicale Fiorentino 95000 visitatori l’anno Mercato Di San Lorenzo 3000000 visitatori l’anno Centro Storico 10000000 visitatori l’anno Museo Del Novecento 50000 visitatori l’anno Oltrarno 1300000 visitatori l’anno Ville Medicee 800000 Visitatori L’anno


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Elaborati alla scala architettonica 1. Rilievi dello stato di fatto redatti alla scala architettonica (1:100 1:50 e superiori) comprendenti i disegni quotati di piante prospetti e sezioni e restituzione in fotopiani dei fronti oggetto di analisi preprogettuale. 2. Rilievi dei materiali (costruttivi e di finitura) e del degrado (stato di conservazione, analisi cromatiche, ecc.) con mappatura eseguita sui fotopiani e/o sui disegni al tratto, generali e/o di dettaglio, alla scala architettonica (1:100, 1:50 e superiori) dei fronti oggetto di analisi pre-progettuale. (Fig. 1.22) 3. progetto conservativo architettonico (di massima) con indicazioni delle procedure e degli interventi finalizzati alla manutenzione e al restauro dell’organismo architettonico, da elaborare su fotopiani e disegni generali e/o di dettaglio prodotti alla scala architettonica (1:100, 1:50 e superiori). (Figg. 1.23, 1.24) 4. Concept di progetto e piano delle funzioni. Consta di uno o più elaborati nei quali lo studente dovrà inserire i riferimenti tecnici e concettuali posti alla base del progetto funzionale e di recupero e, con essi, le elaborazioni relative ai fenomeni ritenuti importanti per la stesura del progetto architettonico e del masterplan (inteso come piano strategico delle finzioni). (Fig. 1.25) 5. Progetto di consolidamento strutturale, di rafforzamento e miglioramento statico e dinamico ai fini sismici. Consta di uno o più elaborati descrittivi del progetto corredato da particolari costruttivi, ecc. 6. Progetto di restauro architettonico (con simulazione degli effetti producibili, fotoinserimenti, ecc.) e, per ambienti d’uso pubblico, munito di soluzioni di allestimento degli interni e corredato da rappresentazioni grafiche (rendering ecc.) o modelli plastici. Abbattimento delle barriere architettoniche, efficientamento energetico ecc. (Fig. 1.26) Workshops Una disciplina quale quella del restauro in continua evoluzione, sospesa tra retaggi culturali del passato e forti spinte verso l’innovazione, ha trovato una proficua ed utile sperimentazione nei workshop tematici condotti all’interno dei moduli didattici della Scuola di Architettura. Tutto ciò è avvenuto attraverso il confronto tra modelli di ricerca in evoluzione e risoluzioni applicative attentamente valutate nell’elaborazione di studi e progetti per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio 60. D’altronde, con riferimento all’ambito universitario, chi scrive ha da tempo orientato la propria attività di ricerca nel campo della conservazione dei materiali dell’edilizia storica nell’approfondimento di metodologie di analisi e nella messa a punto degli strumenti dell’operare, dalla scala architettonica a

Per dar conto delle attività dei laboratori di restauro, nel 2018, si è svolta una mostra delle attività didattiche e di ricerca con esposizione di posters curati dai docenti e ricercatori della ‘Sezione Restauro’ del Dipartimento di Architettura, attraverso una “Rassegna di casi studio per la conservazione e il restauro”, dal titolo ReCoRD – Restauro Conservazione Ricerca e Didattica (Plesso didattico di Santa Teresa, 19 mar./ 20 apr. 2018). La rassegna, già pubblicata in digitale e in edizione cartacea (v. in Bibliografia) è reperibile in catalogo Didapress 2020.

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Lato Nord

Lato Sud

Lato Est

Lato Ovest

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Fig. 1.22 Santa Maria Novella, Studio delle lunette del Chiostro Grande, ibidem


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Fig. 1.22 Santa Maria Novella, Studio delle lunette del Chiostro Grande, ibidem

Analisi del degrado

Ipotesi di intervento

L’affresco rappresenta una scena tipica dell’atmosfera religiosa, ovvero la cena sacra fra San Domenico ed i suoi confratelli. Come tutte le scene di cenacoli rappresentate dagli artisti di ogni tempo, per mezzo della pittura, la composizione della scena segue uno schema ben preciso: al centro la figura più importante, in questo caso San Domenico intento a benedire la cerimonia, alla sua destra e alla sua sinistra due figure di importanza minore, ma pur sempre rilevanti, e per finire una serie di figure di contorno che riempiono la scena e che forniscono le interpretazioni sulla storia (i frati domenicani seduti a tavola). Proprio le due figure ai lati di San Domenico forniscono una particolare interpretazione, seppure non sia stato possibile inquadrarli con maggiore precisione, dovevano essere due Santi o comunque due personaggi molto vicini alla vita di San Domenico, oltre per la posizione di vicinanza al santo, anche per il fatto che, allegoricamente, vengano posti proprio sotto le due colonne principali portanti la trabeazione.

quella urbana, come testimoniato nella pubblicazioni della collana Opus studiorum61, edita dal 2007 al 2015, attraverso studi monografici espressioni di progetti di ricerca e tesi di laurea. In questo volume sono state selezionate tra le successive esperienze di conservazione e restauro quelle più recenti condotte all’interno dei laboratori didattici. Nello specifico, l’attenzione è stata rivolta alle esperienze riguardanti gli studi fiorentini, sviluppati e prodotti nell’ambito di progetti di ricerca sostenuti da protocolli d’intesa e convenzioni stipulate tra il 2015 e il 2019 in seno al Dipartimento di Architettura con il Comune di Firenze e l’Arcidiocesi di Firenze62. Queste ricerche hanno riguardato complessi monumentali facenti parte del patrimonio civile ed ecclesiastico, quali le mura, le Porte urbiche e il Forte di Belvedere, ed ancora per i luoghi di culto il Chiostro Grande e il Monastero Nuovo nel complesso di S. Maria Novella, il Seminario Maggiore Arcivescovile (Fig. 1.27), le chiese di S. Felicita in piazza e di San Giorgio alla Costa (Figg. 1.28-1.32). In stretta continuità con le esperienze sviluppate in ambito urbano, in primis con il più volte citato Progetto HECO (2014-2017)63, è stata attuata nell’ultimo biennio una più estesa e capillare catalogazione a copertura del costruito storico dell’Oltrarno (per un totale di n. 1863 facciate) per consentire la gestione informatica dei dati (data collection), a supporto del futuro piano di gestione dell’Ufficio UNESCO del Comune di Firenze64. Con il nome di “Studi per la conservazione e la valorizzazione dei beni architettonici, storico artistici e del paesaggio”, la collana Opus studiorum nasce nel 2007 prendendo in esame le problematiche delle indagini diagnostico-conoscitive preliminari al restauro e mettendo a fuoco gli strumenti e le metodiche di rilievo e di intervento per il recupero e la riqualificazione urbana nei comparti di interesse architettonico e paesaggistico, nonché studi per la conservazione dei beni storico artistici (v. in Bibliografia, a cura di G.A. Centauro, l’elenco dei titoli ad oggi pubblicati). 62 Si tratta, in particolare, dei Laboratori di Restauro (prof. G.A. Centauro), tenuti nei Corsi di Laurea Magistrali (LM-4 e LM-4 CU) della Scuola di Architettura, rispettivamente per gli A.A. 2015/2016, 2016/2017 e 2017/2018 (CdS B076 – Modulo Restauro B018875 (curriculum: Progettazione dell’Architettura) e per gli A.A. 2017/2018 (CdS B117 - Modulo Restauro I B015351) e 2018/2019 (CdS B117 - Modulo Restauro II B015351). 63 Cfr. Centauro, Francini C. (a cura di) 2017, op. cit. 64 Cfr. “Introduzione al Piano di Gestione 2021. Centro Storico di Firenze - Sito Patrimonio Mondiale n. 174” che – come i precedenti piani – «opera per la salvaguardia e la conservazione del tessuto urbano e per mantenere e incrementare le relazioni tra le tradizionali attività socioeconomiche e il patrimonio culturale della città (UNESCO World Heritage Centre, 2014)». 61

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esperienze di conservazione e restauro • giuseppe alberto centauro

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Fig. 1.23 Santa Maria Novella, Progetto conservativo dell’antico dormitorio, ibidem

Alterazioni e degradazioni

Descrizione morfologica -Definizione uni normal

Cause

Interventi di restauro

FRONTE DI RISALITA (fr)

Aloni, efflorescenze, distacco e perdita del materiale nella parte basamentale del fabbricato.

- Umidità ascendente proveniente dal terreno per presenza di acqua di falda nel sottosuolo o per ristagno di acque meteoriche disperse nel terreno e non adeguatamente smaltite - Messa in opera di interventi sbagliati quali sistemi di impermeabilizzazione superficiale che non consentono al vapore interno di migrare verso l’esterno

Obiettivo: Riduzione dell’umidità di risalita e ripristino dell’omogeneità cromatica

Ricucitura o toppa eseguite con materiale incompatibile che risulta essere incongruo e difforme al contesto superficiale limitrofo. Per murature faccia a vista o superfici intonacatela denominazione è rappezzo con malta incompatibile/ incongrua, per superfici pittoriche la locuzione è rappezzo colorato con tinte incongrue o imbrattatura (sovrapposizione incongrua di più strati di vernice su graffi, scritte e macchie).

- Azione dell’uomo - Intervento maldestro negligente o provvisorio

Obiettivo: Eliminazione del rappezzo e sostituzione con materiali compatibili

Alterazione della coloritura con affioramento in superficie di macchine biancastre e deterioramento della tinta

- Applicazione della tinta in condizioni di temperatura troppo alte o troppo basse

Obiettivo: Ripristino dell’omogeneità cromatica

- Pressione eccessiva nella stesura dell’intonaco fresco

Modalità: 1_Spazzolatura della superficie di intervento con spazzola morbida 2_Aspirazione delle polveri residuali 3_Pulitura con vapore acqueo 4_Restituzione di uniformità cromatica.

- Forte umidità e scarsa ventilazione - Elevato contenuto di acqua nella muratura -Ossidazione di elementi metallici quali ferro, rame, ruggine o sali di rame

Obiettivo: Ripristino dell’omogeneità cromatica

“Limite di migrazione dell’acqua che si manifesta con la formazione di efflorescenze e/o perdita di materiale. È generalmente accompagnato da variazioni della saturazione del colore nella zona sottostante (UNI NorMal 11182:2006)

RAPPEZZO INCONGRUO (ri)

BRUCIATURA DELLA TINTA A CALCE (br)

ALTERAZIONE E DEGRADAZIONE CROMATICA (ac)

Variazione cromatica di alcuni ossidi di minerali. Si tratta di modificazione che non implica necessariamente un peggioramento delle caratteristiche ai fini della conservazione, spesso determinata dalla patina naturale assunta nel tempo dal materiale “Variazione naturale, a carico dei componenti del materiale, dei parametri che definiscono il colore. È generalmente estesa a tutto il materiale interessato; nel caso l’alterazione si manifesti in modo localizzato è preferibile utilizzare il termine macchia” (UNI NorMal 11182:2006)

Modalità di Intervento: 1_Spazzolatura della superficie di interavento con spazzola morbida 2_Aspirazione delle polveri residuali 3_Rimozione meccanica dello strato di intonaco superficiale 4_Apposizione di nuovo intonaco macroporoso-traspirante 5_Restituzione di uniformità cromatica.

Modalità di Intervento: 1_Spazzolatura della superficie di intervento con spazzola morbida 2_Rimozione meccanica di precisione con microscalpelli pneumatici e bisturi 3_Integrazione di nuovo intonaco con bagnatura dell’interfaccia e stuccatura con spatola 4_Restituzione di uniformità cromatica.

Modalità: 1_Spazzolatura della superficie di intervento con spazzola morbida 2_Aspirazione delle polveri residuali 3_Pulitura con vapore acqueo 4_Restituzione di uniformità cromatica.


conservazione e restauro: aspetti disciplinari • giuseppe alberto centauro

Alterazioni e degradazioni

Descrizione morfologica -Definizione uni normal

Cause

Interventi di restauro

MACCHIA (ma)

Pigmentazione accidentale e localizzata della superficie. “Variazione cromatica localizzata della superficie, correlata sia alla presenza di determinati componenti naturali del materiale sia alla presenza di materiali estranei” (UNI NorMal 11182:2006)

- Idratazione: i pigmenti di alcuni minerali, a contatto con l’acqua, tenendo a trasformarsi in minerali di diversa colorazione - Deposito di polveri reattive con l’umidità - Assorbimento differenziato del supporto

Obiettivo: Ripristino dell’omogeneità cromatica

Meccanismo di degrado conseguente alla pressione di cristallizzazione dei sali che migrano all’esterno. Formazione che imbianca la superficie cromatica determinando decoesione del legante e fori tensioni che portano alla rottura e successiva caduta del film pittorico. “”Formazione superficiale di aspetto cristallino o polverulento o filamentoso, generalmente di colore biancastro” (UNI NorMal 11182:2006). Nel caso di efflorescenze saline, la cristallizzazione può talvolta avvenire all’interno del materiale provocando spesso il distacco delle parti più superficiali: il fenomeno prende allora il nome di cripto-efflorescenza o sub-efflorescenza” (NorMal 1/88)

- Variazioni di temperatura - Umidità nella muratura e nell’ambiente - Presenza di sali provenienti dal terreno, dal materiale stesso di costruzione e dai materali impegnati in precedenti restauri

Obiettivo: Ripristino dell’omogeneità cormatica

Degrado materico che colpisce le superfici esposte e che si manifesta con perdita di materiale superficiale. È frequentw in particolar modo nelle pietre arenarie e negli intonaci. Si veda erosione nel NorMal 11/88: “Asportazione di materiale dalla superficie dovuta a processi di natura diversa. Quando sono note le cause di degrado, possono essere utilizzati anche termini come erosione, per abrasione o erosione per corrosione”

- Agenti abrasivi - Azioni meccaniche di particelle solide trasportate dal vento -Usura

Obiettivo: Reintegrazione delle parti abrasive

Depositi estranei al supporto più o meno stratificati. Il fenomeno di deposito di particellato è più rilevante nelle zone protette da venti e piogge mentre quello di accumulo di guano si trova nelle parti superiori degli aggetti o nelle zone poco raggiungibili. “Accumulo di materiali estranei di varia natura, quali polvere, terriccio, guano, etc. Ha spessore variabile, generalmente scarsa coerenza e scarsa aderenza al materiale sottostante” (Uni NorMal 11182:2006)

- Inquinanti atmosferici - Scabrosità, deformazione della superficie - Tipologia di prodotto verniciante - Esposizione -Sostanze organiche d’accumulo

Obiettivo: Eliminazione degli accumuli e dei materiali estranei dalle superfici

Particolare manifestazione di deposito superficiale, patina grigia, prevalentemente ad andamento verticale, causata dal rusciellamento delle acque meteoriche. Il colaticcio è in genere localizzato sotto elementi architettonici sporgenti, marciapiedi, davanzali, cornicioni, sottogronda.

- Inquinanti atmosferici - Esposizione, scabrosità, porosità della superficie - Orientamento della facciata

Obiettivo: Ripristino dell’omogeneità cromatica

EFFLORESCENZA (ef)

ABRASIONE (ab)

DEPOSITO SUPERFICIALE (ds)

COLATICCIO (co)

DISTACCO (di)

RIGONFIAMENTO (rg)

Fenomeno di degrado che interessa la parte superficiale dell’intonaco, la tinteggiatura o presunti film di protezione, che si manifesta come un reticolo irregolare filiforme

LESIONE (le)

Modalità: 1_Rimozione dei depositi superficiali con scopa di saggina 2_Pulitura con acqua nebulizzata 3_Ritinteggiatura 4_Protezione superficiale con applicazione a spruzzo di prodotti protettivi organici

Obiettivo: Ripristino omogeneità della superficie

Il distacco degli intonaci può assumere valori più o meno accentuati in relazione all’entità ed estensione dello stesso,generalmente si parla di “allentamento” nei casi meno manifesti. Il distacco può interessare la separazione dell’arriccio dal supporto, dell’intonaco all’arriccio, dell’intonachino dall’intonaco, oppure l’adesione tra intonaci diacronici stesi uno sopra all’altro in interventi diversi. “Soluzione di continuità tra strati di un intonaco, sia tra loro che rispetto al sub strato, che prelude, in genere, alla caduta degli strati stessi. Soluzione di continuità tra rivestimento ed impasto o tra due rivestimenti” UNI NorMal 11182:2006)

- Presenza di formazioni saline - Umidità ascendente - Soluzioni di continuità conseguenti alla presenza di fessurazioni e/o di lesioni - Dilatazioni differenziali tra materiali di supporto e finitura - Stress o vibrazioni meccaniche - Impiego di prodotti vernicianti pellicolanti su supporti tradizionali

Obiettivo: Ripristino integrità della superficie

- Umidità

- Umidità - Presenza di sali interni - Dilatazioni differenziali tra materiali di supporto e finitura

Obiettivo: Ripristino integrità della superficie

Incrostazioni compatte ed aderenti al supporto lapideo. Le croste più comuni sono le croste nere, aree con la stessa composizioni chimica delle croste nere ma con un degrado ridotto si definiscono croste grigie. “Modificazione dello strato superficiale del materiale lapideo. Di spessore variabile, generalmente dura, la crosta è distinguibile dalle parti sottostanti per le caratteristiche morfologiche e spesso per il colore. Può distaccarsi anche spontaneamente dal substrato che, in genere, si presenta disgregato e/o polverulento” (UNI NorMal 11182:2006)

- Inquinanti atmosferici - Scabrosità della superficie

Obiettivo: Rimozione delle croste superficiali

Forma di degrado che colpisce le superfici esposte e si manifesta con la perdita di materiale dalla superficie. A seconda delle cause di degrado, possono essere utilizzatitermini come erosione per abrazione o erosione per corrosione, erosione e usura. “Asportazione di materiale della superficie che nella maggior parte dei casi si presenta compatta” (UNI NorMal 11182:2006)

- Azioni meccaniche di particelle solide trasportate dal vento - Agenti atmosferici - Cause antropiche

Obiettivo: Ricomposizione delle parti erose

Dissesto con perdita di continuità del materiale per spostamenti relativi delle parti. La lesione può essere passante, superficiale, diffusa, localizzata, recenteantica.

- Cedimenti differenziali delle fondazioni - Azioni sismiche - Sovraccarichi verticali o concentrazione di carichi

Obiettivo: Ripristino integrità strutturale

- Dilatazioni differenziali tra materiali di supporto e finitura

EROSIONE (er)

Modalità: 1_Spazzolatura della superficie di intervento con spazzola morbida 2_Eliminazione con scalpelli manuali e con carta abrasiva dei margini esterni della zona degradata 3_Integrazione della parte abrasa con stuccatura 4_Ritinteggiatura 5_Protezione superficiale con applicazione a spruzzo di prodotti protettivi organici

- Ritiro della malta per problemi di applocazione dell’intonaco in condizioni di eccissivo irraggiamento solare, su supporto non adeguantamente preparato, con dosaggio errato di legante.

- Presenza di sali interni

CROSTA (cr)

Modalità: 1_spazzolatura della superficie di intervento con spazzola morbida 2_Aspirazione delle polveri residuali 3_Impacchi di polpa di cellulosa con acqua deiomizzata 4_Restituzione di uniformità cromatica.

Modalità: 1_Spazzolatura della superficie di intervento con spazzola morbida 2_Aspirazione delle polveri residuali 3_Impacchi di polpa di cellulosa o carbonato d’ammonio con opportuni soluzioni 4_Restituzione di uniformità cromatica.

“traccia ad andamento verticale. Frequentemente se ne riscontrano numerose ad andamento parallelo” (UNI NorMal 11182:2006) CAVILLATURA (ca)

Modalità: 1_Spazzolatura della superficie di intervento con spazzola morbida 2_Rimozione dello strato superficiale di tinta 3_Aspirazione delle polveri residuali 4_impacchi di polpa di cellulosa o carbonato d’ammonio con opportuni soluzioni 5_Pulitura con vapore acqueo 6_Restituzione di uniformità cromatica.

Modalità: 1_Spazzolatura della superficie di intervento con spazzola morbida 2_Rimozione dello strato superficiale di intonaco con microfrese 3_Aspirazione delle polveri residuali 4_Restituzione di uniformità cromatica.

Modalità: 1_Rimozione dello strato superficiale di intonaco con microfrese 2_Aspirazione delle polveri residuali 3_Consolidamento della superficie con applicazione a impacco di polpa di collulosa e idrossido di bario 4_Integrazione di parti mancanti con riapplicazione di materiale congruo 5_Consolidamento localizzato mediante siringhe o iniezioni di malta additiva 6_Restituzione di uniformità cromatica.

Modalità: 1_Rimozione dello strato superficiale di intonaco con microfrese 2_Aspirazione delle polveri residuali 3_Integrazione di parti mancanti con riapplicazione di materiali 4_Restituzione di uniformità cromatica.

Modalità: 1_Rimozione delle incrostazioni superficiali con scopa di saggina 2_Pulitura a impacco con pasta di legno e carbonato di ammonio 3_Ritinteggiatura 4_Protezione superficiale con applicazione a spruzzo di prodotti protettivi organici

Modalità: 1_Spazzolatura della superficie di intervento con spazzola morbida 2_Integrazione della parte erosa attraverso l’uso di impasto con matrici minerali e colori matrice 3_Protezione superficiale con applicazione a spruzzo di prodotti protettivi organici

Modalità: 1_Bagnatura della lesione in profondità 2_Stuccatura con apposite spatole pressando bene la malta in modo da colmare tutti i vuoti 3_Consolidamento strutturale 4_Restituzione di uniformità cromatica. FESSURAZIONE (fs)

Rottura del materiale che si verifica quando la tensione a cui è sottoposto eccede la resistenza oltre il puntodi rottura. Nei casi più lievi che non comportano la frammentazione del manufatto si parla di fessurazione superficiale lineare o reticolare o di fessurazione da ritiro. “Soluzione di continuità del materiale che implica lo spostamento reciproco delle parti. Nel caso di fratturazione incompleta e senza frammentazione del manufatto si utilizza il termine cricca o nel rivestimento vtroso, il termine è cavillo” (UNI NorMal 11182:2006)

- Sbalzi termici - Problematiche strutturali - Incompatibilità di tipo fisico-meccanico tra supporto e finitura - Corrosione di parti in ferro con aumento di volume - Dilatazioni termiche differenziate fra materiali di supporto e finitura

Obiettivo: Ripristino integrità strutturale Modalità: 1_Bagnatura della lesione in profondità 2_consolidamento della superficie con impacco di polpa di cellulosa e di idrossido di bario 3_Stuccatura 4_Restituzione di uniformità cromatica.

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esperienze di conservazione e restauro • giuseppe alberto centauro

Nel corso delle attività sopra menzionate l’ambiente urbano è stato esaminato in maniera sistematica, privilegiando l’osservazione dei fronti edilizi, dei vuoti e del verde urbano, partendo da punti di vista ricadenti nello spazio pubblico di strade, piazze, slarghi ecc., valutando al contempo in modo distinto, area per area, edificio per edificio, oltre allo stato di conservazione e di alterazione del costruito storico, l’impatto percepibile a livello paesaggistico distinto per fronti panoramici, piazze, strade principali, secondarie e vicoli. Sull’importanza ai fini del restauro e della riqualificazione urbana di contestualizzare i dati relativi alle singole architetture agli ambiti urbani di appartenenza, anch’essi posti al centro dell’analisi documentaria e analitica, è stato già posto l’accento in premessa; tuttavia occorre ribadire come dall’analisi dei dati più recentemente raccolti per lo studio dell’Oltrarno condotto in seno ai laboratori di restauro si siano manifestate forme di impropria trasformazione dell’edificato urbano a conferma delle tendenze già rilevate nell’ambito dell’intero Centro Storico, ovvero all’interno della ‘core zone’ perimetrata nel 1982. Queste rilevazioni hanno messo in evidenza la stretta correlazione esistente tra i fenomeni denunciati dall’osservatorio urbanistico del Comune di Firenze65 che sono per lo più focalizzati alle criticità di tipo sociale legati al fenomeno turistico, con le principali patologie del degrado delle superfici del costruito storico (Fig. 1.33) o con la perdita dell’immagine identitaria stessa del paesaggio urbano oggi osservabile sotto forma di sgrammaticature compositive, materiche e cromatiche che alterano il lessico compositivo tradizionale delle facciate. L’analisi alla scala urbana condotta sull’Oltrarno ha permesso di valutare il reale stato di conservazione dei fabbricati, l’alterazione sopportata dalle cortine edilizie mappando le superfici del costruito storico, nonché di offrire l’opportunità di un confronto dialettico tra conservazione e rinnovamento nella valutazione delle criticità che interessano le facciate delle singole unità architettoniche, fornendo al tempo stesso un preciso quadro orientativo al fine di definire le più opportune azioni di manutenzione programmata e di restauro perseguibili alle diverse scale, laddove - come noto - il restauro del singolo edificio non può essere dissociato dal trattamento del contesto. La classificazione delle unità architettoniche operata in seno ai programmi di ricerca ha riguardato l’intero patrimonio edilizio, laddove ogni organismo architettonico è stato classificato per categorie funzionali di appartenenza e tipologie. Nelle attività seminariali, una tale analisi preventiva del costruito storico ha suscitato tra gli allievi, a livello individuale e di gruppo, una riflessione critica sia sul piano ambientale che socio-culturale che ha messo in luce quali siano i valori da salvaguardare e i disvalori da contrastare. La conoscenza delle dinamiche storico evolutive e la sintesi descrittiva prodotta sui comparti urbani

Si vedano, in particolare, gli effetti prodotti dal proliferare dei fenomeni ‘percepiti come negativi’ connessi con l’incremento abnorme dei flussi turistici e il contemporaneo decremento della popolazione residente a tutto vantaggio dell’accoglienza dei visitatori occasionali, cfr. il report redatto dal Gruppo di lavoro dell’Amministrazione comunale nel dicembre 2019 relativo all’Avvio del procedimento, Piano Operativo e Variante Piano Strutturale (All. A), p. 30 e sgg.

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conservazione e restauro: aspetti disciplinari • giuseppe alberto centauro

oggetto di studio ha portato gli studenti a valutare con maggiore chiarezza e incisività in chiave di restauro i fenomeni osservati. Lo studio così prodotto, grazie anche all’apporto a carattere multidisciplinare assicurato da contributi esterni, ha assunto una precipua rilevanza sull’impostazione metodologica delle ricerche. La lettura disaggregata su base storica dei tipi e dei caratteri architettonici è servita ad esempio come strumento identificativo delle trasformazioni osservate sul piano architettonico e compositivo. Nell’accezione che è stata data ai fini del ‘restauro urbano’, la tipologia architettonica ha inoltre permesso di identificare meglio l’impianto dell’edifici, precisato attraverso la datazione dell’assetto fondiario originario e delle successive trasformazioni (frazionamenti, fusioni, sopraelevazioni ecc.) e, ai fini dell’analisi dei caratteri architettonici, un riferimento essenziale per evidenziare allo stato attuale la cronologia delle fasi evolutive e/o di trasformazione osservate, la valutazione dei restauri pregressi e delle modifiche subite dagli organismi edilizi generando distinte modalità di riconoscimento dei modelli architettonici, costruttivi, materici e cromatici perseguiti nel tempo da valutare attentamente ai fini del restauro stesso. La disanima critica condotta sulle superfici dei fronti edilizi esaminati sotto il profilo materico e cromatico ha inoltre permesso di ricomporre in mancanza di documenti, la progressione stratigrafica degli interventi prodotti negli anni recenti, evidenziando inoltre sgrammaticature e discrasie lessicali nella distribuzione delle tinte e nel trattamento dei rivestimenti sia negli intonaci che nel facciavista. Questa particolare tematica del restauro architettonico assume una rilevanza particolare per il monitoraggio e la corretta gestione delle problematiche conservative, innanzi tutto perché per il restauro delle superfici, la cura della materia non può essere scissa dalla valutazione della corretta sintassi compositiva che negli apparati pittorici e decorativi è data dal rapporto fra gli elementi architettonici, la loro autenticità e integrità. Per queste ragioni il trattamento delle lacune e il riordino cromatico delle facciate hanno avuto un posto di rilievo nelle esercitazioni di restauro. Nel caso del Centro Storico di Firenze, sulla scorta degli studi condotti prima, durante e dopo il Progetto HECO, cit. una distinta valutazione è stata ancora una volta data in chiave storica ai materiali e alle tecnologie di trattamento delle superfici, laddove gli ambiti temporali ai quali riferirsi nel rilevamento condotto alla scala urbana sono stati distinti per principali fasi storico evolutive moderne, otto/ novecentesche (pre e postunitarie, pre e post belliche, ecc.) al fine di valutare in categorie tra loro omogenee i caratteri materici dell’edificato storico da salvaguardare e per indicare in modo congruo il ripristino di tinteggi e pitturazioni nel rispetto delle matrici cromatiche originali. In questa direzione i risultati ottenuti sono stati incoraggianti. Infine, partendo da una dettagliata configurazione ambientale delle fenomenologie di alterazione e degrado con l’oggettività dei dati forniti dai rilievi e dalle documentazioni prodotte, sono state precisate le priorità degli interventi da proporre in un processo armonico di riqualificazione e valorizzazione del costruito esistente. Attraverso questo tipo di approccio conoscitivo, si è data la giusta prospettiva

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esperienze di conservazione e restauro • giuseppe alberto centauro

Fig. 1.24 Santa Maria Novella, Progetto conservativo del prospetto nord, ibidem Alterazioni e degradazioni

Descrizione morfologica -Definizione uni normal

Cause

Interventi di restauro

RAPPEZZO INCONGRUO (ri)

Ricucitura o toppa eseguite con materiale incompatibile che risulta essere incongruo e difforme al contesto superficiale limitrofo. Per murature faccia a vista o superfici intonacate la denominazione è rappezzo con malta incompatibile/incongrua, per superfici pittoriche la locuzione è rappezzo colorato con tinte incongrue o imbrattatura (sovrapposizione incongrua di più strati di vernice su graffi, scritte e macchie).

- Azione dell’uomo - Intervento maldestro negligente o provvisorio

Obiettivo: Eliminazione del rappezzo e sostituzione con materiali compatibili Modalità di Intervento: 1_Spazzolatura della superficie di intervento con spazzola morbida 2_Rimozione meccanica di precisione con microscalpelli pneumatici e bisturi 3_Integrazione di nuovo intonaco con bagnatura dell’interfaccia e stuccatura con spatola 4_Restituzione di uniformità cormatica

EROSIONE (er)

Forma di degrado che colpisce le superfici esposte e si manifesta con la perdita di materiale dalla superficie. A seconda delle cause di degrado, possono essere utilizzati termini come erosione per abrazione o erosione per corrosione, erosione e usura. “Asportazione di materiale della superficie che nella maggior parte dei casi si presenta compatta” (UNI NorMal 11182:2006)

- Azioni meccaniche di particelle solide trasportate dal vento - Agenti atmosferici - Cause antropiche

Obiettivo: Ricomposizione delle parti erose

Degrado materico che colpisce le superfici esposte e che si manifesta con perdita di materiale superficiale. È frequente in particolar modo nelle pietre arenarie e negli intonaci. Si veda erosione nel NorMal 11/88: “Asportazione di materiale dalla superficie dovuta a processi di natura diversa. Quando sono note le cause di degrado, possono essere utilizzati anche termini come erosione, per abrasione o erosione per corrosione”

- Agenti abrasivi - Azioni meccaniche di particelle solide trasportate dal vento -Usura

Obiettivo: Reintegrazione delle parti abrasive

Depositi estranei al supporto più o meno stratificati. Il fenomeno di deposito di particellato èpiù rilevante nelle zone protette da venti e piogge mentre quello di accumulo di guano si trova nelle parti superiori degli aggetti o nelle zone poco raggiungibili. “Accumulo di materiali estranei di varia natura, quali polvere, terriccio, guano, etc. Ha spessore variabile, generalmente scarsa coerenza e scarsa aderenza al materiale sottostante” (Uni NorMal 11182:2006)

- Inquinanti atmosferici - Scabrosità, deformazione della superficie - Tipologia di prodotto verniciante - Esposizione -Sostanze organiche d’accumulo

Obiettivo: Eliminazione degli accumuli e dei materiali estranei dalle superfici

Caduta e perdita di parti. Termine generico che prevede una interruzione improvvisa della leggibilità pittorica, nel caso di intonaci dipinti si utilizza la voce lacuna. “Perdita di elementi tridimensionali ( braccio di una statua, ansa di un’anfora etc).” (UNI NorMal 11182:2006)

- Azione dell’uomo

Obiettivo: Reintegrazione della parte mancante

Degradazione fisica che si manifesta con il distacco totale o parziale di scaglie o frammenti spesso in corrispondenza di soluzioni di continuità del materiale originario. “Presenza di parti di forma irregolare, spessore consistente e non uniforme, dette scaglie,generalmente in corrispondenza di soluzioni di continuità del marteriale originario” ( UNI NorMal 11182:2006)

- Sbalzi termici - Gelo e disgelo - Presenza di sali solubili e acqua che cristallizzando aumentano di volume ed esercitano pressioni molto elevate all’interno di rocce porose

ABRASIONE (ab)

DEPOSITO SUPERFICIALE (ds)

MANCANZA (mn)

SCAGLIATURA (sc)

- Soluzione di continuità conseguenti alla presenza di fessurazioni e/o di lesioni

Modalità: 1_Spazzolatura della superficie di intervento con spazzola morbida 2_Integrazione della parte erosa attraverso l’uso di impasto con matrici minerali e colori matrice 3_Protezione superficiale con applicazione a spruzzo di prodotti protettivi organici

Modalità: 1_Spazzolatura della superficie di intervento con spazzola morbida 2_Eliminazione con scalpelli manuali e con carta abrasiva dei margini esterni della zona degradata 3_Integrazione della parte abrasa con stuccatura 4_Ritinteggiatura 5_Protezione superficiale con applicazione a spruzzo di prodotti protettivi organici

Modalità: 1_Rimozione dei depositi superficiali con scopa di saggina 2_Pulitura con acqua nebulizzata 3_Ritinteggiatura 4_Protezione superficiale con applicazione a spruzzo di prodotti protettivi organici

Modalità: 1_Spazzolatura della superficie di intervento con spazzola morbida 2_Integrazione della parte erosa attraverso l’uso di impasto con matrici minerali e colori matrice 3_Ritinteggiatura 4_Protezione superficiale con applicazione a spruzzo di prodotti protettivi organici Obiettivo: Consolidamento della superficie, protezione dagli agenti atmosferici Modalità: 1_Consolidamento con applicazione a pennello di idrossido di calcio, iniezioni e microiniezioni di materiali da valutare a seguito di indagini. 2_Protezione superficiale con applicazione a spruzzo di prodotti protettivi organici


conservazione e restauro: aspetti disciplinari • giuseppe alberto centauro

Fig. 1.25 Santa Maria Novella, piano delle funzioni e percorsi museali di progetto, ibidem

Legenda delle funzioni e dei percorsi di visita Spazi espositivi

Laboratori

Infopoin – spazi esposizioni temporanee

Aula magna- conferenze

Bookshop

Chiesa

Servizi igienici

Percorso completo – a

Ambienti di servizio

Percorso artistico – b

Caffetteria

Percorso religioso - c

metodologica per analizzare con maggior dettaglio anche i singoli fabbricati e i complessi monumentali che compongono la scena urbana. (Figg. 1.34, 1.35) Seguendo questo modo di procedere, risulteranno più proficui e meno aleatori i criteri di studio da applicare ai singoli edifici al fine di dar corso ad un più esaustivo percorso conoscitivo relativo alle caratteristiche generali dell’organismo architettonico, strutturale e non, cui è affidata la stabilità muraria e la prevenzione ai fini antisismici. Un tale orientamento di ricerca può considerarsi propedeutico alla definizione del progetto diagnostico per il restauro conservativo, di consolidamento/ rafforzamento e di monitoraggio di controllo. D’altronde, come avviene per le cause ambientali, naturali ed antropiche che interessano la conservazione delle superfici architettoniche, molte cause del rischio sismico, del danno o del dissesto murario rilevato hanno origine per fattori intrinsechi al sistema murario caratterizzante la ‘scatola strutturale’ dell’edificio abitativo (o del fabbricato) o dei singoli corpi di fabbrica che lo compongono.66

Si vedano le definizioni date dalla Circolare Min. LL.PP. n.1820/1960: “Per fabbricato o edificio si intende qualsiasi costruzione coperta, isolata da vie o da spazi vuoti, oppure separata da altre costruzioni mediante muri che si elevano, senza soluzione di continuità, dalle fondamenta al tetto; che disponga di uno o più liberi accessi sulla via, e possa avere una o più scale autonome. Per fabbricato o edificio residenziale s’intende quel fabbricato urbano o rurale, destinato per la maggior parte (cioè il più della cubatura) ad uso di abitazione.

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I percorsi di visita del complesso museale di Santa Maria Novella consentono una fruizione, in base all’ambito di interesse. Questi infatti includono sia gli ambienti comunali del Museo di Santa Maria Novella (Chiostro dei Morti, Chiostro Verde, Cappellone degli Spagnoli, degli Ubriachi ed il refettorio), sia quelli gestiti dall’Opera per Santa Maria Novella (la Basilica, e il cimitero degli Avelli), nonché il Chiostro Grande, il dormitorio settentrionale e la Cappella del Papa. Il percorso di visita prevede tre grandi temi culturali di interesse per i visitatori: il tema religioso, il tema artistico e in fine il tema degli eventi straordinari e delle mostre interattive. I tempi di percorrenza del museo sono di circa 60 / 75 minuti, con la possibilità di prenotare le aule dei laboratori a fine visita per le scolaresche, una occasione in più per avvicinare i cittadini fiorentini agli spazi comunali fin da piccoli.

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I particolari del progetto architettonico 1. elemento scatolare modulare in acciaio 2. faretto piatto di illuminazione per oggetti museali 3. meccanismo di smontaggio ad incastro dei moduli 4. scatola elettrica protetta 5. peduccio del modulo 6. telaio metallico di collegamento 7. supporti regolabili in metallo (acciaio inox) 8. piedistallo (dado) 9. collarino inferiore 10. cavetto 11. plinto 12. faretto di illuminazione a terra 13. condotto elettrico e telematico 14. rivestimento in gres simil marmo verde “NERO GRECO” (LAMINAM) 15. strato adesivo a presa normale 16. chiusura metallica 17. tubazione con barriera ad ossigeno 18. tubazione principale collegata alla caldaia 19. tubazione di collegamento fra più moduli 20. bacinella di contenimento 21. disp. illuminante “CAPITELLO” (VIABIZZUNO) 22. rivestimento intonaco 23. ghiera volta crociera 24. riempimento in malta bastarda e cocci 25. strato di allettamento 26. cemento spatolato

Fig. 1.26 Santa Maria Novella, Progetto architettonico e allestimento interno, ibidem


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Abaco delle opere 1) Agnolo Gaddi (Firenze, documentato dal 1369 – morto nel 1396), Madonna col Bambino in trono tra angeli e i santi Domenico, Giovanni Battista, Pietro martire, Paolo, Lorenzo, Tommaso d’Aquino e monaca in preghiera, 1375, Tempera e oro su tavola, cm 159 x 198 Parma, Galleria Nazionale, inv. n. 435 Dal convento domenicano di Santa Maria Novella di Firenze, fu acquistata dal marchese Taccoli Canacci, che la vendette a un tal Filippo Lucchi, il quale la esitò alla chiesa di Pannocchia, dalla quale l’acquistò nel 1855 la Galleria Nazionale 2) Maestro delle Effigi Domenicane Cappella del Convento Forse dalla Cappella d’Ognissanti alla base del campanile 3) Duccio di Buoninsegna, Maestà e angeli, 1285, Tempera e oro su tavola, 450×290 cm Firenze, Uffizi, prima sala dei primitivi Dalla Cappella dei Laudesi, poi dal tramezzo della chiesa, infine dalla Cappella Rucellai 4) Pacino di Bonaguida, San Silvestro Papa, 1325 ca, tempera e oro su tavola Cappella del Convento Forse da connettere alla Madonna col Bambino della Yale University Art Gallery (New Haven, Conn.) per l’uso degli stessi punzoni. 5) Pacino di Bonaguida, San Tommaso Becket, San Bartolomeo, San Giovanni Battista, San Zanobi, 1308, tempera e oro su tavola Firenze, Fondazione Cassa di Risparmio Dall’altare di San Tommaso Becket dei Minerbetti sotto il tramezzo 6) Bernardo Daddi, Apparizione di san Pietro e san Paolo a san Domenico, 1338, tempera su tavola New Haven (Conn), Yale University Art Gallery Da una smembrata pala che era posta all’esterno del coro 7) Bernardo Daddi, Ricompensa di san Tommaso d’Aquino per aver resistito alle tentazioni, 1338 Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie Da una smembrata pala che era posta all’esterno del coro 8) Bernardo Daddi, Incoronazione della Vergine, 1340 ca, tempera e oro su tavola Firenze, Galleria dell’Accademia Dalla chiesa, forse dall’altare di san Pietro Martire nel ponte 9) Jacopo di Cambio, Incoronazione della Vergine e storie della vita della Vergine, 1336, paliotto in seta ricamata, cm 106x440 ca Firenze, Galleria dell’Accademia Dalla chiesa 10) Pittore fiorentino, Madonna col Bambino e i santi Antonio e Giovanni Battista, detta Madonna della Peste o Madonna della Febbre, XV sec., tempera su tavola Firenze, convento di Santa Maria Novella, presso l’appartamento del Provinciale Era ricordata sotto l’organo della chiesa, successivamente fu collocata nella Cappella di san Girolamo di rimpetto alla sagrestia 11) Plautilla Nelli, Ultima Cena, XVI sec., olio su tela In corso di restauro fino all’autunno 2018 (studio della restauratrice Rossella Lari) Originariamente nel convento di san Marco, dall’Ottocento venne trasferito nel Cappellone degli Spagnoli, dov’è menzionato dall’inventario del 1870 (n. 2706). Nel ‘900 è stato trasferito prima nel Refettorio del Museo di Santa Maria Novella, poi (dal 1983) nel refettorio del convento 12) Sandro Botticelli, Adorazione dei Magi, 1475 ca., tempera su tavola, cm 111 x 134 Firenze, Uffizi Commissionato da Gaspare di Zanobi del Lama, cortigiano della famiglia dei Medici, per la sua cappella funebre in Santa Maria Novella. Il patronato della cappella nel 1556 passò ai Fedini e poi verso il 1570 a Flavio Mondragone, istruttore di Francesco I de’ Medici. Il Mondragone fece trasportare il dipinto nel proprio palazzo. L’esilio di Flavio, accusato di tradimento dallo stesso Francesco, comportò una confisca dei suoi beni, tra cui doveva trovarsi anche il dipinto botticelliano che finì nelle raccolte granducali. 13) Domenico Ghirlandaio, Pala Tornabuoni, 1490-98, tempera su tavola, h 221 cm L’opera è smembrata in varie sedi: Madonna in gloria tra santi (fronte), 221x198 cm, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera Resurrezione (retro), 221x199 cm, Gemäldegalerie, Berlino Santa Caterina da Siena, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera San Lorenzo, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera Santo Stefano, 191x56 cm, Szépművészeti Múzeum, Budapest San Pietro Martire, Fondazione Magnani Rocca, Traversetolo (provincia di Parma) San Vincenzo Ferrer, già nel Kaiser-Friedrich-Museum, Berlino, andato distrutto nel’incendio della Flakturm Friedrichshain di Berlino nel maggio 1945 Sant’Antonino Pierozzi, già nel Kaiser-Friedrich-Museum, Berlino, andato distrutto nel’incendio della Flakturm Friedrichshain di Berlino nel maggio 1945 L’opera nasce per l’altare della cappella maggiore. Con le risistemazioni del 1804 la pala venne smembrata e dispersa (1816) immettendola nel mercato antiquario. Oggi è in parte perduta e in parte divisa in vari musei

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Occorre ancora ricordare che nel postulato degli studi per il restauro, l’edificio (o fabbricato, che dir si voglia) rappresenta e identifica nei suoi molteplici aspetti formali e tipologici il risultato del percorso storico evolutivo che lo ha generato, adattato o modificato in relazione alla sua composizione, spazialità e funzionalità. In relazione a questo riconoscimento il bene architettonico può essere analizzato, da un punto di vista costruttivo o materico-stratigrafico come un compendio assoluto di storia della cultura tecnica ed artistica. Ciò vale anche per il singolo elemento, quel ‘corpo di fabbrica’ che identifica l’insieme di vari ambienti dell’edificio, raggruppati in modo da formare un organismo costruttivo a sé. Infatti, se l’intero edificio consta di più corpi di fabbrica, questi sono a loro volta raggruppati o collegati variamente fra loro, ma sempre in maniera tale che ciascuno di essi risulti limitato dai muri esterni su almeno due lati del proprio perimetro per appartenere in modo inequivocabile all’edificio principale. Mutuando il concetto, un’analoga considerazione può essere estesa al contesto urbano proprio del comparto edificatorio, composto da più parti tutte intimamente connesse tra loro per giustapposizione, ecc. Dunque, in un certo modo, le procedure seguite per lo studio dell’assetto storico urbano corrispondono, al variare di scala, a quelle condotte nel dettaglio sugli apparati costruttivi e decorativi dell’edificio, o di parti di esso. La produzione di una gran massa di dati ha determinato l’esigenza di migliorare la nostra capacità di elaborazione, passando dalle prime schede di catalogo realizzate su base cartacea all’utilizzo di sistemi di acquisizione e gestione informatica dei dati (cfr. quanto descritto nel cap. 4) e dalla loro esatta dislocazione geografica e nello spazio topografico, passando dalla grafica vettoriale a quella digitale, dal ri-

lievo tradizionale in carta al rilievo digitale per immagini, attraverso la georeferenziazione di mappe e

Fig. 1.27 Seminario Maggiore Arcivescovile, la biblioteca

carte geografiche raster.67

Fig. 1.28 Forte di Belvedere, vista panoramica

classificazione ID comunale in uso nei sistemi informativi territoriali, assumendo l’unità particellare

Fig. 1.29 Chiostro Grande di S. Maria Novella, particolare

lo richiedesse la diversa caratterizzazione compositiva o la posizione rispetto al fronte strada delle sin-

Fig. 1.30 Seminario Maggiore Arcivescovile, Chiostro di S. Bernardo, particolare

Negli studi che sono stati condotti per la schedatura del patrimonio edilizio esistente è stata adottata la catastale quale ‘contenitore’ dei dati aggregati, eventualmente frazionabile in due o più parti qualora gole ‘unità di facciata’. La particella catastale, il profilo di facciata (fronte di cortina) e, conseguentemente, il fabbricato vengono dunque associati ad un unico campo di studio (genericamente ad una ‘griglia’) con le informazioni che, in virtù del sistema di gestione adottato68, sono diversamente tracciabili e direttamente utilizzabili per il progetto con la possibilità di interrogare il sistema, attraverso l’elaborazione di studiati algoritmi, al fine di produrre nuovi quadri informativi. Infine, l’aver condotto nell’ambito dei laboratori didattici questo duplice e congiunto percorso di lettura, alla scala urbana e architettonica, interessando senza gerarchie il costruito storico e monumentale della città, ha dato risultati molto interessanti sia in un’ottica di formazione per gli studenti 67 68

Ci si riferisce al processo mediante il quale si assegnano delle coordinate del mondo reale a ciascun pixel del raster. Centauro G.A, Fastelli D. 2017, p. 97-114.


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(accelerando processi di lettura critica) sia in quella, non affatto scontata, della messa a punto di metodologie d’indagine più efficaci in chiave di gestione futura dei dati e, quindi, di definizione del progetto di conservazione/valorizzazione. Queste peculiarità metodologiche, affidate alla ricerca sul campo, ci hanno convinto, dopo quasi un lustro di sperimentazioni, alla luce dell’amplissima campionatura di indagini, rilievi e valutazioni eseguite nei comparti del centro storico di Firenze e non solo, a pubblicare coi risultati acquisiti anche gli strumenti messi a punto e utilizzati nel corso delle esperienze svolte. L’obiettivo ultimo rimane tuttavia quello di tracciare una strada percorribile nel futuro, adottabile oltre l’area geografica o la situazione urbana indagata in un ambito di ‘caso-studio’, relativa più in generale alla ‘conservazione integrata’ dei centri storici al fine di promuovere ricerche dinamiche sul campo a sostegno di un modo nuovo di procedere negli studi per il restauro, come una ‘scienza applicata’ al territorio diffuso dei beni architettonici e del paesaggio, cioè in grado di alimentare un più proficuo utilizzo delle risorse umane e degli strumenti innovativi messi a disposizione dalle nuove tecnologie, sempre nel rispetto dei lineamenti disciplinari storicamente consolidati. In conclusione, si è trattato di elaborare proposte fattibili per la gestione della conservazione e la valorizzazione del patrimonio diffuso e dei singoli beni architettonici e, di conseguenza, assolvere in modo coordinato e correlato tra le varie discipline che concorrono al progetto di restauro.

Fig. 1.31 Chiesa di S. Felicita, interno settecentesco Fig. 1.32 Chiesa di S. Giorgio alla Costa, rilievo fotografico del soffitto ligneo del 1705

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Analisi dati colore e conservazione del lotto Il lotto oggetto di studio si trova inserito all’interno del Quartiere di San Frediano che si caratterizza da un punto di vista ambientale per la presenza di varie piazze e complessi di interesse. L’analisi dal punto di vista urbano del lotto qui esemplificato ha previsto uno studio sia sui livelli di degrado che caratterizzano le superfici degli edifici nei diversi fronti strada sia sulle cromie di rivestimento (le misure colore sono codificate con il sistema ACC 4041). Le informazioni relative a queste due categorie (degrado e colore) sono state ricavate dal sito HURBANA-HERITAGE ANALYSIS, che ha permesso di ricavare ino studio su ogni singolo edificio ma anche un confronto tra il lotto ed il Quartiere di San Frediano. Sono state ricavate dai fronti di facciata quattro matrici colore (rispettivamente: fondo, basamento, zoccolo e cornici), evidenziando nel lotto oggetto di studio le cromie caratterizzanti. Per quanto concerne lo studio del degrado sono stati ricavati dei grafici relativi ai singoli fronti strada riguardanti la distribuzione del degrado, le patologie, le sgrammaticature e la conformità materica. Sono stati inoltre evidenziati: l’indice del degrado e le priorità di intervento per ciascun edificio, ponendo l’attenzione sulle cortine edilizie che presentano una priorità medio/alta.

Matrici colore Borgo San Frediano - Relazione con i colori dell’isolato gruppo 9

Matrici colore del fondo - isolato gruppo 9

Fig. 1.33 Progetto Oltrarno, estratto da report interattivo con mappa dei livelli di degrado delle facciate e delle patologie più diffuse, valori in percentuale.

Fig. 1.34 Tavola di studio con analisi dei dati colori rilevati nel comparto urbano (Piazza Tasso - Via di Camaldoli - Via dell’Orto - Via del Leone) nell’AUO San Frediano


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Fig. 1.35 Distribuzione delle patologie per tipi ed entitĂ di degrado descritte con grafici di sintesi e rappresentazioni su eidotipi di rilievo

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approfondimenti Marta Castellini

L’indagine scientifica tra conservazione e ricerca: il caso della Cappella Barbadori-Capponi nella chiesa di Santa Felicita Premessa L’avvio di uno studio scientifico, finalizzato alla redazione di una tesi di laurea, costituisce un importante momento di relazione tra il ricercatore, i tutors universitari e i referenti per l’istituzione che presiede al manufatto. Si instaura così la possibilità di un confronto tra soggetti diversi, utile a indirizzare l’esperienza di ricerca verso risultati condivisibili sia con la comunità scientifica, sia con gli operatori preposti alla conservazione del bene architettonico. Nello specifico, questo contributo delinea il percorso della mia tesi di specializzazione presso la Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio dell’Università degli Studi di Firenze – discussa con la relazione del professore Giuseppe Alberto Centauro – che indaga le vicende della cappella Barbadori-Capponi nella chiesa di Santa Felicita a Firenze, scrigno architettonico delle pitture pontormiane e la cui redazione originale è tradizionalmente attribuita a Filippo Brunelleschi. (Fig. 1.36) La prospettiva di indagine globale, adottata in questo studio, ha permesso di elaborare delle valutazioni di tipo conservativo, funzionali al cantiere di restauro allora in corso, nonché di ottenere risultati utili a ricucire la lacuna conoscitiva su questa architettura. La definizione di un progetto di ricerca condiviso L’idea di un progetto di tesi sull’architettura della cappella Barbadori-Capponi69, nasce in concomitanza con l’avvio del cantiere di restauro che, tra febbraio 2017 e marzo 2018, ha interessato il manufatto, comportando la temporanea rimozione degli apparati pittorici di Pontormo: la tavola della Deposizione (restaurata e poi esposta a Palazzo Strozzi nell’ambito della mostra Il Cinquecento a Firenze), gli affreschi staccati dell’Annunciazione e i quattro tondi degli Evangelisti70. La possibilità di indagare le murature a vista ha quindi costituito l’occasione per studiarne materiali componenti e loro messa in opera, al fine di valutare lo stato di conservazione degli elementi costitutivi. Il primo obiettivo da perseguire, funzionale al restauro allora in corso, era dunque quello di coordinare, documentare e analizzare criticamente i dati emergenti dalle indagini diagnostiche svolte, per conto della Soprintendenza

pagina a fronte Chiesa di Santa Felicita, cappella Barbadori-Capponi Elementi architettonici brunelleschiani con tracce di doratura


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Belle Arti e Paesaggio di Firenze, dal DST (Dipartimento di Scienze della Terra) in collaborazione con il DIDA (Dipartimento di Architettura), sotto la supervisione del professore Massimo Coli. A partire da questo proposito la ricerca si è poi ampliata, andando ad investigare e approfondire con un nuovo sguardo il nodo critico che, a partire dagli anni Trenta del Novecento (Fontana, 1931; Niccoli, 1938), investe questa architettura: la paternità brunelleschiana della prima redazione quattrocentesca e l’individuazione dei rapporti di interdipendenza con le altre opere architettoniche ‘giovanili’ di Brunelleschi71. L’esperienza di ricerca come approccio multidisciplinare

Fig. 1.36 Fotopiano del fronte principale della chiesa con il Corridoio Vasariano

L’obiettivo di un’indagine il più possibile esaustiva del manufatto, ha suggerito l’adozione di un metodo di studio multidisciplinare, che coniugasse l’analisi delle fonti indirette con quella del testo architettonico. È emersa, quindi, da subito la necessità di un’indagine storiografica, che restituisse un quadro conoscitivo verificato, con cui relazionare i dati emergenti dall’investigazione materiale. Attraverso il riordino della bibliografia edita72 è stato quindi possibile definire i corretti termini di riferimento cronologici e ricostruire le trasformazioni della cappella in relazione alla committenza e alle vicende della chiesa di Santa Felicita. In particolare, la ricostruzione storiografica ha precisato le principali fasi cronologiche: la realizzazione della cappella per volontà di Bartolomeo Barbadori (1419-1423); la committenza Capponi e l’intervento di Jacopo Pontormo e Agnolo Bronzino (1525-1528); la riconfigurazione della cappella durante la ristrutturazione della chiesa operata da Ferdinando Ruggieri (1736-1739); e infine la distruzione dell’originaria cupola quattrocentesca della cappella, nell’ambito dei lavori di ampliamento del soprastante Coretto granducale, e la sua sostituzione con una cupola dal sesto molto ribassato (1765-1766). In alcuni casi l’indagine storiografica ha determinato svolte significative nell’andamento delle ricerche: tra queste la decisione di sollevare parte del tavolato di calpestio del Coretto granducale in seguito a una segnalazione, pubblicata nel 1938, che menzionava la presenza di una ‘seconda cupola’ all’esterno dell’attuale cupola della cappella (Niccoli 1938, p. 146). Parallelamente alla costruzione di un sistema informativo, obiettivo primario del lavoro è stato la Il breve, ma significativo articolo di Paolo Fontana (Fontana, 1931) pone le basi per una riconsiderazione della Cappella Barbadori come una delle prime opere di Brunelleschi. In particolare, vengono individuate le componenti architettoniche riferibili all’assetto originale, e quindi ascrivibili al progetto brunelleschiano. 72 In merito alla bibliografia principale sull’architettura della cappella Barbadori-Capponi, dopo i primi contributi degli anni Trenta (Fontana 1931; Niccoli 1938), la ripresa degli studi si deve allo storiografo Howard Saalman (Saalman, 1958), che inquadrò le irregolarità della cappella Barbadori tra quelle delle prime architetture ‘sperimentali’ di Brunelleschi. In un secondo saggio (Saalman 1989) l’autore pubblica due documenti che ricostruiscono la cronologia della vicenda costruttiva, precisandone la datazione tra il 1419 e il 1423. Una ricognizione globale delle conoscenze sulla cappella, e della storia della chiesa di Santa Felicita, è fornita dalla monografia di Francesca Fiorelli Malesci (Fiorelli Malesci 1986). Lo snodo essenziale del passaggio di proprietà della cappella dai Paganelli ai Capponi, e le modifiche da questi attuate, sono state chiarite da Louis Alexander Waldman (Waldman, 2002), mentre un recente contributo dedicato alle trasformazioni del Coretto granducale si deve a Maria Cristina François (François 2012). 71


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restituzione grafica del manufatto, poiché non esisteva un rilievo scientifico della cappella, né tantomeno delle sezioni di rilievo che indagassero i rapporti fisici con le strutture attigue: il soprastante Coretto granducale; il loggiato di ingresso alla chiesa, su cui corre il tratto del Corridoio vasariano addossato alla facciata della chiesa di Santa Felicita (Funis 2018); e infine la relazione tra il Coretto e il Corridoio (Tav. 1.4). Proprio quest’ultimo aspetto ha condotto a risultati interessanti che dimostrano come, fino alle operazioni di ampliamento del palco con lo sbassamento della cupola sottostante (1766), i due ambienti fossero intimamente connessi e avessero la medesima quota di calpestio, invece dell’attuale dislivello di circa 1 metro. Inoltre, il rilievo ha permesso di riconnettere tra loro quelle porzioni architettoniche della cappella non direttamente percepibili nel loro insieme, in particolare alcuni elementi ascrivibili alla composizione originaria – e quindi autografi brunelleschiani – oggi visibili attraverso due brecce murarie aperte negli anni Trenta del Novecento, per mettere in luce le parti occultate dalle trasformazioni settecentesche73. La lettura delle murature della cappella, già visibili a occhio nudo, è stata approfondita tramite una campagna di indagini diagnostiche. Seguendo il percorso di conoscenza delineato dalle Linee Guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale74, è stato infatti elaborato un rilievo materico costruttivo del manufatto e una valutazione della qualità e dello stato di conservazione dei materiali e degli elementi costitutivi attraverso le indagini denominate “non distruttive di tipo indiretto” (termografia, georadar) e le “ispezioni dirette debolmente distruttive” (endoscopie) (Tav. 1.5). Nuove acquisizioni ai fini della conoscenza e valorizzazione Se da un lato lo studio in oggetto ha prodotto dei risultati in termini di valutazione materico-costruttiva della cappella e restituzione di una documentazione di rilievo esaustiva, dall’altro ha permesso l’acquisizione di nuove conoscenze che completano, e talvolta sovrascrivono, il quadro conoscitivo del manufatto e aggiungono un tassello a studi di più ampio respiro sulla prima produzione architettonica brunelleschiana. In particolare, tramite il rilievo dei lacerti dell’originaria cupola brunelleschiana – rinvenuti, come detto, a partire da una segnalazione presente in letteratura – è stata elaborata una ricostruzione virtuale tridimensionale della stessa, per definirne il diametro, la quota di imposta e l’andamento della curvatura. L’analisi del dato dimensionale, unita a considerazioni di tipo tecnologico, portano a ritenere a All’inizio degli anni Trenta del Novecento, gli studi di Paolo Fontana (Fontana 1931) risvegliano l’interesse per la vicenda storiografica della Cappella e più in generale della chiesa di Santa Felicita: il funzionario Raffaello Niccoli esegue nel 1933 una serie di indagini archeologiche, poi approfondite da Maetzke tra il 1948 e il 1949. Nel 1934 Piero Sanpaolesi pubblica un articolo dove analizza la prima vicenda costruttiva del complesso ecclesiastico (Sanpaolesi 1934); inoltre nel 1936 vengono eseguiti specifici saggi nella cappella, le cui evidenze vengono presentate al I Congresso Nazionale di Storia dell’Architettura (Roma, 29-31 ottobre 1936). 74 DPCM 9 febbraio 2011, “Valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento alle norme tecniche per le costruzioni di cui al D.M. 14 gennaio 2008”, pgf. 4.1.6. “Il rilievo materico costruttivo e lo stato di conservazione”. 73

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Tav 1.4 Chiesa di Santa Felicita, sezione longitudinale parziale, rilievo metrico con fotopiano

ritenere plausibile e coerente l’importante notazione tramandata da Vasari nella Vita di Brunelleschi, circa la realizzazione della cappella di Santa Felicita – “fatt[a] voltar senza armadura” (Vasari, 1568, III, p. 163) – nel momento di messa a punto, su piccola scala, dei principi che informeranno la grande opera della Cupola di Santa Maria del Fiore75. In conclusione, la prospettiva di indagine globale che ha investito il manufatto ha permesso, a mio

Con riferimento, in particolar modo, a quelle cupole di dimensioni contenute – definite come ‘volte tonde’ – realizzate con la tecnica della rivoluzione di una “pertica” e spesso in abbinamento all’utilizzo della spinapesce. Tra queste annoveriamo la perduta volta della cappella Ridolfi in San Iacopo sopr’Arno, le volte del portico degli Innocenti e quelle delle campate laterali di Santo Spirito, opere ascrivibili agli anni tra il 1418 e il 1424. Per una lettura globale delle tecniche e principi progettuali dell’opera brunelleschiana, si rimanda al testo di Roberto Gargiani (Gargiani 2003).

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Mappatura delle porzioni murarie I rilievi eseguiti sulla parete nord-ovest, corrispondente alla controfacciata della chiesa, evidenziano la presenza di due strati affiancati, di cui quello più interno in laterizi e quello esterno verosimilmente in conci lapidei. Griglia di acquisizione GPR Sulla parete nord-ovest sono state acquisite 14 linee di scansione, di cui 14 orizzontali e 6 verticali, a intervalli di circa 30 cm. Rilievo GPR I rilievi GPR sono stati eseguiti con strumentazione fornita dalla ditta IDS Georadar SRL. Nello specifico è stata utilizzata un’antenna TRHF unipolare a 16 bit con 2 canali, frequenza di pulsazione di 2 GHz; le strisciate di acquisizione sono state eseguite manualmente su di una griglia di acquisizione con linee di scansione sia verticali che orizzontali. I dati sono stati acquisiti mediante programma di acquisizione K2FastWave di IDS e processati mediante il programma di calcolo e restituzione grafica Gred-HD di IDS.

avviso, di ottenere risultati utili a ricucire la lacuna conoscitiva sulla cappella Barbadori-Capponi – fino ad oggi mai studiata sistematicamente sotto il profilo architettonico – e altresì di avanzare delle valutazioni sull’attribuzione brunelleschiana non solo basate sulla critica storiografica, ma anche su dati metrici, materici e tecnologico-costruttivi.

Tav 1.5 Chiesa di Santa Felicita, cappella Barbadori-Capponi, restituzione rilievo GPR della parete nordovest.

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Approccio al restauro strutturale

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approccio al restauro strutturale Silvio Van Riel

Università degli Studi di Firenze

Abstract Il consolidamento degli edifici storici, disciplina da sempre all’interno dell’alveo del restauro, a seguito dei disastrosi eventi sismici che hanno colpito l’Italia negli ultimi quarant’anni e che hanno evidenziato la fragilità e la criticità del costruito antico e contemporaneo, ha sollecitato la didattica a considerare non solo i dissesti statici ma, in particolar modo le vulnerabilità delle strutture al rischio sismico. Lo studio della struttura degli edifici storici e contemporanei negli ultimi decenni ha subito una brusca accelerata dovuta alla evoluzione delle Norme Tecniche per le costruzioni che, dopo il sisma di San Giuliano di Puglia nel 2002, ha imposto una attenzione particolare alla fase diagnostica imponendo un vero e proprio percorso conoscitivo. L’imposizione di questa ‘nuova’ fase metodologica di approccio al progetto strutturale che interessa sia l’edilizia storica che quella contemporanea ha determinato una profonda modifica dei programmi didattici della Scuola di Architettura di Firenze, con particolare riferimento ai Laboratori di restauro e ai Laboratori di costruzione, che hanno attivato sinergie interdisciplinari essenziali per lo studio del comportamento delle strutture, sia sotto il profilo statico che sismico.

The disastrous seismic events that have hit Italy in the last forty years have highlighted the fragility and criticality of ancient and contemporary buildings. The consolidation of historic buildings, which have always been part of the restoration field, has prompted teaching to consider not only static instabilities but above all the seismic vulnerability of structures. The study of the structure of historic and contemporary buildings in recent decades has grown up dramatically due to the evolution of the Technical Standards for Constructions which, after the earthquake of San Giuliano di Puglia in 2002, imposed attention on the diagnostic phase. This “new” approach to the structural design that affects both historic and contemporary construction has determined a profound change in the educational programs of the Florence School of Architecture. In particular, the Restoration and Construction Workshops have activated an interdisciplinary approach for the study of the structural behaviour, both from a static and seismic point of view.

La conoscenza della struttura architettonica Si deve a Gustavo Giovannoni, prima, a Piero Sanpaolesi poi se nel campo del restauro architettonico la formazione e la figura dell’architetto assumono un ruolo rilevante quali operatori privilegiati nel campo del restauro e della tutela, in generale, delle ‘cose dell’arte’ e paesaggistica. Dopo l’esperienza delle Accademie e delle Scuola di Ingegneria, con l’istituzione della Scuole di Architettura attivata a Roma per volere del Ministro Giuseppe Bottai da Gustavo Giovannoni, Marcello Piacentini ed Alberto Calza Bini viene a crearsi una figura ‘professionale’ nuova all’interno della quale deve coesistere la cultura ‘umanistica’ e ‘scientifica’, nel contesto di un progetto didattico - formativo ambizioso e lungimirante. Sarà poi Piero Sanpaolesi, con la creazione nel 1957 dell’Istituto di Restauro, primo in Italia, all’interno della Facoltà di Architettura di Firenze a trasformare il restauro

pagina a fronte Il Prof. Sanpaolesi nel suo studio in via Micheli, 6 (UNIFI -AFR, AB 1025.33)


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architettonico da prassi ‘tecnico-artistica’ a ‘tecnico-scientifica’, dove nello studio del progetto di restauro l’indagine e lo studio sulla struttura della fabbrica era considerata operazione prioritaria ed essenziale alla corretta redazione del progetto di restauro. Oggi, a distanza di qualche decennio, come giustamente ha rimarcato Giuseppe Alberto Centauro nel primo capitolo di questo volume, l’insegnamento della materia si è rarefatto all’interno dei Laboratori di Restauro dove in estrema sintesi veicolare nozioni specialistiche che una volta erano trattati da specifici corsi quali Restauro dei Monumenti, Teoria e storia del restauro, Consolidamento degli edifici storici e Caratteri costruttivi degli edifici storici. A questo si è supplito attivando nel Laboratorio I dell’insegnamento di Caratteri costruttivi degli edifici storici e, nel Laboratorio 2, quello di Consolidamento degli edifici storici pur consapevoli della difficoltà di svolgimento di argomenti così articolati e complessi in un lasso di tempo rigidamente ridotto, avendo sempre a memoria che questo laboratorio ha una diretta ricaduta nel campo dell’attività professionale dell’architetto. Fondamentale, quindi, è lo sviluppo coerente fra lezioni teoriche e parte applicativa sul campo per sviluppare su un tema concreto tutta la fase ‘conoscitiva e diagnostica’ e successivamente, il progetto di restauro dove nel primo anno sono trattati lo studio dei materiali ed il loro assemblaggio negli elementi costruttivi che formano l’ossatura strutturale della fabbrica. Nel secondo anno sono forniti i criteri di intervento specifici sulle strutture di consolidamento e riabilitazione strutturale, indicando quelli forniti dalla tecnologia attuale, più compatibili con le strutture originali. Ma questo non è ancora sufficiente alla formazione di operatori qualificati nella gestione di un progetto di restauro architettonico e strutturale; oltre alle necessarie conoscenze tecnologiche sui materiali è fondamentale comprendere il comportamento statico e sismico delle strutture esistenti, per cui è significativo l’apprendimento della scienza e della tecnica delle costruzioni. Il crollo della scuola elementare che provocò la morte di 27 bambini e una maestra a seguito del sisma che ha colpito il comune molisano di San Giuliano di Puglia, il 31 ottobre 2002, e il relativo clamore mediatico creato nell’opinione pubblica da questa tragedia ha innescato un processo evolutivo delle Norme tecniche per le costruzioni, da tempo obsolete, che ha portato ad una diversa valutazione dell’approccio progettuale sulle strutture esistenti. Dal 1 luglio 2009 sono operanti le Norme Tecniche per le Costruzioni di cui al D.M. 14 gennaio 2008 e le relative Istruzioni contenute nella Circolare del 2 febbraio 2009, n. 6171, aggiornate nel 2018, che hanno profondamente mutato i criteri per la valutazione della sicurezza statica e sismica degli edifici esistenti, imponendo sostanziali modifiche nel processo di indagine sulle strutture in base alla loro morfologia e prestazioni strutturali, cosa questa che ha portato alla necessità di adeguare sia la didattica che la sua ricaduta nell’attività professionale. 1 Istruzioni per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per le costruzioni”, di cui al decreto ministeriale 14 gennaio 2008 (G.U. n. 47 del 26-2-2009 - Suppl. Ordinario n.27) aggiornate con il Decreto 17 gennaio 2018. Aggiornamento delle “Norme tecniche per le costruzioni” (G.U. Suppl. Ordinario n. 42 del 20-2-2018).


approccio al restauro strutturale • silvio van riel

Nel confronto l’attuale normativa porta una sostanziale modifica; in particolare per l’intervento sugli edifici esistenti che in buona sostanza è quello che maggiormente ci riguarda sotto il profilo didattico; il concetto di base è che da disposizioni prescrittive si passa a dover considerare gli aspetti prestazionali sia dell’unità strutturale sia dei materiali. Quindi queste norme hanno provveduto a confermare l’impostazione che da molti anni caratterizzava questo insegnamento definendo, finalmente, uno specifico percorso conoscitivo con il quale il tecnico deve cercare di capire in dettaglio le caratteristiche strutturali del fabbricato attraverso fasi di lavoro ben definite: • l’analisi documentale con la quale individuare le fasi progettuali e realizzative dell’opera; • l’approccio diretto al fabbricato con una accurata campagna fotografica, il rilievo architettonico e strutturale con la caratterizzazione dello stato di conservazione della struttura e dei materiali; • la definizione di un modello strutturale il più possibile aderente alla realtà del costruito strettamente connesso all’analisi dei dissesti. Per una migliore comprensione della finalità delle indagini preliminari e delle operazioni di rilevamento si riporta quanto raccomandato dal Comitato nazionale per la prevenzione del patrimonio culturale dal rischio sismico nella seduta del, lontano, 14 luglio 19892: «l’analisi storica dell’edificio assume un ruolo di importanza fondamentale da un dop­pio punto di vista: • identificazione ai fini della conservazione; • identificazione ai fini della comprensione del comportamento strutturale e della sua evoluzione nel tempo, da questo punto di vista è es­senziale la conoscenza della “storia sismica” del monumento, in termini sia di carat­teristiche degli eventi subiti nel tempo, che di risposta agli stessi (quadri di danno) e di eventuali interventi di riparazione effettuati. Per la definizione di interventi di miglioramento antisismico l’analisi storica deve essere indirizzata verso almeno tre aspetti fondamentali della vita dell’edificio: a. valutare l’evoluzione nel tempo dell’organismo edilizio, ponendo in evidenza: • le parti costruite in tempi successivi; • i collegamenti realizzati tra tali parti; • le differenze dei materiali utilizzati; b. analizzare i vari magisteri costruttivi evidenziando: • luoghi di prelievo dei materiali; • modalità di preparazione dei materiali; • modalità di posa in opera; • organizzazione della muratura; c. rilevare i danni subiti nel tempo ad opera dei terremoti e le eventuali riparazioni ef­fettuate evidenziando, nella misura del possibile: • localizzazione dei danni e delle riparazioni; • entità dei danni».

Circolare del Ministero per i Beni culturali e ambientali del 18 luglio 1986 n. 1032 e nei punti 6 e 7 delle Di­rettive per la redazione ed esecuzione di progetti di restauro comprendenti interventi di “miglioramento» antisismico e «manutenzione”, nei complessi architettonici di valore storico‑artistico in zona sismica», redatte dal Comitato nazionale per la prevenzione del patrimonio culturale dal rischio sismico nella seduta del 14 luglio 1989.

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Fig. 2.1 Documentazione d’archivio di particolare interesse per la definizione delle dimensioni delle fondazioni. I disegni sono tratti dal progetto originale per la costruzione del complesso sportivo realizzato a Sarsina (FC) fra il 1969 e il 1972 ed oggi oggetto di studio per le valutazioni delle sue prestazioni statiche e sismiche, come previsto dalla normativa vigente. Gli elaborati riprodotti riguardano la documentazione relativa alla realizzazione del progetto e, in particolare, del Libretto delle Misure redatto per la contabilizzazione dei lavori per gli Stati d’avanzamento. Archivio comunale di Sarsina.

Si evince facilmente come queste indicazioni abbiano trovato corpo nella nuova normativa in particolare per quello che concerne la ricerca storico-documentale-archivistica dove l’attento esame deve portare ad esaminare i progetti ed i documenti che sono stati alla base della costruzione del fabbricato (per gli edifici più antichi fondamentali sono i progetti che nel corso del tempo hanno interessato la fabbrica). Al fine specifico dello studio strutturale risultano significativi il progetto grafico e i documenti allegati: relazioni, computi metrici, capitolati che interessano l’appalto delle opere da realizzare. Sono altresì importanti i documenti relativi alla realizzazione dell’opera quali gli stati d’avanzamento lavori, i certificati di pagamento e preziosissimo, quando disponibile, il libretto delle misure nel quale sono riportate le dimensioni delle opere realizzate da pagarsi. Questo documento, quando reperibile, permette di individuare le dimensioni e le caratteristiche esecutive di elementi non direttamente visibili, quali fondazioni, travi in C.C.A. ecc. (Fig. 2.1)


approccio al restauro strutturale • silvio van riel

Per una trattazione sistematica delle tecniche di rilevamento architettonico e delle metodiche di restituzione grafiche si rimanda a quanto indicato nei capitoli precedenti da Giuseppe Alberto Centauro. È necessario rammentare che questa fase di studio, cioè il rilievo dello stato di fatto quando correttamente correlato al ‘rilievo storico – critico delle fasi costruttive’3, può rappresentare un documento storico per rileggere i processi evolutivi succedutisi nel tempo e poter valutare gli eventuali dissesti prodotti da queste vicende costruttive. Il ‘rilievo strutturale’ deve mirare alla completa identificazione degli aspetti morfologici e tecnologici che caratterizzano l’impianto generale della fabbrica e, tenuto conto anche della normativa vigente e delle raccomandazioni, non deve essere mai trascurato il fatto che la fase del rilievo strutturale, sul quale sono puntualmente riportati i dissesti (lesioni e/o deformazioni), costituisce una premessa indispensabile alla fase diagnostica e progettuale. Infatti, i criteri adottati nella scelta del tipo di intervento devono scaturire da uno studio dettagliato dell’organismo edilizio riguardante in particolare: le caratteristiche architettoniche, strutturali e delle destinazioni d’uso; le modificazioni, intervenute nel tempo, all’impianto edili­zio e strutturale originario; l’analisi globale del comportamento strutturale al fine di accertare le cause ed il meccanismo dei dissesti in atto. (Figg. 2.2, 2.3) La fase del rilievo strutturale diventa, quindi, una operazione fondamentale nel corretto sviluppo di un progetto di consolidamento la cui funzione incide su due particolari aspetti: l’individuazione dell’organizzazione strutturale generale del manufatto e il rilievo dettagliato dei singoli elementi costruttivi. Nell’edilizia storica la parte strutturale è strettamente connessa a quella architettonica - in stretta simbiosi fra elementi portanti e portati - il cui comportamento statico e sismico tende a interagire direttamente fra loro. Gli elaborati grafici devono identificare lo schema razionale con cui sono articolate ed assemblate le varie componenti strutturali; in particolare dovranno essere rilevate e restituite la pianta delle fondazioni e le piante dei vari impalcati, compresa la copertura, dove dovranno essere, accuratamente riportate, le orditure principali e secondarie. Gli elementi strutturali dovranno essere quotati con cura e in maniera palese, al fine di permettere la verifica statica dei singoli elementi. Le sezioni dovranno essere eseguite nei punti di maggior interesse strutturale, con almeno una sezione passante sul vano scala; nelle sezioni dovranno essere riportati con chiarezza le tipologie costruttive degli impalcati. Il rapporto di rappresentazione grafica delle piante e delle sezioni deve essere tassativamente di 1/50; le quote dovranno essere riportate in centimetri per le strutture murarie, volte, impalcati lignei ed in cemento armato, mentre saranno quotati in millimetri i profili degli elementi metallici. A corredo, indispensabile, del rilievo strutturale concorrono l’esecuzione di particolari tecnici - costruttivi, in sezione Nella redazione di una corretta campagna di rilievo architettonico, come giustamente ci ricorda Paolo Fancelli, al documento del rilievo è consigliabile affiancare, a supporto, altre fonti testimoniali da confrontare con la realtà del monumento quali: le “fonti dirette”: fonti epigrafiche, araldiche, emblematiche; lettura ed analisi dell’apparecchiatura muraria e degli elementi costruttivi caratterizzanti; analisi tipologica; lettura metrologico-modulare-proporzionale; lettura degli apparati decorativi; indagini sui materiali costitutivi; indagini strumentali conoscitive; lettura stratigrafica; le “fonti indirette”: attestazioni scritte ed iconografiche; trattatistica; filoni iconografici indiretti quali fototeche, diateche e videoteche. 3

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e/o assonometria in scala 1/10 - 1/20 (per le strutture di maggiori dimensioni quali capriate, scale e sistemi voltati). Completa il rilievo la ricostruzione, in assonometria, degli schemi strutturali che caratterizzano la fabbrica architettonica. Lo studio del comportamento statico dell’edilizia esistente può essere molto complesso e le difficoltà maggiori sono le­gate ad alcune particolari situazioni, quali la complessità del rilievo geometrico-strutturale, l’incertezza nella schematizzazione statica, nella definizione delle caratteristiche fisico‑meccaniche dei materiali e degli elementi costruttivi e, in particolare, nelle cause di degrado statico. La conoscenza della geometria della struttura e del quadro dei dissesti devono risultare esaustivi ai fini di formulare delle ipotesi sul comportamento della struttura e sulle cause di degrado statico; inoltre il rilievo strutturale deve servire quale schema di riferimento per modelli di compor­tamento statico. Una volta individuata la geometria e le caratteristiche dei materiali, si possono scegliere i modelli più adeguati alla determinazione dell’assetto tensodeformativo della struttura. Attraverso queste analisi fondamentali alla diagnosi dei dissesti, si dovrà cercare, con le necessarie approssimazioni, di ipotizzarne le cause e, conseguentemente, intervenire con adeguate tecniche alla eliminazione di questi elementi perturbatrici della struttura originale. Esempi di indagini preliminari di cui possiamo disporre con maggior frequenza sono quelle a cui faremo riferimento in nota e che, anche nella prassi professionale, hanno acquisito modalità d’impiego nel campo del restauro e del consolidamento: la termografia4, le indagini elettromagnetiche5, le indagini soniche6 e, ultimamente le indagini endoscopiche7. Sempre fra le metodiche d’indagine, in

4 L’uso della termografia come strumento di indagine in diversi campi della ricerca scientifica ha avuto inizio intorno al 1960. In campo edilizio le procedure di controllo termografiche sono particolarmente impiegate nella ricerca sul­la dispersione termica negli edifici. La propagazione del calore avviene, come è noto, in tre mo­di diversi: per conduzione, convezione ed irraggiamento; ogni materiale possiede un proprio coefficiente di conduci­bilità termica che è legato alle caratteristiche fisiche, in particolare alla densità ed alla condizione di umidità nella quale si trova. La termografia, unita spesso ad altri metodi di indagine non distruttivi è stata impiegata con esito positivo nel rilievo dell’ordito di solai in legno, ferro e laterocemento, nella ricerca di inclusioni di materiale diverso in elementi di muratura o c.a. come capichiavi, catene, ferri d’armatura, e di aperture originarie chiuse ed occultate da intonaci o rivestimenti, nella ricerca di vuoti come canne fumarie e condotti di scarico. 5 Un altro metodo, particolarmente utile nel rilievo di strutture in cemento armato, risulta essere quello delle indagini elettromagnetiche, che comprende l’uso di un elettromagnete il cui nucleo termina con due espansioni polari che vengono applicate sulla superficie da controllare. Per lettura diretta dello spostamento dell’indice di un galvanometro è possibile rilevare la presenza e la dimensione di elementi in ferro come putrelle e catene occultate nella muratura. In elementi strutturali di cemento armato possono essere rilevate le dimensioni dei tondini dell’armatura, lo spesso­re del copriferro ed eseguire, con buona approssimazione, il disegno dell’armatura. 6 Le indagini soniche, derivate dalle relazioni tra la velocità del suono attraverso un corpo ed alcune proprietà dello stesso quali modulo elastico e densità, furono definite nell’ultimo quarto del XIX secolo e trovarono impiego in Italia attorno agli anni Trenta del Novecento con alcune procedure di indagini non distruttive su provini di calcestruzzo. Queste prove, ora molto comuni, sono basate sul rilievo di due distinte caratteristi­che del materiale sottoposto a vibrazioni per impulsi sonici: la frequenza di risonanza e la velocità di propagazione delle onde elastiche. 7 L’indagine permette di poter controllare visivamente, mediante un oculare corredato di un sistema di focalizzazione con sorgente di luce collegata a una sonda flessibile della lunghezza di 90 cm alla cui estremità è posto un gruppo ottico, cavità o fessure con diametro non inferiore a 10 mm, diametri inferiori sono possibili con endoscopi a fibre ottiche. L’indagine può essere eseguita sia in prefori di lunghezza variabile che in cavità esistenti. Particolarmente adatto nella diagnostica di indagine su murature decorate ed apparati murari di rilevante interesse storico-artistico.


approccio al restauro strutturale • silvio van riel

particolare per il consolidamento e la riabilitazione strutturale, indispensabili per una corretta diagnosi sono le prove per determinare le caratteristiche meccaniche dei materiali e delle strutture8. Uno degli aspetti sul quale si è dibattuto dai tempi dell’affermazione della scienza delle costruzioni è quello riguardante il metodo per valutare correttamente la struttura9 degli edifici costruiti in muratura. Su questo aspetto significativo è quanto scritto da Salvatore Di Pasquale: Le critiche, […], non erano tanto rivolte a Viollet-le-Duc, fautore del razionalismo architettonico, ma alle errate conclusioni a cui erano arrivati i professori di scienza delle costruzioni, gli strutturisti, i quali avevano creduto ed hanno creduto fino a poco tempo fa (ora finalmente mi pare che lentamente stiano cambiando indirizzo) di poter consi­derare le strutture delle costruzioni in muratura come le costruzioni in muratura stesse.10

Un altro aspetto fondamentale nello studio delle strutture esistenti sono le esperienze dirette di prove sui materiali sia in laboratorio, attraverso prove meccaniche di campioni estratti, sia direttamente su parti delle strutture. Una prova che attualmente ricorre frequentemente nelle indagini preliminari è quella di utilizzare strumentazioni meccaniche inserite all’interno della muratura, la più comune delle quali consiste nell’uso dei martinetti piatti. Questa tecnica, denominata “flat jack test” utilizzata nella meccanica delle rocce, si basa sulla variazione dello stato tensionale locale per effetto di un taglio piano di limitate dimensioni eseguito in una parete di muratura continua. 9 In architettura il termine struttura viene usato con diverse implicazioni, a seconda del cam­po a cui si riferisce, in accordo con il significa­to generale di organizzazione delle parti e degli elementi in un continuum la cui scala viene as­sunta come riferimento unitario. Riferendosi alla nostra disciplina, per struttura si intende l’organizzazione statica degli elementi della costru­zione. Parlando invece della struttura formale o architettonica si intende in genere l’organizzazione tridimensionale dell’opera architettonica. Il concetto di struttura architettonica è perciò di importanza fondamentale per la teoria dell’architettura, dato che sta a significare la “for­ma” che rappresenta la soluzione del compito architettonico da Portoghesi P. 1969, V. VI, p. 99. 10 Di Pasquale S. 2001, p. 31. 8

Fig. 2.2 Tavola grafica con il rilievo strutturale della chiesa di San Lorenzo a Dignano nel Comune di Serravalle di Chienti eseguito durante la campagna di studio sui dissesti provocati dal sisma umbro -marchigiano del settembre 1997. La missione, coordinata dagli architetti Pier Luigi Foschi e Silvio Van Riel, è stata finanziata dall’Amministrazione Comunale di Rimini alla quale hanno partecipato quattro gruppi di architetti. Questi elaborati sono stati eseguiti dal gruppo dell’architetto Nedo Pivi. Fig. 2.3 Restituzione grafica del rilievo degli elementi strutturali delle fondazioni e delle strutture in elevato del complesso sportivo comunale di Sarsina redatti nell’ambito del progetto di valutazione delle sue prestazioni statiche e sismiche. Studio redatto dagli architetti Silvio Van Riel, Iader Carlini e Alberto Ridolfi.

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In passato si è tentato di descrivere la struttura architettonica per mezzo di ‘regole’ di composizione, basate sugli ordini classici e su alcuni sistemi di proporzione. Oggi cerchiamo di definire i veri e propri elementi architettonici e le loro reciproche relazioni. La parola ‘elemento’ indica l’unità caratteristica che fa parte di una forma architettonica e ha un duplice significato in quanto indica sia un insieme indipendente che una parte di un contesto più ampio. Il termine ‘relazione’ indica un modo legittimo di distribuire gli elementi, che sono necessariamente tridimensionali o spaziali poiché gli elementi sono rappresentati principalmente da masse e spazi. Lo studio relativo all’individuazione dell’organizzazione strutturale dell’edilizia storica deve basarsi su alcuni concetti fondamentali, senza i quali questa operazione risulta limitata e, spesso, può causare erronee conclusioni. L’indagine sull’organismo edilizio deve essere tesa al recupero del contesto storico, tecnico e culturale nei quali la fabbrica architettonica è stata realizzata, valutando le fasi del processo edilizio per poter identificare la tecnica costruttiva, come giustamente oggi prevede la normativa vigente. Purtroppo, di fronte a una costruzione del passato si continua a imporre, quali unici validi strumenti di conoscenza, rigidi schemi strutturali desunti dalla scienza delle costruzioni. Questa ottica limitata non permette di valutare compiutamente le caratteristiche architettoniche e strutturali dei nostri fabbricati, così strettamente connesse ed interagenti. Alla progettazione strutturale, che si avvale di tutta una serie di procedimenti attivati all’interno della scienza delle costruzioni, dovrà essere affiancata la pratica dell’indagine puntuale sull’organizzazione strutturale della fabbrica, così come questa è giunta ai nostri giorni con tutte le sue, eventuali, modifiche statiche. È oramai un concetto acquisito che, prima dell’avvento delle moderne tecniche di progettazione strutturale, gli edifici, non solo quelli monumentali, venivano realizzati in funzione di precisi codici dimensionali che dovevano tener conto delle capacità dei materiali e delle tecniche costruttive a disposizione degli architetti e dei costruttori. L’organizzazione strutturale negli edifici in muratura è data dall’assemblaggio dei singoli elementi portanti che in diretta simbiosi determina la stabilità del fabbricato. Questi sono, in sintesi, le fondazioni, le murature assieme ai pilastri e alle colonne che rappresentano le strutture in elevato e gli elementi costruttivi su cui poggiano gli orizzontamenti che, nell’edilizia storica e tradizionale, sono costituiti dai solai piani, dai solai supportati da volte e dalle strutture della copertura. Il consolidamento strutturale Il consolidamento inteso quale riabilitazione strutturale di elementi costruttivi dell’edilizia storica, studia le cause dei dissesti, cioè di quelle manifestazioni prodotte da cause perturbatrici sulla struttura muraria a seguito dell’alterazione delle condizioni statiche originali. I dissesti, quindi gli effetti prodotti da queste alterazioni, sono rappresentati dalle lesioni, che sono soluzioni della continuità muraria per rottura del mate­riale, e dalle deformazioni che sono variazione della forma geo­metrica una volta raggiunto e superato il limite elastico della struttura. Spesso lesioni e deformazioni rappresentano gli effetti che il dissesto ha prodotto sullo stesso elemento murario, essendo sovente strettamente correlati fra loro.


approccio al restauro strutturale • silvio van riel

Le forze applicate ad una struttura producono: reazioni dei vincoli, deformazioni e tensioni. Una struttura è in condizioni di resistere quando le varie parti della costruzione sono sufficientemente soli­dali tra loro e vincolate opportunamente al suolo. Quindi le tensioni interne devono risultare, in ogni punto, minori di quelle che provocano la rottura e l’equilibrio tra le varie forze agenti (esterne ed interne) devono essere stabili in ogni parte strutturale oltre che per tutto l’insieme. L’alterazione del regime di equilibrio elastico, quando non in­tervenga un nuovo stato di equilibrio compatibile con la resistenza dell’insieme, può determinare un dissesto statico, il quale si mani­festa con una serie di lesioni e/o deformazioni. Mentre ad ogni tipo di lesione e/o deformazione corrisponde un certo tipo di dissesto, altrettanto non può dirsi per il rapporto dissesto ‑ causa perturbatrice; in quanto un certo dissesto può essere provocato da più tipi di cause perturbatrici. L’esperienza e l’attuale tecnologia per le indagini preliminari, permette di risalire alle cause che hanno prodotto un dissesto, anche se non è sempre possibile definire un legame univoco tra il dissesto e la causa che lo ha prodotto. Nei casi più semplici, che riguardano strutture il cui schema è facilmente individuabile, con relativa facilità, si può definire la causa e l’entità del danno. Una struttura architettonica, pur semplice che sia, deve essere con­siderata come un insieme di membrature verticali e orizzontali, piane o curve, più o meno complesse, fondate sul suolo. Conse­ guentemente i dissesti riscontrati potranno attribuirsi al cedimento delle fondazioni o a cedimenti propri degli elementi strutturali. Al fine di sviluppare uno studio accurato sarà necessario, innanzitutto, svolgere un attento esame della struttura nelle sue singole parti ed eseguire una attenta campagna di rilevamento, grafico e fotografico, delle lesioni e delle deformazioni esistenti. Gli elementi raccolti con questo rilievo dovranno essere riportati sugli elaborati strutturali, con la massima precisione, permettendo di individuare come il quadro generale dei dissesti interessi il fabbricato. Questa operazione, confrontata con i dati dell’indagine preliminare, permetterà la definizione di una linea metodologica per individuare le cause che hanno portato all’attuale situazione statica. L’osservazione delle manifestazioni fessurative è di grande aiuto per la comprensione del dissesto, in quanto dal quadro delle lesioni si può individuare il sistema isostatico, nel senso che è possibile individuare le curve isostatiche di minimo e conseguentemente quelle di massimo; ciò consente di identificare l’andamento delle sollecitazioni e quindi il dissesto. Per poter capire questo processo è doveroso prendere in esame il solido murario, considerato continuo omogeneo ed isotropo, in equilibrio sotto l’azione di un dato si­stema di forze. Applicando a questo solido un altro sistema di forze (cause perturbatrici) si provocano in esso delle deformazioni (cioè varia­zioni di posizione e di forma). In estrema sintesi si possono identificare tre cause esterne perturbatrici: • cedimenti differenziati delle fondazioni; • aumenti tensionali nelle strutture esistenti per interventi di sopraelevazione oppure per incrementi di carico dovuti all’inserimento di nuove strutture;

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• aperture di vani incongrui alla simmetria del pannello murario; fondamentale, in particolare, negli edifici in muratura e la regolarità strutturale in pianta ed in elevato ai fini di garantire l’effetto scatolare della struttura. Fino ad ora abbiamo considerato i dissesti che deri­vano da azioni esterne alle strutture. Dobbiamo ora segnalare i dissesti che derivano da deficienze statiche e strutturali proprie delle strutture murarie e che quindi possono portare ad una deformazione dell’apparecchio murario, cioè ad una variazione della geometria originale della struttura, chiamata anche volgarmente ‘spanciamento’. Le principali cause che possono portate a questa forma di dissesto sono la pressoflessione e l’azione sulle strutture di appoggio e sostegno di elementi spingenti11. Le murature in pietrame o miste hanno una naturale predisposizione alla pressoflessione; infatti le sezioni orizzontali murarie non sono omogenee per l’alternarsi delle parti lapidee, laterizie e della malta, materiali che hanno moduli elastici E differen­ti, variabili dunque da punto a punto. Oppure per le murature in pietrame, la stessa apparecchiatura tradizionalmente eseguita, cioè quella di costruire la parte esterna con più cura del suo interno, determina questa caratteristica strutturale. Nelle sezioni trasversali non omogenee carat­terizzanti le colonne, i pilastri e i muri rivestiti con pietra da taglio oppure con laterizi, le regioni interne hanno generalmente modulo elastico minore di quelle periferiche. Risulta chiaro che i fattori che predispongono le murature alla pressoflessione sono la cattiva apparecchiatura, l’eccentricità dei carichi, la vetustà dei materiali con particolare riferimento alle malte e principalmente alla difettosa omogeneità delle sezioni reagenti. I dissesti per pressoflessione, quando trascurati, risultano essere quelli più pericolosi in quanto possono determinare il crollo dell’edificio. La nota incapacità delle ossature murarie a resistere agli sforzi di trazione conduce alla determinazione della forma di queste ossature in funzione dei carichi a cui sono soggette e dei vincoli. Un arco, una volta e una cupola in muratura devono essere soggetti esclusi­vamente a sforzi interni di compressione; le spinte che ne derivano sui piedritti di imposta, combinate coi carichi verticali, non debbono essere tali da imprimere sforzi di trazione sui piedritti stessi, in ogni loro sezione orizzontale, per tutta la loro altezza, fino al piano di fondazione. Ne deriva che i dissesti di queste strutture possono essere prodotti: da una variazione di forma o di assetto dell’ossatura voltata o dei piedritti; da una diminuita capacità di resistere agli sforzi di compressio­ne oppure, come spesso avviene, da una variazione dei carichi a cui queste strutture erano originariamente sottoposte. Le variazioni di forma sono in genere prodotte da una spinta eccessi­va sui piedritti, che determina una deformazione di questi e un abbassamento in chiave della volta o dell’arco, oppure da un cedimento dei piedritti, cosa questa che può essere causato, da schiacciamento dei materiali con cui sono apparecchiate le strutture di sostegno. Nelle deformazioni per spinta l’ellisse che circoscrive la zona deformata tende a stabilirsi col diametro mag­giore nella direzione verticale; nella pressoflessione nella direzione orizzontale. Nella spinta la w

Van Riel S. 2007, pp. 38-53.


approccio al restauro strutturale • silvio van riel

sezione verticale della deformazione è una curva sinusoidale non simmetrica rispetto al ventre ma con il ramo superiore più sviluppato e appiattito. Nella spinta la sezione centrale circoscritta dalla curva dei flessi ha estensione limitata rispetto a quella anulare fra la linea dei flessi e la curva limite. Nella pressoflessione la simmetria è invece realizzata e la regione centrale ha maggior sviluppo rispetto alla regione antilare. Nella spinta la flessione dei due paramenti è sempre concorde mentre nella pressoflessione può essere anche discorde. Nella spinta il muro, alla percussione offre un suono duro e secco, mentre nella pressoflessione il suono risulta sordo e cupo.

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Diagnostica architettonica e monitoraggio



diagnostica architettonica e monitoraggio Irene Centauro

Università degli Studi di Firenze

Abstract La diagnostica applicata al restauro architettonico permette di caratterizzare chimicamente e fisicamente i materiali costitutivi del Bene, analizzarne le alterazioni strutturali, identificare le tipologie di degrado e le relative cause e conseguenze, giungendo infine ad individuare le soluzioni più efficaci e idonee per mitigare, arrestare o neutralizzare i processi di deterioramento in atto. La diagnostica è inoltre una fase fondamentale nel progetto di restauro perché può fornire informazioni anche sulle tecniche di esecuzione e su precedenti interventi eseguiti sul manufatto, aiutando dunque a ricostruirne la storia e orientando il progettista e i restauratori nelle scelte progettuali. Le tecniche diagnostiche applicabili in ambito di Beni Culturali e in particolare nel restauro architettonico sono innumerevoli e proprio per questo la scelta di quelle più idonee al singolo oggetto di studio rappresenta una fase cruciale nella pianificazione dell’intervento, al fine di evitare un inutile dispendio di tempo e risorse economiche e di ottenere, invece, informazioni preziose sul manufatto ed i suoi materiali costitutivi. The diagnostics applied to the architectural restoration allows to chemically and physically characterize the constituent materials of the buildings, analyse their structural alterations, identify the types of deterioration and their causes and consequences, finally reaching to identify the most effective and suitable solutions to mitigate, stop or neutralize ongoing decay processes. Moreover, diagnostics is a fundamental phase in the restoration project because it can also provides informations on the execution techniques and previous interventions carried out on the building, thus helping to reconstruct its history and guiding the designer and restorers in the planning choices. There are innumerable diagnostic techniques that can be used in the field of Cultural Heritage and in particular in the architectural restoration; for this reason choose the most suitable ones for every different object of study represents a crucial phase in the planning of the intervention, in order both to avoid unnecessary waste of time and economic resources and also to obtain precious information on the building and its constituent materials.

Il ruolo della diagnostica per il restauro architettonico

La diagnostica applicata al restauro architettonico costituisce una serie di prove, indagini e misure preliminari alla scelta dell’intervento conservativo e/o di restauro, finalizzate ad approfondire la conoscenza del manufatto, dei suoi materiali costitutivi e del suo stato di conservazione. Attraverso le indagini diagnostiche è possibile caratterizzare chimicamente e fisicamente i materiali costitutivi del Bene, analizzarne le alterazioni strutturali, identificare le tipologie di degrado e le relative cause e conseguenze, giungendo infine ad individuare le soluzioni più efficaci e idonee per mitigare, arrestare o neutralizzare i processi di deterioramento in atto. La diagnostica è inoltre una fase fondamentale nel progetto di restauro perché può fornire informazioni anche sulle tecniche di esecuzione e su precedenti interventi eseguiti sul manufatto, aiutando dunque a ricostruirne la storia e orientando il progettista e i restauratori nella scelta, ad esempio, dei prodotti e dei metodi per la

pagina a fronte Microscopio ottico polarizzatore


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pulitura, il consolidamento e la protezione delle superfici e dei materiali, anche in relazione alle caratteristiche climatiche e micro-climatiche del contesto ambientale in cui essi si trovano. L’acquisizione delle informazioni inerenti ai materiali è dunque indispensabile anche per poter formulare ipotesi e previsioni sulla risposta del manufatto ad interventi manutentivi e di restauro. Affrontare le problematiche connesse al restauro e alla conservazione dei manufatti architettonici basandosi su metodologie scientifiche è una prassi consolidata ormai da tempo, ma di fatto ancora troppo spesso poco applicata, non solo a causa della effettiva scarsità di risorse economiche generalmente disponibili per affrontare l’intervento, ma anche per altri fattori legati ad un approccio superficiale all’intervento di restauro: scarsa propensione ad avvalersi di professionalità tecnico-scientifiche specifiche ‘diverse’ dalle tradizionali figure coinvolte nel progetto, che porta a tralasciare la fase diagnostica; diffusa convinzione, soprattutto in ambito privato, che la diagnostica a qualsiasi livello di approfondimento rappresenti una fase economicamente troppo dispendiosa; viceversa, esecuzione di analisi molto sofisticate e costose ma inutili ai fini dell’intervento, anche a causa della difficoltà nell’interpretazione dei risultati prodotti dalle prove diagnostiche. Esistono infine ragioni da ricondurre a dei ‘vuoti normativi’: pur essendo la fase diagnostica prevista dal “Codice dei contratti pubblici”1 all’interno del progetto di restauro e pur essendo state recentemente definite le competenze e le conoscenze della figura professionale dell’esperto di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali2, persiste ancora di fatto la mancanza di una valorizzazione giuridica – unita all’assenza di uno specifico Ordine Professionale – di tale figura. Alla luce di quanto detto, occorre però sottolineare che, all’interno del progetto di restauro, la fase diagnostica acquista validità solo se affianca ed è affiancata dalle altre fasi del processo di conoscenza del manufatto, quali la ricerca storico-bibliografica ed archivistica, il rilievo metrico e morfologico e, non ultima, l’osservazione diretta (Gattuso et al. 2010; Musso, 2006). Tralasciare una di queste fasi comporta infatti il rischio di optare per interventi e metodi impropri se non addirittura dannosi per il Bene stesso, anche in ragione della complessità e varietà di materiali, condizioni conservative e tecniche di esecuzione in campo architettonico ed artistico che rendono

D.Lgs. 50/2016 e ss.mm.ii, Capo III – Appalti nel settore dei Beni Culturali, art. 147 (Livelli e contenuti della progettazione), c.3: “Per i lavori di monitoraggio, manutenzione o restauro di beni culturali mobili, superfici decorate di beni architettonici e materiali storicizzati di beni immobili di interesse storico artistico o archeologico, il progetto di fattibilità comprende oltre alla scheda tecnica di cui al comma 2, le ricerche preliminari, le relazioni illustrative e il calcolo sommario di spesa. Il progetto definitivo approfondisce gli studi condotti con il progetto di fattibilità, individuando, anche attraverso indagini diagnostiche e conoscitive multidisciplinari, i fattori di degrado e i metodi di intervento. Il progetto esecutivo indica, nel dettaglio, le esatte metodologie operative, i materiali da utilizzare e le modalità tecnico-esecutive degli interventi ed è elaborato sulla base di indagini dirette ed adeguate campionature di intervento, giustificate dall’unicità dell’intervento conservativo. Il progetto esecutivo contiene anche un Piano di monitoraggio e manutenzione”. 2 D.M. 244 20/05/2019 - Regolamento concernente la procedura per la formazione degli elenchi nazionali di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi fisici, esperti di diagnostica e di scienza e tecnologia applicate ai beni culturali e storici dell’arte, in possesso dei requisiti individuati ai sensi della Legge 22 luglio 2014, n. 110 modifica al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, in materia di professionisti dei beni culturali, e istituzione di elenchi nazionali dei suddetti professionisti. 1


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necessario modulare le indagini e gli interventi in relazione alle caratteristiche specifiche di ogni manufatto. La diagnostica rappresenta una fase imprescindibile anche successivamente alla chiusura del cantiere, espletandosi nelle attività di monitoraggio periodico e programmato per la verifica della bontà ed efficacia degli interventi effettuati. Tecniche analitiche per i materiali lapidei naturali e artificiali

Le tecniche diagnostiche applicabili in ambito di Beni Culturali e in particolare nel restauro architettonico sono innumerevoli e proprio per questo la scelta di quelle più idonee al singolo oggetto di studio rappresenta una fase cruciale nella pianificazione dell’intervento, al fine di evitare un inutile dispendio di tempo e risorse economiche e di ottenere, invece, informazioni preziose sul manufatto ed i suoi materiali costitutivi. Fondamentale è definire che cosa si vuole indagare, perché è necessario farlo, quali informazioni si vuole ottenere: in altre parole, il punto di partenza per il progetto diagnostico è la definizione di un protocollo operativo. Prima di entrare nel merito delle tecniche diagnostiche è importante sottolineare che la prima operazione da compiere, successiva al reperimento delle informazioni storiche e ai rilievi, è certamente l’ispezione visiva diretta del manufatto e delle sue superfici, coadiuvata anche da indagini fotografiche, osservazioni in luce radente, o altre strumentazioni che possono mettere in luce particolari poco visibili. Questa fase non è da considerarsi un aspetto banale o poco significativo ai fini della diagnostica poiché rappresenta, al contrario, il primo passo verso cui direzionare le successive scelte analitiche a seconda delle finalità delle indagini: si ottengono informazioni sulle tecniche di esecuzione, sui fenomeni di degrado, si selezionano le aree più idonee e rappresentative per eventuali campionamenti, si stabilisce la tipologia e la quantità di materiale – carotaggi e micro-carotaggi, porzioni stratigrafiche, polveri, liquidi – che può essere prelevato, si ottiene un quadro dello stato attuale che costituirà un’importante base di confronto per misurare l’efficacia degli interventi realizzati. Fornire un elenco completo ed esaustivo delle tecniche diagnostiche impiegate nel restauro architettonico è un’operazione impossibile oltre che impropria perché le metodologie di analisi possono essere molteplici in base alla tipologia di problema che si intende affrontare. Inoltre, la maggior parte delle tecniche e protocolli normativi sono mutuati da tecnologie afferenti a settori diversi da quello dei Beni Culturali o aventi come oggetto di indagine dei materiali moderni (ad esempio, le radiografie e le tomografie impiegate in ambito medico). Per approfondimenti si rimanda in bibliografia alcuni dei principali repertori e trattati in materia, sottolineando inoltre che il mondo delle indagini diagnostiche applicate ai Beni Culturali è in continuo sviluppo e implementazione: Matteini Moles, 1984; Musso, 1995; Guidi, 1999; Castellano et al., 2002; Maino e Ciancabilla, 2004; Musso, 2006; Cardinali et al., 2007; Lorusso et al., 2007; Aldrovandi e Picollo, 2007; Carbonara, 2008; Santopuoli e Seccia, 2008; Puppin e Piccolo, 2008; Paolillo e Giudicianni, 2009; Milazzo e Ludwig, 2010; Frate, 2010; Altomare, 2019.

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È comunque possibile fornire una panoramica sulle principali e più diffuse tecniche diagnostiche utilizzate sui materiali lapidei naturali e artificiali3, che convenzionalmente possono essere suddivise in ‘non distruttive’ e ‘distruttive’. Ulteriori classificazioni proposte in letteratura (Santopuoli e Seccia, 2008) affinano ulteriormente la distinzione delle tecniche in qualitative e quantitative, in base alla valutazione dei fenomeni di degrado, o ancora in globali e puntuali, in relazione all’estensione delle regioni indagate. Tale distinzione si riferisce ai due diversi metodi di analisi previsti e al grado di impatto sul manufatto oggetto di studio: nel primo caso si tratta di indagini che prevedono al massimo il campionamento di micro-frammenti o polveri del materiale e, in alcuni casi, neanche il contatto tra strumentazione e superficie; nel secondo caso invece è previsto il prelievo di materiale, variabile per quantità e tipologia in base al tipo di tecnica impiegata. Per tale ragione l’applicazione nell’ambito dei Beni Culturali di metodi e tecniche derivate dall’industria richiede grande attenzione poiché occorre evitare o limitare il più possibile le eventuali alterazioni o perdite di materiali di pregio. D’altro canto, in base agli obiettivi di analisi, occorre riflettere sull’opportunità di ‘sacrificare’ piccole porzioni di materiale ove quest’azione risultasse fondamentale per poter formulare le soluzioni progettuali più idonee. Riprendendo il concetto espresso nel paragrafo precedente, appare quindi fondamentale, per un corretto approccio al progetto diagnostico e di restauro, disporre di dati aggiornati ed esaustivi sugli interventi realizzati, non solo ai fini del monitoraggio ma anche per limitare al minimo le campionature e l’impatto generale sul manufatto. Tecniche non distruttive e/o minimamente invasive Si tratta principalmente, ma non esclusivamente, di metodi che implicano l’uso di radiazioni magnetiche, acustiche, o la rilevazione di radiazione IR e sono impiegati per determinare l’integrità ed omogeneità meccanica/strutturale dei materiali. Attraverso queste tecniche è possibile: • individuare difetti superficiali, sub-superficiali o profondi del materiale indagato (es: fratture, scollamenti, vuoti, ecc.); • identificare il tipo di materiale (distinzione per macro-categorie) e il suo spessore; • valutare le condizioni di conservazione superficiali. Di seguito, si propone un elenco delle tecniche più comunemente impiegate in ambito di restauro architettonico.

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I materiali lapidei artificiali sono ad esempio malte, intonaci, calcestruzzi, pietre artificiali, ceramiche, laterizi.


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Indagine con Georadar. È un’indagine geofisica utilizzata per definire l’assetto geometrico delle fondazioni e del sottosuolo, individuare e mappare strutture murarie, corpi interrati, difetti di realizzazione, zone degradate, ecc. In particolare, è possibile identificare interfacce tra livelli dotati di differente resistività e costante dielettrica. Si basa sull’emissione delle onde elettromagnetiche attraverso un materiale, registrando come queste vengono riflesse dal materiale stesso: gli impulsi generati in superficie si propagano in profondità (variabile da pochi a decine di metri), dove vengono riflessi dalle discontinuità presenti e captati da un ricevitore, amplificati e quindi registrati su supporto digitale. Dopo opportuna elaborazione dei dati mediante filtraggi, attenuazioni e migrazioni dei segnali riflessi, si ottiene un radargramma dell’area investigata con la traccia delle discontinuità identificate. La rappresentazione grafica è costituita da mappe bidimensionali con espressi i valori di riflettività relativa. Riferimento: ASTM D6432-99.

Fig. 3.1 Esempio di strumentazione utilizzata per l’indagine pacometrica

Analisi Pacometrica. Fa parte dei metodi che sfruttano le proprietà magnetiche del ferro ed è infatti tipicamente impiegata per rilevare la presenza, la direzione e la profondità dei ferri d’armatura nel calcestruzzo; si utilizza in campo di diagnostica architettonica per individuare elementi metallici (perni, catene, ecc.) spesso applicati in interventi di restauro presenti sotto la superficie di materiali lapidei, intonaci. Per l’analisi si utilizza il pacometro (Fig. 3.1), strumento che si basa sul principio delle correnti parassite ed è costituito da una sonda emettitrice di campi magnetici continuamente variabili a media frequenza. La sonda viene fatta scorrere sulla superficie analizzata: nel momento in cui viene rilevato un elemento metallico l’unità di elaborazione digitale a cui è collegata ne segnala la presenza e la profondità rispetto alla superficie. Riferimenti: UNI EN ISO 15548-3:2009, UNI ENV 1992-1-1:2015 (EC 2), DIN 1045, BS 1881:204, D.M. 17/01/2018 (NTC 18). Analisi Ultrasonica. L’ispezione mediante ultrasuoni serve ad individuare, tra le altre cose, difetti e discontinuità superficiali o interne di un materiale come, ad esempio, una porzione di muratura o la superficie di rivestimento lapideo. Si basa sul fenomeno della trasmissione nel materiale di onde sonore ad alta frequenza, generando 3 impulsi ultrasonici per trasparenza a mezzo di trasduttori elettroacustici con dispositivo di sincronismo del segnale di partenza (Fig. 3.2). Viene rilevato il tempo di volo ovvero il tempo di propagazione degli impulsi di vibrazione ultrasonica dal trasmettitore al ricevente, mediante accelerometro. L’oscilloscopio dello strumento permette di visualizzare la discontinuità tra il segnale di partenza e quello di riflesso. La velocità di propagazione dell’impulso ultrasonico dipende dal materiale attraversato e dalla presenza di discontinuità. L’efficacia del test migliora in base alla morfologia del materiale da esaminare, ovvero dalla presenza di superfici piane e parallele. Riferimenti: UNI EN ISO 16810:2014, UNI EN 15317:2013, UNI EN 12668:2013, UNI EN 12504-4:2005, ASTM C 597, D.M. 17/01/2018 (NTC 18), Raccomandazione CNR-ICR NorMaL 42/93.

Fig. 3.2 Esecuzione di misura ultrasonica per trasmissione indiretta, sulla superficie di un rivestimento lapideo

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Prova Sclerometrica. Eseguibile su calcestruzzo, giunti di malta ed elementi lapidei naturali e artificiali, serve per valutare l’uniformità e compattezza superficiale, individuare le zone degradate o di scarsa qualità e ottenere una stima della resistenza in sito del materiale in base alla durezza superficiale misurata. Lo strumento solitamente impiegato è lo sclerometro a molla di Schmidt (Fig. 3.3), costituito da una massa battente in acciaio che, azionata da una molla, rimbalza contro un’asta di percussione poggiante direttamente sulla superficie in esame: l’entità del rimbalzo viene quantificata da un indice che, con opportune calibrazioni, fornisce una stima della resistenza a compressione espressa in MPa. Questa prova può essere considerata minimamente invasiva poiché le battute possono causare microdistacchi superficiali, specie se il materiale è molto degradato o poco compatto. Riferimenti: UNI EN

Fig. 3.3 Utilizzo di uno sclerometro per la misurazione della resistenza superficiale di un elemento lapideo

12504-2:2012, ASTM C 805, D.M. 17/01/2018 (NTC 18). Metodo SONREB. Deriva dall’esecuzione delle prove ultrasoniche e sclerometriche elaborate attraverso una lettura unitaria (SONic + REBound). Tale metodo fornisce la stima del valore di resistenza del calcestruzzo in opera eseguita mediante correlazione tramite analisi statistica multiregressiva dei valori di velocità ultrasonica con il valore dell’indice di rimbalzo. Questa tecnica permette di ridurre gli errori di interpretazione derivanti dall’applicazione delle due metodologie, analisi ultrasonica e prova sclerometrica, valutate singolarmente. Riferimenti: UNI EN 12504-2:2012, UNI EN 12504-4:2005, D.M. 17/01/2018 (NTC 18). Prova penetrometrica su malta. Attraverso questo test si misurano le proprietà meccaniche di intonaci, malte e giunti di malta. Consiste nella penetrazione, nel materiale, di un ago di acciaio mediante colpi generati da uno sclerometro, con energia costante; la profondità di penetrazione del chiodo viene misurata e correlata con specifiche curve alla resistenza a compressione del materiale di prova. L’ago è rimovibile e di piccola sezione per cui l’impatto sulla superficie è molto limitato. Riferimenti: UNI EN 1015-11:2007. Drilling Resistance Measurements Systems (DRMS). Con questa tecnica è possibile misurare la resistenza alla foratura di malte e rocce. Durante la prova, eseguita con strumentazione anche portatile per prove in sito, il sistema misura la forza necessaria alla foratura con una punta diamantata e la posizione della punta, monitorando l’andamento di tale forza in funzione dell’avanzamento della punta. Da questo test si ricavano informazioni relative alla resistenza meccanica del materiale indagato. Questo sistema è prodotto e brevettato dall’azienda italiana SINT Technology. Analisi Sonica. Questa tecnica viene impiegata, analogamente all’analisi ultrasonica, per indagare la condizione del materiale nel suo interno, localizzare eventuali disomogeneità, vuoti e difetti presenti nella sezione analizzata. La tecnica sfrutta la propagazione nel materiale delle onde sonore


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generate da un breve impatto elasto-meccanico sulla superficie prodotto dalla percussione con martello strumentato con dispositivo di sincronismo del segnale di partenza (Fig. 3.4). Come per l’analisi ultrasonica, vengono rilevati i tempi di propagazione degli impulsi di vibrazione sonica mediante un accelerometro posizionato sul lato opposto. Anche in questo caso, la velocità di propagazione delle onde sonore dipende dalle sue caratteristiche fisiche e dalla presenza di disomogeneità al suo interno. La sostanziale differenza tra le due tecniche analitiche sonica ed ultrasonica, sta nella frequenza delle onde impiegate che per gli ultrasuoni è maggiore e quindi permette di evidenziare difetti e discontinuità di minore entità ma in spessori più limitati rispetto a quelli indagabili con l’analisi sonica. Riferimenti: UNI EN 1330-9:2017, UNI EN 13554:2011, UNI EN 13477-2:2010, RILEM TC 127 MS D.5, D.M. 17/01/2018 (NTC 18), Raccomandazioni CNR-ICR NorMaL 42/93 e 22/86. Analisi termografica all’infrarosso. Si tratta di una tecnologia impiegata per l’individuazione e la localizzazione di fenomeni di degrado quali distacchi, anomalie costruttive, discontinuità, lesioni, cavità. Permette inoltre di indagare ulteriori discontinuità e anomalie all’interno di una struttura muraria, come preesistenze strutturali, tamponature, canne fumarie e condotti di ventilazione, rilevando la presenza di ponti termici e di fenomeni di umidità da risalita capillare, condensa, infiltrazioni, ecc. Questa tecnica è infine utile anche per studiare la tessitura muraria. È una tecnica di imaging che permette di registrare e rappresentare graficamente le variazioni di temperatura e quindi di emissione di radiazione infrarossa (IR) da parte dei materiali indagati; prevede l’acquisizione dei termogrammi con strumentazione portatile (termocamera) sensibile all’infrarosso; è imprescindibile la misura preliminare dei parametri ambientali (temperatura e umidità relativa). I termogrammi sono elaborati come mappe in falsi colori della distribuzione delle temperature, in genere dal blu al rosso per valori di temperatura crescenti. Per uno screening esteso delle superfici architettoniche, previa mosaicatura dei singoli termogrammi, si può optare per una restituzione dei termogrammi in b/n (negativo/positivo) al fine di disporre di una più chiara visualizzazione d’insieme degli apparati murari indagati. È una tecnica non distruttiva e non invasiva e attualmente esistono numerose tipologie di termocamere più o meno sensibili e quindi più o meno costose: queste caratteristiche hanno reso la termografia un’indagine largamente diffusa ed utilizzata ma, proprio per tale ragione, spesso soggetta a gravi errori di interpretazione dei risultati o applicata in modo errato. Ad esempio, molti fenomeni risentono della stagionalità e delle variazioni delle condizioni climatiche dell’ambiente esterno per cui, per evitare di incorrere in errore, è necessario scaldare le pareti da analizzare prima della misura o in altri casi monitorare e registrare preventivamente il microclima interno. Inoltre, non è possibile con questa tecnica misurare quantitativamente il contenuto di umidità ad esempio in una parete poiché questa è influenzata dal coefficiente di emissività caratteristico di ogni materiale. Le diverse caratteristiche di emissività e calore specifico dei materiali, che emergono nei

Fig. 3.4 Esempio di strumentazione utilizzata per l’indagine sonica

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termogrammi come ‘macchie’ di colore (e temperature) diverse, possono inoltre indurre in ulteriori errori interpretativi. Riferimenti: UNI EN 16714-3:2016, UNI EN 16242:2013, UNI EN 15758:2010, UNI EN 13187:2000, ISO 6781:1983, ASTM C 1060, ASTM C 1153, D.M. 17/01/2018 (NTC 18). Assorbimento d’acqua mediante spugna di contatto. Si tratta di un metodo per la determinazione della capacità di assorbimento di acqua di un materiale lapideo per unità di superficie in funzione del tempo. Tale misura è indicata per la valutazione dell’efficacia dei trattamenti protettivi e della porosità di un materiale lapideo. La prova avviene mediante contatto, a pressione costante, di una spugna bagnata con acqua (spugna di contatto) e la superficie del materiale. La differenza di peso della spugna misurata prima e dopo la prova, fornisce l’entità dell’acqua assorbita dal materiale. Questo metodo è minimamente invasivo perché comporta la bagnatura di piccole porzioni superficiali ma consente di evitare il campionamento previsto per la prova di assorbimento d’acqua per capillarità. Riferimenti: UNI 11432:2011. Analisi videoendoscopica. È una tecnica di ripresa video-fotografica utile per ottenere informazioni macroscopiche circa lo stato conservazione dei materiali e la stratigrafia di murature o solai. Prevede l’impiego di una sonda rigida o flessibile a fibre ottiche con diametri variabili a partire da 5 mm, da eseguirsi su fessurazioni già esistenti o su apposite forature già predisposte eseguite con micro-carotatrice. Le immagini e i video vengono acquisiti mediante fotocamera digitale o apposita unità di elaborazione digitale costituita da videoprocessore e monitor. Riferimenti: D.M. 17/01/2018 (NTC 18). Analisi termogravimetrica (TGA). Questa tecnica misura la variazione della percentuale in peso di un materiale sottoposto a riscaldamento controllato che si verifica in seguito alla decomposizione dei componenti presenti. I termogravigrammi prodotti, forniscono informazioni sui meccanismi e sulle cinetiche di decomposizione delle molecole, e sono utilizzati per il riconoscimento e per la quantificazione dei composti presenti nei materiali da costruzione, come calcare, gesso, calcite, ecc.; inoltre con questa tecnica è possibile determinare il contenuto di umidità. L’interpretazione dei termogravigrammi è comunque molto complessa. La tecnica può essere considerata prevede il prelievo di pochissimi grammi di materiale. Riferimenti: ASTM E1877. Diffrattometria a raggi X (XRD). Si tratta di una tecnica utilizzata per l’identificazione qualitativa – o semi-quantitativa – delle principali fasi cristalline presenti in un materiale (come pigmenti, materiali lapidei, leghe metalliche) e negli eventuali prodotti di alterazione. Si utilizza per lo studio (sali inquinanti, prodotti di corrosione, ecc.). Il principio su cui si fonda tale metodo analitico è la correlazione tra lo spettro della diffrazione X provocata dai piani cristallini della sostanza analizzata e la natura


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chimica-cristallografica della sostanza (Matteini e Moles, 1986). La tecnica poiché prevede il prelievo di pochissimi grammi di materiale. Riferimento: Raccomandazione CNR-ICR NorMaL 34/91. Microscopia elettronica a scansione (SEM). Si tratta di una tecnica che permette, attraverso l’impiego del Microscopio Elettronico a Scansione, l’analisi morfologica dei campioni ad elevato ingrandimento, indagando ad esempio sulle stratigrafie pittoriche e, in accoppiata con la microanalisi in dispersione di energia (EDS), permette anche di eseguire l’analisi microchimica di composti organici e inorganici. La tecnica prevede il campionamento di polveri o piccoli frammenti, che vengono poi adeguatamente preparati per l’analisi. Riferimenti: Raccomandazione CNR-ICR NorMaL 8/81. Spettrometria infrarossa in Trasformata di Fourier (FTIR). Le tecniche spettroscopiche, come la FTIR, permettono di ottenere informazioni sulla struttura di una molecola, sulle geometrie molecolari, sui legami chimici e sulle interazioni molecolari attraverso l’interazione tra la materia e la radiazione elettromagnetica. Di conseguenza sono tecniche utili per la caratterizzazione e l’individuazione di pigmenti, intonaci, leganti, prodotti di alterazione, ecc. I dati vengono ottenuti sottoforma di spettri, ovvero grafici che riportano l’energia emessa o assorbita in funzione della lunghezza d’onda o di un altro parametro. La strumentazione richiesta è diversa per ogni regione dello spettro elettromagnetico; in particolare, con la tecnica FTIR si utilizza uno spettrofotometro che impiega, per l’eccitazione delle molecole, il range di energia compreso tra 1 e 500 μm, corrispondente alla regione dell’infrarosso. La tecnica prevede il campionamento di polveri o piccoli frammenti, che vengono poi adeguatamente preparati per l’analisi. Analisi minero-petrografica del campione su sezione sottile. Si tratta di un’analisi condotta al mi-

Fig. 3.5 Sezione sottile di una malta, osservata al microscopio ottico polarizzatore

croscopio ottico polarizzatore in luce trasmessa ed è utile per la caratterizzazione mineralogica del materiale, tramite cui è possibile ottenere informazioni sulla sua natura chimico-petrografica e sullo stato di conservazione: composizione mineralogica, morfologia e granulometria dell’aggregato, composizione e caratterizzazione della matrice legante, porosità dell’impasto e percentuale dei pori, prodotti di alterazione, ecc. La tecnica prevede il campionamento piccoli frammenti, che vengono poi adeguatamente preparati per l’analisi e l’osservazione al microscopio (Fig. 3.5). Riferimenti: UNI 11176:2006, UNI 10924:2001, UNI 10922:2001, Raccomandazioni CNR-ICR NorMaL 10/82, 12/83 e 14/83. Analisi stratigrafica del campione su sezione lucida. Quest’analisi consiste nell’osservazione al microscopio ottico in luce riflessa di frammenti di campione inglobati in resina; è utile per individuare la sequenza dei differenti strati del paramento murario o della stratigrafia pittorica (Fig. 3.6) ed eventuali prodotti di neoformazione ed alterazione. La tecnica prevede il campionamento piccoli

Fig. 3.6 Stratigrafia pittorica di un campione osservata in sezione lucida

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Fig. 3.7 Test della fenolftaleina eseguito sulla superficie di provini di malte

frammenti, che vengono poi adeguatamente preparati per l’analisi. Riferimenti: UNI 10945:2001, UNI 10922:2001, Raccomandazioni CNR-ICR NorMaL 12/83 e 14/83. Analisi spettrocolorimetrica. La colorimetria permette l’identificazione e la misura dei colori e delle loro variazioni attraverso una metodologia sistematica e oggettiva, a prescindere dalla risposta fisiopatologica dell’osservatore. L’analisi spettrocolorimetrica può essere impiegata, oltre che per la misura del colore, anche per monitorare nel tempo le eventuali variazioni cromatiche (ΔL) correlate, ad esempio, all’applicazione di trattamenti protettivi. Per la misura vengono identificate le coordinate cromatiche nel sistema CIE (1931) o L*a*b* (1976) attraverso l’utilizzo di uno spettrofotometro che può essere anche portatile, per prove direttamente in sito. Lo spettrofotometro ha un campo spettrale che generalmente va da 400 a 700 nm. Per ogni superficie indagata si eseguono 3 misure per l’identificazione del valore medio; tale misura viene ripetuta nel tempo. Riferimenti: Raccomandazione CNR-ICR NorMaL 43/93. Misura della profondità di carbonatazione (metodo della fenolftaleina). Questo test è utilizzato per valutare il degrado del calcestruzzo e l’eventuale corrosione dei ferri d’armatura. Può essere applicato in generale per osservare il grado di carbonatazione dell’idrossido di calcio all’interno di una malta. Si utilizza la fenolftaleina, un indicatore di pH utilizzato nelle titolazioni acido-base, incolore, che ha la proprietà di virare al porpora in ambiente basico, con pH superiore a 8,5 (tipico dell’idrossido di calcio). Le superfici analizzate vengono irrorate con una soluzione all’1% di fenolftaleina in alcool etilico: la variazione di colore si manifesta immediatamente (Fig. 3.7). Questa tecnica viene applicata sulle carote prelevate dalle strutture in calcestruzzo per verificare la profondità di carbonatazione ad esempio delle fondazioni, ma può essere utilizzata anche in superficie per altre tipologie di indagini; tecnicamente è quindi un’analisi non distruttiva, ma la colorazione eventualmente prodotta è indelebile. Riferimento: UNI EN 14630:2007, D.M. 17/01/2008 (NTC 18).


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Tecniche distruttive e invasive Si tratta di metodi che implicano il prelievo di campioni dal materiale oggetto di studio, oppure l’esecuzione di saggi d’ispezione e forature. I prelievi possono variare molto per numerosità e dimensioni dei campioni, dall’asportazione di frammenti fino ai carotaggi. Come già affermato, la campionatura è un’operazione estremamente delicata in quanto determina l’alterazione di materiale che, nel caso dei Beni Monumentali, è spesso di pregio per cui deve essere limitata al minimo; al contempo, i campioni prelevati devono essere sufficientemente rappresentativi della casistica necessaria allo studio del manufatto e agli obiettivi che si intende raggiungere col progetto di restauro. L’operazione di campionatura, secondo normativa (UNI EN 16085:2012), richiede esperienza e professionalità, al pari delle altre fasi progettuali. Misura della resistenza a compressione monoassiale. La resistenza meccanica (o tensione di rottura) di un materiale è una proprietà che indica il massimo sforzo che tale oggetto è in grado di sopportare prima che sopraggiunga la sua rottura. Tale proprietà può essere misurata con diverse tipologie di prove specifiche, tra cui compressione, trazione, flessione, torsione e taglio4. La prova misura le caratteristiche meccaniche di materiali lapidei, laterizi, malte e calcestruzzi e consiste nella determinazione della resistenza locale alla compressione del campione, esercitata lungo una direzione da una pressa idraulica. La prova viene effettuata con una pressa idraulica (Fig. 3.8) su almeno tre provini identici del materiale oggetto di studio – cilindrici, cubici o parallelepipedi – ed è eseguita mediante compressione nella direzione di maggiore dimensione dei provini, registrando in tempo reale l’intero percorso di equilibrio del campione. Il carico applicato varia a seconda del tipo di materiale e della dimensione del campione oggetto di studio. Questa prova, analogamente agli altri test per la misura delle proprietà meccaniche, è standardizzata per materiali moderni (cementi, calcestruzzi, ecc.). Riferimenti: UNI EN 12390-3:2019, UNI EN 1015-11:2007, UNI 1926:2007, D.M. 17/01/2018 (NTC 18). Prova di aderenza al supporto (pull-off). Questo test consente di identificare la resistenza a trazione di un sistema edilizio e la forza di adesione tra materiali diversi. Viene realizzata direttamente sulla superficie in esame ed è eseguita mediante estrattore idraulico del diametro di 50 mm, dotato di manometro digitale, il quale esercita la forza contrastato da distanziale a 3 appoggi. La prova esprime il carico minimo applicato fino al cedimento. Riferimenti: UNI EN ISO 4624:2016, UNI EN 1015-12:2016, UNI EN 1542:2000.

4 Delle prove di resistenza meccanica, per brevità, si è scelto di descrivere a titolo esemplificativo esclusivamente la misura della resistenza a compressione monoassiale.

Fig. 3.8 Provino parallelepipedo posto in pressa idraulica per la prova di resistenza a compressione

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Fig. 3.9 Provini di malte immersi in acqua per la misura della porosità accessibile all’acqua Fig. 3.10 Provini di malte posti in tazze in atmosfera a temperatura e umidità controllate per la prova di permeabilità al vapore acqueo Fig. 11 Provini di malte durante la misura di assorbimento d’acqua per capillarità

Misura delle proprietà fisiche – Determinazione della porosità accessibile all’acqua. La porosità accessibile all’acqua di un materiale (o efficace) è costituita dai pori in cui può entrare acqua allo stato liquido, a pressione atmosferica o sottovuoto. Viene misurata utilizzando col metodo della bilancia idrostatica, che si basa sulla legge di Archimede, secondo cui un oggetto immerso in acqua riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del volume di acqua spostata. Tale prova viene eseguita su un minimo di 3 provini dello stesso materiale, opportunamente confezionati (Fig. 3.9). Riferimenti: ISO 6783:1982. Misura delle proprietà fisiche – Determinazione della permeabilità al vapore d’acqua. L’aria può contenere una certa quantità di vapore acqueo che dipende dalle condizioni di temperatura e pressione. A pressione costante, aumentando la temperatura dell’aria, aumenta la quantità di vapore che in essa può essere contenuta. Per ogni temperatura esiste, dunque, un limite massimo e l’aria che si trova a contenere umidità al limite massimo si dice satura. Una volta che questo limite viene raggiunto, ogni incremento di umidità fornito all’aria non può essere recepito e si ha una precipitazione del vapore sotto forma di condensa. Il metodo per la determinazione della permeabilità al vapore d’acqua (WVP) di materiali che costituiscono i beni culturali può essere applicato a materiali porosi inorganici sia non trattati che sottoposti a qualsiasi trattamento o invecchiamento. Tramite questa prova si determina la quantità di vapore acqueo che fluisce, nell’unità di tempo, per unità di superficie e in condizioni stazionarie, attraverso il campione sotto l’effetto di una pressione parziale di vapore acqueo tra le due superfici. Tale prova viene eseguita su un minimo di 3 provini dello stesso materiale, opportunamente confezionati (Fig. 3.10). Come per altre misure delle proprietà fisiche, esiste un quadro normativo specifico per i materiali dei Beni Culturali. Riferimenti: UNI EN 15803:2010. Misura delle proprietà fisiche – Determinazione dell’assorbimento d’acqua per capillarità. I pori che caratterizzano la struttura di una malta possono essere assimilati ad una fitta rete di capillari e sono i responsabili principali del fenomeno della risalita capillare di acqua. Questo metodo può essere applicato per la determinazione della bagnabilità superficiale di un materiale e per verificare, ad esempio, l’efficacia di un trattamento idrorepellente o protettivo. Per misurare la quantità di acqua assorbita secondo tale meccanismo, si utilizza un metodo che prevede la misura della variazione di peso di almeno 3 provini dello stesso campione, posti a contatto con spugne immerse in acqua demineralizzata (Fig. 3.11). Riferimenti: UNI EN 15801:2010.


diagnostica architettonica e monitoraggio • irene centauro

Figg. 3.12-14 Esempio di report interattivi realizzati con strumenti di business intelligence applicati alla gestione dei dati prodotti dalle analisi diagnostiche sui Beni Culturali. Ogni box agisce come filtro per selezionare le informazioni di interesse, dalla geolocalizzazione e panoramica generale dei rilievi e campionamenti eseguiti, alla selezione della tipologia di analisi, alla visualizzazione di risultati, grafici ed allegati

Sviluppi e prospettive future

Gli studi scientifici citati e la panoramica delle tecniche proposte mostrano quanto il mondo della diagnostica per i Beni Culturali sia estremamente vasto e in continuo sviluppo; ma soprattutto vogliono evidenziare l’importanza e la necessità dell’integrazione tra tecniche e professionalità, tra le azioni previste durante le fasi preliminari di rilievo e conoscenza del manufatto e gli interventi stabiliti durante la fase progettuale. Un aspetto fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di tutela è infatti la possibilità di confronto e monitoraggio della storia del monumento e del suo contesto e delle vicende architettoniche e

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conservative che l’hanno interessato, al fine di risolvere i principali problemi che affliggono la progettazione dell’intervento di restauro: primo, la scarsità o scarsa fruibilità di informazioni e documentazione sui precedenti interventi realizzati e sui materiali impiegati; secondo, la difficoltà di interpolazione dei dati prodotti nelle diverse fasi del processo di conoscenza del manufatto. Una risposta a tali problematiche può essere fornita dalle moderne tecnologie di gestione e condivisione dei dati (Cfr., ultra, il contributo di D. Fastelli), attualmente oggetto di sperimentazione presso il Laboratorio LAM ‘Materiali Lapidei e Geologia Applicata, dell’ambiente e del Paesaggio’ del Dipartimento di Scienze della Terra (Resp. Scientifico prof. C. A. Garzonio), che, correttamente applicate, aggiungono un tassello fondamentale all’intero progetto di restauro non solo a scala architettonica ma fino al livello urbano e territoriale (Figg. 3.12-3.14). Tali strumenti non sono semplici supporti per l’archiviazione dei dati, ma consentono sia di ottimizzare tempi e modalità di raccolta dati sul campo e in laboratorio attraverso applicativi mobile, che di supportare la ricerca consentendo di leggere, interrogare, filtrare e aggregare le informazioni raccolte. Infine, come ulteriore sviluppo del progetto diagnostico, queste tecnologie permettono di pianificare monitoraggi a lungo termine sia in sito, ove possibile, che su provini di laboratorio, applicando diverse tecniche analitiche ripetute nel tempo; questo permette di arricchire e completare un database di informazioni sui materiali indagati e di perfezionare i protocolli analitici che saranno poi applicati sui casi reali. Normative di riferimento ASTM C 597, Standard Test Method for Pulse Velocity Through Concrete. ASTM C 805 / C805M-18, Standard Test Method for Rebound Number of Hardened Concrete. ASTM C 1060, Standard Practice for Thermographic Inspection of Insulation Installations in Envelope Cavities of Frame Buildings. ASTM C 1153, Standard Practice for Location of Wet Insulation in Roofing Systems Using Infrared Imaging. ASTM D 6432-99, Standard Guide for Using the Surface Ground Penetrating Radar Method for Subsurface Investigation. ASTM E 1877, Standard Practice for Calculating Thermal Endurance of Materials from Thermogravimetric Decomposition Data. BS 1881:204, Testing concrete. Recommendations on the use of electromagnetic covermeters. DIN 1045, Guideline Concrete, reinforced and prestressed concrete structures. D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 in materia di “Codice dei contratti pubblici”. D.M. 17 gennaio 2018 (NTC 18), Circolare Min. n° 617/2009, Linee Guida C.S.L.P. per la valutazione delle caratteristiche meccaniche del calcestruzzo indurito mediante prove non distruttive (febbraio 2008). D.M. 20 maggio 2019, n. 244, Procedura per la formazione degli elenchi nazionali di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi fisici, esperti di diagnostica e di scienza e tecnologia applicate ai beni culturali e storici dell’arte, in possesso dei requisiti individuati ai sensi della legge 22 luglio 2014, n. 110. ISO 6783:1982, Coarse aggregates for concrete -- Determination of particle density and water absorption -- Hydrostatic balance method.


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ISO 6781:1983, Thermal insulation — Qualitative detection of thermal irregularities in building envelopes — Infrared method. Raccomandazione CNR-ICR NorMal 8/81, Esame delle caratteristiche morfologiche al microscopio elettronico a scansione (SEM). Raccomandazione CNR-ICR NorMaL 10/82, Descrizione petrografica dei materiali lapidei naturali. Raccomandazione CNR-ICR NorMaL 12/83, Aggregati artificiali di clasti a matrice legante non argillosa: schema di descrizione. Raccomandazione CNR-ICR NorMaL 14/83, Sezioni sottili e lucide di materiali lapidei: tecnica di allestimento. Raccomandazione CNR-ICR NorMaL 34/91, Analisi di materiali argillosi mediante XRD. Raccomandazione CNR-ICR NorMaL 42/93, Criteri generali per l’applicazione delle PnD. Raccomandazione CNR-ICR NorMaL 43/93, Misure colorimetriche di superfici opache. RILEM TC 127-MS, Non Destructive Tests for Masonry Materials and Structures. UNI 10922:2001, Beni culturali - Materiali lapidei naturali ed artificiali - Allestimento di sezioni sottili e sezioni lucide di materiali lapidei colonizzati da biodeteriogeni. UNI 10924:2001, Beni culturali - Malte per elementi costruttivi e decorativi - Classificazione e terminologia. UNI 10945:2001, Beni culturali - Caratterizzazione degli strati pittorici - Generalità sulle tecniche analitiche impiegate. UNI 11176:2006, Beni culturali - Descrizione petrografica di una malta. UNI 1926:2007, Metodi di prova per pietre naturali - Determinazione della resistenza a compressione uniassiale. UNI 11432:2011, Beni culturali - Materiali lapidei naturali ed artificiali - Misura della capacità di assorbimento di acqua mediante spugna di contatto. UNI EN 13187:2000, Prestazione termica degli edifici - Rivelazione qualitativa delle irregolarità termiche negli involucri edilizi - Metodo all’infrarosso. UNI EN 1542:2000, Prodotti e sistemi per la protezione e la riparazione delle strutture di calcestruzzo - Metodi di prova - Misurazione dell’aderenza per trazione diretta. UNI EN 12504-4:2005, Prove sul calcestruzzo nelle strutture - Parte 4: Determinazione della velocità di propagazione degli impulsi ultrasonici. UNI EN 1015-11:2007, Metodi di prova per malte per opere murarie - Parte 11: Determinazione della resistenza a flessione e a compressione della malta indurita. UNI EN 14630:2007, Prodotti e sistemi per la protezione e la riparazione delle strutture di calcestruzzo - Metodi di prova - Determinazione della profondità di carbonatazione di un calcestruzzo indurito con il metodo della fenolftaleina. UNI EN 13477-2:2010, Prove non distruttive - Emissione acustica - Caratterizzazione dell’apparecchiatura - Parte 2: Verifica delle caratteristiche funzionali. UNI EN 15758:2010, Conservazione dei Beni Culturali - Procedure e strumenti per misurare la temperatura dell’aria e quella della superficie degli oggetti. UNI EN 15801:2010, Conservazione dei beni culturali - Metodi di prova - Determinazione dell’assorbimento dell’acqua per capillarità. UNI EN 15803:2010, Conservazione dei beni culturali - Metodi di prova - Determinazione della permeabilità al vapore d’acqua. UNI EN 13554:2011, Prove non distruttive - Prova di emissione acustica - Principi generali.

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UNI EN 12504-2:2012, Prove sul calcestruzzo nelle strutture - Parte 2: Prove non distruttive - Determinazione dell’indice sclerometrico. UNI EN 16085:2012, Conservazione dei beni culturali - Metodologia per il campionamento dei materiali costituenti i beni culturali - Regole generali. UNI EN 12668:2013, Prove non distruttive - Caratterizzazione e verifica delle apparecchiature per esame ad ultrasuoni - Parte 3: Apparecchiatura completa. UNI EN 15317:2013, Prove non distruttive - Esame a ultrasuoni - Caratterizzazione e verifica dell’apparecchiatura per la misurazione dello spessore. UNI EN 16242:2013, Conservazione dei beni culturali - Procedure e strumenti per misurare l’umidità dell’aria e gli scambi di vapore tra l’aria e i beni culturali. UNI EN 1015-12:2016, Metodi di prova per malte per opere murarie - Parte 12: Determinazione dell’aderenza al supporto di malte da intonaco esterno ed interno. UNI EN 16714-3:2016, Prove non distruttive - Prove termografiche - Parte 3: Termini e definizioni. UNI EN 1330-9:2017, Prove non distruttive - Terminologia - Parte 9: Termini utilizzati nel controllo con emissione acustica. UNI EN 12390-3:2019, Prove sul calcestruzzo indurito - Parte 3: Resistenza alla compressione dei provini. UNI ENV 1992-1-1:2015 (EC2), Eurocodice 2 - Progettazione delle strutture di calcestruzzo - Parte 1-1: Regole generali e regole per gli edifici. UNI EN ISO 15548-3:2009, Prove non distruttive - Apparecchiatura per controllo mediante correnti indotte. UNI EN ISO 16810:2014, Prove non distruttive - Esame ad ultrasuoni - Principi generali. UNI EN ISO 4624:2016, Pitture e vernici - Test di trazione (pull-off test) per ade




Gestione e analisi dati per il patrimonio architettonico



gestione e analisi dati per il patrimonio architettonico David Fastelli

Abstract Nello scenario urbano è difficile, per chi si occupa della gestione del patrimonio culturale architettonico, riuscire ad avere il controllo delle condizioni del costruito ed elaborare risposte efficaci in tempi rapidi. Diventa fondamentale quindi – per le amministrazioni, i progettisti, i ricercatori e in generale per tutti i soggetti coinvolti nel progetto di restauro – disporre di un quadro di sintesi aggiornato e aggiornabile, integrabile con gli strumenti urbanistici di pianificazione. Le tecnologie di Business Intelligence (BI), derivate dal mondo aziendale, consentono di organizzare e rielaborare i dati e le informazioni che si acquisiscono nel corso degli interventi e inoltre forniscono l’opportunità di poter svolgere analisi diversificate, da quelle tipologiche a quelle semantiche, anche a partire da datasets non relazionati già esistenti, facendo emergere correlazioni storico-urbanistiche o elaborando modelli di tipo previsionale prima sconosciuti, in grado di fornire agli operatori ed agli amministratori informazioni utili su cui basare le proprie strategie d’intervento e/o pianificare azioni di manutenzione/conservazione sui manufatti. Per tale motivo questo insieme di tecnologie risultano vantaggiose in applicazione ad un ambito, quello del restauro architettonico, che richiede comprensione dei dati (da quelli storici a quelli sugli interventi), documentazione della ‘filiera’ che li ha prodotti, semplificazione nell’analisi delle informazioni orientata alla corretta pianificazione degli interventi, monitoraggio. In the urban scenario it is hard for those who deal with the management of the Architectural Cultural Heritage to be able to control the conditions of the building and to develop effective answers quickly. It is therefore essential for all parties involved in the restoration project to have an updated and updatable summary framework, which can be integrated with the urban planning tools. The Business Intelligence (BI) technologies, derived from the corporate world, allows to organize and rework the information acquired during the interventions on buildings and also allows to carry out diversified analyses even starting from unrelated datasets. It is thus possible to bring out historical-urban correlations or to elaborate previously unknown forecasting models, capable of providing operators and administrators with useful information for developing the intervention strategies and planning the maintenance and conservation actions on buildings. For this reason, this set of technologies are advantageous in the field of architectural restoration, which requires an understanding of the data (from the historical to the intervention ones), reconstruing of the ‘supply chain’ that produced them, simplification in the analysis oriented to correct intervention planning, monitoring.

Problematiche e nuove prospettive Non è scontato affermare che l’attuazione di interventi di tutela debba fondarsi sulla diagnosi dello stato di conservazione del Bene e del suo contesto, poiché senza un approccio analitico alla manutenzione, tutti i buoni propositi rischiano di risolversi in interventi ‘spot’, poco efficaci sul lungo termine oppure concentrati su un’unica grande opera, dimenticandosi dell’intorno. A maggior ragione se si ha a che fare con l’intero patrimonio architettonico di un centro storico.

pagina a fronte Rappresentazione grafica di frattali


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Le premesse culturali della manutenzione programmata possono essere rintracciate già a partire dalla Carta del Rischio del Patrimonio Culturale1, oggi un SIT, elaborata dagli anni ’90 con le finalità di attuare una capillare analisi dello stato di conservazione e delle vulnerabilità del patrimonio; il progetto non prevede però veri e propri aspetti progettuali, riferendosi soprattutto a situazioni riparatorie da mettere in atto a ‘danno avvenuto’ o durante la fase di emergenza. Nello scenario urbano è difficile, per chi si occupa della gestione, riuscire ad avere il controllo delle condizioni del costruito ed elaborare risposte efficaci in tempi rapidi. Diventa fondamentale quindi – per le amministrazioni, i progettisti, i ricercatori e in generale per tutti i soggetti coinvolti nel progetto di restauro – disporre di un quadro di sintesi aggiornato e aggiornabile, integrabile con gli strumenti urbanistici di pianificazione. Per buona parte delle azioni di manutenzione esiste un relativamente recente panorama normativo; oltre ad esempio alla UNI 11257:2007 (cit.) è stata prima ancora prevista la UNI 10951:2001 “Sistemi informativi per la gestione della manutenzione dei patrimoni immobiliari”; la norma fornisce linee guida metodologico-operative per la progettazione, la realizzazione, l’utilizzo e l’aggiornamento di sistemi informativi per la gestione della manutenzione dei patrimoni immobiliari e per la relativa informatizzazione, costituiti da banche dati e procedure finalizzate alla raccolta, l’analisi delle informazioni necessarie alla gestione delle attività di manutenzione. I requisiti che tale sistema deve soddisfare sono quelli di: • gestibilità • disponibilità dei dati • aggiornabilità (e ampliamento del sistema) • integrabilità • coerenza delle informazioni • sicurezza. Queste e altre disposizioni trovano però ancora scarsa applicazione nel campo dei Beni Architettonici e del restauro, o soffrono in generale di una scarsa applicabilità operativa a causa degli innumerevoli e complessi sistemi di gestione adottati dalle pubbliche amministrazioni e dagli enti preposti alla tutela del patrimonio architettonico monumentale. Tali sistemi sono infatti spesso caratterizzati da una scarsa adattabilità a contesti delicati e peculiari come quello del restauro e dei Beni Culturali; inoltre, la formazione in ambito di trasformazione digitale di tecnici e operatori – i cosiddetti firstline workers ovvero coloro che operano in prima linea per la gestione, in questo caso, del patrimonio architettonico – non è sempre adeguata alla rapidità dei cambiamenti. Negli ultimi 15 anni sono state prodotte numerose ricerche volte alla definizione di proposte di metodologie operative finalizzate alla ‘digitalizzazione’ e alla manutenzione programmata del patrimonio 1 Istituto Centrale per il Restauro (ICR)/Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Carta del rischio del patrimonio culturale, Roma, 1990.


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(Fiorani, 2019; Acierno, 2018; Benatti et al., 2014; Gasparoli, 2012; Germanà 2010; Pelliccio et al., 2008) anche in ambito archeologico (Baratin et al., 2016; Cecchi e Gasparoli, 2011); non ultimo il progetto di archeologia pubblica Archeo SITAR Project2 promosso dalla Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma e il MiBACT (Serlorenzi e Jovine, 2015). L’approccio alla ‘informatizzazione’ dei dati in tale ambito richiede un percorso conoscitivo strutturato incrementale che non dovrebbe esaurirsi nell’arco di un progetto di ricerca, o di un incarico professionale di progettazione, piuttosto dovrebbe perdurare nel tempo, consentendo di organizzare e rielaborare i dati e le informazioni che si acquisiscono nel corso degli interventi. Occorre dare uno sguardo a sistemi che, mutuati dalle tecniche di gestione dati delle aziende, supportino gli uffici della Pubblica Amministrazione nel raggiungimento di obiettivi sempre nuovi (previsti dai bandi europei) e allo stesso tempo forniscano idonei strumenti di controllo e monitoraggio, compatibili con i tempi sempre più stringenti e compressi del decision making. Da questo punto di vista anche in ambito formativo occorre accrescere le esperienze e sviluppare occasioni per applicare metodologie e tecnologie adeguate e aggiornate, semmai rispondenti alle dotazioni strumentali individuali (hardware e software) ormai da anni in uso da parte degli studenti dei corsi universitari. Questa tecnologia – o per meglio dire ‘insieme di tecnologie’ – già citata nei capitoli introduttivi e chiamata Business Intelligence (BI), fornisce inoltre l’opportunità di poter svolgere analisi diversificate, da quelle tipologiche a quelle semantiche, anche a partire da datasets non relazionati già esistenti (informazioni storiche, dati dimensionali, dwg, progetti bim, foto, video, lidar, analisi dei materiali, archivio storico degli interventi, ecc.), consentendo di far emergere correlazioni storico-urbanistiche o elaborare modelli di tipo previsionale prima sconosciuti. La BI può essere rappresentata da un insieme di flussi (diagrammi a blocchi) o in alcuni casi da un insieme di modelli matematici; non vi è ancora un linguaggio univoco per descrivere l’insieme di processi e strumenti utilizzati per questa tecnologia ma si può dire, cercando di sintetizzare al massimo, che consiste in una serie di metodologie e tecniche di alimentazione, stoccaggio, pulitura, trasformazione, normalizzazione e analisi dei dati necessari funzionali a fornire informazioni utilizzabili nei processi decisionali. Nel mondo economico si parla di Key Performance Indicator (KPI), di forecasting (modelli previsionali), di tendenze, come indicatori di sintesi in grado di dare informazioni immediate sull’andamento del proprio Business e permettere di prendere decisioni per far fronte ai problemi o accrescere il proprio volume di affari. Declinando questi concetti nell’ambito dei beni culturali si può affermare che esistano degli indicatori di sintesi, delle serie storiche da cui si possono derivare dei modelli previsionali in grado di fornire agli operatori ed agli amministratori informazioni utili su cui basare le proprie strategie d’intervento e/o pianificare azioni di manutenzione/conservazione sui manufatti.

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Il progetto è consultabile in rete all’indirizzo http://www.archeositarproject.it/.

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Alla base di qualunque Sistema Informativo, stanno la scomposizione e la codifica degli elementi tecnologici identificabili nel manufatto (Germanà, cit., p. 64); i dati raccolti nell’ambito dei progetti di restauro, dalla scala architettonica fino a quella urbana, sono tipicamente caratterizzati da origini e contenuti eterogenei: è dunque importante riuscire ad estrarre da questa ingente mole di dati informazioni utili e operativamente spendibili per le finalità di analisi e monitoraggio e per efficientare i processi decisionali; tali informazioni devono inoltre essere facilmente gestibili dalle risorse umane coinvolte a diversi livelli gerarchici. Infatti, non è sufficiente che i dati siano semplicemente raccolti e conservati in modo strutturato perché ciò li renda utilizzabili nei processi decisionali: occorre una metodologia analitica basata su strumenti che trasformino i dati in informazioni e le informazioni in conoscenze in grado di dare informazioni immediate sull’andamento dei fenomeni monitorati. La BI può fornire dunque, anche nel settore dei Beni Culturali, una soluzione efficace a queste problematiche. Un altro aspetto cruciale che interessa la gestione dei dati afferenti al patrimonio architettonico è garantire l’interoperabilità tra dati prodotti e i tradizionali SIT (“Sistemi Informativi Territoriali”) in uso presso gli enti pubblici. La tecnologia su cui si basa la BI completa ed integra quanto fino ad ora realizzato su tecnologie Geografiche anche dette GIS – Geographic Information Systems realizzando analisi molto complesse ed estremamente efficaci nella rappresentazione. Il valore aggiunto della BI infine, sta proprio nella possibilità che tale tecnologia offre di approfondire le analisi, individuare le cause di determinati fenomeni, ipotizzare scenari previsionali, monitorare e controllare in continuo il proprio patrimonio di informazioni (Rezzani, cit.). Per tale motivo questo insieme di tecnologie risultano vantaggiose in applicazione ad un ambito, quello del restauro architettonico, che richiede comprensione dei dati (da quelli storici a quelli sugli interventi), documentazione della ‘filiera’ che li ha prodotti, semplificazione nell’analisi delle informazioni orientata alla corretta pianificazione degli interventi, monitoraggio. Business Intelligence per i Beni Culturali: flusso di lavoro ed elaborazione dati Il concetto di Business Intelligence applicato al mondo dei Beni Culturali può sembrare un ossimoro eppure il periodo storico che stiamo attraversando è legato a doppio filo a processi di trasformazione digitale – si parla di ‘economia 4.0’, ‘digital trasformation’, ecc. – che interessano i settori più disparati, dall’ingegneria biomedica all’agricoltura; quindi perché non dovrebbe interessare anche il settore del nostro patrimonio architettonico? Nel provare a dare una risposta a tale quesito, occorre partire dalle problematiche. Un sistema di gestione dati nel mondo aziendale ha spesso un’architettura complessa, personalizzata (o customizzata) per specifiche esigenze aziendali ed in grado di regolare non solo i dati, ma l’intera vita lavorativa di tutti i dipendenti e i collaboratori dell’azienda stessa. In ambito aziendale tale infrastruttura è possibile poiché basa i propri principi di funzionamento su standard di riferimento – software gestionali per l’amministrazione, la gestione del personale, la fatturazione, ecc. – già presenti sul mercato, per poi rigenerare


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e, appunto, customizzare alcune parti dell’intera architettura per adattarla alle dinamiche e alle esigenze di ogni singola azienda; quest’approccio è tuttavia impossibile da mettere in atto nell’ambito dei Beni Culturali proprio perché non esistono standard di riferimento paragonabili a quelli sopra descritti e risulterebbe quindi antieconomico costruirne uno – meglio dire molti – per specifiche esigenze in un mercato così ristretto e afferente principalmente al settore pubblico, spesso purtroppo afflitto da problemi di efficienza, economicità, tempi di risposta. Questo scoglio apparentemente insuperabile può viceversa rappresentare una buona base di appoggio per chi vuole cimentarsi nell’impresa di applicare la BI al settore culturale. Essendo un ambito pressoché privo di qualunque sistema di gestione dati3 è possibile creare da zero l’intera architettura basandola sulle più moderne tecnologie e flussi di lavoro (workflows), liberi dai vincoli o da schemi preesistenti, tema questo che rappresenta il più grosso problema di trasformazione nell’ambito aziendale. Partire da una pagina bianca ci consente di introdurre strumenti ed implementare tecniche di analisi create ‘dal basso’ con meccanismi di bottom-up, che consentono elevate adattabilità e scalabilità. Come in ogni sistema di Business Intelligence è necessario dividere l’architettura che deve ospitare il flusso di lavoro in tre macro-ambiti: 1. Dati Iniziali/Fonti alimentanti. 2. Data warehouse4. 3. Analisi. Il primo problema che deve essere superato riguarda le fonti alimentanti (quindi, da dove provengono i dati e chi li popola) e la base dati esistente. I più diffusi sono datasets geografici contenenti gli identificativi catastali degli immobili (es: ACI – “Anagrafe Comunale degli Immobili”) che vengono alimentati e pubblicati annualmente dai Comuni secondo le disposizioni della L. 132/2016. Questi vengono generalmente pubblicati sui siti istituzionali sottoforma di banche dati geografiche, shapefile o xml. Questa prima fonte dati consente di avere non solo i codici ID univoci e identificativi di tutti gli edifici ma anche i metadati di geolocalizzazione estremamente preziosi quando si parla di interoperabilità o transcodifica tra database, oltre ad essere assai efficaci in fase di analisi per la rappresentazione delle informazioni nello spazio geografico. Oltre a questi dati ‘istituzionali’ che rappresentano nella maggioranza dei casi gli unici in grado di rispondere ai requisiti tecnici minimi di uniformazione e formattazione (L. 132/2016), il resto delle informazioni disponibili nell’ambito del patrimonio architettonico è generalmente rappresentato da fogli di calcolo o progetti GIS più o meno aggiornati che però giacciono inutilizzati in qualche cartella di rete o unità di archiviazione in locale (hard-disk esterni, unità USB, CD, ecc.), privi di qualsiasi 3 Esistono alcuni esempi di gestionali per i dati catastali o il registro degli interventi, ma si tratta di soluzioni applicate sporadicamente e realizzate comunque da terze parti. Oppure di strumenti progettati a livello centralizzato (es. in uso a Ministeri e Soprintendenze) che mal di adattano a problematiche specifiche. 4 Un data warehouse, ‘magazzino’ di dati, è una collezione di dati strutturati ed elaborati tramite operazioni di ETL, preparati per le successive analisi e interrogazioni (queries).

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standard di sicurezza. Per valorizzare e rendere fruibili tutti questi dati, che spesso sono il risultato di anni di studi, ricerche e investimenti, è necessario eseguire un lavoro certosino di ETL (Extract, Trasform and Load) ovvero una serie di operazioni di pulitura, normalizzazione e trasferimento delle informazioni all’interno del data warehouse creato per accogliere e centralizzare l’intero sistema di dati. Il secondo aspetto che deve esser curato è proprio il data warehouse: generalmente per i tradizionali sistemi è comodo ricorrere a database SQL (Structured Query Language) di tipo relazionale5. Il sistema relazionale, accanto a indubbi vantaggi, è caratterizzato da una certa rigidità che nel caso delle informazioni sui Beni Monumentali costituisce la peggiore condizione di lavoro, proprio a causa dell’estrema varietà delle informazioni, delle lacune e della mancanza di normalizzazione dei dati. Diventa dunque necessario strutturare il data warehouse in modo che le tabelle non abbiano necessariamente vincoli relazionali ma siano piuttosto ridondanti di ID6 a seconda del tipo di informazioni che deve raccogliere la tabella (anagrafica degli immobili, interventi eseguiti, anagrafica della facciata, elementi studiati o analisi effettuate su un singolo elemento di quell’immobile, ecc.) e del ruolo che quella tabella deve svolgere all’interno del processo di BI (tabelle dei fatti, tabelle delle dimensioni, tabelle di supporto ecc.). Evitare l’uso di relazioni fisiche nel database però, da una parte consente una forte implementazione di nuovi campi, nuove tabelle e quindi nuove informazioni all’interno del data warehouse, dall’altra determina la creazione di applicativi con logiche più complesse in grado di svolgere tutti quei processi di normalizzazione ed uniformazione delle informazioni che altrimenti porterebbero inevitabilmente alla generazione degli errori. Infine, l’ultimo e non meno importante ambito all’interno del processo di BI è l’analisi dati. Quest’ultimo aspetto rappresenta l’elemento ‘visibile’ di tutta l’architettura appena descritta e per tale motivo quello forse più delicato. L’analisi e la conseguente reportistica che viene generata devono tenere conto di due aspetti fondamentali che scaturiscono dall’esplorazione e dall’esposizione dei dati: uno è la complessità dell’analisi in relazione alla semplicità di lettura dei dati; l’altro è l’efficacia espositiva dell’analisi in funzione del target di fruizione del report. Per quanto riguarda il primo punto è opportuno definire cosa si intende per ‘complessità’ nel mondo della BI, il cui ‘ciclo vitale’ è rappresentato efficacemente in Fig. 4.1. Fino a qualche tempo fa l’estrazione bidimensionale, per la rappresentazione su assi cartesiani, di più record appartenenti a due datasets differenti era un’operazione assai complessa poiché consisteva nello scrivere queries (in stringa di codice) molto lunghe e ricorsive in cui l’errore era frequente. Al termine del processo, inoltre, il risultato ottenuto e visibile era piuttosto scarso perché il grafico generato si limitava alla rappresentazione del 5 RDBMS: Relational Database Managment System, le tabelle all’interno del database sono legate tra loro da legami fisici che garantiscono la consistenza dei dati. 6 Più precisamente le tabelle della prima forma normale che rappresentano i fatti (analisi, interventi, ecc.) presentano all’interno numerosi ID che rimandano alle altrettanto numerose tabelle costruite nella seconda e terza forma normale, all’interno dello stesso data warehouse.


gestione e analisi dati per il patrimonio architettonico • david fastelli

Edificio

Facciata

Elemento

Fig. 4.1 Rappresentazione dell’analisi tramite OLAP applicata alla gestione dei dati del patrimonio architettonico

quadrante positivo dei due assi. Un’operazione del genere inoltre richiedeva giorni di lavoro con risultati scarsi e soggetti ad errori. Un altro aspetto di non facile esecuzione erano le aggregazioni su livelli di strutture gerarchiche genitore-figlio (parent-child), nel nostro caso per esempio edificio-facciata: definire un’analisi sul livello più basso (figlio) rappresentava un’operazione difficile ma non impossibile; se avessimo voluto definire invece delle analisi sul livello più alto (genitore) questo avrebbe richiesto la scrittura di queries ricorsive complesse, con risultati piuttosto sconfortanti anche in termini di prestazioni (tempi di risposta dell’interrogazione). Con l’introduzione, in anni recenti, di strumenti OLAP (On Line Analitical Processing) tali problematiche di manipolazione dei dati sono state superate: l’aggregazione dei dati su più dimensioni e la facilità di navigazione delle gerarchie naturali (ad esempio quelle temporali: giorno, mese, anno) e parent-child (edificio-facciata-elemento architettonico) sono solo alcuni dei tratti caratterizzanti gli strumenti OLAP utilizzati in questa ricerca (Fig. 4.1) Applicazione della BI per il patrimonio architettonico: il caso-studio dell’Oltrarno

Per comprendere meglio quanto fin qui descritto, si illustra di seguito un esempio di applicazione della tecnologia BI per la raccolta, gestione, analisi e rappresentazione dei dati afferenti al patrimonio architettonico del quartiere dell’Oltrarno, Centro Storico di Firenze. Occorre premettere che la rilevanza strategica ed operativa di una gestione dati informatizzata è da tempo riconosciuta nell’ambito della definizione e elaborazione del progetto conservativo e di valorizzazione del patrimonio, sia a livello del singolo complesso edilizio o manufatto architettonico sia a livello di aggregato urbano, come è stato osservato e sperimentato nelle ricerche connesse con il Progetto HECO, op. cit.7 con la messa a punto del “Sistema HURBANA”8 che ha anche costituito il sito Centauro G.A. 2017, Progetto HECO. La conoscenza, lo studio e il monitoraggio dei beni architettonici per la conservazione integrata del patrimonio Centro Storico di Firenze – Patrimonio Mondiale dell’Umanità, in Progetto HECO … cit., p. 30. 8 Il sistema di gestione dei dati territoriali e relativi al patrimonio architettonico costruito con gli strumenti della Power Platform di Microsoft prende il nome di HURBANA (Heritage Urban Analysis). 7

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esperienze di conservazione e restauro • giuseppe alberto centauro

8. Verifica e misurazione del successo

Fig. 4.2 Il ciclo del progetto di BI applicato per lo studio dell’edificato (tratto da: Rezzani A., 2012, Business Intelligence. Processi, metodi, utilizzo in azienda, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN), p. 65 - modificato)

1. Raccolta dati Testi, immagini, dwg, catastali, ecc.

7. Reporting e data mining Disegno del layout grafico, pubblicazione, programmazione dei report, raccolta feedback

6. OLAP Aggregazione e analisi dei dati

2. Analisi delle fonti Server, database, fogli di calcolo, ecc.

3. Regole per la qualità dei dati (data quality) Verifica campi vuoti, maiuscole/minuscole, duplicati

5. ETL Estrazione dei dati dalle fonti, trasformazione secondo data quality, generazione chiavi primarie e dei vincoli

4. Progettazione del data warehouse Individuazione delle gerarchie, modello concettuale e logico

del team dei ricercatori messo a disposizione degli studenti per la gestione dei dati derivante dalle attività catalografiche in sito. I successivi studi sono stati condotti proprio a partire dell’analisi delle fonti e dalla raccolta dei dati prodotti nell’ambito del Progetto HECO sopra citato in seguito implementati nei corsi di Laboratorio di Restauro, ecc. Sono stati analizzati per l’Oltrarno in tutto 2170 edifici, di cui 253 immobili vincolati, suddivisi in 1863 facciate, andando a popolare un dataset di 8208 edifici, di cui 902 vincolati, esteso a tutto il Centro Storico. Gli strumenti impiegati, tra gli altri, sono software della piattaforma Microsoft® Office 365TM, in particolare SharePoint per la creazione di una intranet del gruppo di ricerca, PowerApps per la realizzazione degli applicativi di inserimento e analisi dati e PowerBI per lo sviluppo di report interattivi per la consultazione, analisi e aggregazione dei dati. Seguendo il ciclo della BI riportato in Fig. 4.2, nell’ambito del Progetto HECO sono state realizzate le fasi da 1 a 4 che hanno essenzialmente interessato (Fig. 4.2): • la documentazione bibliografica; • la costruzione del database attraverso azioni di verifica, controllo e normalizzazione dei dati inseriti per eliminare errori di compilazione e duplicati; • la progettazione del data warehouse individuando gerarchie (es: edificio > facciata > stato di conservazione dell’elemento x); • l’impostazione di indicatori di sintesi (KPI) per l’analisi dei fenomeni di maggior interesse sulla base


gestione e analisi dati per il patrimonio architettonico • david fastelli

dei dati di monitoraggio rilevati ed inseriti (es: indice di degrado, indice di alterazione visiva, priorità di intervento, ecc.). Con le attività successive al Progetto, come i corsi di Laboratorio di Restauro, sono state implementate le fasi successive, dalla 5 alla 8, in particolare effettuando le seguenti azioni: • ETL funzionale a visualizzazioni e analisi dei dati specifiche, come la consultazione delle tavolozze dei colori ordinate per tipologie di elementi (fondi, basamenti, cornici, ecc.), superfici rilevate, ecc.; • OLAP per la combinazione di tabelle dati afferenti a diversi ambiti, al fine di ottenere informazioni aggregate e filtrate secondo diverse logiche (es: isolare tutti i colori rilevati dei basamenti di una determinata via rispetto ad una determinata tipologia architettonica); • Progettazione e realizzazione dei report interattivi per l’interrogazione e la divulgazione dei dati, aggiornati a intervalli di tempo prestabiliti (es: schedulazioni giornaliere durante le campagne di rilievo in sito). Per concludere, un’ulteriore fase implementabile nel ciclo sopra descritto è rappresentata dalla creazione di modelli di forecasting: si tratta di modelli previsionali basati sul monitoraggio nel tempo di specifici fenomeni d’interesse. Questo potrebbe costituire un valido supporto ad esempio per la verifica dell’efficacia nel tempo degli interventi di restauro, oppure per il controllo dello sviluppo di particolari fenomeni di degrado, o ancora per una più efficace programmazione delle azioni manutentive. Di seguito, sono proposte una serie di immagini rappresentative delle ricerche condotte in ambito fiorentino, sopra citate, con l’applicazione della metodologia BI (Figg. 4.3 – 4.8). Normative di riferimento Legge 28 giugno 2016, n. 32, in materia di «Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente e disciplina dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale». DPR 207/2010, art. 38, Piano di manutenzione dell’opera e delle sue parti. UNI 11257:2007, Manutenzione dei patrimoni immobiliari - Criteri per la stesura del piano e del programma di manutenzione dei beni edilizi - Linee guida. UNI 10951:2001, Sistemi informativi per la gestione della manutenzione dei patrimoni immobiliari - Linee guida.

Fig. 4.3 Schermata del ‘Sito del Team’ (col nome di HURBANA) progettato per il gruppo di ricerca, uno spazio web privato per la condivisione dei documenti e la pubblicazione dei report di analisi e consultazione dei dati

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esperienze di conservazione e restauro • giuseppe alberto centauro

Fig. 4.4 I ‘numeri’ del Progetto HECO e gli indicatori KPI del Progetto HECO e degli studi successivi. Immagini tratte dai report interattivi

Fig. 4.5 Due schermate dell’applicativo mobile per l’inserimento e l’analisi dei dati in tempo reale: in alto, la ricerca dell’edificio per denominazione, ID o indirizzo con visualizzazione degli allegati e della posizione geografica; in basso, visualizzazione immediata dello stato di conservazione delle facciate, calcolato dai dati di rilievo

Fig. 4.6 Esempio di ‘scheda digitale’ dell’edificio, realizzata con report interattivo e ottenuta dai dati di rilievo inseriti, comprensivi degli allegati grafici e fotografici


gestione e analisi dati per il patrimonio architettonico • david fastelli

Fig. 4.7 Report per il controllo in tempo reale dei dati inseriti e dello stato di avanzamento dei lavori. Ogni box del report funge da filtro per l’aggregazione e la consultazione mirata delle informazioni

Fig. 4.8 Esempio di analisi realizzate tramite aggregazione dei dati dell’edificato dell’Oltrarno e costruzione dei report interattivi: in alto, correlazione tra le funzioni prevalenti, i dati dimensionali e l’indice di degrado; in basso, colori rilevati e alterazione visiva delle facciate

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titolo libro • nome cognome


titolo saggio • nome cognome

Rilievo urbano e architettonico per il restauro

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rilievo urbano e architettonico per il restauro Andrea Bacci

Abstract Il progetto di conservazione e di restauro necessita di una base di conoscenza storica, urbana, e costruttiva completa. L’approccio conoscitivo deve seguire perciò una metodologia rigorosa di avvicinamento all’oggetto dell’intervento. Tale metodo deve essere utilizzato sia per operazioni di manutenzione che di veri e propri restauri. I laboratori di restauro architettonico insegnano tale metodologia di conoscenza attraverso attività seminariali di rilievo e conoscenza per il restauro. Gli oggetti studiati e sui quali si individuano gli elementi costituenti i valori da tutelare e i fenomeni da studiare riguardano grandi complessi monastici (Santa Maria Novella e il Monastero Nuovo, il Seminario Arcivescovile Maggiore), chiese cittadine (Santa Felicita in Piazza, San Giorgio alla Costa), il Forte Belvedere, Le mura Arnolfiane e i loro contesti urbani. Tutti questi elementi sono studiati all’interno in relazione alla realtà dell’Oltrarno e, più in generale, del Centro Storico di Firenze e alle loro dinamiche contemporanee. The conservation and restoration project require a complete historical, urban and constructive knowledge base. The cognitive approach must therefore follow a rigorous methodology of approaching the object of the intervention. This method must be used both for maintenance operations and for real restorations. The architectural restoration laboratories teach this methodology of knowledge through stage activities for architectural survey and knowledge for restoration. The objects studied concern large monastic assemble (Santa Maria Novella and the New Monastery, the Major Archiepiscopal Seminary), churches (Santa Felicita, San Giorgio alla Costa), the Forte Belvedere, the medieval walls. All these elements are studied insidethe Florentine urban reality and its contemporary dynamics.

Le attività nei laboratori didattici Le esperienze qui illustrate nascono dall’attività svolta nei laboratori di restauro (sia nel corso di studi triennali di Scienze dell’Architettura sia in quelli magistrali, a ciclo unico e del biennio specialistico) la cui struttura fisica coinvolge gruppi di circa 40-50 studenti dai quali si ottiene la produzione di elaborati tecnico progettuali relativi a seminari tematici nel numero di uno per attività. Ogni seminario si compone, per metodo, di una parte di analisi urbana e di una parte di analisi dei manufatti per rendere sempre legati gli aspetti illustrati in premessa: sulla prima si analizzano i fenomeni urbani, sociali e di impatto cromatico, sulla seconda i fenomeni dei relativi ai casi studio (Tav. 5.1). Gli strumenti utilizzati dal laboratorio sono: le cartografie e le risorse di rete dei vari siti di approfondimento oltre che la letteratura reperibile nei fondi bibliotecari per le indagini storiche; semplici strumenti di rilievo diretto o indiretto da terra quali distanziometro, metro, macchine per riprese fotografiche. Allo stesso tempo si mettono in campo esercitazioni e sopralluoghi per stimolare la capacità

pagina a fronte Matrice geometrica di Federico II di Svevia Il progetto federiciano del Castello dell’Imperatore di Prato in sovrapposizione con la pianta della città dell’Aquila


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esperienze di conservazione e restauro • giuseppe alberto centauro

Figg. 5.1, 5.2 Gli strumenti di misura adottati (sx). La metodologia di rilievo per trilaterazioni (dx)

Livella laser

Metro a nastro

Distanziometro laser

Libretto delle misure

Reflex

grafica degli studenti di esprimere e comunicare le dinamiche e le problematiche in atto negli ambiti di studio ritenendo tale capacità uno strumento in più che deve esistere in chi dovrà esercitare la professione di architetto (Figg. 5.1-5.5). Oggetto di studio e catalogazione, preliminarmente al rilievo architettonico, sono state le vie e le cortine edilizie prospicienti i fronti stradali perché alcuni fenomeni, come ad esempio le dinamiche di trasformazione cromatiche registrabili sulle facciate, hanno una forte incidenza sull’autenticità e sull’integrità del patrimonio costruito. La conservazione dell’identità dei luoghi attraverso la gestione del colore poi, integrata con lo stato di conservazione dei materiali e degli elementi costruttivi e storicamente accertato dell’edilizia storica, è divenuta uno dei principali caposaldi per la salvaguardia dei valori architettonici, come è chiaramente emerso nel corso del Progetto Heco1. Le alterazioni visive riscontrabili sulle cortine edilizie, indotte da improprietà lessicali e grammaticali producono effetti di forte impatto sul piano architettonico e paesaggistico, capaci di influire sulle corrette pratiche di conservazione e valorizzazione di interi brani di città nei quali il colore, unito alla composizione delle cortine edilizie, mantiene vivo il disegno architettonico che a Firenze si è conso-

Fig. 5.3 Strumenti fondamentali per la buona riuscita di un rilievo: l’osservazione e il disegno

lidato nel XIX e XX secolo come identità e valore di autenticità. Non è quindi improprio parlare di ‘restauro percettivo’ riferendosi alla ricomposizione delle cromie nel rispetto delle matrici storicamente consolidate2. Gli aspetti da dover rilevare dunque sono molteplici e per questo motivo nel corso dell’attività didattica si trasmette un metodo di approccio conoscitivo fatto per progressivo avvicinamento sia al contesto che al manufatto e nel quale la lettura delle architetture deve essere necessariamente eseguita partendo dalle relazioni tra il costruito e il territorio limitrofo per approdare all’edificio e alle sue componenti materiali che, espresse per sintesi e colore, costituiscono un valore generale da mantenete, conservare, restaurare. Le esperienze nelle quali maggiormente sono emersi i principi illustrati sono relative all’Oltrarno,

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Centauro G.A., Francini C. 2017, op cit. Centauro G.A., Grandin N. C 2013, op. cit.


gestione e analisi dati per il patrimonio architettonico • andrea bacci

Range di rilievo diretto

Misure ricavate da fotopiano

focalizzando l’osservazione sui complessi di San Giorgio alla Costa e Santa Felicita in Piazza, estendendosi al Forte Belvedere e alle Mura della cinta arnolfiana con lo studio sistematico delle cortine e delle torri rimaste3 e, per il quartiere di San Frediano, al seminario Arcivescovile Maggiore e al Conventino (chiesa di San Francesco di Sales). Di qua d’Arno invece è stato studiato il complesso di Santa Maria Novella e Monastero Nuovo. A questi studi si aggiungono precedenti esperienze riguardanti l’intero ambito urbano del Centro Storico di Firenze, con particolare riferimento ai Lungarni Soderini e Vespucci e al Ponte Vecchio, divenuti oggetti di approfondimento con altrettante tesi di laurea4. Le metodologie La lettura stratigrafica e lo studio delle fonti L’indagine di un edifico monumentale parte dalla conoscenza storica delle sue fonti: se il progetto di restauro risulta il momento nel quale si riapre un dialogo con il contesto e con le funzioni insite nel territorio è altresì vero che questo ‘dialogo’ nasce e può prendere vita dal ‘racconto’ che le vicende storiche del manufatto permettono di scrivere. Le informazioni storiche, reperibili in letteratura e in archivi sia cartacei che digitali5 vengono fissate in planimetrie, ricostruzioni assonometriche e prospetti stradali in scala tra il 1:500 e il 1:200 e mettono in evidenza le trasformazioni degli elementi costruiti attingendo alle informazioni di letteratura e alle analisi comparative degli eventi architettonici e costruttivi riconoscibili per stile ed epoca. 3 Cfr. Le mura ai confini di Firenze, Tesi Magistrale in Progettazione dell’Architettura, di Chiara Benvenuti, Gaia Bianchini, Alessandra Caccialupi (rel. Prof. G.A. Centauro, corr. Prof.ssa G. Tucci, Arch. A. Bacci, Arch. G. Caselli, A.A. 2015/2016). 4 Le tesi citate in questo testo sono: • Le Mura ai confini di Firenze. Laureande: Benvenuti Chiara, Bianchini Gaia, Caccialupi Alessandra, relatore Prof. G.A. Centauro, correlatore Arch. Ph.D. A. Bacci, Prof.ssa G. Tucci, Arch. G. Caselli, A.A. 2015/2016; • Ponte Vecchio. Lo studio e il rilievo per la sua Conservazione. Laureanda: Irene Cicchino, relatore Prof. G.A. Centauro, correlatore Arch. Ph.D. A. Bacci, A.A. 2016/2017; • Lungarno Soderini e Vespucci. La città allo Specchio. Analisi della vulnerabilità visiva per il recupero dell’identità urbana. Laureanda: Eleonora Santi, relatore Prof. G.A. Centauro, correlatore Arch. Ph.D. A. Bacci. A.A 2017/2018; • Il Chiostro Grande di Santa Maria Novella. Tre secoli di Trasformazioni per la conservazione e la valorizzazione del complesso, Laureando: Niccolò Capua, relatore Prof. G.A. Centauro, correlatore Arch. Ph.D. A. Bacci - A.A 2018/2019. 5 Si citano i principali archivi digitali utilizzati per lo studio di Firenze: • Paolini C. (agg.2018), Repertorio delle architetture civili di Firenze, cfr. <http://www.palazzospinelli.org/architetture/> • Cartoteca GeoScopio della Regione Toscana, cfr. <http://www502.regione.toscana.it/geoscopio/catastourbanizzazione.html> (2/2019); • Vincoli in rete, cfr. <http://vincoliinrete.beniculturali.it/VincoliInRete/vir/utente/login> (2/2019).

Figg. 5.4, 5.5 Rilievo semplificato di una facciata su eidotipo. In evidenza i limiti e i riferimenti per la lettura e la collocazione degli elementi costruttivi e tipologici della facciata

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esperienze di conservazione e restauro • giuseppe alberto centauro

Fonti imprescindibili sono le cartografie storiche, come le carte catastali a partire per Firenze dal Catasto Granducale per lo sviluppo degli areali e delle dinamiche di trasformazione fondiaria o le fonti iconografiche per le analisi dei fronti. Il caso di Firenze, infatti, non può essere analizzato senza il supporto delle rappresentazioni cittadine le quali, a partire dalla “veduta della Catena” e proseguendo con la rappresentazione del Buonsignori, e nelle quali risultano riconoscibili (specialmente per la seconda) sia i complessi costruiti che l’edilizia minore, ‘fotografano’ e datano alla fine dei secoli XV e XVI l’effettiva consistenza della città. Le elaborazioni storiche dunque costituiscono l’incipit del percorso di conoscenza e trovano posto nelle prime tavole degli elaborati richiesti per le attività seminariali. L’obiettivo di queste elaborazioni è di ‘congelare’ attraverso un processo di sintesi, e in una rappresentazione più grafica possibile, le fasi di anamnesi storica e recente. Si producono così sintesi cartografiche e grafiche nelle quali, alla stregua di un procedimento ‘archeologico’, emergono le fasi di trasformazione e di accrescimento mentre la lettura stratigrafica delle ‘archeometrie’ in elevato completano la visione delle soprelevazioni e modifiche prospettiche dovute anche ad interventi minori spesso legati agli usi o alle modifiche dei caratteri stilistici (e sulle quali si leggono in particolare modo la collocazione e l’evoluzione degli elementi e dei caratteri costruttivi). Si viene a creare così un racconto che, sintetizzato talvolta in una ‘linea del tempo’, serve agli studenti per fissare sulla carta le complesse storie legate ai manufatti specialmente nei complessi maggiori: senza questo approccio sarebbe stato difficile condensare la vasta storiografia e iconografia che circonda un complesso come il Monastero Nuovo di Santa Maria Novella o in maniera ancora più dinamica San Giorgio alla Costa. (Tavv. 5.2, 5.3). Nel seminario dedicato al Forte Belvedere (Tav. 5.4) invece gli studenti, divisi in gruppi, hanno gestito gli ambiti di indagine per confluire nella gestione territoriale e urbana per il progetto di restauro del Forte in relazione alle mura arnolfiane rimaste e ai quartieri che intorno ad esse si sono formati. È stato possibile così evidenziare i muri graffiati della Via San Leonardo o il quartiere artigiano novecentesco nei pressi di Porta Romana, riuscendo nei progetti ad avanzare considerazioni critiche e proposte di riqualificazione e ricollegamento tra il ‘dentro’ e il ‘fuori’ della città della quale il Forte stesso si erge a emblematico e monumentale confine. È iniziato allora un ragionamento critico sulla Costa San Giorgio che dalla Porta, omonima porta, sia all’Arno che a Via dei Bardi attraverso le tre Coste, l’omonima Costa San Giorgio, Costa Scarpuccia e Costa dei Magnoli. Dalle riflessioni avanzate sui percorsi e sullo stato delle facciate è nato il seminario urbano svolto dai Laboratori di Restauro del 2019 che hanno preso in esame l’intero ambito dell’Oltrarno, a partire dalle aree interessate dal Piano di Ricostruzione post-bellica intorno a via Guicciardini (area del Ponte Vecchio) (Tavv. 5.5-5.7).


gestione e analisi dati per il patrimonio architettonico • andrea bacci

Si delinea quindi una metodologia di lettura che dalle fonti storico archivistiche necessariamente si approccia all’osservazione delle stratigrafie specialmente in elevato e nelle quali gli elementi architettonici, i caratteri costruttivi e i fenomeni hanno la loro collocazione e giustificazione. Diventa dunque imprescindibile leggere il manufatto in quanto l’edificio o il monumento stesso diventa la nostra nuova fonte storica ed è da questa e solo da questa che è possibile comprendere e salvaguardare i valori da conservare e restaurare. Un rilievo eseguito su questa linea di indagine è l’unico strumento in grado di garantire questa lettura. A questa prima fase, che viene insegnata già nel laboratorio della triennale come nel primo corso di restauro nel ciclo unico magistrale, segue la progettazione del restauro che richiede un approccio più ampio delle conoscenze tecniche e costruttive nelle quali si esercita una progettazione estesa agli intorni e che attraverso i materiali forniti ed elaborati nella fase di conoscenza si pone come obiettivo il progetto di restauro degli edifici oggetto di vincolo ma con una progettazione estesa all’intorno dell’edificio. Risulta dunque fondamentale il processo conoscitivo perché è da questo che dipende non solo la comprensione dell’oggetto ma soprattutto il risultato del progetto la cui buona riuscita spesso nasce già in sede di rilievo. Gli approcci, sostanzialmente di natura grafica, fotografica e urbanistica sono volti a fissare sulla tavola le relazioni che le architetture hanno (o che hanno smesso di avere) con i loro contesti sia urbani che territoriali in senso fisico attuale sia in senso stratigrafico storico (Tavv. 5.7). Il giusto avvicinamento che questo approccio richiede si articola nelle seguenti fasi: conoscenza della storia dei manufatti, conoscenza dei fenomeni e degli aspetti di relazione con l’intorno, conoscenza degli elementi costruttivi, conoscenza del manufatto attraverso il rilievo degli elementi fondamentali alla comprensione del disegno e dei fenomeni che riguardano l’edificio. Il manufatto è il punto di arrivo infatti del procedimento in quanto prima di eseguire il rilievo occorre avere già gestito tutti agli aspetti che stanno intorno e a monte dell’edificio stesso e che su di esso devono essere letti. Il risultato del rilievo poi è costituito da una serie di elaborati (planimetrie, piante, prospetti, sezioni, fotopiani, mappe cromatiche, materiche e del degrado) che devono servire da ‘mappe di lavoro’ per le operazioni di conservazione, manutenzione e restauro. Per queste ragioni nei seminari svolti durante i laboratori si è dovuto compattare una certa quantità di dati e relazioni tra le diverse informazioni in elementi sintetici i quali, attraverso il disegno e il rilievo diventano sintesi per discretizzazione dei fenomeni complessi. Tale processo, preso in prestito dalla metodologia di rilievo per la conoscenza e utilizzato in ambiti di ricerca architettonica compositiva6, risulta fondamentale nella disciplina di restauro.

Cfr. Bacci A., Bini M., C.M.R. Luschi 2004, p. 51.

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esperienze di conservazione e restauro • giuseppe alberto centauro

Lo studio delle fenomenologie urbane Le informazioni ricavate dal processo di analisi stratigrafico necessitano di essere quindi confrontate con lo stato attuale tramite osservazione grafica e fotografica degli edifici e dei fenomeni che li trasformano. Le trasformazioni previste dai piani urbanistici (sia che sia un PRG, un RUC o un Piano Operativo), i fenomeni sociali o di tendenza dei vari city users (affittacamere, ‘movida’, movimenti di quartiere, percorsi di ascolto…), i fenomeni di utilizzo degli elementi prospicienti gli spazi comuni (marciapiedi, fronti di edifici, parcheggi, arredo urbano, segnaletica, impianti e reti cablate), i degradi fisici ed antropici sono gli elementi che devono essere inseriti nelle tavole di esercitazione e soprattutto devono essere osservati in ottica di rilievo critico. Ad una semplice documentazione per immagini infatti, si è richiesto agli studenti anche la lettura dei fenomeni rilevati attraverso un’analisi SWOT degli intorni urbani che accolgono i manufatti da restaurare. Ci si rende infatti conto e lo si comunica agli studenti, come deve essere sempre presente al professionista, che ogni luogo della città e del territorio è in continuo mutamento e che i fenomeni di trasformazione si attuano per processi lunghi e stratificati (attraverso le modifiche fondiarie, trasformazioni del tessuto storico per ampliamenti o sostituzione edilizia) affiancati da veloci cambiamenti (generati da dinamiche economiche sempre più rapide come gli affitti veloci, tipo airbnb, o il crescere dell’attività del bed&breakfast) tali da creare conflitto tra le diverse anime che vivono il territorio (ad esempio: migrazione dei residenti, impoverimento delle attività di quartiere, ecc.). Gli effetti naturalmente si ripercuotono sulle architetture delle quali quelle minori e ordinarie sono oggetto di utilizzi spesso difformi rispetto alla loro origine e cambiando l’utenza delle strutture cambia il carattere del tessuto urbano e dunque cambia il rapporto con gli edifici maggiori oggetti di restauro. Il cambiamento si legge nella trascuratezza o inadeguata manutenzione dei caratteri costruttivi (in special modo modanature, trabeazioni, bugnati oggetto spesso di manutenzioni scadenti, sbagliate o errate) e in maniera ancora più evidente nell’alterazione dei colori sia per le riprese locali (sgrammaticature localizzate dopo interventi su singole unità immobiliari a discapito del decoro di un’intera facciata) che per l’utilizzo di cromie accese (spesso indice di trattamenti superficiali inadeguati) le quali tendono a creare un effetto di ‘richiamo’ per le attività che si svolgono in particolari edifici influendo così nella percezione e fruizione del paesaggio urbano. La lettura dell’evoluzione tipologica e compositiva del tessuto urbano fiorentino Una volta definita la conoscenza storica e urbana dei fenomeni di trasformazione si passa alle indagini alla scala architettonica nelle quali si analizzano e rilevano i seguenti elementi: la tipologia, gli elementi costruttivi, i materiali, il colore, gli elementi scultorei e artistici, gli elementi tecnologici. L’importanza del rilievo di questi elementi risiede nella giusta lettura sia del caso in esame (edificio


gestione e analisi dati per il patrimonio architettonico • andrea bacci

o facciata) sia della relazione che gli elementi hanno nel contesto urbano. La capacità di riconoscere una modanatura in pietra o in finta pietra in una facciata, o la corretta distinzione tra un capitello corinzio o uno a crochet, è prima di tutto un dovere dell’architetto progettista e restauratore ma risulta imprescindibile nella lettura dello spazio urbano perché ci permette di capirne la sua storia e distinguere i caratteri costruttivi delle singole aree urbane. Le finestre modanate del XVIII e del XIX secolo che ripropongono in linee sempre più semplici le cornici del Cinquecento e del Seicento ad esempio, hanno da una parte sintetizzato gli elementi costruttivi a favore di una composizione scenografica dei fronti urbani, dall’altra hanno dato il via ad un processo di decoro urbano che con materiali sempre più semplici arriva fino all’architettura moderna del dopoguerra e si interrompe solo con l’avvento dell’edilizia contemporanea (Tavv. 5.5, 5.6). Allo stesso modo il colore in architettura riveste un ruolo cardine nella lettura delle facciate perché completa la caratterizzazione stilistica e compositiva dell’edificio all’interno dello spazio urbano ma è anche, come già accennato, il più fragile degli elementi caratterizzanti il disegno della composizione di facciata in quanto su di esso la qualità degli usi, della manutenzione e della conservazione dell’edificio si fissa chiaramente. Esso cambia non solo in base allo stile dell’edificio, ma spesso il solito edificio presenta più colorazioni a seconda degli spazi pubblici di relazione (il fronte principale ha un trattamento cromatico diverso e più articolato rispetto al fronte secondario ma anche la sua conservazione può essere distinta) e subisce le tendenze in atto nelle zone di riferimento. Un’analisi approfondita di queste dinamiche si è attuata attraverso l’esperienza dei laboratori del 20182019 nei quali, utilizzando l’interpolazione dei dati del progetto di rilievo urbano si sono evidenziate le tendenze per singole zone omogenee, per vie e per zone panoramiche (ad esempio i Lungarni) finalizzate al rilievo dell’alterazione visiva e a proposte di manutenzione dei fronti. Al riguardo si cita una tesi triennale di restauro7 che porta alla luce la questione del diverso trattamento delle superfici tra una sponda e l’altra del fiume Arno: i due fronti presentano un carattere legato alla natura dei quartieri di appartenenza (San Frediano e Ognissanti) ma allo stato di fatto scarsamente dialogante (Tavv. 5.85.13). Lo stesso tipo di riflessione era emersa in precedenza in altra tesi relativamente al Ponte Vecchio8, nella quale lo studio dei fronti esterni ed interni del Ponte Vecchio descriveva come questo monumento iconico della città fosse caratterizzato da un grado di conservazione fisico e cromatico molto frammentario e contraddittorio. Il risultato finale restituisce un’immagine assai falsata del monumento, sia pure gradita agli occhi del turista ‘mordi e fuggi’. In un quadro così disegnato si registra anche una dissonanza nello stato conservativo delle componenti materiche lapidee rispetto a quelle intonacate, ben

Cfr. Lungarni Soderini e Vespucci, la città a speccho, Analisi della vulnerabilità visiva per il recupero dell’identità urbana, Tesi in Scienze dell’Architettura in Scienze dell’Architettura di Eleonora Santi (rel., G.A. Centauro, corr. A. Bacci, A.A. 2017-2018). 8 Cfr. Ponte Vecchio. Lo studio e d il rilievo per la sua conservazione, Tesi di Irene Cicchino (rel., G.A. Centauro, corr. A. Bacci, A.A. 2016-2017). 7

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osservabile specie sotto la pancia arcuata del ponte tra pila e pila risultando assai precario, in totale contrasto con quanto sta’ al di sopra, per di più fortemente sollecitato dalla grande massa di persone che lo frequentato e dei fenomeni di forte impatto che ne derivano (Tavv. 5.14-5.17, Fig. 5.6). Il rilievo del manufatto architettonico L’edifico oggetto di restauro, alla fine di un percorso di approccio conoscitivo che ha indagato dagli elementi insediativi, storici fino alla conoscenza del carattere architettonico o cromatico, risulta l’ultimo documento da interrogare e il luogo nel quale rileviamo tutte le informazioni necessarie ad un processo di restauro architettonico ed urbano. Le indagini a monte del rilievo architettonico hanno avuto lo scopo di condurre dalle conoscenze generali (la storia, la città) al particolare (la via, la tipologia, il colore, la cortina stradale) e dal particolare all’unicità del manufatto in un percorso a ‘imbuto’ teso a relazionare i vari livelli della conoscenza nel processo di discretizzazione citato. Le elaborazioni grafiche, fotografiche e cartografiche hanno avuto lo scopo di illustrare quanto si è studiato e quanto si è osservato unendo elementi di letteratura a indagini sul luogo. A questo percorso si aggiunge il tassello più importante dunque: la lettura del testo architettonico tramite il rilievo e la restituzione del manufatto. I laboratori di restauro hanno percorso la strada del seminario tematico per le esercitazioni e negli anni dal 2016 al 2019 sono stati oggetto di studio i già citati complessi architettonici di valore storico urbanistico e monumentale, sia pezzi di città nei quali sia stata rilevabile l’identità cittadina (ad es. i quartieri di San Frediano, Santo Spirito, via de’ Bardi) affiancati agli elementi e luoghi di alto valore paesaggistico e iconico (i Lungarni, i viali, le Mura e il Ponte Vecchio). Su tali argomenti sono state sviluppate anche ricerche ed approfondimenti oggetto di tesi magistrali in Progettazione dell’Architettura9 (Tavv. 5.18-5.21). In questo contesto si sono comunque distinti due oggetti da rilevare: la facciata nel contesto urbano e il manufatto nel complesso architettonico. Il rilievo delle facciate ha goduto di una lettura semplificata già definita nel Progetto HECO10 e nella quale si sintetizza la composizione architettonica fiorentina a favore di una schedatura di rilievo urbano nella quale le componenti metriche cromatiche e conservative sono interpolate per algoritmi alla ricerca della vulnerabilità e recuperabilità. I rilievi delle facciate, eseguiti per rilievo diretto sulle dimensioni principali (larghezza, altezza basamento e altezza edificio, numero delle finestre dei piani e degli accessi) hanno generato schemi e prospetti i quali, composti in fronti urbani, hanno consentito la lettura degli elementi, la loro collocazione Le Mura ai confini di Firenze. Laureande: Benvenuti Chiara, Bianchini Gaia, Caccialupi Alessandra, rel. Prof. G.A. Centauro, corr. Arch. Ph.D. A. Bacci, Prof.ssa G. Tucci, Arch. G. Caselli, A.A. 2015/2016. 10 Bacci A. 2017, in G.A. Centauro G.A., C. Francini (a cura di), op. cit., pp.121-149. 9


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Livello di degrado

Alto

Basso

Medio

Molto Alto

Trascurabile assente

in alzato e la loro relazione in contesto urbano oltre ad avere permesso la creazione di mappe di sintesi e quantificazione dei fenomeni per interpolazione diretta dei dati. Il rilievo dei complessi architettonici più grandi ha richiesto invece un approccio più strumentale e di rilievo integrato in quanto la complessità degli spazi (nonostante avessimo a supporto la documentazione tecnica e di rilievo fornita dall’Amministrazione comunale, segnatamente dell’Ufficio “Belle Arti e Fabbrica di Palazzo Vecchio”) necessitava un controllo di ricollimazione dei vari corpi di fabbrica oltre che delle nuvole di punti che agli studenti venivano fornite con i rilievi a tempo di volo dai Laser Scan in dotazioni agli altri moduli del laboratorio di restauro del corso magistrale. In supporto alle operazioni di ricollimazione del modulo di restauro si sono utilizzati strumenti di rilievo indiretto più canonici e comuni quali una stazione topografica con specchio e palina o un Disto laser con base dotata di cavalletto per stazione di rilievo capace di realizzare piccole nuvole di punti esportabili in dxf. Da queste operazioni si sono ricavati i punti fissi (necessari anche per rilevazioni a tempo di volo con LaserScan o Droni) per la ricollimazione dei rilievi eseguiti dagli studenti del complesso di Santa Felicita o nella ricerca dello spessore della volta Brunelleschiana della Cappella Capponi ivi posta descritto dalla dott.ssa Marta Castellini nel presente volume, così da avere il controllo dei punti “discretizzati” ovvero scelti in base alla ricerca delle dimensioni, dei rapporti fra gli ambienti, e delle geometrie. Tale metodo è risultato efficace anche nella lettura della deformazione della volta unghiata non strutturale presente nella biblioteca del Seminario Arcivescovile Maggiore: in questo caso la lettura della deformazione ha permesso la stima della freccia oltre che delle condizioni del supporto in cannicciato che costituisce la volta stessa. Lo strumento principe delle operazioni di restauro risulta comunque essere l’indagine diretta sul posto del manufatto dalla quale devono nascere gli elaborati necessari alle fasi analitiche e progettuali.

Fig. 5.7 Stato di Conservazione dell’Area Urbana Omogenea (AUO) ‘Pitti’ Fig. 5.8 Indice di Alterazione Visiva dell’Area Urbana Omogena (AUO) ‘Pitti’

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Nei moduli di restauro si dedica molto tempo alla rilevazione diretta ridistribuendo agli studenti parti dei manufatti da rilevare di dimensioni tali da potere essere affrontati per trilaterazioni, coltellazioni e rilevi fotogrammetrici in maniera completa ed esaustiva. Il rilievo dei fronti, degli areali e di parti di edifici produce elaborato alla scala di dettaglio necessario alla completa rappresentazione dell’architettura, dei materiali, dei fenomeni di degrado e del colore. Gli esempi citati e illustrati nelle tavole illustrano il lavoro eseguito dagli studenti dei laboratori. In particolare per Santa Maria Novella è stato utilizzato la divisioni in gruppi e poi una collimazione topografica al rilievo che nel 2005 fu prodotto per l’amministrazione comunale dal Dipartimento di Progettazione dell’Architettura dell’Università di Firenze (oggi Dida), Sezione Disegno e Rilievo, potendo fornire al Comune, all’interno dell’Accordo di collaborazione, una conoscenza totale del bene partendo dalla articolazione degli spazi, degli impianti, delle patologie rilevate nel autunno 2017 oltre alla completa rappresentazione delle superfici di pregio tra le quali i 55 affreschi del Chiostro Grande. Tali elementi di alto pregio, analizzati sotto la guida del restauratore Guido Botticelli, hanno portato la scala di rappresentazione fino a 1:1 con analisi a luce radente e alla ricerca delle giornate di lavoro o dei segni lasciati dalla tecnica dei cartoni. Le osservazioni e le indagini che sono emerse dall’analisi dei fotopiani così restituiti hanno fornito le indicazioni per gestire le opere d’arte all’interno di un progetto di restauro al fine di restituire agli architetti che si affacciano adesso al mondo del lavoro la competenza dell’architetto restauratore. Gli elaborati prodotti L’obiettivo delle operazioni di conoscenza è di fornire le basi necessarie alla lettura dei fenomeni di degrado, delle componenti materiche, delle superfici cromatiche; tali operazioni devono soprattutto fornire le mappe sulle quali collocare i fenomeni e gli elementi costruttivi e sulle quali si possano quantificare e programmare le operazioni diagnostiche, di conservazione e restauro. Per fare ciò la restituzione dei rilievi deve essere adeguata alla scala di intervento e gli elaborati scelti in base alla finalizzazione delle operazioni di analisi e progetto conservativo. Gli elaborati di restituzione sono costituiti preferibilmente da disegni al tratto e fotopiani sui quali son riportate le misure, i colori, i materiali. Le elaborazioni di progetto partono da questi elaborati e su di essi devono potere essere quantificate le patologie e dimensionati gli interventi. Le elaborazioni di grafica e di rappresentazione in tre dimensioni sono riservate alle componenti costruttive e alle elaborazioni di renderizzazione di progetto. Le scale di rappresentazione del rilievo sono calibrate alle distinte categorie di indagine. La scala fino al 1:200 è utilizzata allora per le operazioni di rilievo urbano e restituzione dei fronti delle cortine stradali. A questa scala si realizzano infatti piccoli disegni di prospetto con la qualità di eidotipo l’obiettivo dei quali risulta essere la rappresentazione dettagliata delle facciate e la distribuzione dei caratteri, dei fenomeni, dei materiali e dei colori sulle quinte stradali urbane.


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Fig. 5.9 Seminario Arcivescovile Maggiore. Restituzione del rilievo fotogrammetrico della statua di San Bernardo

Ad una scala più architettonica (1:00 e 1:50) si analizzano gli edifici vincolati o comunque oggetto di analisi tematica (Fig. 5.9, Tavv. 5.23-5.25). A queste scale (ma sempre con una definizione del tratto e delle gerarchie del segno adeguate al 1:50) e a questa definizione vengono redatti i fotopiani. Durante i laboratori di restauro, l’utilizzo dei fotopiani risulta fondamentale perché questi illustrano lo stato di salute dell’edificio e permettono la localizzazione esatta dei fenomeni di degrado oltre a costituire la base per le analisi conservative e cromatiche. I fotopiani che vengono richiesti agli studenti sono realizzati attraverso il rilievo e la mosaicatura fotografica sul prospetto rilevato. È molto importante sottolineare che ai fini del restauro (sia didattico che metodologico) il fotopiano è condotto per fotoraddrizzamento omologico e per collimazione in quanto è una vestizione del prospetto con il documento fotografico (Figg. 5.10-5.12, Tavv. 5.26, 5.27). Questa procedura infatti è finalizzata alla realizzazione di un supporto utile per le letture, le analisi e per il progetto ed è equiparabile, operativamente e didatticamente, agli ortofotopiani prodotti, ove possibile, dalle nuvole di punti strumentali ottenute da mezzi quali Laser Scanner a tempo di volo o da mesh fotografiche generate dalla collimazione delle riprese aeree di Droni (Tavv. 5.28-5.30). Sopra i fotopiani e sugli eidotipi prendono posto anche le rilevazioni cromatiche la cui composizione e andamento all’interno del contesto urbano sono oggetto di analisi conservativa e di vulnerabilità. Le scale di maggior dettaglio sono riservate alla descrizione di elementi di pregio (capitelli, colonne, affreschi, motivi decorativi e geometrici, modanature, ecc.). L’insieme delle elaborazioni sono calibrate per creare i dati metrici e qualitativi che devono costituire un terreno comune di intersezione tra l’analisi e la progettualità11 che da questi si esprimono e si articolano le complesse operazioni che dalla diagnostica in avanti portano per gradi al progetto architettonico di restauro. 11

Cfr., ultra, gli approfondimenti di F. Masci e L. Brandini.

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L’attività del laboratorio di restauro si pone dunque come incubatore di approcci conoscitivi ma soprattutto metodologici che possano e debbano fornire la “cassetta degli attrezzi” mentali ed operativi per addivenire al quadro di riferimento dove operare le analisi e individuare, tramite la mappatura dei fenomeni e dei colori, le azioni da intraprendere per la conservazione e la valorizzazione dei valori attraverso la materia. Il rilievo, operazione sempre finalizzata ad uno sbocco conoscitivo ed operativo, riveste il ruolo fondamentale di creazione delle conoscenze attraverso un atto piuttosto semplice, la levata delle misure in via diretta o indiretta, ma in grado di creare e definire il documento più importante nello studio della storia degli edifici: l’edificio stesso. La mole di elaborazioni prodotte, restituire dagli studenti e consegnate in formato digitale universale (.pdf,.tiff,.dwg), costituiscono un fronte documentato di grande importanza perché ci consegna uno sguardo aggiornato sul patrimonio costruito della città di Firenze nei seguenti aspetti: a. lettura dei fronti stradali per vie e quartieri; b. mappatura cromatica con indicazione delle tendenze in atto e stato di conservazione del tessuto minore; c. evoluzione e rapporti compositivi del disegno delle architetture civili tra antico e moderno, d. analisi dei nuovi fronti urbani sull’Arno e valore panoramico delle loro cortine. L’importanza del metodo A chiusura di questo capitolo occorre riassumere i capisaldi che si sono affermati fino a questo punto delle esperienze di restauro: • In primis si ribadisce la validità di un metodo che debba procedere per gestione delle informazioni per discretizzazione e sintesi e che, attraverso un rilievo nel quale si ricerca il disegno dell’architettura, possa permettere di raccontare la formazione e la trasformazione del manufatto da restaurare ottenendo le informazioni con strumentazione corrente a disposizione di tutti gli operatori del settore. • In secundis l’importanza della gestione delle informazioni ottenute dall’indagine attraverso mappe sia planimetriche, sia in elevato (le facciate) e nelle quali il rilievo comunichi la localizzazione e la quantificazione dei fenomeni. • Lo studio e la ricerca architettonica così condotta permette la gestione del patrimonio costruito e del suo genius Loci. • l’approccio conoscitivo e i percorsi di indagine sono finalizzati alla loro utilizzazione in campo scientifico e professionale al fine di formare una maggiore coscienza e conoscenza del patrimonio costruito ove operare attraverso il colore e la valorizzazione degli elementi costruiti una forma di conservazione adeguata alle dinamiche in atto12. (Tav. 5.31). Cfr. Il Chiostro Grande di Santa Maria Novella. Tre secoli di trasformazione per la conservazione e la valorizzazione del complesso, Tesi Magistrale di Architettura di Niccolò Capua (rel., G.A. Centauro, corr. A. Bacci, A.A. 2019-2020).

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Figg. 5.10, 5.11, 5.12 Tecnica e realizzazione fotopiano-acquisizione dati

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Tav. 5.1 Le aree urbane e i monumenti oggetto degli studi nei laboratori didattici.

Legenda A: Chiostro Grande e Monastero Nuovo di Santa Maria Novella. Laboratorio Magistrale A.A.2016/2017 B: Seminario Arcivescovile Maggiore e san Francesco di Sales. Laboratorio Magistrale A.A.2017/2018. C-D: Chiesa di Santa Felicita in Piazza e San Giorgio alla Costa.Laboratorio Ciclo Unico A.A.2017/2018A.A.2018/2019. E: Forte Belvedere e le vie di accesso limitrofe.Laboratorio Magistrale A.A.2017/2018. F: Le mura e le torri di Firenze Laboratorio Ciclo Magistrale A.A.2015/2016.

G: Le mura ai confini di Firenze: tesi di Laurea di Benvenuti Chiara, Bianchini Gaia, Caccialupi Alessandra. A.A. 2015/2016 H: Ponte Vecchio: lo studio e il rilievo per la sua conservazione. Tesi di Laurea Triennale di Irene Cicchino. A.A. 2016/2017 I: Lungarno Soderini e Vespucci. La città a specchio. Analisi della vulnerabilità visiva per il recupero dell’identità urbana. Tesi di Eleonora Santi A.A. 2017/2018

Aree assegnate ai corsi di Restauro magistrale e Laboratorio di Restauro I ciclo unico negli AA 2017/2018 e 2018/2019.In questi laboratori sono state rilevati ed analizzati tutti i fronti di via. Con questa catalogazione si è portato a compimento lo studio di tutta l’areaurbana dell’Oltrarno

Fronti panoramici, viali lungarni, Mura. Base Cartografica: Edifici catalogati e analizzati fino al 2017 (fonte: progetto HECO)


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Inquadramento urbano

1469. Chiese di Firenze, Piero del Massaio Miniatura a colori della Cosmografia di Tolomeo, Città del vaticano, Biblioteca Apostolica.

1472. Veduta della Catena, Francesco e Raffaello Petrini Palazzo Vecchio, Firenze

1584. Veduta della Città di Firenze, veduta di San Giorgio dello Spirito Santo, acquaforte di Stefano Buonsignori Palazzo Vecchio, Firenze

1731. Pianta della Città di Firenze, Ferdinando Ruggeri Firenze

1783. Pianta della Città di Firenze, Francesco Magnelli, Cosimo Zocchi Museo storico topografico di Firenze

1843. Pianta geometrica della Città di Firenze, Federico Fantozzi Museo storico topografico di Firenze

2018. Ortofoto del comune di Firenze, tratto da www. comune.fi.it Museo storico topografico di Firenze

Ricostruzione delle fasi evolutive del complesso

Tavv. 5.2, 5.3 Analisi storica di San Giorgio alla Costa. Dalle fonti all’anamnesi remota e recente con rappresentazione delle aggregazioni edilizie.

Tav. 5.4 Forte Belvedere. Analisi storica urbana e sezioni ambientali del territorio. 1 Porta Romana 2 Istituto statale d’arte (Ex scuderie reali) 3 Giardino di Boboli 4 Torre del Mascherino 5 Baluardo del Cavaliere 6 Forte Belvedere 7 Porta di San Giorgio 8 Baluardo di San Giorgio 9 Giardino Bardini 10 Porta San Miniato Cinta muraria esistente Cinta muraria distrutta Viale di Colli

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Tav. 5.5 Analisi urbana eseguita sugli edifici oggetto della ricostruzione post-bellica intorno a via Guicciardini, evidenziate dal rilievo cromatico delle facciate (parte prima)


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Tav. 5.6 Analisi urbana dell’area oggetto della ricostruzione post-bellica intorno a via Guicciardini, in evidenza il rilievo cromatico delle facciate (parte seconda)

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Tav. 5.7 Rilievo fotografico dell’area interessata dalla ricostruzione post-bellica

Tav. 5.8 Rilievo di fronti dei lungarni Soderini e Vespucci con analisi cromatica


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Tav. 5.9 Restituzione fronti dei Lungarni Soderini e Vespucci con individuazione delle patologie rilevate di degrado delle superfici

Tav. 5.10 Fotopiano ed analisi cromatica e conservativa su eidotipi delle cortine edilizie di via de’ Serragli, angolo via del Campuccio e via delle Caldaie Tav. 5.11 Analisi cromatica dei fronti edilizi di via de Serragli e via Sant'Agostino, con rappresentazione dei degradi cromatici


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Tav. 5.12 Fotopiano e analisi conservativa di via Sant'Agostino con legenda dei materiali

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Tav. 5.13 Fotopiano e analisi conservativa di via Sant'Agostino


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Tav. 5.14 Rilievo altimetrico per coltellazione del Ponte Vecchio

Tav. 5.15 Schema dei rilievi fotografici per l’esecuzione di fotopiani dei fronti del Ponte Vecchio e strumenti utilizzati

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Tav. 5.16 Restituzioni in fotopiano dei prospetti del Ponte Vecchio con analisi cromatica

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Tav. 5.17 Analisi dello stato di conservazione dei fronti esterni ed interni del Ponte Vecchio con legenda allegata (Fig.5.6)


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Alterazione cromatica Alterazione che si manifesta attraverso la variazione di uno o più parametri che definiscono il colore

Disgregazione/ erosione Decoesione caratterizzata da distacco di granuli o cristalli sotto sollecitazioni meccaniche

Elementi incongrui da sostituire Elementi precari che necessitano di essere sostituiti

Dilavamento / Disgregazione colatura Azione erosiva delle acque meteoriche sugli strati superficiali delle rocce e degli intonaci

Distacco / Mancanza Soluzione di continuità tra strati superficiali del materiale sia tra loro che rispetto al substrato

Rappezzi incongrui Riparazioni inadeguate o eseguite in maniera errata.

Colatura Traccia o andamento verticale; frequentemente se ne riscontrano numerose ad andamento verticale

Macchia Alterazione che si manifesta con pigmentazione accidentale o localizzata della superficie

Alterazione lignea Alterazione o anomalie presenti sulle pareti lignee

Deposito superficiale Accumulo di materiali estranei di varia natura ad esempio polvere o terriccio

Rigonfiamento Sollevamento superficiale e localizzato del materiale che assume forma e consistenza variabili

Degrado antropico Forma di alterazione e/o di modificazione dello stato di conservazione indotta dall’uso improprio

Esfoliazione Degradazione che si manifesta con distacco spesso seguito da caduta di uno o più strati superficiali (sfoglie)

Vegetazione o muffe Locuzione impiegata quando ci sono licheni, muschi, piante o muffe

Coloritura non conforme Colori applicati alle superfici non conformi ai colori del centro storico di Firenze

La superficie del ponte sulla quale è stato possibile effettuare un’analisi del degrado è pari a circa 4301 mq. Sulla base di questo dato è stato possibile approfondire l’entità delle principali patologie ed in quale modo esse influiscono sulla percezione totale del ponte: Alterazione cromatica Dilavamento Deposito superficiale Coloritura non conforme colatura Disgregazione

• Fig. 5.6 Legenda delle patologie rilevate e graficizzate in Tav. 5.17

1372 mq 276 mq 144 mq 119 mq 114 mq 69 mq

31.9 % 6.41 % 3.35 % 2.78 % 2.65% 1.60 %

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Tavv. 5.18, 5.19 Fotopiani delle principali porte medioevali sopravvissute alle demolizioni della cinta muraria di Firenze


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Tavv. 5.20, 5.21 Fotopiani e analisi stratigrafiche di Porta San Frediano e (sotto) delle mura di Santa Rosa.


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Tav. 5.22 Santa Maria Novella. Mappatura del degrado su prospetti e sezioni di tavola Tav. 5.23 Seminario arcivescovile maggiore. Sezione del chiostro di San Bernardo. Sullo sfondo la chiesa di San Frediano in Cestello

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Tav. 5.24 Lato nord del chiostro grande di Santa Maria Novella. Rilievo e (sopra) restituzione in fotopiano Tav. 5.25 Santa Maria Novella. Restituzione della pavimentazione del chiostro grande e impianti

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I colori dell’Oltrarno Il colore è emozione, sensazione, percezione visiva e immagine di una città. Cosa percepiamo quando camminiamo per Firenze? È proprio il colore che ha il compito di costituire quell’unicum urbano che, solitamente, ci rassicura. Ma cos'è che può spezzarlo? Contrasti troppo marcati tra fondo e basamento di un edificio o tra palazzi adiacenti, le sgrammaticatura tra colore e materiale ma, soprattutto, le atipicità cromatiche, cioè quei colori che si pongono in contrasto o in distonia con gli altri, per saturazione, luminosità o tonalità. I colori di Firenze ne definiscono quindi le forme, l’architettura, la percezione e l'ambiente, in un’evoluzione dovuta alla sua storia e alle sue trasformazioni. Sono stati scelti i colori matrice per il restauro delle facciate fra le cromie della tradizione di Firenze e, nello specifico, dell'Oltrarno. Infatti, allo stato attuale, è forte l’alterazione visiva creata da questi edifici, che affacciano direttamente sull’Arno in adiacenza al Ponte Vecchio. L'intento è quindi quello di recuperare anche per l’aggregato edilizio moderno una “maschera cromatica” fiorentina, riducendo così l'impatto visivo in una zona di pregio paesaggistico.


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Tav. 5.26 Riordino cromatico del costruito moderno: l'edificio a causa dall'uniformitĂ dei 2 colori attuali perde la sua caratterizzazione volumetrica dovuta all'avanzamento di alcuni fronti che il progettista intendeva evidenziare per recuperare il senso compositivo dei lotti medioevali perduti. Il progetto cromatico proposto tende a ridare la percezione di tale disegno

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Tav. 5.27 Confronto tra cortine di antica formazione e edifici moderni (assemblaggio di fotopiani)

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Tavv. 5.28, 5.29 Forte Belvedere. Disegno materico e di progetto della piattaforma, trattamento conservativo e di restauro

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Tav. 5.30 Forte Belvedere. Planimetria e sezione ambientale da elaborazione SAPR


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Tav. 5.31 Riqualificazione e progetto conservativo degli ambienti intorno al Chiostro Grande di Santa Maria Novella

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Dallo studio al progetto di restauro

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dallo studio al progetto di restauro Francesco Masci

Abstract In questo articolo vengono affrontate le tematiche relative al progetto del restauro, in prima analisi il restauro conservativo collegandolo poi al progetto per la riabilitazione funzionale. Il progetto di restauro conservativo, coadiuvato da una manutenzione continuativa, ha lo scopo di prevenire il naturale degrado del patrimonio storico. Occorre però garantire un utilizzo continuativo dello stesso, per questo quando non è possibile ricondursi alla funzione originaria occorrerà individuarne una compatibile. La riabilitazione funzionale, come la necessità di provvedere al miglioramento strutturale, rappresenta il miglior mezzo per la conservazione e valorizzazione del bene. This essay examines the theme of conservative restoration. As first step, it approaches to the restoration itself and second, it analyses its combination to the functional redistribution. Conservative restoration, when combined to a constant maintenance, has the aim to preserve historical heritage, from natural deterioration. It’s important anyway, to assure a continuous use of the assets and when it’s not possible to use them as their original function, it will be necessary to identify a new compatible function. Functional redistribution, as well as the need of structural improvement, represents the best way for preserving and exploiting the historical heritage.

L’esperienza didattica In questo capitolo tratteremo le esperienze didattiche svolte negli ultimi anni nei laboratori di Restauro per rappresentare come costituiscano un percorso essenziale di studio. Di come attraverso il percorso didattico del corso si contribuisca a definire nel modo più completo e probabilmente più corretto la progettazione di interventi di conservazione, restauro e riabilitazione funzionale dei casi studio presi in esame. L’azione formativa, in virtù anche del suo misurarsi su progetti di ricerca e convenzioni, simula nella progettazione la realtà della prassi, anticipandone spesso i caratteri sperimentali propri della ricerca universitaria. Il più delle volte nell’esperienza didattica così come nella professione ci si trova di fronte a edifici storici molto connotati o con caratteristiche tali che è molto importante capire quale sia il limite progettuale per valorizzare e dare nuove funzioni (Fig. 6.1), restando nell’ambito della conservazione e del restauro. Queste problematiche di carattere generale sono state affrontate nell’ambito dei laboratori per definire un progetto e valorizzare il bene in oggetto. Dati propedeutici L’obiettivo è stato quello di fornire agli studenti un quadro generale delle metodologie, degli strumenti concettuali e tecnico-scientifici utili al rilievo ed alla conservazione, ma anche degli strumenti di analisi per poter operare sul patrimonio storico edilizio secondo i principi del restauro

pagina a fronte Chiesa di San Giorgio alla Costa, interno Particolare del degrado delle superfici prima del restauro


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Fig. 6.1 Spaccato prospettico del Seminario Arcivescovile Maggiore, progetto delle funzioni e analisi del suono nel teatro musicale

e della rifunzionalizzazione architettonica. La fase più importante è senza dubbio quella del rilievo sul ‘campo’, dove gli studenti hanno operato sia con strumenti tradizionali, rilievo celerimetrico mediante strumentazione topografica classica, sia con la fotografia, questa oggi riserva un ruolo molto importante. Lo sviluppo di software dedicati al rilievo fotografico sta ampliando e snellendo la procedura tra la presa dei dati e il relativo risultato grafico. Il rilievo con le nuove tecnologie ad alta risoluzione ha consentito di acquisire il dato metrico con continuità alla terza dimensione ma soprattutto nella sua rappresentazione ci permette una migliore e più intuitiva comprensione dell’opera nella sua tridimensionalità. I software per la restituzione fotografica delle misurazioni sfrutta il principio dell’omografia1. Trasportando questo principio all’immagine fotografica di un prospetto è possibile effettuare il raddrizzamento di questa per rendere le linee nuovamente ortogonali tra loro. Il passo successivo è quello di rilevare una misura nota sul prospetto, inserirla nel programma di foto restituzione questo attraverso i calcoli con il principio dell’omografia restituirà le misure prese direttamente sul prospetto, pur essendo l’immagine distorta dalla fotografia. Sfruttando l’omografia la rappresentazione (foto) viene ‘messa in scala’ per ottenere la grandezza di riferimento nota nella scala desiderata, sarà possibile quindi rilevare misure direttamente dalla foto e ridisegnare l’immagine. I risultati ottenuti sono fortemente legati al fotopiano, saranno misurabili tutte le misure dell’oggetto ma non saranno rilevabile le porzioni in profondità o gli aggetti di questo sarà sempre necessario il rilievo diretto. (Figg. 6.2, 6.3) L’indagine condotta con attenzione alla ‘lettura’ e datazione dei tipi murari, delle pavimentazioni, delle porzioni tinteggiate e di quelle affrescate serve per dare una classificazione. Un altro intento, conseguente al primo, è stato quello di fornire un ‘riconoscimento’ critico dell’opera, che costituisce la più valida premessa ad ogni aspettativa di tutela e restauro. 1 L’omografia è una trasformazione fra due spazi governata da otto parametri, una relazione tra punti di due spazi tali per cui ogni punto di uno spazio corrisponde ad uno ed un solo punto del secondo spazio.


dallo studio al progetto di restauro • francesco masci

Figg. 6.2, 6.3 Chiesa di San Giorgio alla Costa, fotopiano del progetto di conservazione

Prospetti Chiesa di San Giorgio

Nell’analisi dei complessi edilizi oggetto di studio gli studenti hanno operato in 4 fasi di ricerca principali: la prima di ricerca bibliografica ed archivistica; la seconda dedicata alla lettura tecnica del modo di “murare”, affrontato prima sulla base di un’accurata indagine sul campo e poi seguita da un puntuale lavoro d’interpretazione, comprensione e riordino del materiale; la terza fase, invece, che è stata orientata a definire e spiegare il ‘come’ ed il ‘perché’ delle diverse tipologie, dei diversi materiali e degli elementi di degrado, ha portato alla mappatura cromatica delle superfici (Fig. 6.4), per poter individuare e catalogare i colori di ciascuna superficie (Fig. 6.5), sia essa muraria, tinteggiata, lapidea o affrescata, e per produrre delle tabelle con codici di colore e ipotizzare la fase di intervento. La quarta fase, di cui ne parleremo nello specifico nei paragrafi successivi, è stata quella di redazione del progetto di restauro conservativo e del progetto di riabilitazione funzionale dei complessi monumentali. Il progetto conservativo Come più volte ripetuto nei capitoli introduttivi del libro, la fase di studio del degrado, delle cause che l’hanno prodotto, dell’analisi dei materiali con la necessità di campagne conoscitive preventive (saggi pittorici, prove di carico, analisi strutture lignee, ecc.), condotta in modo rigoroso, è uno strumento indispensabile per gli interventi manutentivi e/o di restauro conservativo. Partendo da questo assunto, è necessario però chiarire che non esiste una metodologia codificata che precisa in maniera univoca i confini del progetto di conservazione, le regole ed i protocolli a cui attenersi, in quanto ogni forma di degrado ha le sue specificità. Con riferimento alla lettura delle patologie che interessano i materiali esistono, in particolare, delle ‘raccomandazioni’, elaborate dai gruppi di ricercatori dell’Istituto

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Fig. 6.4 Chiesa di Santa Felicita in piazza, fotopiano del prospetto interno alla sala del Capitolo con indicazione per l’analisi del colore Fig. 6.5 Chiesa di Santa Felicita in piazza, misure cromatiche del prospetto interno alla sala del Capitolo

Centrale del Restauro e dal CNR2 e dalla Commissione NORMAL3, con lo scopo di stabilire dei metodi unificati per l’intervento conservativo dei manufatti. Intervenire su un bene monumentale, quale ad es. la Chiesa di San Giorgio alla Costa, ed ipotizzare un progetto di restauro, significa acquisire tutte le informazioni relative alla conoscenza materica dell’oggetto, alle cause, ai meccanismi e all’entità del degrado, e allo stesso modo occorre avere le basi scientifiche, conoscere i prodotti e le metodologie da impiegare per l’intervento di restauro. La Chiesa di San Giorgio alla Costa ha rappresentato una novità assoluta per il laboratorio di restauro, in quanto, fino al 2016, la chiesa non era agibile ed erano in corso i lavori per la sistemazione della copertura. Il suo interno ad opera di G.B. Foggini rappresenta uno dei pochi esempi dell’architettura settecentesca fiorentina, entusiasmante lo stile rococò del soffitto ligneo intarsiato a lacunari dorati realizzato nel 1705. La Chiesa di Santa Felicita in Piazza rappresenta un punto cardinale dell’Oltrarno Fiorentino, era la chiesa dei Granduca (dal Corridoio Vasariano si accedeva al Coretto dei Sovrani per assistere alla funzione religiosa); essa nasce sulle fondazioni di una basilica paleocristiana ma al suo interno vi sono capolavori rinascimentali tra le quali la Deposizione del Pontormo, conservata nella Cappella Capponi che fu progettata originariamente da Filippo Brunelleschi. La Chiesa di San Francesco di Sales, opera di Anton Maria Ferri, ha la tipica facciata delle chiese settecentesche, di stile classico con qualche testimonianza barocca. Il corpo centrale, a due piani, bloccato in alto da un basso frontone e collegato ai due corpi laterali da volute. Contrariamente a quanto la struttura della facciata lasciava supporre, la chiesa è a navata unica composta una sala rettangolare con volta a spicchi affrescata sul tema della vita di San Francesco di Sales. Il Seminario Arcivescovile Maggiore, fondato il 4 novembre 1712, è annesso alla chiesa di San Frediano in Cestello nei locali dell’ex monastero dei Cistercensi e delle Carmelitane di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi. All’interno del complesso religioso vi sono due chiostri, il chiostro grande di San Bernardo, deve il suo nome alla statua di San Bernardo di Chiaravalle, posta al centro, che calpesta il 2 3

Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), cit. UNI, Normativa Materiali Lapidei, cit.


dallo studio al progetto di restauro • francesco masci

demonio opera nel 1702 di Giuseppe Piamontini. Il secondo chiostro è dedicato a Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, con al centro la statua della santa, realizzata da Antonio Montauti nel 1726. All’interno del Seminario vi troviamo la stanza di Santa Maria Maddalena, l’ex refettorio ed una biblioteca davvero interessante dove è conservato il celebre ‘Codice Rustici’ del 1448 ed altri testi medievali. (Fig. 6.6) I quattro complessi su menzionati, ciascuno per le proprie peculiarità, hanno rappresentato un’ottima fucina per l’esperienza didattica. La conservazione del costruito storico rappresenta un complesso di

Fig. 6.6 Seminario Arcivescovile Maggiore, fotopiano della biblioteca

decisioni ed azioni eseguite e coordinate da diversi professionisti, con lo scopo di ritardare il naturale degrado dell’edificio e di valorizzarne i contenuti. Il successo del progetto conservativo dipende in maniera rilevante dalla possibilità di mantenerlo in uso, assicurandone cura e manutenzione quasi quotidiana. La possibilità di un utilizzo continuo dipende dalla possibilità di adattare spazi ed impianti, come si vedrà nel paragrafo successivo, alle norme e usi odierni. Gli studenti hanno avuto modo di individuare, a seconda dell’ambito in cui operavano, gli stadi del degrado e proporre il proprio progetto conservativo. Chi si è occupato ad es. delle murature esterne (Fig. 6.7) ha redatto un progetto conservativo per eliminare il degrado an-

Rilievo materico

tropico, l’umidità di risalita, piuttosto che il rappezzo incongruo oppure il deposito superficiale (il tutto riportato in una tavola grafica corredata di tabella che individua: materiali e tipo di degrado, relative e proposte di restauro (Fig. 6.8 + allegato). Gli studenti, invece, che si sono occupati delle superfici interne ai corpi di fabbrica (Tavv. 6.1 e 6.2) hanno eseguito la stessa metodologia per l’individuazione della forma di degrado, della causa e del progetto, ma si è reso necessario individuare anche i cromatismi per progettare il restauro del colore. Il progetto di restauro delle pavimentazioni ha permesso di individuare che la maggior parte degli edifici presi in esame presentava delle alterazioni cromatiche, causate da umidità di risalita, lacune e abrasione delle superfici causate dall’uso e dalla mancata manutenzione (Tav. 6.3). Questi sono solo degli esempi semplici, ma vorremmo che fosse posta l’attenzione sul metodo che il corso ha fornito agli studenti. Per

Analisi del degrado

Fig. 6.7 Seminario Arcivescovile Maggiore di Firenze, fotopiano della facciata principale sul lungarno Soderini, prospetto con analisi del degrado e fotopiano

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Simulazione intervento

Esempio di intervento

Efflorescenza (EF)

Stato attuale

Fig. 6.8 Chiesa di Santa Felicita in Piazza, analisi del degrado, classificazione NORMAL, voce di capitolato e simulazione del progetto di conservazione

Erosione (ER)

Alterazione cromatica (AC)

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capire cosa deve fare nella pratica lavorativa un architetto, è stato utile individuare attraverso la redazione di computi metrici le quantità delle probabili lavorazioni oggetto di restauro. È fondamentale stabilire una connessione reale tra la didattica universitaria ed il mestiere dell’architetto, il quale spesso deve redigere un capitolato prestazionale accompagnato dal computo metrico, anche estimativo della spesa presunta, redatti secondo i riferimenti normativi vigenti. Eseguire un computo metrico non è semplice perché non si tratta soltanto di una quantificazione numerica della lavorazione ma occorre stabilire, avendone conoscenza, la tipologia di lavorazione che deve essere eseguita e gli effetti che questa apporterà al bene oggetto di restauro (Tav. 6.4). Molto spesso in questa prima fase di valutazione delle lavorazioni si prevede di intervenire sulle caratteristiche costruttive o strutturali dell’edificio. Il consolidamento degli immobili storici rappresenta quel ramo della conservazione che si occupa dell’integrità strutturale degli stessi, al contempo minimizzando gli interventi ed allungandone la vita utile. La struttura rappresenta lo scheletro su cui si appoggia l’involucro dell’edificio con i suoi apparati architettonici e decorativi. È quindi fondamentale capire il sistema strutturale ed il suo stato conservativo se si vuole preservare la vita dell’edificio. La conoscenza approfondita del sistema strutturale si può conseguire soltanto analizzando le informazioni recepite a partire dalle fonti storiche-documentali. Soltanto in questo modo sarà possibile comprendere l’evoluzione


dallo studio al progetto di restauro • francesco masci

DEGRADI

ALTERAZIONE CROMATICA (ac)

ESFOLIAZIONE (es)

RIGONFIAMENTO (rg)

MANCANZA (mn)

materiale interessato

Pietra arenaria

Pietra arenaria

Intonaco generico

Pietra arenaria marmo intonaco generico

superficie interessata

C

B-C-D-G-H-L-O

A

A-F-L-M-N-O

posizione

Si presenta in modo piuttosto dif- Si presenta in modo puntuale sulle Si presenta in modo puntuale su Si presenta in modo puntuale sulle pareti, sulle fuso sulle cornici finestre. cornici porte, cornici finestre, colon- una parete (sez. 14). basi attiche delle colonne, sulla lapide marmorea ne, intradosso e ghiera degli archi. (sez. 14) e sulle sedute

cause

• assorbimento differenziato del • Inquinamento atmosferico che supporto aggredisce e disgrega il legante • naturale invecchiamento minerale • esposizione prolungata all’irrag- • composizione chimica e mineragiamento solare logica del materiale • attacco chimo da dilavamento • infiltrazioni di acqua in micro fesmeteorico e deposito di polveri sure del supporto reattive con l’umidità.

restauro (RE)

• Rimozione meccanica a secco • Fissaggio e riadesione delle sfo- • Cauta eliminazione per battitura Per intonaci: manuale o strumentale medianglie sconnesse, distaccate o in delle parti incoerenti ed instabi- • cauta rimozione degli elementi instabili e decote l’uso di spazzole in fibra vegefase di distacco mediante “ferli o rimozione meccanica a secco esi non più recuperabili tale, bisturi, spazzole e aspiratori mature” con consolidanti inormanuale o strumentale di carat- • pulitura a secco tramite impiego di pennelli e/o • impacchi assorbenti a base di acganici, eseguite a pennello e/o tere più energico mediante l’uso spazzole a setole morbide, spugne e aspiratoqua distillata e/o soluzioni di Saspruzzo, previa valutazione di spazzole in fibra vegetale, biri a bassa pressione al fine di rimuovere i consili di ammonio o sodio, supportati • pulitura a secco tramite impiego sturi, spazzole e aspiratori stenti depositi polverulenti da argille, polpa di cellulosa e cardi pennelli e/o spazzole morbide, • Stuccatura con miscele di le- • stuccatura con miscele di leganti ed inerti opta giapponese applicati selettispugne e aspiratori a bassa presganti ed inerti opportunamente portunamente selezionati per qualità, granulovamente con tempi di contatto sione al fine di rimuovere i consiselezionati per qualità, granulometria, colorazione e tecniche di messa in opera stabiliti in base a test preliminastenti depositi polverulenti metria, colorazione e tecniche di (Pu1-St2) ri (Pu1-Pu4) • stesura a pennello o a spruzzo di messa in opera (Pu1-Co3-St2) consolidante-riaggregante orgaPer materiali lapidei: nico da scegliere dopo preventiva • politura campionatura (Pc2-Pu1-Co5) • applicazione di consolidanti • ricostruzione dell’aggetto con elementi di recupero possibilmente similari a quelli mancanti (Pu1-Co5-Ri5)

restauro colore (RC)

Se necessario il ripristino dell’uniformità cromatica sui materiali lapidei si ottiene previo intervento di stuccatura e restauro adeguato delle superfici con l’utilizzo di miscele a base di leganti e matrici minerali in texture adeguate all’originale.

• incompatibilità materica tra la • Azioni dell’uomo problematiche strutturali superficie pittorica e il supporto • soluzioni di continuità conseguanti alla presenmurario za di fessurazioni e di lesioni strutturali • oscillazioni termiche • soluzioni di continuità conseguanti agli stress • infiltrazioni di acqua in micro festermici in prossimità dell’innesto di elementi sure del supporto (acqua meteometallici rica battente o di ruscellamento) • migrazioni di acqua/umidità nel supporto (umidità di condensazione, umidità di risalita, capillarità del terreno, ecc.) • cicli di gelo-disgelo

Non previsto

Tinteggiatura parziale con tecnica Per materiali lapidei: e colore compatibili al contesto, ap- • Non previsto (il ripristino cromatico è conseIn genere basta la pulitura ricostru- plicati a tinta uniforme guente ad un accurato restauro, in quanto gli ire l’uniformità cromatica della pieelementi da ricostruire devono essere trattati tra naturale. compatibilmente al conteso ed alla cromia naturale degli elementi già presenti) Per intonaco cementizio: • tinteggiatura parziale o totale con tecnica e colore compatibili al contesto, applicati a tinta uniforme

dell’edificio nel corso del tempo, formulare diagnosi approfondite sullo stato di ‘salute’ attuale e prevedere il comportamento futuro in modo da progettare le misure di intervento appropriate (Tav. 6.5). Occorre però chiarire che l’attività dell’architetto o dell’ingegnere strutturista nella preservazione degli edifici storici è condizionata da due aspetti fondamentali: quello della sicurezza delle strutture, sancito dalla normativa vigente, e quello della conservazione del valore storico, stabilito dalle Carte del Restauro recepite e codificate a livello nazionale. Tuttavia, spesso questi due aspetti sono in forte

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conflitto tra loro, rendendo la progettazione conservativa un processo di mediazione tra le due parti. A livello mondiale ICOMOS4 e UNESCO5 hanno investito numerose risorse per la conservazione dei beni architettonici in numerose nazioni e per questo motivo sono nati comitati scientifici di analisi e conservazione delle strutture architettoniche, che hanno redatto le Linee Guida con i Principi per la Conservazione Strutturale. Occorre ricordare che malgrado le linee guida, nella realtà i restauratori hanno seguito vie diverse ed i metodi adottati per il restauro non corrispondono al risultato effettivo, dimostrando quanto sia difficile portare allo stesso livello la pratica esecutiva e la teoria che li avrebbe dovuti guidare. Nella realtà il restauro di un immobile si dimostra tanto complesso e univoco da sfuggire da ogni categoria, pertanto nel restauro è fondamentale la conoscenza. La base indispensabile per affrontare i problemi statici delle strutture storiche, per orientare le indagini e le valutazioni diagnostiche e per evitare di perdersi tra le innumerevoli metodologie è quindi conoscere le tipologie strutturali e le tecniche costruttive degli edifici storici. La conservazione degli edifici storici richiede che gli interventi strutturali siano limitati ai casi strettamente necessari e per i quali il grado di sicurezza risulta chiaramente insufficiente, naturalmente stabilire il grado di sicurezza risulta molto complesso e problematico. Allo scopo di evitare o limitare quanto più possibile gli interventi ed in particolare quelli strutturali è determinate la scelta del riutilizzo appropriato dell’edificio. Spesso chi opera la scelta dell’uso dell’edificio (committente) ha interessi diversi, il più delle volte economici, da quelli che animano gli specialisti del restauro (progettisti) e non conosce a fondo le esigenze della conservazione. Un classico esempio può essere rappresentato da un edificio monumentale trasformato in biblioteca o museo, risulta ovvio che i piani terra od interrati debbano essere scelti per il deposito dei libri o dei reperti perché caratterizzati da carichi ingenti. Le volte e gli impalcati in legno per assolvere a questa finzione necessiterebbero di rinforzi strutturali non compatibili con la conservazione. È opportuno sottolineare inoltre che nelle zone ad elevato rischio sismico gli edifici storici non dovrebbero essere destinati a funzioni strategiche o di grande affollamento. Le scelte per l’uso appropriato dovrebbero tenere conto anche delle esigenze impiantistiche e di sicurezza ai fini antincendio. Per fortuna la normativa italiana viene incontro all’edificato monumentale con deroghe sui requisiti di isolamento termico, sulle caratteristiche prestazionali antincendio, sull’abbattimento delle barriere architettoniche. Il problema della sicurezza degli edifici storici in muratura e legno è stato ed è tutt’ora molto dibattuto, soprattutto a seguito degli ultimi terremoti, si sono sviluppate due scuole di pensiero; quella più vicina al mondo dell’Architettura privilegia la conservazione dell’edificio storico con posizioni a volte rigorose ed a volte più disponibili a compromessi. L’altra scuola di pensiero (più vicina alla cultura International Council on Monuments and Sites (ICOMOS) è un’organizzazione internazionale non governativa che ha principalmente lo scopo di promuovere la teoria, la metodologia e le tecnologie applicate alla conservazione, alla protezione e alla valorizzazione dei monumenti e dei siti di interesse culturale. 5 United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization, organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, creata con lo scopo di promuovere la pace e la comprensione tra le nazioni con l’istruzione, la scienza, la cultura, la comunicazione e l’informazione. 4


dallo studio al progetto di restauro • francesco masci

ingegneristica) mette in primo piano la sicurezza e tende a sottovalutare le esigenze della conservazione. Il tema non può essere affrontato in maniera unilaterale occorre individuare il compromesso tra le esigenze della conservazione e quelle della sicurezza attraverso un confronto delle idee dei singoli tecnici che lavorano intorno ad un bene monumentale, occorre quindi una flessibilità di pensiero che spesso non si riesce ad individuare nei tecnici coinvolti. La riabilitazione funzionale Entrambi i corsi dei laboratori di restauro vogliono ‘consapevolizzare’ gli studenti sull’importanza della formazione specialistica, del continuo aggiornamento tecnico e, per i più giovani, della frequentazione di scuole post-laurea oltre che raccomandare una formazione permanente ed un continuo scambio di esperienze con altri colleghi o professionisti che ruotano intorno al restauro. Quando si ‘conserva’ un bene, la prima intenzione non deve mai essere economica, anche se ha sempre un ruolo fondamentale in quanto nel restauro architettonico, si impegnano ingenti fondi, privati o pubblici. Ricordiamo che per ogni monumento/edificio danneggiato o addirittura ‘perduto’, non c’è rimedio economico perché ormai è perduto definitivamente, per questo motivo è importante la conservazione, il che non vuol dire rinunciatario sul piano del progetto, ma implica al contrario un approccio di impegno e rispetto. I beni storici richiedono un’attenzione particolare, ci si deve accostare loro con pazienza, sicurezza di metodo, rilevandoli personalmente (ove possibile), studiandoli e interpretando le loro trasformazioni e stratificazioni, nella loro struttura, nei loro sviluppi temporali e nei materiali. Assolta la fase conoscitiva preliminare, anche con il supporto di mirate indagini diagnostiche, si dovrà poi discutere e progettare un adeguamento delicato, cha nasce dalla conoscenza preventiva dell’edificio e delle sue ‘vocazioni’ funzionali. La grande responsabilità dell’architetto restauratore è quella di apportare delle scelte progettuali, tanto più corrette quanto più indirizzate su binari metodologici frutto della conoscenza. Occorre ricordare che è inutile restaurare ‘le sole pietre’ se contemporaneamente non si pensa anche a restituire una funzione all’immobile, non necessariamente quella originaria (anche se sarebbe preferibile) bensì compatibile (Figg. 6.9, 6.10). Spesso, e specie nel caso degli immobili oggetto di studio, gli studenti si trovano difronte al dilemma restauro o riuso/riabilitazione funzionale? La riabilitazione funzionale rappresenta un mezzo per garantire realmente la conservazione di un bene. Un monumento privo di funzione si deteriora rapidamente, mentre un edificio storico tenuto in efficienza può sfidare secoli, pensiamo al Pantheon. Abbiamo potuto riscontrare ciò anche nei casi studio: da un lato gli edifici ancora ‘vivi’ di Santa Felicità in Piazza, Seminario Arcivescovile Maggiore e dall’altro quelli abbandonati di San Giorgio alla Costa (caso a parte è la Chiesa di San Francesco di Sales, oggetto di un recente restauro e riabilitazione funzionale di tutto il complesso dell’ex- Conventino). Occorre a questo punto affermare che «La funzione ed il riuso per il restauro sono un mezzo e dei più efficaci, ma non sono tuttavia il fine dell’intervento» (Miarelli Mariani 1975).

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Fig. 6.9 Seminario Arcivescovile Maggiore – schemi di progetto con analisi dei percorsi

Le esperienze didattiche finalizzate alla migliore comprensione del tutto in chiave di restauro hanno confermato che nell’operazione di recupero spesso si privilegia la funzione e ad essa si adatta l’oggetto, ma in questo modo il ruolo dell’architetto è più vicino al progettista del nuovo; nel restauro occorre quindi combinare abilmente le due problematiche, il bene nella sua concretezza materiale e le funzioni ad esso meglio compatibili. Non si tratta quindi di indicare un ‘restauro di ripristino’ in forme e con tecniche analoghe all’antico, o di rifare ‘una copia’ come era prima o come si presume che fosse, ma di conoscere in modo approfondita l’edificio storico e di individuare la funzione più adatta che potrebbe farlo rivivere. Abbiamo cercato di far comprendere agli allievi che spesso l’antico rimesso a nuovo è sgradevole e non è corretto rinnovare o stravolgere completamente gli interni con la pretesa del migliore adeguamento alle esigenze funzionali, perché non si tratta più di restauro o conservazione, ma di puro esercizio di arredamento. Le nuove funzioni dovranno invece essere soddisfatte senza che si rinunci a conservare l’identità del monumento (Tav. 6.6); se questa finisse per perdersi allora l’edificio diventerebbe “altro da se stesso”. Dopo queste riflessioni di carattere generale, si possono considerare in maniera più dettagliata i problemi della riabilitazione funzionale degli edifici storici; abbiamo cercato di far capire agli allievi che occorre favorire un restauro “dinamico” e propositivo, rispetto ad uno “statico” e vincolistico, e in questo modo si avrà la possibilità di restituire, attribuendo idonee funzioni, una nuova vita a molti edifici che soffrono di abbandono. Le funzioni idonee, nel caso non sia possibile mantenere quella originaria, saranno individuate con l’analisi storico-critica dell’edificio e dell’intorno urbano, estesa agli aspetti artistici, testimoniali e documentari.


dallo studio al progetto di restauro • francesco masci

L’analisi dei valori Da qualche anno a questa parte, a passo con i tempi e con il grande uso dei social network da parte dei giovani studenti di architettura, il corso di restauro ha introdotto una novità per aiutarli nella fase progettuale e di valorizzazione: la redazione di moodboard6, una tavola delle emozioni, dei valori e dei disvalori percepiti in un determinato contesto. L’elaborato è stato riproposto in modo originale dal Prof. Centauro nel percorso di studi orientativo del restauro per stimolare l’approccio conoscitivo proprio del restauro nel prendere coscienza dei valori da salvaguardare, per stimolare tutto questo da parte degli studenti (Tavv. 6.7-6.10). Nel campo del restauro la creazione di un moodboard come un concept di progetto significa riportare, una volta raccolti tutti i dati di rilievo, storici e documentari, un racconto ben strutturato per comunicare il proprio messaggio propositivo; una sorta di narrazione visiva volta a focalizzare il proprio processo creativo che porta al progetto di riabilitazione funzionale della fabbrica e di valorizzazione di parti o dell’intero complesso della fabbrica stessa. La rappresentazione visiva, fatta di immagini e di schizzi, è spesso molto più forte di mille parole o di un disegno geometrico leggibile solo da addetti ai lavori. Nel nostro caso specifico ci sono stati studenti che nel progetto di San Giorgio alla Costa hanno trovato ispirazione nelle grate del coretto o negli organi; nel progetto di Santa Felicita in Piazza, nella vita religiosa delle suore di clausura, nell’ascolto del silenzio che si ha all’interno del chiostro oppure nel percorso del Granduca lungo il Corridoio Vasariano (Tav. 6.11); nel progetto del Seminario Arcivescovile Maggiore alcuni moodboard si sono aperti più alla città e coinvolto la vita dei seminaristi con il quartiere di San Frediano, oppure hanno raccolto tutti i dettagli caratteristici di quel edificio per individuare un percorso conoscitivo di unione tra Lungarno e quartiere (Fig. 6.10); altri hanno individuato nel concetto di ospitalità la fonte di ispirazione del progetto. Per la Chiesa di San Francesco di Sales gli studenti hanno indicato il proprio moodboard nel percorso del silenzio; avere una chiesa che si trova all’interno di una corte accessibile solo da un ingresso e protetta dalle mura storiche di Firenze ha posto le basi per il loro progetto come luogo di preghiera, di rifugio e come sosta sulla via dei pellegrini. Il passo successivo è stato quello di trasferire le idee ed i concetti espressi nella tavola delle emozioni in un progetto condivisibile, che riportasse ‘vita’ laddove non era più presente o che individuasse una nuova funzione che fosse affine con la fabbrica stessa.

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Dall’inglese mood “umore” e board “tavola”.

Fig. 6.10 Seminario Arcivescovile Maggiore, al centro della vita del quartiere, schemi di progetto con analisi dei percorsi

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Fig. 6.11 Chiesa di Santa Felicita in Piazza – stato sovrapposto, indicazione delle demolizioni e costruzioni

I gruppi degli allievi hanno lavorato sviluppando diverse idee a seconda dei temi assegnati: • Nella Chiesa di San Francesco di Sales il progetto è stato tradotto in un recupero del cammino del pellegrino. (Tav. 6.12) • Nella Chiesa di Santa Felicita in Piazza il moodboard si è tradotto nella creazione di un progetto museale degli spazi minori della chiesa (Tav. 6.13), collegando il chiostro e la sala capitolare con il Corridoio Vasariano (Tav. 6.14), riaprendo il percorso del Granduca fino a giungere all’interno della chiesa e della corte interna (Tav. 6.15); altri studenti hanno individuato dei percorsi diversi in base all’utilizzo: quello religioso con ingresso dalla Piazza; quello museale degli oggetti sacri con ingresso da via San Giorgio e quello museale della chiesa-museo di Santa Felicita con il percorso intramuros7 visita della chiesa stessa (Tav. 6.16), osservazione dell’estradosso della Cupola Brunelleschiana a copertura della cappella Barbadori- Capponi8 e collegamento con il palchetto Granducale (Tav. 6.17). • Il Seminario Maggiore Fiorentino ha prodotto diversi progetti con alcune tematiche molto importanti; quasi tutti hanno indicato un’apertura del complesso monumentale alla città, per far in modo che ci fosse una correlazione continua tra l’attività seminariale, relegata ad una porzione dell’edificio e il resto della città, caratterizzata dalle botteghe artigiane di San Frediano. All’interno del complesso sono state ipotizzate diverse nuove funzioni, tutte affini con l’attività seminariale (Tavv. 6.18, 6.19); alcuni hanno previsto la riapertura al pubblico della splendida biblioteca collegandola con laboratori musicali (Fig. 6.1); altri hanno individuato il percorso dell’emergenza abitativa, in quanto Dal latino intra “dentro” e muros “muro”. La cappella Barbadori e poi Capponi (vedi cap. 5.3) si trova immediatamente a destra dell’ingresso principale, oltre a rappresentare un primo esempio dell’architettura di Filippo Brunelleschi, è famosa per conservare la Deposizione, una grande tavola considerata uno dei capolavori di Jacopo Carucci detto il Pontormo. 7 8


dallo studio al progetto di restauro • francesco masci

una porzione del corpo di fabbrica è stato progettato per garantire un alloggio di fortuna a persone bisognose o ospiti. • La Chiesa di San Giorgio alla Costa, fuori dal percorso turistico fiorentino, ha permesso agli studenti di intervenire per fare in modo che con i loro progetti questa potesse entrare in nuovi circuiti visitati dai turisti con il “percorso delle Coste” che da Piazza Santa Felicita porta fino al Forte Belvedere (Tav. 6.11). I progetti su menzionati non si sono occupati esclusivamente della singola fabbrica ma si sono estesi anche alla scala urbana, coinvolgendo l’immediato intorno e cercando sempre una relazione tra quello che è l’esterno e le funzioni interne all’immobile oggetto di studio. In conclusione vorremmo ribadire che il progetti architettonici elaborati dagli allievi durante i laboratori di Restauro non hanno adeguato il corpo di fabbrica alla funzione, ma hanno dimostrato che con piccole modifiche planimetriche (Fig. 6.11), con l’inserimento dei nuovi collegamenti verticali (ascensori), con la progettazione di elementi reversibili e/o rimovibili e nel rispetto del costruito esistente, si può operare all’interno di edifici con innumerevoli criticità funzionali e di accessibilità, la rappresentazione grafica migliore è quella degli esplosi assonometrici per avere una lettura generale dei vari livelli del corpo di fabbrica (Fig. 6.12).

Fig. 6.12 Seminario Arcivescovile Maggiore – schemi assonometrico delle funzioni e dei percorsi

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Tav. 6.1 Chiesa di Santa Felicita in Piazza, sezione della Sala Capitolare, analisi del degrado dell’affresco

Principali patologie rilevate Efflorescenza Erosione Alterazione cromatica Esfogliazione Cavillatura Lacuna Distacco Mancanza

Tav. 6.2 Chiesa di Santa Felicita in Piazza, analisi del degrado della Cappella Maggiore, fotopiani con simulazione del progetto di conservazione


dallo studio al progetto di restauro • francesco masci

Tav. 6.3 Chiesa di Santa Felicita in Piazza, analisi del degrado in porzione della pavimentazione e fotopiano con simulazione del progetto di conservazione

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Tav. 6.4 Chiesa di Santa Felicita in Piazza, parete e cappelle a cornu epistulae, analisi dei materiali e fotopiano


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Tav. 6.5 Chiesa di Santa Francesco di Sales, progetto conservativo delle pareti interne alla chiesa. Interventi finalizzati alla conservazione

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Tav. 6.6 Chiesa di Santa Felicita in Piazza, simulazione per il progetto di rifunzionalizzazione degli spazi attigui alla chiesa pagina a fronte Tav. 6.7, 6.8 Seminario Arcivescovile Maggiore di Firenze, moodboard e concept di progetto


dallo studio al progetto di restauro • francesco masci

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Tav. 6.9, 6.10 Seminario Arcivescovile Maggiore di Firenze, moodboard e concept di progetto


dallo studio al progetto di restauro • francesco masci

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Tav. 6.11 Chiesa di Santa Felicita in piazza e Chiesa di San Giorgio alla Costa, piani delle funzioni


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Tav. 6.12 Chiesa di San Francesco di Sales, riabilitazione funzionale e studio planimetrico dell’intorno con simulazione e fotoinserimento dell’arredo urbano

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Legenda Spazi polifunzionali Sala concerti Esposizione temporanea Esposizione permanente Spazi parrocchiali Spazi distributivi Biblioteca

Tav. 6.13 Chiesa di Santa Felicita in Piazza e chiesa di San Giorgio alla Costa, progetto correlato con nuove destinazioni e schema dei percorsi, piano delle funzioni


dallo studio al progetto di restauro • francesco masci

Tav. 6.14 Oltrarno fiorentino, progetto del percorso delle Coste, alternativo al Corridoio Vasariano per valorizzare le chiese ed i giardini fino a Boboli, piano degli itinerari proposti

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Tav. 6.15 Chiesa di Santa Felicita in piazza, progetto di riabilitazione funzionale, con dei percorsi negli ambienti nascosti


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Il progetto di rifunzionalizzazione del complesso di Santa Felicita prevede la separazione degli ambienti della canonica e del museo. Per distinguere i flussi dei diversi utenti sono previsti due accessi. Gli ambienti presenti in precedenza della canonica sono stati riorganizzati in diversi spazi: ufficio del parroco, oratorio e servizi igienici. Il percorso museale si sviluppa intorno al chiostro, negli ambienti superiori e all’interno della chiesa. Oltre al percorso museale sono stati previsti due ambienti, archivio e biblioteca rispettivamente al piano terra ed al piano primo. La parrocchia presenta attività rivolte a tutte le esigenze dei parrocchiani; il Catechismo, per giovani di ogni età, dal Battesimo alla Prima Comunione, alla Cresima, fino alle funzioni che si rendono necessarie a compimento della catechesi pastorale.

Tav. 6.16 Chiesa di Santa Felicita in piazza, progetto di riabilitazione funzionale, con sottolineatura di alcuni elementi ‘sensibili’ del progetto

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Tav. 6.17 Chiesa di Santa Felicita in piazza, progetto di riabilitazione funzionale, con dei percorsi negli ambienti nascosti


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Tav. 6.18 Seminario Arcivescovile Maggiore di Firenze, progetto di valorizzazione del piano terra con rendering di studio del piazzale interno e degli spazi urbani limitrofi (piazza del Cestello)

Tav. 6.19 Seminario Arcivescovile Maggiore, progetto di riabilitazione funzionale del piano terra e rendering di studio delle corti interne ed esterne

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Procedure e normative nel restauro

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procedure e normative nel restauro Luca Brandini

Abstract Il progetto di restauro contiene vari aspetti e modalità che attraversano tutto il processo dialettico del restauro architettonico in chiave concettuale e intellettuale ma allo stesso tempo il suo contenuto e attuazione è costituito da procedure autorizzative, tutela e controllo del bene sottoposto a progetto e non in ultimo da aspetti organizzativi e comunicativi. Gli argomenti trattati hanno l’ambizione di costituire una guida per comprendere meglio tale tipologia di progetto per chi si approccia all’ambito del restauro architettonico e per chi intraprende un percorso didattico formativo costituendo un approfondimento delle conoscenze con una visione d’insieme. Il presente articolo raccoglie varie lezioni ed esperienze seminariali all’interno dello stesso corso di Restauro del Professore Giuseppe Alberto Centauro sviluppate e trattate per dare nozioni base agli studenti e stimolare riflessioni sul rapporto tra progetto architettonico come invenzione e risoluzione di obiettivi e quello di restauro al quale si aggiungono aspetti culturali, storici e di tutela. The restoration project contain various aspects and modalities that cross the whole dialectical process of architectural restoration in a conceptual and intellectual key, but at the same time its content and implementation consist of authorization of procedures, protection and control of the property subjected to the project and not least from organizational and communication aspects. The topics dealt with have the ambition to constitute a guide to better understand this type of project for those approaching the field of architectural restoration and for those who undertake a training educational path, establishing a deepening of Knowledge with an overview. The present article contains various lectures and seminar experiences within the same course of restoration of professor Giuseppe Alberto Centauro developed and treated to give basic information to the students and stimulate reflections on the relationship between architectural project as invention and resolution of objectives and restoration to which are added cultural, historical and protection aspects.

Riferimenti normativi e aspetti culturali, storici del progetto Per meglio comprendere il rapporto tra progetto architettonico, come invenzione e risposta di obiettivi prefissati, e progetto di restauro si possono estrapolare, all’interno delle seguenti frasi, alcuni concetti illustri che hanno guidato il ‘fare progetto’ nel tempo: …tre cose in ciascuna fabbrica (come dice Vitruvio) devono considerarsi, senza le quali niuno edificio meriterà esser lodato; e queste sono l’utile, o comodità, la perpetuità, e la bellezza: perciocché non si potrebbe chiamare perfetta quell’opera, che utile fosse, ma per breve tempo. /…/ sarà bene evitare d’intraprendere una costruzione che, pur rispondendo ai requisiti di utilità, decoro, possibilità di esecuzione, ed essendovene opportunità in quel momento, pur tuttavia sia di tale natura che in breve tempo vada in rovina. /…/ … sarà compito degli esperti concepire e determinare in anticipo ogni cosa, per evitare che, quando l’opera fosse in costruzione o già terminata si abbia a dire: questo non andava fatto! o: sarebbe stato meglio in altro modo … (Cetica P.A. 2003).

pagina a fronte Prato, cerchia del XIV sec., particolare Le cortine murarie, liberate dagli addossati, prima del restauro delle superfici


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Cos’è possibile trarre da tali assiomi? Come si può relazionare l’architetto restauratore con il panorama attuale del mondo del restauro? Provo a semplificare con questa sintesi: l’artista in questo contesto sociale non deve essere un semplice artigiano, ma un intellettuale preparato in tutte le discipline ed in tutti i campi … (ibidem)

Regole e strategie del progetto Ogni progetto rappresenta una programmazione per il raggiungimento e il soddisfacimento di obiettivi/bisogni. Pertanto, il processo della programmazione di un’opera segue un sistema biunivoco di verifiche e validazioni le quali semplificano il raggiungimento dell’obiettivo finale. A tale scopo, anche nel settore della conservazione e del riuso, l’architetto costruisce un sistema di controllo sulle varie fasi del progetto al fine di garantire non solo il raggiungimento degli scopi ma anche un livello qualitativo privo di errori formali e/o di produzione. Questo modo di procedere potrebbe sembrare molto automatizzato ma in realtà è stato verificato, anche in ambito didattico, che evita continui cicli di feedback faticosi con notevoli possibilità di errori. Si riportano di seguito alcune regole o strategie generali che sono di supporto al raggiungimento degli obiettivi e della qualità progettuale anche in ambito di restauro: • qualità del processo progettuale biunivoco con qualità dell’opera costruita; • Il progetto come risposta alle richieste della Committenza; • Il progetto come invenzione, come creazione del nuovo o riuso del ‘vecchio’; • Il progetto come consapevolezza della realtà che ci circonda; • Il progetto come individuazione delle specifiche prestazionali dell’opera che si intende realizzare; • Il progetto come attività coordinata di soluzione dei vari aspetti dell’esecuzione in modo da garantire la piena funzionalità, la qualità, la durabilità del manufatto; • Il progetto come risposta alle specifiche normative; • Il progetto come gestione economica dell’intero processo di realizzazione. (Figg. 7.1, 7.2) Nelle procedure del restauro architettonico la diagnostica costituisce quell’insieme di prove ed indagini, nella maggior parte dei casi preliminari alle scelte di intervento e al cantiere, che consentono di approfondire la conoscenza della preesistenza e del suo stato di conservazione. Un corretto progetto della fase diagnostica può dunque condurre ad una definizione puntuale del più generale progetto di restauro evitando o limitando le varianti in corso d’opera e garantendo, al contempo, la conservazione dell’integrità materiale del manufatto. Nel progetto di restauro, la diagnostica assume una sua validità se rapportata agli altri ambiti di analisi (rilievo, ricerca storica, analisi dei meccanismi di degrado): solo in questo modo si può aumentare la soglia della conoscenza del manufatto su cui si interviene, ampliando i limiti dell’osservazione diretta, che resta comunque, una fase irrinunciabile. In tal modo è auspicabile


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Figg. 7.1, 7.2 Mura della Città di Arezzo, Baluardo del Poggio del Sole. Laboratorio di Restauro A.A. 2010/2011 Prof. G.A. Centauro, Arch. L. Brandini (studenti: C. Garuti, A. Morandi, A. Mucci)

Degrado

Ipotesi di intervento

Vegetazione infestante

Rimozione della vegetazione infestante radicata alla muratura. Consolidamento e protezione della superficie lapidea.

Muschio

Pulitura generale e lavaggio degli strati superficiali con acqua nebulizzata e spazzole di saggina. Trattamento disinfestante, trattamento idrorepellente.

Macchia + patina biologica

Pulitura generale e lavaggio degli strati superficiali con acqua nebulizzata e spazzole di saggina. Trattamento disinfestante, trattamento idrorepellente.

Patina biologica

Pulitura genera le e lavaggio degli strati superficiaIi con acqua nebulizzata e spazzole di saggina Trattamento disinfestante, trattamento idrorepellente.

Efflorescenza

Pulitura generale degli starti superficiali. Eliminazione degli effetti indotti dalla presenza di acqua.

Erosione

Consolidamento. Ricostruzione della parte degradata. Protezione.

Esfoliazioni

Pulitura (ove necessaria). Consolida mento e protezione della superficie lapidea.

Fessurazioni

Eliminazione degli effetti indotti da lla presenza diacqua (per acqua di risalita capillare proveniente dal piano di campagna, per mezzo di barriere di deumidificazione che impediscono o inibiscono la risalita; per acqua di infiltrazione,rifacimento di mantelline dicopertura). Risarcitura lesioni.

Mancanza

Pulitura con spazzole di saggina. Consolidamento mediante stuccature minime con prodotti adesivi costituiti da resine sintetiche miscelati con ca lce idraulica additivata con pietra macinata.

Il progetto del nuovo parco si configura come un elemento nuovo caratterizzato da pochi “movimenti” dal punto di vista architettonico. Uno degli obiettivi principali scaturiti in fase di concezione riguarda la connotazione degli accessi. Questi infatti, sia che si tratti dell’accesso da via Piero della Francesca o da via Frà Guittone devono avere come principale requisito quello di attrarre il visitatore e garantire allo stesso un accesso agevole. In particolare, provenendo da via Frà Guittone il visitatore avrà una percezione dello spazio dilatata rispetto all ‘attuale situazione, connotata da una scarpata che arriva fino all’altezza di 330 cm circa. L’obiettivo dunque, si rafforza nella proposta progettuale, ovvero ritagliare una porzione di superficie “utile” del parco per favorire la creazi­one di una piccola piazza di ritrovo che ha la funzione di filtro, per colui che in maniera piuttosto libera voglia raggiungere il parco, il garage, oppure tornare al livello sottostante che si trova ad una quota di -6,50 mt. rispetto a via Frà Guittone

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Figg. 7.3, 7.4 Progetto di riqualificazione e riuso della fortezza Medicea e del sistema delle mura della città di Arezzo (arch. L. Brandini, 2005)

modulare le indagini in relazione agli obiettivi del progetto di restauro e alle specifiche caratteristiche della fabbrica su cui si interviene e alle esigenze normative ed amministrative. (Figg. 7.3, 7.4) L’architetto restauratore, con alla base un certo livello di preparazione frutto di un percorso formativo adeguato, è chiamato ad assumere un ruolo fondamentale nel rapporto con gli specialisti, essendo in grado di individuare la tipologia di indagine più adatta ai suoi obiettivi e di comprenderne i risultati, al fine di predisporre in maniera accurata il progetto degli interventi di restauro in modo coordinato. Pertanto, l’architetto deve avere potuto svolgere un percorso formativo adeguato nel campo della conservazione proprio perché la figura dell’architetto restauratore è chiamata ad assumere una veste di coordinatore del progetto e controllore della qualità, quindi esperto nelle tecniche e nella conoscenza della materia, preparato a gestire il complesso processo di tutela, che è insito nello stesso bene sottoposto ad interesse storico, artistico, culturale, etno-antropologico e paesaggistico. Rapporti, relazioni e pareri nella compilazione del progetto Nelle esperienze seminariali e a livello didattico si è posto l’accento sull’importanza dei rapporti-relazioni-pareri in modo da far comprendere il passaggio dalla progettazione pura alla realtà e come il progetto debba relazionare costantemente con queste tematiche. Infatti, nel progetto di restauro fondamentali sono i livelli di progettazione i quali per passare da uno all’altro necessitano di idonei pareri (autorizzazione Soprintendenze) e validazioni dei rispettivi organi competenti (Comune e Genio Civile territorialmente competenti). Se si entra nello specifico nel progetto di opera pubblica la stessa normativa, da più di trenta anni, definisce i livelli di progettazione nel dettaglio i quali diventano vincolanti sia in termini di validazione ma anche di procedure amministrative, pertanto il progetto passa attraverso i tre livelli (preliminare, definitivo ed esecutivo) con una serie


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Fase IX Assistenza tecnico amministrativa

Fase I Attività preliminari Fase II Raccolta documentazione e dati

Fase IV Progettazione preliminare

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Fase V Progettazione definitiva

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Fase VI Progettazione esecutiva

Fase X Qualità

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Fase III Selezione obiettivi e valutazione scenari alternativi

Appalto opere

Fase VII Direzione Lavori

Fase XI Informatizzazione

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Fase VIII * Coordinamento lavori Sicurezza (D.Lgs. 494/96 es.m.i)

di feedback e controlli sia istituzionali che organizzativi fino a raggiungere i necessari approfondimenti esecutivi che trasformano il progetto in cantierabile ‘ingegnerizzato’. Nei rapporti del progetto di restauro sia pubblico che privato ci sono anche i necessari e obbligatori passaggi con la committenza la

Figg. 7.5 Schema per la definizione dei Rapporti con Committenza ed Enti

quale attraverso i suoi responsabili valida il lavoro svolto e autorizza il passaggio agli approfondimenti successivi. Questo sistema organizzativo rimarcato dalla normativa oggi, con l’implemento della condivisione del progetto in rete, potrebbe essere velocizzato e migliorato introducendo un concetto di controllo dinamico delle varie figure in gioco. (Fig. 7.5) Dal gennaio 2019 è stato introdotto il decreto BIM (Building Information Modeling) il quale prevede l’obbligo di depositare il progetto in estensione BIM (ifc) per opere da 100 milioni in su, poi gradualmente verranno comprese quelle di minore importo fino al 2025. Tale obbligo normativo deriva dalla necessità di condividere la complessità del progetto tra varie figure professionali che si occupano del processo evolutivo delle scelte (progetto). L’acronimo BIM che potremmo tradurre come Modellazione Informativa dell’Edificio, o più genericamente Modellazione Informativa Digitale, nella sua accezione più generale rappresenta una metodologia di lavoro per comunicare informazioni (Informations); semplificando BIM è un database informativo impostato su un modello digitale tridimensionale. Pertanto, da non confondere con uno specifico software, tantomeno in un semplice modello geometrico tridimensionale e neppure in un insieme di informazioni. Nello specifico Building Information Modeling è una metodologia di lavoro che, servendosi di strumenti tecnologici avanzati (software dedicati), attraverso modelli tridimensionali parametrici, permette di leggere, gestire, estrapolare condividere in qualsiasi momento, le informazioni assegnate ai vari elementi del modello. Anche nel progetto di restauro condividere in tempo utile le informazioni può essere un valido supporto per far interagire tutte le figure professionali (consulenti e progettisti di impianti e strutture, ecc.).

*

Rapporti alla committenza Pareri, autorizzazioni, approvazioni di Enti e Amministrazioni competenti

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Non in ultimo la catalogazione in un sistema informatico interscambiabile potrebbe essere un valido supporto per la gestione della manutenzione del patrimonio immobiliare e non soggetto a tutela. Tutela del patrimonio culturale tra adempimenti e opportunità Il progetto di restauro fa riferimento ai beni culturali subordinati all’azione di tutela che si realizza attraverso l’emanazione di un decreto (vincolo), contenente la dichiarazione dell’interesse culturale di un bene immobile o mobile. I riferimenti o gerarchia delle azioni possono essere riassunti in tutela, conservazione e valorizzazione. Possiamo suddividere la tutela a secondo dei seguenti vincoli: • Vincolo Paesaggistico – prescrizioni di tutela indiretta. • Vincolo ope legis – tutela patrimonio culturale pubblico. • Vincolo per importante interesse culturale. • Vincolo sui Beni culturali oggetto di specifiche disposizioni di tutela. La tutela la possiamo individuare in quella indiretta con la quale il ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, che non sia danneggiata la prospettiva o la luce e non siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro (art. 45 del D. Lgs. 42/2004, ex art. 21 della L. 1089/1939). Il vincolo che fa riferimento a tale sistema di tutela è quello del vincolo paesaggistico che contiene la quasi totalità dei nostri centri storici e i territori aventi pregio ambientale. La finalità è quella di mitigare l’inserimento di opere edilizie e infrastrutture in questi spazi: non si preclude comunque del tutto la possibilità di costruire, ampliare ed edificare, ma tutto ciò va fatto secondo indicazioni e parametri tali che gli interventi non possano danneggiare il pregio paesaggistico e ambientale della zona, ma invece ne rispettino e ne preservino il valore. Per queste aree tutelate il Comune non è più l’unico ente preposto a decidere riguardo gli interventi edilizi: occorre l’autorizzazione paesaggistica rilasciata da enti gerarchicamente sovraordinati, come la Regione, su parere vincolante della Soprintendenza ai Beni paesaggistici e ambientali. Altro vincolo che determina tutela è il Vincolo ope legis. L’articolo 10, comma 1 del Codice degli appalti chiarisce che sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.

Sono compresi in tale segnalazione di tutela: • I musei, pinacoteche, gallerie ed altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli enti ed istituti pubblici;


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• Gli archivi e i singoli documenti dello Stato; • Le raccolte librarie delle biblioteche. Il comma 5 dello stesso art. 10 specifica che «non sono soggette alla disciplina del presenti Titolo (Titolo 1 Parte II) le cose che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre 50 anni» (n.d.R. ora elevato a 70 anni a norma della L. 106/2011).Ciò determina che i beni appartenenti agli enti siano vincolati Ope Legis (ex art. 4 L. 1089 / 1939). Altre categorie dei Beni Culturali tutelati ai sensi dell’art. 13 sono rappresentate da beni mobili e immobili sui quali in relazione all’interesse e valore viene apposto con decreto il vincolo. Nello specifico si riportano i casi principali: • Le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico ed etno-antropologico particolarmente importante (comprese le ville, i parchi e i giardini, le pubbliche piazze, i siti minerari, le architetture rurali). • Gli archivi e i singoli documenti che rivestano interesse storico particolarmente importante. • Le raccolte librarie di eccezionale interesse culturale. • Le cose immobili e mobili che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura dell’arte “della scienza, della tecnica, dell’industria” e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose. • Le collezioni o serie di oggetti che per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica ed etnoantropologica rivestano come complesso un eccezionale interesse. Infine, abbiamo i beni culturali oggetto di specifiche disposizioni di tutela di cui all’art. 11: • Gli affreschi, gli stemmi, i graffiti, le lapidi, le iscrizioni, i tabernacoli ed altri elementi decorativi, esposti o non alla pubblica vista, per i quali, ai sensi dell’art. 50 comma 1, è vietato il distacco senza l’autorizzazione della competente Soprintendenza. • Gli studi d’artista. • Le aree pubbliche. • Le opere d’arte e di architettura contemporanee. • Le vestigia della Prima guerra mondiale. Per ognuno dei casi di tutela può essere valutata l’effettiva sussistenza del valore per il quale è stato apposto il vincolo. A tale riguardo la disciplina per i beni pubblici prevede con l’art. 12 la verifica dell’interesse culturale. Tale verifica diventa indispensabile per evitare che vengano mantenuti dei vincoli su beni realmente di scarso valore con aggravio di costi e di gestione. Infatti, per quanto riguarda le opere che siano di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre 70 anni queste sono sottoposte

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alla verifica dell’interesse culturale ai sensi dell’art. 12 altrimenti restano sottoposti alla tutela per effetto del vincolo ope legis. A tali disposizioni sono soggetti i beni anche qualora la loro proprietà abbia cambiato natura giuridica (privato, tipologia di società, ecc.). Nelle precedenti Leggi 364/1909 – 1089/1939 gli enti erano tenuti alla presentazione degli elenchi e l’atto di vincolo si esprimeva con una declaratoria. Provvedimento avente carattere dichiarativo: di estinzione del vincolo. Cenni normativi sui “livelli di progettazione” Per definire la progettazione e quindi anche la progettazione in ambito di restauro/tutela dovremmo affrontare e collegare ai basamenti normativi in vigore in relazione al concetto dei livelli di progettazione. Tali lineamenti e cenni normativi saranno basilari per introdurre il Progetto di Restauro, il quale, in ambito pubblico, non potrà non discernere da tali riferimenti La normativa nei vari anni, a partire dalla legge Merloni, ha identificato i livelli di progettazione ed elencato i suoi contenuti minimi. L’ampliamento dei concetti della sicurezza introdotti dai Decreti 626/1994 e 494/1996 hanno inserito il concetto di coordinamento della sicurezza il quale si interfaccia sia con la parte progettuale nei suoi vari livelli che con la parte esecutiva durante lo svolgimento dei lavori. Nel dettaglio di seguito si riportano alcuni cenni normativi sui livelli di progettazione ed esecuzione: I livelli di progettazione derivano dalla legge su Lavori Pubblici, la L. 109 /94 e ss.mm.II., abrogata da D.Lgs. 163 del 12 aprile 2006 (Codice contratti pubblici per lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17 CE – 2004/18 CE), le modalità di tali fondamenti normativi vennero normati dai regolamenti di attuazione DPR 554 /99 sostituito dal DPR 207 del 5 ottobre 2010. Con D.lgs. 50/2016 vennero revisionati e raggruppate le normative esistenti all’interno del Codice dei contratti pubblici, aggiornato con il D.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, fino al D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 sulla base della legge delega del 28 gennaio 2016, n. 11 tuttora in corso di discussione per ulteriori modifiche applicative e di affidamento lavori. In definitiva il concetto generale è rimasto invariato nelle basi fondanti della norma con il seguente schema esemplificativo (Fig. 7.6): • Progetto Preliminare • Progetto Definitivo • Progetto Esecutivo - Direzione Lavori - Coordinamento della sicurezza (D.lgs. 81/2008 ss.mm.ii.) Di seguito si riportano gli estratti dei contenuti minimi dei livelli di progettazione anche in relazione al progetto di restauro secondo la normativa di riferimento:


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PROGETTAZIONE

QUALITY MANAGEMENT

0. studi di fattibilità 1. preliminare 2. definitiva 3. esecutiva

DIREZIONE LAVORI • Direzione artistica • Coordinamento della direzione lavori • Verifica qualità

Coordinamento alla progettazione Progetto architettonico

Direzione operativa opere edili e cordinamento

Progetto strutturale

Direzione operativa delle strutture

Progetto impiantistico

Direzione operativa degli impianti

Progetto sicurezza

Coordinamento della sicurezza

Progetto preliminare (ex art. 17, DPR 207/2010) Il progetto preliminare stabilisce i profili e le caratteristiche più significative degli elaborati dei successivi livelli di progettazione, in funzione delle dimensioni economiche e della tipologia dell’intervento compreso l’individuazione delle aree soggette ad esproprio ed è composto dai seguenti principali elaborati: a) relazione illustrativa; b) relazione tecnica; • studio di prefattibilità ambientale; • indagini geologiche, idrogeologiche e archeologiche preliminari; • planimetria generale e schemi grafici; • prime indicazioni e disposizioni per la stesura dei piani di sicurezza; • calcolo sommario della spesa. D.lgs. 50/2016, Art. 25. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 28, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, per le opere sottoposte all’applicazione delle disposizioni del presente codice, Verifica preventiva dell’interesse archeologico in sede di progetto preliminare: le stazioni appaltanti trasmettono al soprintendente territorialmente competente, prima dell’approvazione, copia del progetto preliminare dell’intervento o di uno stralcio di esso sufficiente ai fini archeologici, ivi compresi gli esiti delle indagini geologiche e archeologiche preliminari secondo quanto disposto dal regolamento, con particolare attenzione ai dati di archivio e bibliografici reperibili, all’esito delle ricognizioni volte all’osservazione dei terreni, alla lettura della geomorfologia del territorio, nonché, per le opere a rete, alle fotointerpretazioni…

Figg. 7.6 Schemi dei Livelli di progettazione

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Progetto definitivo (ex art. 24, DPR 207/2010) Il progetto definitivo, redatto sulla base delle indicazioni del progetto preliminare approvato, contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni e pareri necessari per l’accertamento della conformità normativa o di altro atto equivalente ed è composto dai seguenti elaborati: a. relazione descrittiva; b. relazioni geologica, geotecnica, idrologica, idraulica, sismica; c. relazioni tecniche specialistiche; d. rilievi plano-altimetrici e studio di inserimento urbanistico; e. elaborati grafici; f. studio di impatto ambientale, ove previsto dalle vigenti normative ovvero studio di fattibilità ambientale; g. calcoli preliminari delle strutture e degli impianti; h. schemi grafici di supporto a valutazioni specialistici del progetto; i. disciplinare descrittivo e prestazionale degli elementi tecnici (tale disciplinare precisa, sulla base delle specifiche tecniche, tutti i contenuti prestazionali tecnici degli elementi previsti nel progetto. Il disciplinare contiene, inoltre, la descrizione, anche sotto il profilo estetico, delle caratteristiche, della forma e delle principali dimensioni dell’intervento, dei materiali e di componenti previsti nel progetto; j. piano particellare di esproprio (viene redatto in base alle mappe catastali aggiornate, e comprende anche le espropriazioni e gli asservimenti necessari per gli attraversamenti e le deviazioni di strade e di corsi d’acqua e le altre interferenze che richiedono espropriazioni. Sono indicate le eventuali zone di rispetto o da sottoporre a vincolo in relazione a specifiche normative o ad esigenze connesse alla categoria dell’intervento. È corredato dall’elenco delle ditte che in catasto risultano proprietarie dell’immobile da espropriare o asservire ed è corredato dell’indicazione di tutti i dati catastali nonché delle superfici interessate. Per ogni ditta viene indicata l’indennità di espropriazione determinata in base alle leggi e normative vigenti, previo apposito sopralluogo); k. computo metrico estimativo. Il computo metrico estimativo viene redatto applicando alle quantità delle lavorazioni i prezzi unitari riportati nell’elaborato elenco dei prezzi unitari. Tali prezzi sono dedotti dai vigenti prezzari della stazione appaltante nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 133, comma 8, del codice o, in mancanza della corrispondente voce nei prezzari, dai listini ufficiali vigenti nell’area interessata. Quando il progetto definitivo è posto a base di gara ai sensi dell’articolo 53, comma 2, lettera b), del codice, le quantità totali delle singole lavorazioni sono ricavate da computi di quantità parziali, con indicazione puntuale dei corrispondenti elaborati grafici; le singole lavorazioni, risultanti dall’aggregazione delle rispettive voci dedotte dal computo metrico estimativo, sono poi raggruppate, in sede di redazione dello schema di contratto e del bando di gara, ai fini della definizione dei gruppi di categorie ritenute omogenee di cui all’articolo 3, comma 1, lettera s). Tale


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aggregazione avviene in forma tabellare con riferimento alle specifiche parti di opere cui le aliquote si riferiscono; l. quadro economico. Questo è il business plan dell’opera nel quale confluiscono tutti i costi di esecuzione compreso quelli per la progettazione, direzione lavori, collaudi, spese generali e tutte quei costi necessari alla realizzazione del progetto compreso le imposte e oneri. Progetto esecutivo (ex art. 33, DPR 207/2010) Il progetto esecutivo costituisce l’ingegnerizzazione di tutte le lavorazioni e, pertanto, definisce compiutamente ed in ogni particolare architettonico, strutturale ed impiantistico l’intervento da realizzare. Di seguito si elencano gli elaborati essenziali: a. relazione generale; b. relazioni specialistiche; c. elaborati grafici comprensivi anche di quelli delle strutture, degli impianti, di ripristino e miglioramento ambientale; d. calcoli esecutivi delle strutture e degli impianti; e. piani di manutenzione dell’opera e delle sue parti; f. piani di sicurezza e di coordinamento e fascicolo tecnico manutenzioni; g. computo metrico estimativo definitivo e quadro economico; h. cronoprogramma; i. elenco dei prezzi unitari e eventuali analisi; j. quadro dell’incidenza percentuale della quantità di manodopera per le diverse categorie di cui si compone l’opera o il lavoro; k. schema di contratto e capitolato speciale di appalto. Il progetto di restauro in relazione agli aspetti normativi e qualitativi In relazione alla progettazione di opera pubblica, come sopra analizzata, anche il Progetto di Restauro ripercorre le fasi e gli apprestamenti minimi che abbiamo analizzato per i livelli di progettazione. Tale ripartizione non costituisce un obbligo, se si tratta di progettazione di un’opera privata, ma è comunque prassi e un valido riferimento da seguire anche per le opere private oggetto di tutela. A conferma dell’interazione fra progetto e progetto di restauro, lo stesso Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT) con Decreto ministeriale 22 agosto 2017, n. 154 ha adottato il Regolamento sugli appalti pubblici di lavori riguardanti i beni culturali tutelati ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004. All’interno di tali disposizioni si trovano i collegamenti con il D.Lgs. n. 50 del 2016 costituente codice degli appalti pubblici. Attraverso un percorso di coordinamento dei codici degli appalti e dei beni culturali si tenta di definire la Qualificazione e le Idoneità come elementi di riferimento per operare nell’ambito dei lavori sui beni culturali.

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Una particolare attenzione nel progetto di restauro va dedicata per comprendere il bene oggetto di intervento e a quale tipologia di tutela appartenga. Come abbiamo potuto esaminare nei capitoli precedenti la tipologia di intervento ma principalmente le procedure che determinano i pareri e le autorizzazioni necessarie per la realizzazione delle opere sono fortemente condizionate dalla tipologia di tutela, e quindi al valore, al quale il bene appartiene. Non vi è dubbio che l’approccio culturale e conoscitivo rimanga comunque la base per affrontare qualsiasi tipo di procedura in quanto ci potremmo trovare di fronte a beni sottoposti a vincolo ma di scarso valore o viceversa di fronte ad opere d’arte non ancora classificate come tali. Di fatto il progetto di restauro è il frutto degli aspetti culturali, storici, tutela, organizzativi e legislativi che coordinati e gestiti dal progettista, che ha la giusta formazione culturale, operativa e manageriale, generano un progetto di tutela e valorizzazione. Il progetto di restauro rientra nel progetto architettonico, evidenziando gli aspetti relativi agli interventi conservativi, preceduti da esaustiva anamnesi e indagini diagnostiche sullo stato di conservazione e sulla natura dei materiali e delle tecniche esecutive con particolare riferimento agli apparati decorativi e pittorici. Nel dettaglio gli elaborati grafici esecutivi contenuti nel progetto si devono intendere come un complesso di elaborati che descrivano con la massima completezza l’opera da realizzare in modo che siano esattamente definite le modalità esecutive in termini geometrici, ma anche che scendano nel dettaglio delle specifiche dei materiali, delle finiture, degli schemi di montaggio. La progettazione esecutiva architettonica rappresenta un punto importante della fase costruttiva, la cui elaborazione nella pratica corrente viene spesso omessa o poco considerata. Va ricordato come la mancanza di un progetto esecutivo fa scaturire contenzioso che vede il committente (pubblico o privato) da una parte ed i progettisti dall’altra. Inoltre, il legislatore da tempo sta ponendo l’accento per un incremento del grado di dettaglio degli elaborati progettuali, mediante l’obbligo di deposito prima dell’inizio dei lavori del progetto delle strutture, degli impianti, della relazione ‘acustica’. Il progetto esecutivo architettonico deve essere coerente e costante nel tempo e deve servire al controllo della qualità del prodotto (comprendendo risparmio di tempo, impiego efficiente di risorse e riduzione dei rischi professionali). A corredo della progettazione generale abbiamo il piano di manutenzione, questo è un documento complementare al progetto esecutivo, ancora più necessario nel progetto di restauro, in quanto gli immobili sono soggetti a continue verifiche di manutenzione per le quali è necessario conoscere anche l’evoluzione degli interventi successivi. Tale piano prevede, pianifica e programma, tenendo conto degli elaborati progettuali esecutivi effettivamente realizzati, l’attività di manutenzione dell’intervento al fine di mantenerne nel tempo la funzionalità, le caratteristiche di qualità, l’efficienza ed il valore economico e si compone dei seguenti documenti: a. il manuale d’uso; b. il manuale di manutenzione; c. il programma di manutenzione.


procedure e normative nel restauro • luca brandini

Il programma di manutenzione prevede un sistema di controlli e di interventi da eseguire, a cadenze temporalmente o altrimenti prefissate, al fine di una corretta gestione del bene e delle sue parti nel corso degli anni. Esso si articola secondo tre sottoprogrammi: a. il sottoprogramma delle prestazioni, che prende in considerazione, per classe di requisito, le prestazioni fornite dal bene e dalle sue parti nel corso del suo ciclo di vita; b. il sottoprogramma dei controlli, che definisce il programma delle verifiche e dei controlli al fine di rilevare il livello prestazionale (qualitativo e quantitativo) nei successivi momenti della vita del bene, individuando la dinamica della caduta delle prestazioni aventi come estremi il valore di collaudo e quello minimo di norma; c. il sottoprogramma degli interventi di manutenzione, che riporta in ordine temporale i differenti interventi di manutenzione, al fine di fornire le informazioni per una corretta conservazione del bene. In conclusione, il progetto di restauro è un progetto architettonico nel quale confluiscono una serie di conoscenze e professionalità le quali interagiscono per giungere a un risultato prima di tutto di tutela del bene e poi di valorizzazione. La valorizzazione non è del tutto in secondo piano in quanto il bene non utilizzato rischia di non essere mantenuto nel tempo, divulgato e apprezzato con conseguenti scarse possibilità comunicative e istruttive oltre che conservative. Pertanto, il livello di invenzione e conoscenza che viene richiesto è alto ed è inevitabile che il project manager (progettista restauratore) non solo debba avere una formazione culturale idonea ma anche una grande capacità di coordinamento di tutti i partners che contribuiscono al processo produttivo ed evolutivo del progetto. (Figg. 7.7, 7.8)

Figg. 7.7, 7.8 Sansepolcro (AR), Proposta progettuale per la sistemazione museale del Palazzo Pretorio e sue relazioni con il Museo Civico. (elab. di L. Brandini, nell'ambito di Borsa di Ricerca 2019, resp. prof. G.A. Centauro).

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titolo saggio • nome cognome

Epilogo

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la ‘decostruzione’ della disciplina del restauro Giuseppe Alberto Centauro

A chiusura degli studi qui presentati, partendo dalle esperienze che sono state evidenziate nelle attività dei laboratori di restauro di questi ultimi anni e mantenendo lo sguardo proiettato al futuro della disciplina per cercare di capire come questa potrà declinarsi nei prossimi anni, si possono tracciare alcune considerazioni conclusive. Dalle esperienze più recenti emergono alcuni elementi che chiariscono aspetti fin poco analizzati. Ad es. nell’ambito della didattica frontale si osserva come le generazioni più giovani rifuggano da una dialettica troppo insistita sugli aspetti concettuali e ideologici. Durante le attività di laboratorio, in particolare, si prediligono le applicazioni pratiche per simulare in fase esercitativa la realtà nella prassi corrente. Per questo occorre trovare le occasioni giuste per interagire sul campo attraverso progetti di ricerca e convenzioni. Interessa analizzare in modo puntuale con il supporto degli strumenti che la scienza mette a disposizione le applicazioni utili per promuovere la conservazione dei monumenti e, più in generale, la riqualificazione del patrimonio architettonico diffuso che diviene il vero focus sul quale concentrare l’attenzione. “Salvare il contesto per salvare l’oggetto” pare essere il messaggio oggi più incisivo nell’ambito delle attività di laboratorio. La sostenibilità ambientale delle scelte legate al riuso del patrimonio edilizio esistente, piuttosto che generare un ulteriore consumo di suoli e risorse naturali, è da tempo un imperativo al quale non dovremo sottrarsi nell’attuazione delle ‘buone pratiche’ di manutenzione e rigenerazione urbana. Tuttavia, c’è ancora molto da fare per promuovere correttamente gli interventi di restauro in un mercato assai contraddittorio, da una parte l’auspicata prevenzione e la manutenzione di un patrimonio che vive con autenticità nella visione romantica di un ‘restauro timido’, appena accarezzato, che si caratterizza con il minimo impatto ambientale, dall’altra è forte la necessità di riabilitare strutture e adeguare pesantemente interi comparti e aggregati urbani non più in grado di rispondere alle accresciute esigenze di messa in sicurezza, nonché di modificare gli assetti preesistenti attraverso migliorie, spesso impattanti, prestazionali richieste dal mercato globale. Questa è la realtà con la quale si misura la disciplina del restauro architettonico. Gli apprendisti architetti sono alla ricerca di un’identità chiara, meno machiavellica, del loro operare nel campo della conservazione e del restauro. Abbiamo indagato sulle possibili cause di tutto questo senza tuttavia trovare risposte univoche. In tale senso – com’è stato sottolineato da alcuni decenni, in tempi non sospetti (Tafuri 1968, Conti 1991) – è fin troppo semplicistico individuare nell’ ‘rapporto con la storia’ (ostico negli architetti) la maggiore difficoltà generazionale

pagina a fronte Firenze, Stadio “Artemio Franchi” (strutture in c.a. dell’ing. P.L. Nervi, 1932-1933 e impianto sportivo modificato nel 1990) Vista delle scale elicoidali e delle gradinate della curva “lato Ferrovia”, così come quelle della curva “lato Fiesole”, per le quali si paventa la demolizione, in ragione dalle clausole derivanti dal recente emendamento ‘salva stadi’ per il rifacimento (o restyling) dello storico impianto sportivo le cui strutture restano, tuttavia, in regime di vincolo architettonico di tutela


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che frappone il mantenimento dell’architettura del passato all’architettura contemporanea. D’altronde, una lettura della storia non pregiudiziale e scevra da condizionamenti sta alla base di ogni azione restaurativa. Ad ogni modo, il restauro delle città e del costruito storico dei borghi appare destinato a subire una mutazione ancor più radicale sotto il peso ineludibile dei cambiamenti climatici, dell’obsolescenza funzionale delle vecchie case, inadeguate a sopportare indenni il rischio sismico e i mille altri fattori antropici che stringono in una morsa i quartieri più antichi e densi delle nostre città. Il progressivo distacco della politica dal prendere i necessari provvedimenti per la tutela attiva dei beni architettonici, oltre alle eccellenze monumentali, si fa sentire nei territori. In questo scenario particolarmente colpita è anche la produzione intellettuale ed artistica del Novecento, quella a noi temporalmente più vicina che pure ha contrassegnato la cultura moderna nel restauro. Per citare ancora Manfredo Tafuri, il vedere naufragare «le ricerche dell’età neorealista agli esiti estremi dei viaggi della memoria di architetti come Scarpa, Rogers, Gabetti e Isola, Aldo Rossi o Franco Purini» (Tafuri 1988), ai quali potremmo aggiungere le esperienze dei compianti Gregotti o Dezzi Bardeschi e tanti altri, sta causando gravi perdite, inasprendo la già difficile convivenza tra vecchio e nuovo. La malattia endemica del cemento inibisce ancor più le possibilità di cura verso l’edilizia e le infrastrutture del Novecento e pone alcune serie riserve anche sulla possibile sopravvivenza di queste testimonianze. L’archeologia industriale ad es. vive una stagione di stagnazione che si scontra con la realtà di aree da bonificare, spesso fortemente inquinate che necessitano di una radicale sanificazione prima ancora del recupero funzionale dei manufatti. Il valore icastico delle strutture mal si concilia con un riuso dettato dalla salvaguardia del documento storico. A pesare sono soprattutto le condizioni di disagio oggettive dell’operare sull’esistente in chiave di rispetto filologico. Gli investimenti sono drammaticamente esposti ai limiti delle risorse economiche disponibili laddove si attenderebbe che fosse la mano pubblica a muovere le iniziative più incisive. Difficoltà ancora più tangibili in un mondo che sta perdendo la memoria del proprio passato e che si rivolge al futuro come una sorta di mantra del cambiamento. Il restauro come disciplina tecnica rischia di deflagrare anche in ambito ordinistico, non pare più in grado di sottrarsi ad una ineluttabile decostruzione, frammentandosi in mille pezzi il carattere identitario che pure ha animato la sua storia moderna, travolgendo anche etica e valori che parevano consolidati, fondati sulla conoscenza, sulla scienza e sull’avanzamento tecnologico. Tuttavia, è proprio su questi temi che il restauro può riprendere vigore per la rilevanza sociale della missione che lo contraddistingue. Da questo punto di vista l’Arte contemporanea può fornire una chiave di lettura interessante, azione esercitata ponendo allo specchio l’immanenza della testimonianza culturale da riconoscere e salvare nell’azione del suo artefice. Torna alla mente un noto postulato della critica d’arte: Non esiste in realtà una cosa chiamata arte. Esistono solo gli artisti: uomini che un tempo con terra colorata tracciavano alla meglio le forme del bisonte sulla parete di una caverna e oggi comprano i colori e oggi disegnano gli affissi pubblicitari per le stazioni della metropolitana, e nel corso dei secoli fecero parecchie altre cose (Gombrich E. 1994).


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Riscoprendo questi valori si può riabilitare concettualmente il restauro come azione di rispetto verso chi l’arte l’ha esercitata per farci da guida. Dalle esperienze dei laboratori di restauro che dalle espressioni del passato traggono la loro linfa vitale c’è molto da imparare per accrescere la consapevolezza su quale possa essere il ruolo degli architetti restauratori del futuro. I fenomeni e le criticità da contrastare per riparare ai danni del tempo e degli uomini saranno sempre più mutevoli e si manifesteranno sempre più senza preavviso alcuno: un terremoto, uno tsunami, un’alluvione, ancor più oggi nella drammatica evidenza odierna dell’imperversare a livello mondiale di un contagio pandemico al quale non sappiamo ancora dare un antidoto. In tutto questo inconsulto stravolgimento globale, quel che resta da proteggere insieme alla nostra fragile umanità, sono i valori culturali, in primis dei beni architettonici e del paesaggio da salvaguardare sopra ogni altra cosa, che continueranno a trovare nel restauro i propri paladini, quali professionisti esperti.

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Apparati



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UNI EN 15317:2013, Prove non distruttive - Esame a ultrasuoni - Caratterizzazione e verifica dell’apparecchiatura per la misurazione dello spessore. UNI EN 16242:2013, Conservazione dei beni culturali - Procedure e strumenti per misurare l’umidità dell’aria e gli scambi di vapore tra l’aria e i beni culturali. UNI EN 1015-12:2016, Metodi di prova per malte per opere murarie - Parte 12: Determinazione dell’aderenza al supporto di malte da intonaco esterno ed interno. UNI EN 16714-3:2016, Prove non distruttive - Prove termografiche - Parte 3: Termini e definizioni. UNI EN 1330-9:2017, Prove non distruttive - Terminologia - Parte 9: Termini utilizzati nel controllo con emissione acustica. UNI EN 12390-3:2019, Prove sul calcestruzzo indurito - Parte 3: Resistenza alla compressione dei provini. UNI ENV 1992-1-1:2015 (EC2), Eurocodice 2 - Progettazione delle strutture di calcestruzzo - Parte 1-1: Regole generali e regole per gli edifici. UNI EN ISO 15548-3:2009, Prove non distruttive - Apparecchiatura per controllo mediante correnti indotte. UNI EN ISO 16810:2014, Prove non distruttive - Esame ad ultrasuoni - Principi generali. UNI EN ISO 4624:2016, Pitture e vernici - Test di trazione (pull-off test) per adesione. Sitografia ICOMOS 2011, Guidance on Heritage Impact Assessments for Cultural World Heritage Properties, Paris <http:// www.icomos.org/publications/monuments_and_sites/16/pdf/Monuments_and_Sites_16_What_is_OUV.pdf > (2/2017). ICOMOS 2015, Heritage Impact Assessments for Cultural World Heritage properties, HIA Meeting General Assembly of States Parties to the World Heritage Convention 2015. <URL: whc.unesco.org/document/139487> (03/2015). http://www.dida.unifi.it//vp-638-laboratori-congiunti.htm/ (12/2019). http://www.treccani.it/vocabolario/ (12/2019). http://www.iusetnorma.it/trattati_convenzioni/carta_europea_del_patrimonio_architettonico_firmata_ad_amsterdam_il_1975.asp (10/2019). http://www.whc.unesco.org (12/2015). http://www.sikkens.it/colori/ricerca_colore (11/2015) http://www.sigmacoatings.it/colore/sistema-ncs (11/2015) http://it.wikipedia.org/wiki/big_data/ (1/2017). http://it.wikipedia.org/wiki/Carta_del_restauro_di_Atene/ (6/2019). http://it.wikipedia.org/wiki/Carta_italiana_del_restauro_(1932)/ (6/2019). http://it.wikipedia.org/wiki/Carta_di_Venezia/ (6/2019). http://www3.unisi.it/did/dip-direcon/Carta%20di%20Cracovia.pdf (6/2019). http://www.firenzepatrimoniomondiale.it/piano-di-gestione/ (2/2017).


bibliografia generale

http://www.firenzepatrimoniomondiale.it/documenti/ (2/2017). http://computerscience.unicam.it/devivo/legislazione/Charta_von__Washington_1987_it_Denkmalpflege_in_ historischen_Staedten.pdf (6/2019). Raccomandazione UNESCO ProtezionePromozioneMusei.2015.pdf. <http://www.icom-italia.org/wp-content/uploads/2018/10/ICOMItalia/> (11/2019) CartadiSiena2.0.Cagliari2016.pdf. <http://www.icom-italia.org/wp-content/uploads/2018/06/ICOMItalia.MuseiePaesaggiculturali/> Baverasco N. 2004, Harmonic composition of complementary colors according to their lightness degree, AIC 2004 Color and Paints, Interim Meeting of the International Color Assiciation, pp. 235-238 <URL: http://www.aic-color.org/congr_archivos/aic2004proc.pdf> (02/2016) Benzi S. 2010, La pietra serena nel tempo. Una storia fatta di popoli e luoghi, in Journal Architettura di Pietra, <URL: http://www.architetturadipietra.it/wp/?p=3766> (11/2015). Čelebić G., Dujlo M. 2013, ITdesk.info – Progetto informatico di e-education a libero accesso. Usare i database – Manuale di Microsoft Access 2010, <URL: http://www.itdesk.info/ita/manuale/manulae-Usare_I_database-Microsoft_Access_2010.pdf> (02/2015). Calcante C.M. 2011, Architettura e iconismo: retorica dei genera dicendi e teoria degli ordini architettonici in Vitruvio, Cahiers des études anciennes, XLVIII, pp. 119-139. <URL: https://etudesanciennes.revues.org/317 > (03/2016). Castelli C. 1978, I diagrammi del colore, Data Arte, n. 31, pp. 12-17. <URL: http://www.artslab.com/data/img/pdf/031_12-17.pdf> (01/2016) Comune di Firenze, Assessorato alla Cultura, Ufficio Centro Storico – Patrimonio Mondiale UNESCO 2006, Piano di Gestione (a cura di C. Francini, L. Carsillo, C. Rizzetto), Firenze < http://unesco.comune.it/export/sites/unesco/materiali/Piano_di_Gestione_def.pdf> (2/2017) Regione Toscana, Castore, Catasti Storici regionali, URL:<http://web.rete.toscana.it/castoreapp/> (10/2016) Chiaroscuro (ad vocem). URL:<http://www.cultorweb.com/Chiaroscuro/CC.htlm> (01/2016). Francini C. 2013, Dicembre 1982. Il Centro Storico di Firenze è Patrimonio dell’Umanità. <http://www.storiadifirenze.org/wp-content/uploads/2013/11716-francini-unesco.pdf > (2/2017). Francini C. et al. 2016, Il Piano di Gestione del Centro Storico di Firenze – Patrimonio Mondiale UNESCO, Firenze Patrimonio Mondiale, Firenze www.firenzepatrimoniomondiale.it (2/2017). Fridell Anter K. 2000, What colour is the red house? Perceived colour of painted facades, Doctoral thesis, <URL: http://www.diva-portal.org/smash/get/diva2:8790/FULLTEXT01.pdf htlm> (10/2015). Gay F. 2008, Semiografie3: diagrammi semantici (10/2016). Paolini C., Repertorio delle architetture civili di Firenze, <http://www.palazzospinelli.org/progetto.asp> (05/2018). Ministero dei beni e delle attività culturale e del turismo – Estratto dal Bollettino d’arte del Min.P.I., n. 2/1972 http:// www.bollettinodarte.beniculturali.it/opencms/multimedia/BollettinoArteIt/documents/1527078909279_10_ Carta_del_Restauro_1972_122.pdf

279


280

esperienze di conservazione e restauro • giuseppe alberto centauro

Vincoli in rete, cfr. <http://vincoliinrete.beniculturali.it/VincoliInRete/vir/utente/login> Scheda A di catalogo ICCD “Architettura”, <http://www.iccd.beniculturali.it/index.php?it/473/standard-catalografici/Standard/44 > (05/2015). Regione Toscana Cartoteca GeoScopio, <http://www502.regione.toscana.it/geoscopio/catastourbanizzazione. html> (2/2019). Società Italiana per il Restauro dell’Architettura, Roma <http://sira-restauroarchitettonico.it/> (2/2020).


referenze grafiche e fotografiche

Se non direttamente indicato in didascalia, gli autori di foto ed

Tavv. 1.4, 1.5 = elab. di M. Castellini (Tesi di Laurea di Specializzazione,

elaborazioni grafiche sono:

2019) Approccio al restauro strutturale

Introduzione e premessa

Fig. a pagina 118 = foto di A. Bartolozzi

Fig. A = foto di G A. Centauro

Fig. 2.1 = elab. di S. Van Riel

Fig. B = foto di A. Bartolozzi

Fig. 2.2 = elab. studio Arch. N. Pivi. Fig. 2.3 = elab. di S. Van Riel, I. Carlini, A. Ridolfi

Conservazione e restauro: aspetti disciplinari Fig. a pagina 35 = foto di A. Bartolozzi

Diagnostica architettonica e monitoraggio

Tav. 1.2 = foto di A. Bartolozzi

Fig. a pagina 118 = foto di pubblico dominio

Figg. 1.1, 1.9, 1.10= foto di G.A. Centauro

Figg. 3.1-3.4, 3.6 = foto del Laboratorio LAM – DST Unifi (Prof. C.A.

Figg. 1.2, 1.13, 1.14, 1.15 = elab. di G.A. Centauro Figg. 1.8a-1.8f = dis. di G.A. Centauro e O. Superchi Figg. 1.11b, 1.12 = foto di pubblico dominio Fig. 1.16 = elab. di V. Cicalese, D. De Carlo, C. Signorini Fig. 1.17 = elab. di Cabanillas Diez, D. Fernàndez Manfredi, G. Fiorani Fig. 1.17bis = elab. di Mariangela Carissimo, Riccardo Panerai Fig. a pagina 88 = Adriano Bartolozzi Figg. 1.18-1.26 = elab. M. Pelosi (Tesi di Laurea Magistrale, 2019) Figg. 1.27-1.29 = foto di G A. Centauro Fig. 1.30 = foto di A. Bartolozzi

Garzonio, Dott.ssa T. Salvatici). Figg. 3.5, 3.7-3.11 = foto di I. Centauro (si ringrazia Dott.ssa E. Cantisani – ISPC CNR). Figg. 3.12-3.14 = elab. di I. Centauro per il Laboratorio LAM – DST Unifi.

Gestione e analisi dati per il patrimonio architettonico Fig. a pagina 152 = foto di pubblico dominio Figg. 4.1, 4.2 = elab. di D. Fastelli (Hurbana/Progetto HECO) Figg. 4.3-4.8. = elab. di D. Fastelli con strumenti della piattaforma Microsoft Office 365 (Hurbana/Progetto HECO)

Fig. 1.31 = foto di F. Masci Fig. 1.32 = elab. di F. Berti, C. Boemi, V. Cherubini

Rilievo urbano e architettonico per il restauro

Fig. 1.33 = elab. di D. Fastelli (Hurbana/Progetto HECO)

Fig. a pagina 166 = dis. foto ed elaborazione di A. Bacci

Figg. 1.34, 1.35 = elab. di F.S. Lisci, R. Massaro, C. Santoni, B. Zaniboni

Tav. 5.1 = elab. grafica di A. Bacci su base cartografica edifici vincolati da

Fig. 1.36 = elab. di M. Carissimo, R. Panerai.

Progetto HECO (cartografia GIS: D. Fastelli).

Fig. a pagina 110 = foto di G.A. Centauro

Figg. 5.1, 5.2 = elab. di G. Brullo, S. Contino, L. Da Rold.


282

esperienze di conservazione e restauro • giuseppe alberto centauro

Fig. 5.3 = grafiche tratte da http://www.priski.it/ricordi-fuori-danilo-e-

Fig. 6.5 = elab. di F. Masci su grafica di M. Bandinelli, V. Benelli, F.

la-sogno-4/occhio/ e http://www.leviedellarmonia.it/creativita-per-il-

Contestabile Ciaccio

benessere/disegno

Fig. 6.7 = elab. di F. di Bernes, B. Matteocci, G. Montiani, L. Pasqualotti

Figg. 5.4, 5.5 = dis. di A. Bacci.

Fig. 6.9 = elab. di A. Casasanta, G. d’Ercole, M. Colapietro

Tavv. 5.2, 5.3 = elab. di G. Giarelli, M. B. Fallani, A. Gualtieri, G. Soldi

Fig. 6.11 = elab. di M. Florio, I. Mazzella

Tav. 5.4 = elab. di M. Pelosi, A. Casarin, G. Giani, M. Partow, M.

Fig. 6.12 = elab. di A. di Giampietro, E. Farinelli, A. Karim, A. Vezzi

Koponen Tavv. 5.5-5.7 = elab. di L. Bonaguidi, E. Casarossa, M. Ceccaroli

Tavv. 6.1, 6.4, 6.10 = elab. di M. Bandinelli, V. Benelli, F. Contestabile Ciaccio

Tavv. 5.8, 5.9 = elab. di E. Santi (Tesi di Laurea Triennale, 2018)

Tav. 6.2 = elab. di S. Giagnoni Martini, E. Giorgetti, F. Martella

Tav. 5.10 = elab. di L. Conoscenti, M. Bertelli, M. De Nuccio, S. J.

Tavv. 6.3, 6.9, 6.18 = elab. di A. Casasanta, G. d’Ercole, M. Colapietro

Deiana Tavv. 5.11-5.13 = elab. di A. Aurispa, C. Fogato, S. El Guerch, I. Grassi Tavv. 5.14-5.17, Fig. 5.6 = elab. di I. Cicchino (Tesi di Laurea Triennale, 2017) Figg. 5.7, 5.8 = screenshot dal report interattivo (Hurbana/Progetto HECO) Tavv. 5.18-5.21 = elab. di G. Bianchini, C. Benvenuti, A. Caccialupi (Tesi di Laurea Magistrale, 2017) Tav. 5.22 = elab. di L. De Angeli, I. Marchione Fig. 5.9, Tav. 5.23 = elab. DI M. Giaracuni, M. Longo, L. Lippi, E. Petrilli Tavv. 5.24, 5.25 = elab. di G. Brullo, S. Contino, L. De Rold Figg. 5.10-5.12 = elab. estratti dalla tesi di G. Bianchini, C. Benvenuti, A. Caccialupi (Tesi di Laurea Magistrale, 2017) Tavv. 5.26-5.28 = elab. di M. Pelosi, A. Casarin, G. Giani, M. Partow, M.

Tavv. 6.5-6.7 = elab. di M. Alessandrini, M. Cabiddu, S. De Carli Tav. 6.8 = elab. di V. Arena, G. Avallone, M. Cecconi Tav. 6.11 = elab. di C. Cacciuolo, C. Carbonari, V. Ciummei, E. Kopanou Tav. 6.12 = elab. di F. Bernes, B. Matteocci, G. Montiani, L. Pasqualotti Tav. 6.13 = elab. A. di Giampietro, E. Favinelli, A. Karim, A. Vezzi Tav. 6.14 = elab. di D. Betti, M. M. Morelli, F. Pham, V. Vivona, N. C. Scampo, F. Cantale, G. Cicatiello, L. Riverieurx de Varhx Tav. 6.15 = elab. di F. S. Lisci, R. Massaro, C. Santoni, B. Zamboni Tav. 6.16 = elab. di A. Aragon Azarta, C. G. Navajas, S. Marradi, L. Soldati Tav. 6.17 = elab. di F. Giugliano, D. Myridou, A. Novelli, G. Pagliaricci Tavv. 6.18, 6.19 = elab. di D. Betti, M. M. Morelli, F. Pham, V. Vivona, N. C. Scampo, F. Cantale, G. Cicatiello, L. Riverieurx de Varhx

Koponen Tav. 5.29 = elab.di M. Bandinelli, V. Benelli, F. Contestabile Ciaccio Tav. 5.30 = elab di A. Bacci su elaborati degli studenti del Corso di Restauro 2018-2019 e screenshot report interattivo (Hurbana) Tav. 5.31 = elab. di N. Capua (Tesi di Laurea Magistrale c.u., 2020)

Procedure e normative nel restauro Fig. a pagina 234 = foto di G.A. Centauro Figg. 7.1, 7.2 = elab. di Luca Brandini su dis. di C. Garuti, A. Morandi, A, Mucci Figg. 7.3, 7.4 = dis. di Luca Brandini

Dallo studio al progetto di restauro Fig. a pagina 202 = foto G.A. Centauro Fig. 6.1 = elab. di I. Bonacci, I. Ciliberti, A. Ciliacì, M. De Vitis Figg. 6.2,6.10 = elab. di M. Giaracuni, M. Longo, L. Lippi, E. Petrilli Figg. 6.3,6.4,6.8 = elab. di M. Bandinelli, V. Benelli, F. Contestabile Ciaccio

Figg. 7.6 = elab. di Luca Brandini Figg. 7.7, 7.8 = dis. Luca Brandini, fotopiano da aerofotogrammetria con drone di D. Fastelli.

Epilogo Fig. a pagina 252 = foto di A. Bartolozzi


ringraziamenti

Si ringraziano il Comune di Firenze, Servizio Belle Arti e Fabbrica di Palazzo Vecchio e Firenze Patrimonio Mondiale e rapporti con UNESCO, rispettivamente nelle persone dell’arch. Giorgio Caselli (Responsabile) e del dott. Carlo Francini (Responsabile), che hanno condiviso e sostenuto i progetti di ricerca e le attività dei laboratori didattici qui presentati. Le strutture e il personale tecnico amministrativo del Dipartimento di Architettura (DIDA) dell’Università degli Studi di Firenze (UNIFI). Si ringraziano tutti i docenti che hanno partecipato a vario titolo alle esperienze didattiche prodotte: per il modulo di Geomatica per la conservazione dei beni culturali (DICEA): prof.sa Grazia Tucci, prof.sa Valentina Bonora, prof. sa Lidia Fiorini; per il Modulo Statica e stabilità delle strutture murare: prof. Ugo Tonietti; per il restauro delle superfici dipinte: prof. Guido Botticelli; per la diagnostica: il Laboratorio Materiali Lapidei e Geologia applicata, dell’ambiente e del paesaggio (LAM - DST), prof. Carlo Alberto Garzonio (Responsabile Scientifico), dott.sa Teresa Salvatici (Tecnico); per la diagnostica: l’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del CNR di Sesto Fiorentino (ISPC CNR), dott.sa Emma Cantisani (Ricercatrice); il Laboratorio congiunto Heritage Research (HERE-DIDA) e il Progetto Heritage Colors (HECO); per il supporto riproduzioni grafiche, arch. Giancarlo Littera del Laboratorio Informatico di Architettura (LIA- DIDA), direttore prof. Giorgio Verdiani. Si ringrazia l’Archivio Fotografico di Restauro (DIDA-AFR) nella persona di Adriano Bartolozzi e l’Archivio fotografico ex Soprintendenza Beni Architettonici e Paesaggistici di Firenze, Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le provincie di Pistoia e Prato; l’Unità di Ricerca “Paesaggio Patrimonio culturale, Progetto (PPcP)” del DIDA-UNIFI nella persona dell’arch. Alberto Di Cintio (coordinatore fino al 2019). Un ringraziamento particolare alle collaboratrici: arch. Daniela Chiesi, dott.sa Cristina N. Grandin, arch. Erica Ventrella, ed ancora, arch. Federica Billotta, arch. Daniela Cinti, arch. Maria Teresa Cristofaro, arch. Demetrio Cutrupi, arch. Maria Bonelli, arch. Daniele Gualandi. Per gli studi sul patrimonio ecclesiastico dell’Oltrarno fiorentino si ringraziano: prof.sa Fauzia Farneti, dott. sa M. Cristina François, dott.sa Daniela Valentini, ed inoltre, prof. Massimo Coli, prof. Maurizio De Vita. Un ringraziamento particolare va all’Arcidiocesi di Firenze per aver intrapreso con il Dipartimento di Architettura un percorso per la conoscenza e la conservazione degli edifici di culto della Città di Firenze e, in particolare, all’Arcivescovo Cardinale Giuseppe Betori, all’incaricato diocesano per la Nuova Edilizia di Culto, sig. Massimiliano Bernardini ed all’economo dott. Stefano Ciappelli; alla Parrocchia di Santa Felicita in Piazza e San Giorgio alla Costa nelle persone del Parroco Don Gregorio Sierzputowski e del consulente arch. Vito Carriero; al Seminario Arcivescovile maggiore di Firenze, in particolare al rettore Don Gian Luca Bitossi, al vice rettore Don Alessandro Clemezia, alla bibliotecaria, dott.ssa Elena Gurrieri, all’economo Dott. Antonio Mazzone, al personale di segreteria e a tutti i Seminaristi che hanno contribuito con il loro entusiasmo ad abbattere il muro dei luoghi comuni.


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esperienze di conservazione e restauro • giuseppe alberto centauro

ELENCO STUDENTI Per le attività didattiche svolte nei laboratori di restauro dal 2016 al 2019, citati nel volume: Seminario Forte Belvedere (CdL B076 2016-2017)

Bonaguidi, Elisa Casarosa, Bianca Del Duca, Rosaria Cangialosi, Moni-

Amedeo Capone, Saverio Mogavero, Andrea Mirco Puccio, Jie Meng,

ca Buti, Ivonne Craffonara, Sara Galeazzi, Ilaria Andriulo, Nadia Cam-

Bing Xun Wang, Alessandra Loi, Valeria Chessa, Pietro Farris, Enrique

melli, Giulia Cardinale, Anthea Bonciani, Alessia Bianco, Margherita

Morillo, Liu Sinan, Simone Cardia, Enrico Loi, Filippo Castagni, Wal-

Agatoni, Kevin Canden, Gabriele Bucchioni, Margherita Sani, Niccolò

ter Salemme, Guiomar Garcia, Eloisa Fazi, Alice Casarin, Giulia Cia-

Pelleri, Eugenio Caterina, Danilo Gallucci, Lorenzo Ciarfella, Loren-

ni, Margherita Pelosi, Mehrnaz Partow, Mimmi Koponen, Alessandro

zo Ferretti, Lorenzo Foggi, Alessandro Barletta, Lapo Giuliani Gozzi,

Mengana, Giovanni Mannelli, Enrico Panizzi, Maria Alessandra Ven-

Fei Xue.

turoli, Ivan San Benito, He Hao Yu, Leonardo Fabbri, Gonzalo Manuel Suarez Silva, Laura Bonningue, Sandra Koenig, Huang Danqing, Feli-

Seminario Arcivescovile e San Francesco di Sales (CdL B117 2018-

cien Le Barder, Sara Pallares, Baptiste Tauzin, Esther Bresco.

2019) Francesca Simonetta Lisci, Rosanna Massaro, Camilla Santoni, Bene-

Seminario Santa Maria Novella e Monastero Nuovo (CdL B076

detta Zamboni,Federico Bernes, Beatrice Matteocci, Giacomo Mon-

2017-2018)

tiani, Luca Pasqualotti, Ilaria Bonacci, Jlenia Ciliberti, Antonio Ciracì,

Alessia Aufiero, Matteo Barni, Andrea Bogazzi, Narges Bolouriankashi,

Massimiliano De Vitis, Chiara Cacciuolo, Clarissa Carbonari, Valenti-

Anne Boulet-Gercourt, Ivan Branca, Giulia Brullo, Giacomo Buonavi-

na Ciummei, Efthymia Kopanou, Arianna di Gianpietro, Elisa Farinelli,

ta, Mirco Castellani, Giulia Ceccarini, Sara Ciardi, Sra Contino, Laura

Abdo Karim, Alessandra Vezzi, Marina Giaracuni, Michele Longo, Lau-

D’Isita, Lisa Da Rold, Leitizia De Angelis, Aldo De Carlo, Deborah Fab-

ra Lippi, Emanuele Petrilli, Francesca Giugliano, Despoina Myridou,

bri, Caterina Ferraro, Saman Abdolrahimpoor Heravi, Shara Izadiesfaha-

Arianna Novelli, Giulia Pagliaricci, Ana Aragon Asarta, Carlos Guillem

ni, Salar Khalilnasab, Anastasiya Kuzniatsova, Novella Lecci, Kostantina

Navajas, Silvia Marradi, Laura Soldati, Diego Betti, Marco Maria Morel-

Luouliou, Virginia Lombardi, Gilormini Lucie, Marco Magagnini,Ilaria

li, Flora Pham, Virginia Vivona, Natalia Calvos Campo, Francesca Can-

Marchione, Lorenzo Massini, Seyedsobhan Mortazavi, Ioana Necu-

tale, Giacinto Cicatiello, Louis Riverieulx de Varhx.

la, Daniela Nicolazzo, Costanza Ortuzar, Benedetta Pagni, Paolo Piermartiri, Lavinia Radi Crastan, Roberta Ricci, Federico Rocchi. Matteo

Seminario Santa Felicita in Piazza e San Giorgio alla Costa (Cdl

Romani, Elia Romiti, Elena Rosati, Giovanni Ruggieri,Hamideh Sa-

B117 2018-2019)

dat Saadat Hosseini, Marco Sabatino, Andrea Saturnino, Roberta Scaf-

Marta Bandinelli, Vanessa Benelli, Francesca Contestabile Ciaccio,

fidi, Giulio Solari, Beatrice Stefanini, Ana Stojilikoic, Giluia Vallorani,

Alessia Casasanta, Giulia D’Ercole, Martina Colapietro, Viviana Are-

Ludovica Vanni, Elettra Vasarri, Salomè Vernau, Clementine Wavelet,

na, Gessica Avallone, Martina Cecconi, Maria Florio, Irene Mazzella,

Ken Yoshizawa, Marta Zerbini.

Monica Alessandrini, Michela Cabiddu, Sara De Carli, Sofia Giagnoni Martini, Elisa Giorgetti, Federica Martella, Mariangela Carissimo,

Seminario costruito storico dell’Oltrarno (CdL B008 2018-2019)

Riccardo Panerai, Diego Bernabini, Sheyla Cosentino, Gianlorenzo

Lorenzo Conoscenti, Matteo Bertelli, Marco De Nuccio. Sandrino Ian

Dellabartola, Sofia Giagnoni Martini, Martina Checconi, Erika Ange-

Deiana, Tommaso Fontani. Vanessa Gualandi, Anna Grenci, Lucre-

lini, Chiara Grandi, Giulia Grassi, Alberto Ancillotti, Marianna Ange-

zia Cerulo, Marianna Minio, Anna Lena Reier, Elisa Cileberti, Giu-

lini, Giada D’Angeli, Federico Berti, Carlo Buemi, Virginia Cherubini,

lia Casolari, Alice Bovera, Lorenzo Bernardini, Giulia Comini, Gaia

Daniel Alejandro Benitz Torres, Avigal Irena Brodetsky, Antonio Pilato,

Gallorini, Seyedrohollah Anbari, Anahita Naeimi, Chiara Fogato, An-

Maikol Bruno Fallani. Gabriele Giarelli, Arianna Gualtieri, Enrico Cor-

tonio Aurispa, Ilaria Grassi, Safia El Guerch, Marta Ceccaroni, Lisa

rias, Adrianus Duquesnoy, Orges Hasamataj, Giulia Soldi.


brevi note curriculari degli autori

Prof. Giuseppe Alberto Centauro

Dott.sa Marta Castellini

Professore Architetto. Dal 2004 è strutturato come Professore Associato

Laureata in Architettura e specializzata presso la Scuola di Specializza-

di Restauro architettonico con docenza nei Laboratori di Restauro in tut-

zione in beni architettonici e del paesaggio dell’Università degli Studi

ti i corsi di studio del Dipartimento di Architettura e presso la Scuola di

di Firenze, già borsista di ricerca presso il Dipartimento di Architettura

Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio dell’Università

(settore disciplinare ICAR 09), è attualmente assegnista di ricerca pres-

degli studi di Firenze. È autore di oltre 250 pubblicazioni per lo più dedi-

so l'Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del CNR di Firenze

cate alle tematiche della conservazione e valorizzazione di beni culturali

(CNR-ISPC).

e del paesaggio. Responsabile scientifico di Ricerca nei progetti convenzionati illustrati nel presente volume.

Dott.sa Irene Centauro Esperta di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni cultura-

Prof. Silvio Van Riel

li – I Fascia (DM 244/2019). Consulente in ambito di diagnostica per i

Già professore associato di Restauro architettonico e Consolidamento

beni culturali, materiali per la conservazione e il restauro di manufatti e

degli edifici storici presso la Scuola di Architettura dell’Università di Fi-

beni architettonici. Sviluppo di sistemi informatici per la gestione e ana-

renze, attualmente insegna il modulo di Caratteri costruttivi dell’edilizia

lisi dati in ambito di beni culturali e laboratori diagnostici. Assegnista di

storica e consolidamento nei Laboratori di Restauro 1 e 2 presso la Scuo-

ricerca presso il Dipartimento di Scienze della Terra.

la di Architettura ed il modulo di Progetto strutturale per il restauro presso la Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio

Dott. David Fastelli

dell’Università di Firenze.

Dottore in Scienze Geologiche. Consulente tecnico IT in ambito di sviluppo e progettazione di sistemi di gestione dati con strumenti di

Arch. Andrea Bacci

Business Intelligence per la raccolta l’analisi e il monitoraggio degli in-

Architetto Ph.D. Laureato in Architettura nel 2004 consegue il Dottora-

terventi per i beni culturali, le architetture dei Centri Storici e la pia-

to di ricerca in Disegno e Rappresentazione del Costruito e dell’ambien-

nificazione urbanistica. Integrazione sistemi di BI con tecnologie GIS.

te nel 2007 presso il Dipartimento di Progettazione dell’Architettura di

Progettista del sistema Hurbana/Progetto HECO.

Firenze (settore disciplinare ICAR 17). Assegnista di Ricerca dal 2016 al a 2019, ha svolto le attività di tutoraggio nei laboratori didattici citati nel

Arch. Francesco Masci

testo.

Architetto, libero professionista. Laureato nel 2003 alla Facoltà di Architettura, inizia subito la professione e ricopre oggi la carica di Direttore

Arch. Luca Brandini

Tecnico presso lo Studio Tecnico Edilprogetti di Prato. Interagisce come

Architetto, libero professionista. Laureato in Architettura nel 1996, ini-

Borsista di Ricerca nell’ambito disciplinare del restauro, dedicandosi agli

zia la professione occupandosi di progettazione e riqualificazione urba-

aspetti progettuali e risanamento conservativo quale tramite tra la didatti-

na effettuando consulenze per vari Enti. Borsista di Ricerca e dal 2010

ca universitaria e la professione dell’architetto.

Cultore della Materia (SSD ICAR 19) svolgendo, presso il DIDA di Firenze, attività di collaborazione didattica nei laboratori di restauro.

Arch. Margherita Pelosi Architetto, già Tirocinante presso l’Ufficio Belle Arti e Fabbrica di Palazzo Vecchio del Comune di Firenze approfondendo il suo progetto di tesi per il restauro di S.M. Novella (Cultrice della materia – settore disciplinare ICAR 09), attualmente frequenta la Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio presso l’Università degli Studi di Firenze.




Finito di stampare da Officine Grafiche Francesco Giannini & Figli s.p.a. | Napoli per conto di didapress Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze 2020



Le esperienze di conservazione e restauro e gli studi recenti, oggetto di questa pubblicazione, attengono a quanto è stato sviluppato attraverso le convenzioni stipulate con gli Uffici della Municipalità e la Curia Arcivescovile di Firenze. L’attività didattica svolta dai laboratori di restauro, dal 2016 al 2020, ha riguardato distinti approfondimenti tematici su progetti condivisi a livello pubblico sia nei suoi caratteri storico edilizi alla scala architettonica sia a quelli dedicati a comparti urbani in chiave di conservazione e riqualificazione, recupero e riuso. Gli studi sul Centro Storico di Firenze fanno parte di una lunga tradizione di ricerca che, in specie dopo l’alluvione del 1966, nei vari ambiti istituzionali e amministrativi si è andata consolidando per la salvaguardia e di corretta gestione delle risorse architettoniche ed ambientali della città. The conservation and restoration experiences and the recent studies, object of this publication, concern what has been developed through agreements stipulated with Offices of the Municipality and the Archbishop’s Curia of Florence. The teaching activity carried out from 2016 to 2020 involved several thematic insights on projects both on an urban scale and dedicated to monumental sectors, civil and religious architecture in terms of conservation and requalification, recovery and reuse. The studies on the Historic Centre of Florence are part of a long research tradition which, after the flood of 1966, has consolidated in various institutional and administrative areas for the safeguard and correctly manage the city’s architectural and environmental resources. Giuseppe Alberto Centauro. Professore di restauro, titolare di docenza nei Corsi di Studio di primo, secondo e terzo livello attivi presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze. È autore di più di 250 pubblicazioni, monografie e articoli a stampa nei campi della conservazione dei beni culturali e del restauro, (opere d’arte, monumenti, centri storici e paesaggio), dell’archeologia e della storia dell’architettura e della diagnostica architettonica. Responsabile Scientifico di Ricerca in oltre 30 progetti in ambito pubblico e privato. In oltre 40 anni di attività ha condotto numerosi interventi di restauro su edifici di interesse storico artistico, complessi monumentali, spazi urbani posti in compendi storicizzati. Giuseppe Alberto Centauro. Professor of Restoration, holder of first, second and third level Courses of Study at the Architecture Department of University of Florence. He is the author of 250 publications and press notes in the fields of conservation of cultural heritage and restoration, (works of art, monuments, historical centres and landscapes), also archaeology and architectural history and architectural diagnostics. Scientific head of research of more than 30 projects in the public and private sectors. He has designed many restoration interventions on buildings of historical and artistic interest, monumental complexes and urban space located in historicized urban compendia in over 40 years of activity.

ISBN 978-88-3338-113-82

€ 35,00


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Articles inside

Il progetto conservativo

13min
pages 207-212

L’importanza del metodo

10min
pages 180-204

L’analisi dei valori

1hr
pages 215-292

L’esperienza didattica

3min
pages 205-206

La riabilitazione funzionale

3min
pages 213-214

Il rilievo del manufatto architettonico

5min
pages 177-179

Lo studio delle fenomenologie urbane

7min
pages 174-176

Business Intelligence per i Beni Culturali: flusso di lavoro ed elaborazione dati

7min
pages 158-160

Le metodologie

7min
pages 171-173

Le attività nei laboratori didattici

4min
pages 169-170

Applicazione della BI per il patrimonio architettonico: il caso-studio dell’Oltrarno

3min
pages 161-162

Normative di riferimento

5min
pages 148-154

Normative di riferimento

3min
pages 163-168

Problematiche e nuove prospettive

6min
pages 155-157

Tecniche analitiche per i materiali lapidei naturali e artificiali

21min
pages 137-146

Sviluppi e prospettive future

0
page 147

Approfondimenti. La definizione di un palinsesto di studi per il restauro

39min
pages 93-112

Il ruolo della diagnostica per il restauro architettonico

5min
pages 135-136

Approfondimenti. L’indagine scientifica tra conservazione e ricerca: Il caso della Cappella Barbadori-Capponi nella Chiesa di Santa Felicita

9min
pages 113-118

La conoscenza della struttura architettonica

16min
pages 119-127

Il consolidamento strutturale

7min
pages 128-134

Esperienze dal mondo della didattica

13min
pages 83-92

Breve profilo storico evolutivo

19min
pages 67-74

L’approccio al restauro architettonico

27min
pages 56-66

Lineamenti disciplinari

19min
pages 75-82

Introduzione

12min
pages 29-37

Il restauro, gli architetti, il progetto conservativo e la valorizzazione

26min
pages 38-47

Il percorso formativo

20min
pages 48-55

Premessa

13min
pages 23-28

Nota del curatore

21min
pages 13-22
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