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Tecniche analitiche per i materiali lapidei naturali e artificiali

necessario modulare le indagini e gli interventi in relazione alle caratteristiche specifiche di ogni manufatto. La diagnostica rappresenta una fase imprescindibile anche successivamente alla chiusura del cantiere, espletandosi nelle attività di monitoraggio periodico e programmato per la verifica della bontà ed efficacia degli interventi effettuati.

Tecniche analitiche per i materiali lapidei naturali e artificiali

Le tecniche diagnostiche applicabili in ambito di Beni Culturali e in particolare nel restauro architettonico sono innumerevoli e proprio per questo la scelta di quelle più idonee al singolo oggetto di studio rappresenta una fase cruciale nella pianificazione dell’intervento, al fine di evitare un inutile dispendio di tempo e risorse economiche e di ottenere, invece, informazioni preziose sul manufatto ed i suoi materiali costitutivi. Fondamentale è definire che cosa si vuole indagare, perché è necessario farlo, quali informazioni si vuole ottenere: in altre parole, il punto di partenza per il progetto diagnostico è la definizione di un protocollo operativo. Prima di entrare nel merito delle tecniche diagnostiche è importante sottolineare che la prima operazione da compiere, successiva al reperimento delle informazioni storiche e ai rilievi, è certamente l’ispezione visiva diretta del manufatto e delle sue superfici, coadiuvata anche da indagini fotografiche, osservazioni in luce radente, o altre strumentazioni che possono mettere in luce particolari poco visibili. Questa fase non è da considerarsi un aspetto banale o poco significativo ai fini della diagnostica poiché rappresenta, al contrario, il primo passo verso cui direzionare le successive scelte analitiche a seconda delle finalità delle indagini: si ottengono informazioni sulle tecniche di esecuzione, sui fenomeni di degrado, si selezionano le aree più idonee e rappresentative per eventuali campionamenti, si stabilisce la tipologia e la quantità di materiale – carotaggi e micro-carotaggi, porzioni stratigrafiche, polveri, liquidi – che può essere prelevato, si ottiene un quadro dello stato attuale che costituirà un’importante base di confronto per misurare l’efficacia degli interventi realizzati. Fornire un elenco completo ed esaustivo delle tecniche diagnostiche impiegate nel restauro architettonico è un’operazione impossibile oltre che impropria perché le metodologie di analisi possono essere molteplici in base alla tipologia di problema che si intende affrontare. Inoltre, la maggior parte delle tecniche e protocolli normativi sono mutuati da tecnologie afferenti a settori diversi da quello dei Beni Culturali o aventi come oggetto di indagine dei materiali moderni (ad esempio, le radiografie e le tomografie impiegate in ambito medico). Per approfondimenti si rimanda in bibliografia alcuni dei principali repertori e trattati in materia, sottolineando inoltre che il mondo delle indagini diagnostiche applicate ai Beni Culturali è in continuo sviluppo e implementazione: Matteini Moles, 1984; Musso, 1995; Guidi, 1999; Castellano et al., 2002; Maino e Ciancabilla, 2004; Musso, 2006; Cardinali et al., 2007; Lorusso et al., 2007; Aldrovandi e Picollo, 2007; Carbonara, 2008; Santopuoli e Seccia, 2008; Puppin e Piccolo, 2008; Paolillo e Giudicianni, 2009; Milazzo e Ludwig, 2010; Frate, 2010; Altomare, 2019.

È comunque possibile fornire una panoramica sulle principali e più diffuse tecniche diagnostiche utilizzate sui materiali lapidei naturali e artificiali3, che convenzionalmente possono essere suddivise in ‘non distruttive’ e ‘distruttive’. Ulteriori classificazioni proposte in letteratura (Santopuoli e Seccia, 2008) affinano ulteriormente la distinzione delle tecniche in qualitative e quantitative, in base alla valutazione dei fenomeni di degrado, o ancora in globali e puntuali, in relazione all’estensione delle regioni indagate. Tale distinzione si riferisce ai due diversi metodi di analisi previsti e al grado di impatto sul manufatto oggetto di studio: nel primo caso si tratta di indagini che prevedono al massimo il campionamento di micro-frammenti o polveri del materiale e, in alcuni casi, neanche il contatto tra strumentazione e superficie; nel secondo caso invece è previsto il prelievo di materiale, variabile per quantità e tipologia in base al tipo di tecnica impiegata. Per tale ragione l’applicazione nell’ambito dei Beni Culturali di metodi e tecniche derivate dall’industria richiede grande attenzione poiché occorre evitare o limitare il più possibile le eventuali alterazioni o perdite di materiali di pregio. D’altro canto, in base agli obiettivi di analisi, occorre riflettere sull’opportunità di ‘sacrificare’ piccole porzioni di materiale ove quest’azione risultasse fondamentale per poter formulare le soluzioni progettuali più idonee. Riprendendo il concetto espresso nel paragrafo precedente, appare quindi fondamentale, per un corretto approccio al progetto diagnostico e di restauro, disporre di dati aggiornati ed esaustivi sugli interventi realizzati, non solo ai fini del monitoraggio ma anche per limitare al minimo le campionature e l’impatto generale sul manufatto.

Tecniche non distruttive e/o minimamente invasive

Si tratta principalmente, ma non esclusivamente, di metodi che implicano l’uso di radiazioni magnetiche, acustiche, o la rilevazione di radiazione IR e sono impiegati per determinare l’integrità ed omogeneità meccanica/strutturale dei materiali. Attraverso queste tecniche è possibile: • individuare difetti superficiali, sub-superficiali o profondi del materiale indagato (es: fratture, scollamenti, vuoti, ecc.); • identificare il tipo di materiale (distinzione per macro-categorie) e il suo spessore; • valutare le condizioni di conservazione superficiali. Di seguito, si propone un elenco delle tecniche più comunemente impiegate in ambito di restauro architettonico.

3 I materiali lapidei artificiali sono ad esempio malte, intonaci, calcestruzzi, pietre artificiali, ceramiche, laterizi.

Indagine con Georadar. È un’indagine geofisica utilizzata per definire l’assetto geometrico delle fondazioni e del sottosuolo, individuare e mappare strutture murarie, corpi interrati, difetti di realizzazione, zone degradate, ecc. In particolare, è possibile identificare interfacce tra livelli dotati di differente resistività e costante dielettrica. Si basa sull’emissione delle onde elettromagnetiche attraverso un materiale, registrando come queste vengono riflesse dal materiale stesso: gli impulsi generati in superficie si propagano in profondità (variabile da pochi a decine di metri), dove vengono riflessi dalle discontinuità presenti e captati da un ricevitore, amplificati e quindi registrati su supporto digitale. Dopo opportuna elaborazione dei dati mediante filtraggi, attenuazioni e migrazioni dei segnali riflessi, si ottiene un radargramma dell’area investigata con la traccia delle discontinuità identificate. La rappresentazione grafica è costituita da mappe bidimensionali con espressi i valori di riflettività relativa. Riferimento: ASTM D6432-99.

Analisi Pacometrica. Fa parte dei metodi che sfruttano le proprietà magnetiche del ferro ed è infatti tipicamente impiegata per rilevare la presenza, la direzione e la profondità dei ferri d’armatura nel calcestruzzo; si utilizza in campo di diagnostica architettonica per individuare elementi metallici (perni, catene, ecc.) spesso applicati in interventi di restauro presenti sotto la superficie di materiali lapidei, intonaci. Per l’analisi si utilizza il pacometro (Fig. 3.1), strumento che si basa sul principio delle correnti parassite ed è costituito da una sonda emettitrice di campi magnetici continuamente variabili a media frequenza. La sonda viene fatta scorrere sulla superficie analizzata: nel momento in cui viene rilevato un elemento metallico l’unità di elaborazione digitale a cui è collegata ne segnala la presenza e la profondità rispetto alla superficie. Riferimenti: UNI EN ISO 15548-3:2009, UNI ENV 1992-1-1:2015 (EC 2), DIN 1045, BS 1881:204, D.M. 17/01/2018 (NTC 18).

Analisi Ultrasonica. L’ispezione mediante ultrasuoni serve ad individuare, tra le altre cose, difetti e discontinuità superficiali o interne di un materiale come, ad esempio, una porzione di muratura o la superficie di rivestimento lapideo. Si basa sul fenomeno della trasmissione nel materiale di onde sonore ad alta frequenza, generando 3 impulsi ultrasonici per trasparenza a mezzo di trasduttori elettroacustici con dispositivo di sincronismo del segnale di partenza (Fig. 3.2). Viene rilevato il tempo di volo ovvero il tempo di propagazione degli impulsi di vibrazione ultrasonica dal trasmettitore al ricevente, mediante accelerometro. L’oscilloscopio dello strumento permette di visualizzare la discontinuità tra il segnale di partenza e quello di riflesso. La velocità di propagazione dell’impulso ultrasonico dipende dal materiale attraversato e dalla presenza di discontinuità. L’efficacia del test migliora in base alla morfologia del materiale da esaminare, ovvero dalla presenza di superfici piane e parallele. Riferimenti: UNI EN ISO 16810:2014, UNI EN 15317:2013, UNI EN 12668:2013, UNI EN 12504-4:2005, ASTM C 597, D.M. 17/01/2018 (NTC 18), Raccomandazione CNR-ICR NorMaL 42/93.

•Fig. 3.1

Esempio di strumentazione utilizzata per l’indagine pacometrica

•Fig. 3.2

Esecuzione di misura ultrasonica per trasmissione indiretta, sulla superficie di un rivestimento lapideo

•Fig. 3.3

Utilizzo di uno sclerometro per la misurazione della resistenza superficiale di un elemento lapideo Prova Sclerometrica. Eseguibile su calcestruzzo, giunti di malta ed elementi lapidei naturali e artificiali, serve per valutare l’uniformità e compattezza superficiale, individuare le zone degradate o di scarsa qualità e ottenere una stima della resistenza in sito del materiale in base alla durezza superficiale misurata. Lo strumento solitamente impiegato è lo sclerometro a molla di Schmidt (Fig. 3.3), costituito da una massa battente in acciaio che, azionata da una molla, rimbalza contro un’asta di percussione poggiante direttamente sulla superficie in esame: l’entità del rimbalzo viene quantificata da un indice che, con opportune calibrazioni, fornisce una stima della resistenza a compressione espressa in MPa. Questa prova può essere considerata minimamente invasiva poiché le battute possono causare microdistacchi superficiali, specie se il materiale è molto degradato o poco compatto. Riferimenti: UNI EN 12504-2:2012, ASTM C 805, D.M. 17/01/2018 (NTC 18).

Metodo SONREB. Deriva dall’esecuzione delle prove ultrasoniche e sclerometriche elaborate attraverso una lettura unitaria (SONic + REBound). Tale metodo fornisce la stima del valore di resistenza del calcestruzzo in opera eseguita mediante correlazione tramite analisi statistica multiregressiva dei valori di velocità ultrasonica con il valore dell’indice di rimbalzo. Questa tecnica permette di ridurre gli errori di interpretazione derivanti dall’applicazione delle due metodologie, analisi ultrasonica e prova sclerometrica, valutate singolarmente. Riferimenti: UNI EN 12504-2:2012, UNI EN 12504-4:2005, D.M. 17/01/2018 (NTC 18).

Prova penetrometrica su malta. Attraverso questo test si misurano le proprietà meccaniche di intonaci, malte e giunti di malta. Consiste nella penetrazione, nel materiale, di un ago di acciaio mediante colpi generati da uno sclerometro, con energia costante; la profondità di penetrazione del chiodo viene misurata e correlata con specifiche curve alla resistenza a compressione del materiale di prova. L’ago è rimovibile e di piccola sezione per cui l’impatto sulla superficie è molto limitato. Riferimenti: UNI EN 1015-11:2007.

Drilling Resistance Measurements Systems (DRMS). Con questa tecnica è possibile misurare la resistenza alla foratura di malte e rocce. Durante la prova, eseguita con strumentazione anche portatile per prove in sito, il sistema misura la forza necessaria alla foratura con una punta diamantata e la posizione della punta, monitorando l’andamento di tale forza in funzione dell’avanzamento della punta. Da questo test si ricavano informazioni relative alla resistenza meccanica del materiale indagato. Questo sistema è prodotto e brevettato dall’azienda italiana SINT Technology.

Analisi Sonica. Questa tecnica viene impiegata, analogamente all’analisi ultrasonica, per indagare la condizione del materiale nel suo interno, localizzare eventuali disomogeneità, vuoti e difetti presenti nella sezione analizzata. La tecnica sfrutta la propagazione nel materiale delle onde sonore

generate da un breve impatto elasto-meccanico sulla superficie prodotto dalla percussione con martello strumentato con dispositivo di sincronismo del segnale di partenza (Fig. 3.4). Come per l’analisi ultrasonica, vengono rilevati i tempi di propagazione degli impulsi di vibrazione sonica mediante un accelerometro posizionato sul lato opposto. Anche in questo caso, la velocità di propagazione delle onde sonore dipende dalle sue caratteristiche fisiche e dalla presenza di disomogeneità al suo interno. La sostanziale differenza tra le due tecniche analitiche sonica ed ultrasonica, sta nella frequenza delle onde impiegate che per gli ultrasuoni è maggiore e quindi permette di evidenziare difetti e discontinuità di minore entità ma in spessori più limitati rispetto a quelli indagabili con l’analisi sonica. Riferimenti: UNI EN 1330-9:2017, UNI EN 13554:2011, UNI EN 13477-2:2010, RILEM TC 127 MS D.5, D.M. 17/01/2018 (NTC 18), Raccomandazioni CNR-ICR NorMaL 42/93 e 22/86.

Analisi termografica all’infrarosso. Si tratta di una tecnologia impiegata per l’individuazione e la localizzazione di fenomeni di degrado quali distacchi, anomalie costruttive, discontinuità, lesioni, cavità. Permette inoltre di indagare ulteriori discontinuità e anomalie all’interno di una struttura muraria, come preesistenze strutturali, tamponature, canne fumarie e condotti di ventilazione, rilevando la presenza di ponti termici e di fenomeni di umidità da risalita capillare, condensa, infiltrazioni, ecc. Questa tecnica è infine utile anche per studiare la tessitura muraria. È una tecnica di imaging che permette di registrare e rappresentare graficamente le variazioni di temperatura e quindi di emissione di radiazione infrarossa (IR) da parte dei materiali indagati; prevede l’acquisizione dei termogrammi con strumentazione portatile (termocamera) sensibile all’infrarosso; è imprescindibile la misura preliminare dei parametri ambientali (temperatura e umidità relativa). I termogrammi sono elaborati come mappe in falsi colori della distribuzione delle temperature, in genere dal blu al rosso per valori di temperatura crescenti. Per uno screening esteso delle superfici architettoniche, previa mosaicatura dei singoli termogrammi, si può optare per una restituzione dei termogrammi in b/n (negativo/positivo) al fine di disporre di una più chiara visualizzazione d’insieme degli apparati murari indagati. È una tecnica non distruttiva e non invasiva e attualmente esistono numerose tipologie di termocamere più o meno sensibili e quindi più o meno costose: queste caratteristiche hanno reso la termografia un’indagine largamente diffusa ed utilizzata ma, proprio per tale ragione, spesso soggetta a gravi errori di interpretazione dei risultati o applicata in modo errato. Ad esempio, molti fenomeni risentono della stagionalità e delle variazioni delle condizioni climatiche dell’ambiente esterno per cui, per evitare di incorrere in errore, è necessario scaldare le pareti da analizzare prima della misura o in altri casi monitorare e registrare preventivamente il microclima interno. Inoltre, non è possibile con questa tecnica misurare quantitativamente il contenuto di umidità ad esempio in una parete poiché questa è influenzata dal coefficiente di emissività caratteristico di ogni materiale. Le diverse caratteristiche di emissività e calore specifico dei materiali, che emergono nei

•Fig. 3.4

Esempio di strumentazione utilizzata per l’indagine sonica

termogrammi come ‘macchie’ di colore (e temperature) diverse, possono inoltre indurre in ulteriori errori interpretativi. Riferimenti: UNI EN 16714-3:2016, UNI EN 16242:2013, UNI EN 15758:2010, UNI EN 13187:2000, ISO 6781:1983, ASTM C 1060, ASTM C 1153, D.M. 17/01/2018 (NTC 18).

Assorbimento d’acqua mediante spugna di contatto. Si tratta di un metodo per la determinazione della capacità di assorbimento di acqua di un materiale lapideo per unità di superficie in funzione del tempo. Tale misura è indicata per la valutazione dell’efficacia dei trattamenti protettivi e della porosità di un materiale lapideo. La prova avviene mediante contatto, a pressione costante, di una spugna bagnata con acqua (spugna di contatto) e la superficie del materiale. La differenza di peso della spugna misurata prima e dopo la prova, fornisce l’entità dell’acqua assorbita dal materiale. Questo metodo è minimamente invasivo perché comporta la bagnatura di piccole porzioni superficiali ma consente di evitare il campionamento previsto per la prova di assorbimento d’acqua per capillarità. Riferimenti: UNI 11432:2011.

Analisi videoendoscopica. È una tecnica di ripresa video-fotografica utile per ottenere informazioni macroscopiche circa lo stato conservazione dei materiali e la stratigrafia di murature o solai. Prevede l’impiego di una sonda rigida o flessibile a fibre ottiche con diametri variabili a partire da 5 mm, da eseguirsi su fessurazioni già esistenti o su apposite forature già predisposte eseguite con micro-carotatrice. Le immagini e i video vengono acquisiti mediante fotocamera digitale o apposita unità di elaborazione digitale costituita da videoprocessore e monitor. Riferimenti: D.M. 17/01/2018 (NTC 18).

Analisi termogravimetrica (TGA). Questa tecnica misura la variazione della percentuale in peso di un materiale sottoposto a riscaldamento controllato che si verifica in seguito alla decomposizione dei componenti presenti. I termogravigrammi prodotti, forniscono informazioni sui meccanismi e sulle cinetiche di decomposizione delle molecole, e sono utilizzati per il riconoscimento e per la quantificazione dei composti presenti nei materiali da costruzione, come calcare, gesso, calcite, ecc.; inoltre con questa tecnica è possibile determinare il contenuto di umidità. L’interpretazione dei termogravigrammi è comunque molto complessa. La tecnica può essere considerata prevede il prelievo di pochissimi grammi di materiale. Riferimenti: ASTM E1877.

Diffrattometria a raggi X (XRD). Si tratta di una tecnica utilizzata per l’identificazione qualitativa – o semi-quantitativa – delle principali fasi cristalline presenti in un materiale (come pigmenti, materiali lapidei, leghe metalliche) e negli eventuali prodotti di alterazione. Si utilizza per lo studio (sali inquinanti, prodotti di corrosione, ecc.). Il principio su cui si fonda tale metodo analitico è la correlazione tra lo spettro della diffrazione X provocata dai piani cristallini della sostanza analizzata e la natura

chimica-cristallografica della sostanza (Matteini e Moles, 1986). La tecnica poiché prevede il prelievo di pochissimi grammi di materiale. Riferimento: Raccomandazione CNR-ICR NorMaL 34/91.

Microscopia elettronica a scansione (SEM). Si tratta di una tecnica che permette, attraverso l’impiego del Microscopio Elettronico a Scansione, l’analisi morfologica dei campioni ad elevato ingrandimento, indagando ad esempio sulle stratigrafie pittoriche e, in accoppiata con la microanalisi in dispersione di energia (EDS), permette anche di eseguire l’analisi microchimica di composti organici e inorganici. La tecnica prevede il campionamento di polveri o piccoli frammenti, che vengono poi adeguatamente preparati per l’analisi. Riferimenti: Raccomandazione CNR-ICR NorMaL 8/81.

Spettrometria infrarossa in Trasformata di Fourier (FTIR). Le tecniche spettroscopiche, come la FTIR, permettono di ottenere informazioni sulla struttura di una molecola, sulle geometrie molecolari, sui legami chimici e sulle interazioni molecolari attraverso l’interazione tra la materia e la radiazione elettromagnetica. Di conseguenza sono tecniche utili per la caratterizzazione e l’individuazione di pigmenti, intonaci, leganti, prodotti di alterazione, ecc. I dati vengono ottenuti sottoforma di spettri, ovvero grafici che riportano l’energia emessa o assorbita in funzione della lunghezza d’onda o di un altro parametro. La strumentazione richiesta è diversa per ogni regione dello spettro elettromagnetico; in particolare, con la tecnica FTIR si utilizza uno spettrofotometro che impiega, per l’eccitazione delle molecole, il range di energia compreso tra 1 e 500 μm, corrispondente alla regione dell’infrarosso. La tecnica prevede il campionamento di polveri o piccoli frammenti, che vengono poi adeguatamente preparati per l’analisi.

Analisi minero-petrografica del campione su sezione sottile. Si tratta di un’analisi condotta al microscopio ottico polarizzatore in luce trasmessa ed è utile per la caratterizzazione mineralogica del materiale, tramite cui è possibile ottenere informazioni sulla sua natura chimico-petrografica e sullo stato di conservazione: composizione mineralogica, morfologia e granulometria dell’aggregato, composizione e caratterizzazione della matrice legante, porosità dell’impasto e percentuale dei pori, prodotti di alterazione, ecc. La tecnica prevede il campionamento piccoli frammenti, che vengono poi adeguatamente preparati per l’analisi e l’osservazione al microscopio (Fig. 3.5). Riferimenti: UNI 11176:2006, UNI 10924:2001, UNI 10922:2001, Raccomandazioni CNR-ICR NorMaL 10/82, 12/83 e 14/83.

Analisi stratigrafica del campione su sezione lucida. Quest’analisi consiste nell’osservazione al microscopio ottico in luce riflessa di frammenti di campione inglobati in resina; è utile per individuare la sequenza dei differenti strati del paramento murario o della stratigrafia pittorica (Fig. 3.6) ed eventuali prodotti di neoformazione ed alterazione. La tecnica prevede il campionamento piccoli

•Fig. 3.5

Sezione sottile di una malta, osservata al microscopio ottico polarizzatore

•Fig. 3.6

Stratigrafia pittorica di un campione osservata in sezione lucida

•Fig. 3.7

Test della fenolftaleina eseguito sulla superficie di provini di malte

frammenti, che vengono poi adeguatamente preparati per l’analisi. Riferimenti: UNI 10945:2001, UNI 10922:2001, Raccomandazioni CNR-ICR NorMaL 12/83 e 14/83.

Analisi spettrocolorimetrica. La colorimetria permette l’identificazione e la misura dei colori e delle loro variazioni attraverso una metodologia sistematica e oggettiva, a prescindere dalla risposta fisiopatologica dell’osservatore. L’analisi spettrocolorimetrica può essere impiegata, oltre che per la misura del colore, anche per monitorare nel tempo le eventuali variazioni cromatiche (ΔL) correlate, ad esempio, all’applicazione di trattamenti protettivi. Per la misura vengono identificate le coordinate cromatiche nel sistema CIE (1931) o L*a*b* (1976) attraverso l’utilizzo di uno spettrofotometro che può essere anche portatile, per prove direttamente in sito. Lo spettrofotometro ha un campo spettrale che generalmente va da 400 a 700 nm. Per ogni superficie indagata si eseguono 3 misure per l’identificazione del valore medio; tale misura viene ripetuta nel tempo. Riferimenti: Raccomandazione CNR-ICR NorMaL 43/93.

Misura della profondità di carbonatazione (metodo della fenolftaleina). Questo test è utilizzato per valutare il degrado del calcestruzzo e l’eventuale corrosione dei ferri d’armatura. Può essere applicato in generale per osservare il grado di carbonatazione dell’idrossido di calcio all’interno di una malta. Si utilizza la fenolftaleina, un indicatore di pH utilizzato nelle titolazioni acido-base, incolore, che ha la proprietà di virare al porpora in ambiente basico, con pH superiore a 8,5 (tipico dell’idrossido di calcio). Le superfici analizzate vengono irrorate con una soluzione all’1% di fenolftaleina in alcool etilico: la variazione di colore si manifesta immediatamente (Fig. 3.7). Questa tecnica viene applicata sulle carote prelevate dalle strutture in calcestruzzo per verificare la profondità di carbonatazione ad esempio delle fondazioni, ma può essere utilizzata anche in superficie per altre tipologie di indagini; tecnicamente è quindi un’analisi non distruttiva, ma la colorazione eventualmente prodotta è indelebile. Riferimento: UNI EN 14630:2007, D.M. 17/01/2008 (NTC 18).

Tecniche distruttive e invasive

Si tratta di metodi che implicano il prelievo di campioni dal materiale oggetto di studio, oppure l’esecuzione di saggi d’ispezione e forature. I prelievi possono variare molto per numerosità e dimensioni dei campioni, dall’asportazione di frammenti fino ai carotaggi. Come già affermato, la campionatura è un’operazione estremamente delicata in quanto determina l’alterazione di materiale che, nel caso dei Beni Monumentali, è spesso di pregio per cui deve essere limitata al minimo; al contempo, i campioni prelevati devono essere sufficientemente rappresentativi della casistica necessaria allo studio del manufatto e agli obiettivi che si intende raggiungere col progetto di restauro. L’operazione di campionatura, secondo normativa (UNI EN 16085:2012), richiede esperienza e professionalità, al pari delle altre fasi progettuali.

Misura della resistenza a compressione monoassiale. La resistenza meccanica (o tensione di rottura) di un materiale è una proprietà che indica il massimo sforzo che tale oggetto è in grado di sopportare prima che sopraggiunga la sua rottura. Tale proprietà può essere misurata con diverse tipologie di prove specifiche, tra cui compressione, trazione, flessione, torsione e taglio4 . La prova misura le caratteristiche meccaniche di materiali lapidei, laterizi, malte e calcestruzzi e consiste nella determinazione della resistenza locale alla compressione del campione, esercitata lungo una direzione da una pressa idraulica. La prova viene effettuata con una pressa idraulica (Fig. 3.8) su almeno tre provini identici del materiale oggetto di studio – cilindrici, cubici o parallelepipedi – ed è eseguita mediante compressione nella direzione di maggiore dimensione dei provini, registrando in tempo reale l’intero percorso di equilibrio del campione. Il carico applicato varia a seconda del tipo di materiale e della dimensione del campione oggetto di studio. Questa prova, analogamente agli altri test per la misura delle proprietà meccaniche, è standardizzata per materiali moderni (cementi, calcestruzzi, ecc.). Riferimenti: UNI EN 12390-3:2019, UNI EN 1015-11:2007, UNI 1926:2007, D.M. 17/01/2018 (NTC 18).

Prova di aderenza al supporto (pull-off). Questo test consente di identificare la resistenza a trazione di un sistema edilizio e la forza di adesione tra materiali diversi. Viene realizzata direttamente sulla superficie in esame ed è eseguita mediante estrattore idraulico del diametro di 50 mm, dotato di manometro digitale, il quale esercita la forza contrastato da distanziale a 3 appoggi. La prova esprime il carico minimo applicato fino al cedimento. Riferimenti: UNI EN ISO 4624:2016, UNI EN 1015-12:2016, UNI EN 1542:2000.

•Fig. 3.8

Provino parallelepipedo posto in pressa idraulica per la prova di resistenza a compressione

4 Delle prove di resistenza meccanica, per brevità, si è scelto di descrivere a titolo esemplificativo esclusivamente la misura della resistenza a compressione monoassiale.

•Fig. 3.9

Provini di malte immersi in acqua per la misura della porosità accessibile all’acqua

Fig. 3.10

Provini di malte posti in tazze in atmosfera a temperatura e umidità controllate per la prova di permeabilità al vapore acqueo

Fig. 11

Provini di malte durante la misura di assorbimento d’acqua per capillarità

Misura delle proprietà fisiche – Determinazione della porosità accessibile all’acqua. La porosità accessibile all’acqua di un materiale (o efficace) è costituita dai pori in cui può entrare acqua allo stato liquido, a pressione atmosferica o sottovuoto. Viene misurata utilizzando col metodo della bilancia idrostatica, che si basa sulla legge di Archimede, secondo cui un oggetto immerso in acqua riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del volume di acqua spostata. Tale prova viene eseguita su un minimo di 3 provini dello stesso materiale, opportunamente confezionati (Fig. 3.9). Riferimenti: ISO 6783:1982.

Misura delle proprietà fisiche – Determinazione della permeabilità al vapore d’acqua. L’aria può contenere una certa quantità di vapore acqueo che dipende dalle condizioni di temperatura e pressione. A pressione costante, aumentando la temperatura dell’aria, aumenta la quantità di vapore che in essa può essere contenuta. Per ogni temperatura esiste, dunque, un limite massimo e l’aria che si trova a contenere umidità al limite massimo si dice satura. Una volta che questo limite viene raggiunto, ogni incremento di umidità fornito all’aria non può essere recepito e si ha una precipitazione del vapore sotto forma di condensa. Il metodo per la determinazione della permeabilità al vapore d’acqua (WVP) di materiali che costituiscono i beni culturali può essere applicato a materiali porosi inorganici sia non trattati che sottoposti a qualsiasi trattamento o invecchiamento. Tramite questa prova si determina la quantità di vapore acqueo che fluisce, nell’unità di tempo, per unità di superficie e in condizioni stazionarie, attraverso il campione sotto l’effetto di una pressione parziale di vapore acqueo tra le due superfici. Tale prova viene eseguita su un minimo di 3 provini dello stesso materiale, opportunamente confezionati (Fig. 3.10). Come per altre misure delle proprietà fisiche, esiste un quadro normativo specifico per i materiali dei Beni Culturali. Riferimenti: UNI EN 15803:2010.

Misura delle proprietà fisiche – Determinazione dell’assorbimento d’acqua per capillarità. I pori che caratterizzano la struttura di una malta possono essere assimilati ad una fitta rete di capillari e sono i responsabili principali del fenomeno della risalita capillare di acqua. Questo metodo può essere applicato per la determinazione della bagnabilità superficiale di un materiale e per verificare, ad esempio, l’efficacia di un trattamento idrorepellente o protettivo. Per misurare la quantità di acqua assorbita secondo tale meccanismo, si utilizza un metodo che prevede la misura della variazione di peso di almeno 3 provini dello stesso campione, posti a contatto con spugne immerse in acqua demineralizzata (Fig. 3.11). Riferimenti: UNI EN 15801:2010.

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