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Il diritto di allevare
Editoriale
Il diritto di allevare
di GENNARO IANNUCCILLI, foto F.O.I.
Periodicamente tornano alla ribalta le problematiche relative alle presunte normative che dovrebbero regolare, consentire o limitare l’allevamento di determinate specie ornitiche. Di recente, si è fatto un gran parlare di una proposta di legge che, prendendo spunto da una direttiva europea, ha generato confusione e scompiglio tra gli allevatori perché, forse artatamente, è nuovamente emerso il tentativo di contenere in qualche modo – se non contrastare direttamente – l’allevamento degli uccelli, nonostante il rispetto delle regole e degli adempimenti nei confronti delle specie protette e/o inserite nei regolamenti CITES. Non voglio in questa sede elencare leggi, norme, decreti e direttive. Vorrei solo esprimere una riflessione sorta in merito alle reiterate azioni di alcune associazioni cosiddette “animaliste” che, con il supporto di taluni esponenti della politica forse in cerca di facili consensi, cercano in tutti i modi e in tutte le occasioni di ostacolare quella che noi, invece, definiamo e interpretiamo come una passione nobile, sincera, legittima e finanche terapeutica. Mi sono trovato spesso a discutere su varie opinioni espresse riguardo l’allevamento degli uccelli a scopo ornamentale e sportivo e ho potuto constatare che, se si parte da una posizione ideologica contraria e conflittuale, non c’è modo di far comprendere le motivazioni che regolano e alimentano la nostra fervida passione. Direi che, in questi casi, sarebbe perfino meglio lasciare cadere la
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conversazione con il nostro interlocutore di turno, non tanto perché non si riuscirebbe a condurlo dalla nostra parte facendogli cambiare idea, ma perché non ci sarebbe modo di fare breccia in un muro di gomma costruito, nel tempo, su un substrato di errati convincimenti, indotti finanche da un’opinione pubblica distorta a causa di processi comunicativi pilotati e impropri utilizzi di social media, stampa, televisione, ecc. Eppure, la differenza tra le attività che pratichiamo noi e ciò che si tende a impedire, nel nome della tutela del patrimonio avifaunistico, è chiara e semplice da rilevare. Partiamo, infatti, dal presupposto che tutte le attenzioni –politiche e ideologiche – dovrebbero essere rivolte a contrastare la cattura e il traffico degli animali “selvatici” considerato illegale. Bene, noi siamo esattamente sulla stessa linea di pensiero, proprio perché convinti di essere allevatori di uccelli “domestici”, cioè nati, selezionati e riprodotti in ambiente controllato. Pertanto, i soggetti da noi allevati nulla hanno a che vedere con i “selvatici”, cioè gli uccelli che vivono in natura alle varie latitudini del nostro Pianeta. Basterebbe applicare questa semplice, elementare deduzione per far cadere qualsiasi equivoco. E invece si continua – da parte dei soliti “noti” – a cogliere ogni occasione per gettare nel calderone anche le attività degli allevatori, corretti, certificati, iscritti alla FOI e in possesso di tesserino e numero univoco di RNA. Continuano a intervalli regolari ad arrivare notizie circa controlli effettuati da personale (talvolta autorizzato, altre volte no) che accomuna specie solo apparentemente simili, esigendo che determinate limitazioni vengano praticate anche nei confronti di mutati, ibridi, perfino canarini e ondulati, facendo leva su regolamenti regionali poco chiari o male interpretati. Diverso è il discorso sul benessere e il maltrattamento; su questi argomenti, siamo completamente d’accordo a schierarci al fianco di chi vuole agire verso coloro che non prestano le attenzioni necessarie per il corretto allevamento e mantenimento delle specie aviarie, così come di tutti gli altri animali domestici. Però tali argomenti non possono essere confusi solo per sostenere o parteggiare per una determinata ideologia, discutibile sotto molte sfaccettature. Finiamola una volta per tutte di accomunare gli allevatori “certificati” che rispettano un comportamento etico, dai bracconieri che non si fanno scrupoli nel catturare e commerciare specie protette facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato. È necessario, oserei dire obbligatorio, fare queste debite distinzioni ogni qualvolta ci si riferisca all’allevamento ornitologico legittimo ed etologicamente corretto, attività completamente all’opposto e in antitesi alla detenzione di specie selvatiche “trafficate” illegalmente. Se per noi ciò è chiaro, per altri evidentemente non lo è (o non vogliono che lo sia). Premesso che costituzionalmente non si potrà impedire un’attività individuale, associazionistica e federale riconosciuta e tutelata da sempre, bisognerà comunque vigilare per intercettare i tentativi di limitazione che, ad intervalli più o meno regolari, emergono da chi non concepisce l’allevamento in generale e, di conseguenza, cerca di impedirlo anche con ingerenze in campo legale. Rispettiamo chi non la pensa come noi: coloro i quali non gradiscono l’arte di allevare uccelli con finalità unicamente ornamentali e sportive, sono liberissimi di non praticare l’ornicoltura. Ma la loro libertà di pensiero e opinione non deve tramutarsi in un’imposizione che ha poco a che fare con i principi democratici a cui tutti dobbiamo necessariamente ispirarci. La FOI è e dovrà essere sempre in prima linea nel monitorare quanto succede a livello istituzionale e governativo, agendo nella maniera più giusta ed efficace, non lanciando proclami sui vari social per generare solo sterile clamore mediatico, ma cercando di interloquire con chi è (o sarà) preposto a intervenire a livello normativo sugli argomenti e i diritti che più stanno a cuore a tutti gli allevatori federati.