AVVOCATO RULEZ
Coltivazione ad uso personale: quando (non) è reato In caso di processo è il numero di piante coltivate, il peso e la percentuale di THC a fare la differenza tra condanna e assoluzione Poco prima delle ultime festività natalizie, i coltivatori e consumatori di cannabis (a fini ricreativi e comunque per uso personale) hanno creduto che Babbo Natale fosse passato in anticipo sulle date canoniche, per lasciare il regalo più gradito a loro: una sentenza che escludeva la rilevanza penale della attività coltivativa. Ma così non era, nonostante gran parte della stampa (specializzata e non) avesse suonato le campane a festa con titoli roboanti (dimostrando come al solito il sempre più basso livello del giornalismo italiano, divenuto incapace anche di leggere le sentenze, in quanto ormai abituato a riprendere i mattinali dei Carabinieri o le conferenze stampa delle Procure), non avendo capito nulla. Le SSUU con la sentenza n. 41356/19 proprio il 19 dicembre avevano affrontato la questione: «Se, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, è sufficiente che la pianta, conforme al tipo botanico previsto, sia idonea, per grado di maturazione, a produrre sostanza 32 · DOLCE VITA · marzo-aprile 2020
per il consumo, non rilevando la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, ovvero se è necessario verificare anche che l'attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica e a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato». La risposta fornita dalla Corte si è posta nel senso di ritenere che il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente. Dunque un’affermazione che in linea di principio non lascia purtroppo dubbi e che sancisce, quindi l’esatto opposto di quello affermato dai media.
za della pianta a una specifica tipologia botanica) che da tempo erano stati abbandonati. Anche il concetto di attitudine alla maturazione per il carattere astratto e ipotetico non era più stato richiamato nelle più recenti pronunzie. Quindi, un grave passo indietro.
Coltivare piante di cannabis (idonee a produrre derivati ad alto contenuto di THC, giacché gli stupefacenti non si coltivano) resta un reato.
Come però accade da tempo, nelle pronunzie del S.C., alla regola generale è stata abbinata una deroga espressa. La Corte, rendendosi conto dell’asprezza e della durezza del principio generale ha affermato che «devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore».
Gli argomenti addotti dai giudici supremi sono assai discutibili, perché riprendono concetti (quale quello dell’appartenen-
In questo caso, l’eccezione ha una portata così importante da oscurare la regola e da attrarre in modo abnorme