25 minute read
Il Canarino Matusalemme
testo e foto di FEDERICOVINATTIERI
Non vi nascondo che quando la Signora Giada Masoni mi contattò, dicendomi che sua madre era la proprietaria di un canarino di 26 anni, pensai subito, in tutta sincerità, che si trattasse del solito sensazionalismo che la maggior parte delle persone si convince di possedere, ma che poi in realtà finisce per essere solo una falsa convinzione. Quando poi, per mera curiosità, ho voluto indagare più a fondo e chiedere chiarimenti, ricevendo per risposta le foto del soggetto e la storia completa di questo canarino, mi son dovuto ricredere ed ho capito che era tutto vero. È esatto, avete capito bene... non è un errore di battitura, quel Canarino ha veramente la veneranda età di 26 anni. Un primato che ha quasi dell’incredibile. Tra i tanti racconti ed aneddoti che nel corso degli anni ho raccolto dai vecchi allevatori che ho frequentato nell’ambito dell’Associazione Fiorentina Ornitologica, si parlava anche di alcuni canarini vissuti fino a 20 anni circa, in una casa borghese di Firenze nel secolo scorso... ma penso francamente che i 26 anni di questo soggetto siano un vero record per un canarino. In realtà la sua età è forse maggiore, poiché fu acquistato già da adulto. Teoricamente potrebbe anche essere già al suo 30° anno di vita, ma noi basiamoci sulle certezze, e queste certezze ci vengono date dalla Sig.ra Giovanna Francalanci, madre di Giada, che è assolutamente certa dell’età minima di questo pennuto.
L’anziano canarino di 26 anni
Veniamo alla storia di questo eccezionale uccellino. Correva l’anno 1994 ed era precisamente il giorno 8 dicembre. Nel giorno dell’Immacolata si svol - geva a Santa Croce sull’Arno, in Provincia di Firenze, la fiera paesana nella quale vi era anche quello che in Toscana viene definito “l’uccellaio”, ossia il venditore di volatili e vari animali domestici. Fu proprio in questo stand che la Si - gnora Lori, madre di Giovanna, acquistò “Pippo”, così venne da lei battezzato questo canarino. Un comu - nissimo canarino di colore giallo. Fu un colpo di fulmine. Questa anziana signora adorava questo canarino ed era affascinata dal suo canto melodioso. Un maschio quindi, senza ombra di dubbio, visto che non smetteva mai di cantare. Gli anni passarono. Nel 2008 l’anziana signora venne a mancare ed il canarino fu ereditato dalla figlia Giovanna. Quest’ultima lo ha mantenuto con una tale dedizione che farebbe invidia a qualunque ornicoltore. Pulizia quasi maniacale della gabbia e del canarino stesso, con bagno quotidiano, collirio negli occhi, taglio delle unghie, lavaggi delle zampe con Amuchina, qualche ora di sole ogni gior no... pur mantenendo sempre la medesima gabbia, mai cambiata dall’origine e lo stesso telo che la madre utilizzava per coprirla durante le ore notturne. La mia curiosità si è subito concen - trata su quale fosse stata l’alimentazione di questo soggetto per quasi tre decenni. La Sig.ra Giovanna me l’ha descritta minuziosamente: semi con frutta essiccata all’interno, quelle normalissime scatoline che vengono vendute anche al supermercato... poi uno spicchio di mela ed una foglia di insalata. Oltre a questi, sempre a disposizione il “biscottino”, del quale il canarino va ghiotto tutt’oggi, talvolta alternato con la classica stecca di semi e miele, anch’essa facilmente reperibile nei supermercati. “La foglia di insalata mai scura però” - sostiene la Sig.ra Giovanna - “perché
solo se chiara viene apprezzata da questo canarino.” “Sul fondo della gabbia solo carta da cucina assorbente colorata, e mai quella bianca, perché altrimenti lui non scende volentieri” - sostiene la proprietaria, che conosce attentamente le abitudini dell’uccellino. Mai somministrato nessun genere di vitamine o altri integratori, men che mai medicinali di alcun tipo. Tutto al naturale. Questa, evidentemente, è la ricetta per una lunga vita. D’inverno la gabbia non viene mai spostata all’esterno, solo durante la
La Sig.ra Giovanna Francalanci con il suo affezionato Canarino
bella stagione vengono concessi dei “bagni di sole”. Queste le parole della Sig.ra Giovan - na, che parla di questo canarino come di un vero e proprio membro della sua famiglia: “Tutti gli anni lo portiamo con noi in vacanza in montagna, ad oltre 1100 metri di altitudine, a Pian di Novello, una località nei pressi di Abetone Cutigliano, in Provincia di Pistoia, e trascorre le ferie con noi per tutto il mese di agosto. Ogni mattina lo chiamo e lui si sveglia”. Nonostante tutti gli acciacchi della vecchiaia ed una recente paresi alla zampa sinistra, questo canarino continua a stupire per la sua straordinaria voglia di vivere. Una storia semplice, dunque, una storia ricca di amore e di passione, una storia che deve farci riflettere sul fatto che trattar bene i nostri animali può significare assicurare loro una vita lunga e felice.
Specie alloctone dannose
Allarme Ibis sacro
di ROBERTOBASSO, dati e foto CIVICOMUSEO DISTORIANATURALE DIJESOLOe G. BOANO
L’ Ibis sacro (Threskiornis aethipicus) è un pelecaniforme della famiglia dei Treschiornitidi. Specie inconfon di bile per il suo candido piumaggio: zampe, becco e collo nudo, nero, come pure le egrette sul dorso degli adulti. Solo l’estremità delle ali è bordata di nero, carattere distintivo che ben si nota quando sono in volo, anche a distanza; inoltre, nella specie sono stati più volte riscontrati casi di melanismo totale. In periodo riproduttivo alcuni adulti possono assumere delle macchie rossastre sulla pelle nuda della testa e del collo; anche sotto le ali appaiono aree ascellari rossastre che si estendono lungo tutta l’ala. Ha un’apertura alare di 110 – 120 cm e può raggiungere il peso di 1 – 1,20 kg. Vola con il collo e il robusto becco protesi in avanti e tiene le zampe allineate al corpo, sporgenti oltre la coda. È una specie che ha una marcata adattabilità a tutti gli ambienti umidi: acquitrini, paludi, fiumi, risaie e anche spiagge in prossimità di foci di fiumi; in ambiente controllato può vivere fino a 19 anni. È specie che si ritrova frequentemente lungo le sponde del Nilo, dell’Eufrate, del Tigri e del Niger, ed è oggi diffusamente presente nell’Africa settentrionale e in Iraq, mentre anticamente era presente anche in diversi stati del Nord Africa, dove è stata perseguitata fino a portarla all’estinzione a causa dei danni che creava nelle peschiere e ai pulcini degli animali di bassa corte, da sem - pre importanti per la sussistenza nei villaggi delle famiglie locali più po - vere.
Ibis sacro in volo; si noti l’inconfondibile bordatura nera sul margine delle ali
Esemplare adulto di Ibis sacro su un tipico posatoio
In Egitto nell’antichità era una specie ritenuta sacra ed aveva un ruolo rilevante nella religione: le sue immagini erano associate al dio Thot e veniva considerato un animale puro, simbolo di intelligenza e reincarnazione, in quanto si cibava anche di cadaveri. È presente con due sottospecie diverse in Madagascar e nell’atollo coral lino di Aldabra. Negli ultimi trent’anni si è naturalizzato in diversi stati europei, in particolare Italia, Francia, Bel - gio e Spagna a causa di fughe mirate o irresponsabili liberazioni. I francesi, resisi conto del grave impatto che ne subiva l’ende - mica biodiversità, hanno provveduto alla sua eradicazione, ritenendola specie alloctona invasiva, causa di rilevanti predazioni alla fauna autoctona più vulnerabile: in soli 12 mesi è stata eradicata da tutto lo Stato. La Francia ha ritenuto così di concretizzare un elevato senso di responsabilità e interesse verso le specie endemiche più vulnerabili e a rischio di estinzione. È stato dimostrato che, nel giu - gno del 2004, nell’ovest della Francia una sola coppia nidifican - te di Ibis sacro abbia predato, azzerandone la riprodu zio ne, un’intera colonia di 30 coppie di Beccapesci (Thalasesus sandvicensis), nutrendosi delle loro uova. La stessa sorte è toccata a diverse altre specie durante il loro delicato periodo riproduttivo: sterna comune, cavaliere d’I - ta lia, pavoncella, gallinella d’acqua, tara bu sino, tuffetto, germano reale; per non parlare poi delle garzaie, do ve si insidia per nidificare tentando, an che predandone uova e pulcini, di scacciare tutte le altre specie presenti. Ed è così che spatole, mignattai, sgarze ciuffetto, garzette e aironi guardabuoi abbandonano i siti dove da anni sono state istituite oasi proprio per tutelare e facilitare la loro presenza e nidificazione estiva.
Antica statuetta egizia dell’età tolemaica in bronzo e legno raffigurante un Ibis sacro, attualmente esposta al Museo Gregoriano Egizio di Roma
Immagine che evidenzia forma e colorazione delle uova
L’Ibis sacro depone solitamente 2/3 uova biancastre di forma ellittica allungata, che verranno covate solo dalla femmina, che ha anche il ruolo di alimentare i piccoli; il nido è composto da rami grossolanamente intrec ciati al fine di creare una piattaforma quasi sempre aerea, ma può nidificare anche al suolo. L’incubazione dura dai 23 ai 25 giorni. La nidifica zione è quasi sempre caratterizzata dalla costituzione di piccole colonie, ma vi sono stati casi sul Ni lo di colonie anche con 200/300 nidi. I maschi adulti e dominanti formano un harem di femmine, sottraendole anche ad altri maschi con cui scatenano cruente lotte; durante queste ripetute sfide rischiano di distruggere piattaforme di altri nidi vicini, mentre il tutto è rumoro - samente amplificato da striduli gorgheggi e colpi di becco. Se nei loro paesi di origine hanno diversi nemici naturali, coccodrilli, varani, serpenti e soprattutto babbuini, risaputi razziatori di uova e pulcini, in Europa invece non ha predatori naturali di conteni mento e questo è uno dei fattori che gli ha consentito l’esponenziale incremento nu - merico. Di abitudini gregarie, erratiche ed anche migratorie, in autunno e d’inverno si possono osser - vare branchi com po sti da decine di esemplari. Specie onnivora, di grande adattabilità alimentare, si ciba di piccoli pesci, anfibi, rettili, molluschi, crostacei e micromammiferi, privilegiando uova e pulcini di altre specie. È stata anche ampiamente documentata la sua adattabilità a cibarsi presso immondezzai di carcasse o carogne. Il becco molto robu - sto frantuma il carapace di gamberi, granchi, chiocciole e per - sino tartarughe acquatiche. In Italia la specie è in forte incremento numerico e rapida espansione territoriale. Nella sola Regione Piemonte nel 2019 si stima una popolazione di circa 10.000 individui; parrebbe che questa densità sia stata raggiunta in poco più di 30 anni, pro blema che sta interessando anche le Regioni Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Lazio; difatti, la specie sta progressivamente spostandosi e colonizzando il centro – sud Italia. Nel delta del Po, Legambiente ha lanciato diversi messaggi di allarme e preoccupazione invitando gli organi competenti, ov vero regioni e ministeri, ad intervenire con misure dra sti - che di contenimento. In pressoché tutte le oasi naturalistiche ove negli anni si sono costituite colonie nidificanti di ardeidi, sono stati rilevati casi di predazione e impoverimento delle stesse a causa della presenza dell’Ibis sacro. Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio comunicava nell’aprile 2017:
Dettagli del becco in una preparazione tassidermizzata. Collezione di studio Civico Museo di Jesolo
“Eradicazione dell’Ibis sacro
(Threskiornis aethiopicus) –
Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio 114/2014 del 22 ottobre 2014, recante disposizioni volte a prevenire ed a gestire l’introduzione e la diffusione di specie esotiche invasive. Il regolamento di Esecuzione n. 2016/1141 dell’Unione Euro pea, recante prima lista di specie esotiche invasive di interesse unionale, include l’Ibis sacro
(Threskiornis aethiopicus). Ai
sensi del Regolamento 1143/ 2014 tutti i Paesi dell’Unione Europea devono provvedere all’eradicazione o, laddove non possibile, al controllo efficace della popolazione delle specie esotiche invasive di interesse unionale…” “…La Legislazione vigente, attraverso gli art. 2 e 19 dell L. 157/92, affida alle Amministrazioni re gio nali il compito di impostare gli interventi di eradicazione e controllo in forma coordinata e organica. Per quanto sopra esposto, e tenu
Bel primo piano di un soggetto adulto intento ad alimentarsi
to conto che per il momento gli esemplari di Ibis sacro in Italia nidificano nelle Regioni settentrionali, si chiede alle Amministrazioni in indirizzo di voler porre in essere ogni utile ed efficace iniziativa per l’eradicazione della specie, anche avvalendosi della con su len - za tecnica dell’ISPRA”.
Successivamente l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricer-
Foto di Giovanni Boano
ca Ambientale), in data 31/05/2017 esprimeva un parere su “Eradicazione IBIS Sacro Piemonte”: nel contenuto della missiva vengono argomentati vari aspetti e indicazioni tecnico operative. Il Piemonte già in quella data aveva la popolazione di Ibis sacri più numerosa d’Italia, pertanto segnalava necessità di attivare con urgenza operazioni di contenimento della popolazione, suggerendo inoltre di considerare “… l’abbattimento sul nido in fase di incubazione, con carabina calibro 22 in modo da escludere effetti di disturbo all’intera garzaia…”; sempre l’ISPRA richiedeva un fattivo coinvolgimento dei guardiaparco delle aree protette interessate. Non bisogna però dimenticare che in Italia è vietato l’uso della carabina cal. 22, “come anche del silenziatore”, a differenza degli altri Stati europei dove è liberalizzato come qualsiasi altro calibro e il silenziatore è di frequente in dotazione per casi o situazioni di prelievo che hanno criticità. Per tutta una serie di complicazioni tecnico – burocratiche e per man can - za di fondi, parrebbe che le Regioni abbiano disatteso queste indicazioni date dal Ministero dell’Ambiente e dall’ISPRA. Pertanto, oggi l’Italia ri - schia di incorrere in sanzioni da parte della Comunità Europea per aver trascurato aspetti legislativi e pre - ventivi rivolti alla tutela della nostra biodiversità e quella degli Stati confinanti. Non bisogna lasciarsi ingannare dall’attraente piumaggio e comportamento di questa specie invasiva, bensì considerare l’impatto fortemente negativo che sta producendo a danno della nostra biodiversità. I fondamentalisti/animalisti che non hanno basi zoologico–scientifiche e che si las cia - no emotivamente condizionare da sentimentalismi privi di giustificazioni etico–morali, ancora una volta do - vrebbero prendere esempio dai colleghi ambientalisti e naturalisti d’oltralpe che hanno dimostrato e dimostrano ben maggiore sensibilità e responsabilità nella tu tela del bene più prezioso che ab biamo, ovvero “l’endemica bio diversitá”.
Tra pluarlità e presa di partito inseguendo il modello spagnolo
di FRANCESCO AMBUSTO
Era dopo gli esami di terza media quando mio padre mi regalò la mia prima coppia di canarini, credo fosse il 1996 ed avevo 13 anni. Da allora, solamente nel 2018 ho deciso di diventare un allevatore federato e l’ho fatto in Spagna, dove vivo dal 2015. Era da tanti anni che volevo dei cardellini e le leggi locali finalmente mi permettevano di allevarli con delle restrizioni ma senza le complicazioni burocratiche che abbiamo in Italia. I miei primi anellini riportavano il “numero di allevatore nazionale” (quello che in Italia chiamiamo RNA) FA-68 e con quelli inanellai i pulli che nacquero da un paio di coppie, cedute da un amico. Per due anni l’allevamento andò bene fino a quando alcuni fattori esogeni mi stancarono e mi spinsero a lasciare. Allevare all’aperto come nel mio caso implica che i cardellini inizino le cove molto tardi ed entrino in conflitto con momenti dell’anno in cui si è più fuori in vacanza che a casa. A complicare le cose c’è che a Barcellona (città in cui vivo) la vigilia di S. Giovanni sia tradizione sparare petardi dal pomeriggio fino a sera inoltrata, cosa che puntualmente pagavo con nidiate finite sul fondo della gabbia. Altra cosa che non amavo molto è che il mondo della fauna mediterranea fosse popolato da personaggi amanti della cattura fuori dalle norme. È vero che si trattava di una (folta) minoranza ma era il tipo di elementi che si faceva più notare nel gruppo di allevatori a cui mi ero aggregato e non mi piaceva. Nel 2019 ho deciso quindi di tornare ai canarini e di iscrivermi alla FOI. La ragione dell’iscrizione è stata puramente affettiva e spinta dal piacere di volermi unire all’Associazione Ornitologica Fata Morgana di Reggio Calabria, di cui mio nonno fu uno dei soci fondatori nel 1964. Nel frattempo in Spagna al cambiare asso - ciazione scopro… di non avere un numero di allevatore nazionale. Perché? Incominciare questo articolo raccontando per sommi capi che ho allevato per tanti anni prima di federarmi è stato solamente un preambolo avente lo scopo di spiegare non solo che sono un allevatore che finora ha sempre mantenuto dimensioni amatoriali (le circostanze della vita finora non mi hanno dato alternativa) ma, soprattutto, che sono sempre stato lontano dagli ambienti della politica ornitologica. In meno di un anno, grazie alle due associazioni di cui ora faccio parte, ho conosciuto molti allevatori di grande livello, ho iniziato a leggere molto e ad accorgermi di tante cose sulle quali, benché io sia distante, sia stato costretto a farmi un’idea che voglio condividere. Politicamente la Spagna è un Paese in cui le regioni (le chiamano comunità autonome) hanno competenza su una quantità tale di cose da sembrare tutte regioni a statuto speciale. Questo tipo di equilibrio politico arriva a radicarsi in vari settori inclusa l’ornitologia, in cui tutto è frammentato. Le associazioni rispondono a delle federazioni regionali (ce n’è più di una per regione) e queste a delle federazioni nazionali (anche di queste ce n’è più di una). In Spagna esistono la COE (Confederación Orn - itológica Española), la FOCDE (Federación Ornitológica Cultural Deportiva Española) e la FOE (Federación Ornitológica Española), tutte gravitanti nell’universo di COM España ma indipendenti fra di loro. Così arriva la risposta alla domanda di prima: perché non ho più un numero di allevatore nazionale? Semplice, perché mi sono iscritto ad un’associazione situata sotto l’ombrello di una federazione nazionale differente da quella dell’associazione precedente e devo rifare tutto da capo. La frammentazione che introduce l’esistenza di queste federazioni in Spagna ed il modo in cui agiscono in forma completamente autonoma, non costituisce a mio vedere un beneficio per l’ornitologia ed è un forte motivo di scontento per gli allevatori spagnoli, per le ragioni che sto per spiegare. Fuori dalla Spagna, probabilmente si penserà che nel Paese che più medaglie ha raccolto al mondiale di Matosinhos le mostre locali siano delle grandi competizioni: in realtà non è così. La divisione interna fa che esista un grande quantitativo di mostre, alcune delle quali spesso non arrivano ai 200 ingabbi. Secondo le voci raccolte qua e là (non sono in grado di dimostrarne la veridicità), inoltre esiste - rebbe un conflitto personale fra i presidenti delle due federazioni spagnole più importanti a causa del quale sarebbe impossibile qualsiasi relazione tra le due entità. Qual è il risultato? Due campionati nazionali a cui gli spagnoli partecipano in funzione della federazione di appartenenza. Non è raro leggere lamentele sulle reti sociali, perché avere due campionati nazionali non fa altro che dimezzare il prestigio del titolo, dimezzare la competizione, dividere tutto per due, dividere gli allevatori fra loro. Gli allevatori spagnoli non ne sono affatto
Lettere in Redazione
Lettere in Redazione
contenti nonostante abbiano la libertà di pagare più di una quota, federarsi dove vogliano e partecipare a tutti i nazionali che vogliono. Questo è il modello spagnolo. Da quando recentemente mi sono iscritto a Facebook per mettermi in contatto con altri allevatori, ho scoperto che anche in Italia si stia cercando di dare forma ad una nuova federazione che si sta pubblicizzando attraverso post e video nelle reti sociali. I messaggi che si lanciano inneggiano alla pluralità, alla libertà di scelta, a tutto il positivo che possa nascere da due federazioni che, spinte dallo spirito di competizione, si migliorano reciprocamente. Sarebbe veramente così? La mia preoccupazione è che nelle parole di chi sostiene la nuova federazione ho la sensazione di leggere malcontento verso la FOI e che questo sia il movente unico della nascita del nuovo movimento. Sono convinto che tra i motori della nuova federazione ci siano allevatori, giudici, forse ex cariche FOI di grande peso, sono convinto che il capitale umano che dà forza a questo movimento annoveri gente brillante e d’iniziativa, quello che mi preoccupa sono due cose: l’antagonismo di fondo (e non la competizione sana) che percepisco ed il rischio di arrivare ad un modello spagnolo in cui a perderci, a mio vedere, sarebbe il prestigio delle nostre mostre ornitologiche. Davanti alla possibilità di un futuro multi federale, le posizioni delle due parti sono da subito contrapposte: la FOI serra i ranghi in una strategia conservativa per difendere i propri confini e proteggere la sua posizione di unica istituzione ornitologica in Italia, basandosi sui vigenti regolamenti che non prevedono la possibilità di associarsi contemporaneamente a più federazioni; la federazione emergente gioca la sola carta possibile dell’immagine di un’entità pioniera dell’apertura al mondo e disponibile ad accogliere a braccia aperte chiunque e senza condizioni. Dal mio punto di vista di allevatore estraneo alla vita politica federale e non avendo alcun interesse a difendere le ragioni di nessuno, immaginando nel contesto attuale uno scenario di importante migrazione di soci da una parte all’altra, a lungo termine e con questo conflitto di fondo, anche in Italia ci ritroveremmo come la Spagna in una situazione di divisione interna del mondo ornitologico, con concorsi dal prestigio dimezzato ed allevatori divisi fra le due fazioni. D’altro canto, se la politica ornitologica spagnola non riesce ad organizzare un unico campionato nazionale, non vedo perché ci debba riuscire quella italiana in cui le divergenze sono più che evidenti anche ad un allevatore amatoriale come me. Che abbiamo di diverso rispetto ai nostri cugini spagnoli? Avere un allevamento che permetta di poter competere ad alti livelli ogni anno, non è alla portata di tutti: spesso manca il tempo, manca lo spazio, a volte mancano le risorse economiche. Dobbiamo ammettere che per queste ragioni il nostro hobby non aiuta la proliferazione di giovani rincalzi e non dobbiamo dimenticare l’attuale momento storico in cui l’imperversante ambientalismo improvvisato sta danneggiando gli amanti degli animali domestici. Se a tutto questo sommiamo che la stessa ornitologia si vuole spaccare dall’interno, dovremo rassegnarci ad accettare che il duro lavoro dell’allevatore, col tempo, nemmeno verrà più premiato con titoli dal valore oggettivamente indiscusso. Come italiani abbiamo sempre la tendenza a pensare che “fuori sia meglio”, che “se lo fanno lì e funziona, possiamo farlo anche noi”. In questo caso vi assicuro che non è così, il modello italiano mono federale è una grande opportunità di forza comparato al modello spagnolo. Accusare la FOI di monopolio e non accettare che in una federazione così grande sia impossibile mettere tutti d’accordo è una mancanza di maturità da parte nostra, reagire con una separazione unilaterale in questo caso non porterebbe a nulla di positivo per le nostre competizioni. A mio vedere, mantenere la coesione dell’attuale modello italiano è la scelta giusta per cercare assieme i punti di miglioramento ed andare avanti grazie alla grande esperienza accumulata nel tempo. Tra molti anni, senza un’inversione di tendenza saremo molti meno. Oggi, per arginare gli scenari pessimistici che ipotizziamo per il futuro, è quanto mai indispensabile restare uniti per poter affrontare tutte le sfide che ci attendono come allevatori e per lavorare all’unico obiettivo che dovremmo avere in mente: mantenere in vita l’ornitologia.
L’autore con la pergamena a ricordo della fondazione dell'AOFM di Reggio Calabria
di PIER FRANCO SPADA
Non ci si rende conto di quanto sia bella la normalità fino a quando viene sconvolta o ne siamo privati. Sono giorni difficili per ognuno di noi, per il nostro bel Paese, per il mondo intero. L’umanità si trova ad affrontare un nemico invisibile, spietato e una situazione nuova e inaspettata. Inaspettata forse non tanto, perché da tempo molti scienziati e studiosi affermano che per tutelare la salute umana dobbiamo conservare la biodiversità. Esiste un legame strettissimo tra le malattie che stanno terrorizzando il pianeta e le dimensioni epocali determinate dalle modifiche che l’uomo impone alla natura. Molte delle malattie come Ebola, Aids, Sars, la più nota a tutti noi appassionati ornicoltori col nome di “Influenza aviaria” e non ultimo il nuovo Coronavirus (Covid 19) non sono catastrofi del tutto casuali, ma possono essere la conseguenza indiretta del nostro impatto sugli ecosistemi naturali. I Coronavirus sono una vasta famiglia di virus diffusi in molte specie animali, inclusi gli uccelli con cui spesso convivono in equilibrio. La comparsa di nuovi virus come il Covid 19, patogeno nell’uomo, che precedentemente ad oggi circolava solo nel mondo animale, è un fenomeno ampiamente conosciuto dagli studiosi come spillover, che in ecologia ed epidemiologia potrebbe tradursi come “tracimazione” ed indica il momento in cui un agente patogeno passa da una specie ospite a un’altra, e si pensa che questo passaggio possa essere anche all’origine del nuovo Coronavirus. Tra tante ipotesi, l’unica certezza del mondo scientifico è che dietro la diffusione di questa patologia si nasconda il commercio legale e illegale di animali selvatici vivi e di loro parti. Si tratta di una zoonosi, cioè di una malattia che si è trasmessa dagli animali all’uomo. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) denuncia al Mondo la conoscenza ad oggi di circa 200 zoonosi, tra le quali anche l’Influenza aviaria. Gli ecosistemi naturali hanno un ruolo fon - damentale nel regolare la trasmissione e la diffusione di malattie infettive come le zoonosi. L’impatto dell’uomo sugli ecosistemi naturali ha oggi modificato in modo significativo il 75% dell’ambiente terrestre e messo a rischio circa 1 milione di specie animali e vegetali.
All'interno del locale di allevamento
Tutte queste considerazioni noi, allevatori amatori e sportivi della FOI - Federazione Ornicoltori Italiani, da tempo le abbiamo già fatte nel più profondo e convinto credo che possiamo riassumere in due parole: ALLEVARE È PROTEGGERE! Oggi il mutamento di uso del territorio e la distruzione delle foreste hanno portato la popolazione umana a un contatto più stretto con l’insorgenza dei virus. Facilitati dalla distruzione degli ecosistemi e dal riscaldamento globale, dall’inquinamento e dall’aumento della popolazione, i nostri veri nemici hanno nuovi spazi da conquistare. Le periferie degradate e senza verde di tante metropoli tropicali si trasformano nell’habitat ideale per malattie pericolose e se ci mettiamo pure il riscaldamento globale il gioco è fatto; tutti i virus e batteri prediligono il caldo umido favorito dalle nuove condizioni climatiche. Allevare al tempo del Coronavirus ci può davvero aiutare durante questo isolamento. Non potendo uscire, la compagnia dei nostri uccellini diventa sempre più fondamentale anche per il nostro benessere mentale. E poiché il Coronavirus impedisce proprio alle persone di avvicinarsi, restare nei nostri locali di allevamento con i nostri animali ci fa riscoprire protagonisti di questa nostra vita in quarantena. Statistiche alla mano, siamo senza dubbio un popolo amante degli animali. Secondo un’indagine del Censis gli animali domestici nelle nostre case sono tantissimi, circa 32 milioni, e in Italia ci sarebbero oltre 12 milioni di uccelli ornamentali.
Lettere in Redazione
Lettere in Redazione
Il legame con i nostri beniamini è certamente un rapporto di affezione ma anche di assoluta consapevolezza. La loro presenza, infatti, implica responsabilità e costante dedizione da parte nostra. Al di là dei semplici aspetti affettivi, i benefici del rapporto che abbiamo con i nostri beneamati animali sono ormai riconosciuti sia a livello sociale che scientifico: molti studiosi concordano nell’affermare che il supporto sociale sia un fattore importante di benessere sia fisico che psicologico, solitamente soddisfatto dalle interazioni umane. Dagli ultimi studi fatti, pare che questo bisogno possa essere ugualmente appagato anche dai nostri uccellini. Quando ciascuno di noi trascorre del tempo nel proprio locale di allevamento in compagnia dei suoi uccelli, la loro presenza comporta un incremento del livello di neurotrasmettitori quali adrenalina e dopamina, con benefici ritorni sull’umore e sullo stato psicologico. Una condizione di benessere mentale che si riflette anche sul fisico, diminuendo, infatti, la pressione sanguigna e con essa il ritmo cardiaco e respiratorio; a quel punto si verifica una riduzione degli stati d’ansia, di stress e di sindromi depressive. Insomma, avere animali, nel mio caso specifico canarini, aiuta a combattere lo stress emotivo di questo nostro nuovo quotidiano e ci consente di allontanare, anche solo per un momento, i pensieri negativi e l’angoscia davanti a questa contingenza del Coronavirus. Nonostante il momento sia davvero difficile da affrontare, ciò che conta di più in questi giorni è cercare la serenità interiore, certi che tra un po’ sarà passato, e impegnarci, nel tempo forzato che tutti noi abbiamo in queste settimane, a goderci all’interno del nido delle nostre case i nostri familiari, intenti a fare cose che ci possono dare benessere, come ad esempio chiamare al telefono un amico allevatore: fortuna vuole che questi giorni corrispondono anche al periodo dell’inizio della tanto attesa stagione riproduttiva dei nostri uccelli. Curare in maniera più approfondita il nostro hobby ci renderà più forti, consapevoli di essere stati di grande utilità a noi stessi e agli altri. Proprio con questa convinzione, ho trovato l’entusiasmo di scrivere queste righe per la nostra cara rivista Italia Ornitologica, regalandomi, scrivendo, un piacevole momento di normalità. Concludo questa riflessione pensando ai tanti canarini che nasceranno presto nei nostri allevamenti: la loro nascita, oggi più che mai, sarà la rinascita dopo un momento tanto complicato.
L’allevamento dell’autore
Piccoli preziosi aiutanti