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Ma Dier, pag
by Domenico
pre un bel corrispettivo italiano); non cerchiamo di renderla sofisticata ad ogni costo. Ripetiamo quel che altri e noi abbiamo sempre espresso: non è difficile scrivere ricercato e oscuro; difficile è scrivere lineare e chiaro. Pomezia, 18 gennaio 2022
Domenico Defelice
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AQUILONI
Di nuovo i ragazzi nel vento della primavera lanciano per il cielo i loro aquiloni. Mi ricordo di quelle mie stelle di carta, del tempo ricolmo di gioia sulle verdi colline.
Franco Saccà
Da: Vento d’autunno, Ed. Ibico, 1962.
CI PORTERANNO SCIAGURA
“Ve lo avevo detto io che sentivo nell’aria l’odore delle prime piogge, e che le gru non sarebbero tardate a passare!” – fece il vecchio, udendo i ragazzi gridare che per la parte di Montalto si vedeva come un enorme serpente nero, altissimo avanzare per il cielo.
Ed in un attimo, a quei richiami, la gente si era riversata sulla via, si era affacciata ai balconi, puntando lo sguardo verso il cielo, mettendosi a ripetere che passavano le gru, che tutti venissero a vedere le gru.
Ora, lo stormo volava sul paese così basso che ognuno sentiva le grida rauche.
Poi, aveva ripreso quota ed era sparito verso il mare.
“Maledetti uccellacci – fecero alcuni – vedrete che ci porteranno sciagura. Come è avvenuto, anni orsono, quando, dopo il loro passaggio, rischiammo di essere inghiottiti dalle piogge senza fine”.
Dissero.
E un presagio di morte alitava nei loro cuori.
Franco Saccà
Da: Uomini, solchi, nuvole, Edizioni Liguria, 1955.
MA DIER
MA Dier è un eccezionale poeta cinese contemporaneo, nome di nascita Ma Yong enomedi penna Gu Hanshan; è nato nel 1966, nella città di Fuqing, nella provincia del Fujian. Si è laureato in finanza internazionale e gestione economica ed è un professionista finanziario. È membro CCPPC della città di Fuqing e presidente dell'Associazione degli scrittori di Fuqing. Ha vinto il premio d'arte al primo Fuqing Art Awards; il primo premio nel concorso di articoli "National Social Documentary Problem Novels by High-school Students", sponsorizzato dal Fujian Youth Journal; il nuovo premio stella nel "Second China Star New Poesia sponsorizzato dallo Xingxing Poetry Journal; il miglior poeta del 21° secolo, sponsorizzato dall'American International Poet Association. Ha curato la serie di studi sulla cultura di Haixi, Select Excellent Chinese Poems at Home and Abroad ecc. Le sue poesie sono state inserite nel dizionario multi-interpretazione della poesia innocente in China's Misty Poetry, Selection of Contemporary International Poets (in inglese e cinese), Selezione di saggi del Fujian lungo un secolo ecc. Ha pubblicato la raccolta di poesie Rain Fall al Qingming Festival, A Scholar in the Snow e una raccolta di saggi Onthe Mountain: Hidden or Brightecc. Presentiamo, qui di seguito, tre sue poesie: nell’originale cinese, nella traduzione inglese del Prof. Li Zhengshuan e nella versione dall’inglese all’italiano di Domenico Defelice.
[中国]马蒂尔 春分(外二首)
谁在清晨,不小心 触碰桫椤枝上的露水 一刹那唤醒布谷鸟 醒来后,才知道
Vernal Equinox
Who in the morning, carelessly, Touched dewdrops on the Cyathea tree And awoke the cuckoos in an instant? When waking I came to know The green in my dream is indicatory.
I went out of the monastery gate, unawares, Picked up a long-lying seed, Buried it in a heap of waste earth casually, Washed my hands and then Chanted Great Compassion Mantra casually.
Suddenly, the morning sunlight on Furong Peak Swayed the tunes of birds. The matin bell burst open the heap of earth and soon A dog-tail grass sprang out of it And commented on beautiful flowers freely.
They Are All Silent
Beginning from an interior juice And from a waking point, In the deep shade, They begin to sprout, stem and stretch, Smiling silently with their color. You can name them: Morning glory, dog-tail grass or coralplant? Or no-name, or merely wild flowers or grasses. They are all silent, never expressing themselves, No matter how you allude and talk endlessly. They are self-conscious, optimistic But modest, low-key, never arrogant. When wind comes, they shake gently, As if self-intoxicated. All water Returns to their head sources.
I Lower My Head Arduously
I lower my head. I lower my head arduously, As low as to the root system of grasses. Even if the frozen earth freezes my head, I will keep my hot blood boiling.
I lower my head. I lower my head arduously, As low as into a grass seed. Even if a snowstorm overwhelms my body, I will keep singing loudly and emotionally.
I lower my head. I lower my head arduously, So low as to when winter fades away Even if the world turns to ruins, I will let the spring of my heart sprout. (Translated by Prof. Li Zhengshuan)
MA Dier, an outstanding contemporary Chinese poet, birthnamed Ma Yong and pennamed Gu Hanshan, was born in 1966 in Fuqing City of Fujian Province. He majored in international finance and economic management and now is a financial worker. He is now a CPPCC member of Fuqing City and chairman of Fuqing Writers’ Association. He won the art award at the first Fuqing Art Awards, the first prize in the article contest of “National Social Documentary Problem Novels by High-school Students” sponsored by the Fujian Youth Journal, the new star award in the “Second China Star New Poetry sponsored by Xingxing Poetry Journal, the best poet in the 21st century sponsored by the American International Poet Association. He chief-edited Haixi Culture Studies Series, Select Excellent Chinese Poems at Home and Abroad, etc. His poems have been entered into The Multi-interpretation Dictionary of Innocent Poetry in China’s Misty Poetry, Selection of Contemporary International Poets (in English and Chinese), Selection of Essays of Century-long Fujian, etc. He published poetry collection Rain Fall at Qingming Festival, A Scholar in the Snow and a collection of essays On the Mountain: Hidden or Bright, etc.
Equinozio di primavera
Chi al mattino, con noncuranza, Gocce di rugiada tocca sull'albero di Cyathea E sveglia i cuculi in un istante? Al risveglio sono venuto a sapere Che il verde nel mio sogno è indicativo.
Uscii dalla porta del monastero, ignaro, Raccolsi un seme lungo, Casualmente l'ho seppellito sotto un mucchio di terra desolata, Mi sono lavato le mani e poi Casualmente ho cantato il Mantra della Grande Compassione.
Improvvisamente, la luce del sole del mattino sul Furong Peak Ondeggiava le melodie degli uccelli. La campana mattutina spalancò il cumulo e presto Spuntò un'erba a coda di cane Commento, libere note a bellissimi fiori.
Sono tutti silenziosi
A partire da una linfa interiore E da un istante di veglia, Nell'ombra profonda, Cominciano a germogliare, arginarsi e allungarsi, Sorridendo in silenzio con il loro colore. Puoi nominarli: Gloria mattutina, erba a coda di cane o pianta corallina? O senza nome, o semplicemente fiori o erbe selvatiche. Son tutti silenziosi, mai s’esprimono, Non importa se alludi e parli all'infinito. Sono autocoscienti, ottimisti Modesti, discreti, mai arroganti. Quando arriva il vento, si agitano dolcemente, Come autointossicati. Tutta acqua Ritorna alle sorgenti anteriori.
Abbasso la testa faticosamente
Abbasso la testa. Abbasso faticosamente la testa, A partire dal sistema radicale delle erbe. Anche se la fredda terra mi gela la testa, Terrò in ebollizione il mio sangue caldo.
Abbasso la testa. Abbasso faticosamente la testa, In basso come in un seme d'erba. Anche se una tempesta di neve travolge il mio corpo, Continuerò a cantare ad alta voce emozionato.
Abbasso la testa. Abbasso faticosamente la testa, Così in basso da quando l'inverno svanisce Anche se il mondo si trasforma in rovine, Lascio germogliare la primavera del mio cuore. (Libera versione dall’inglese di Domenico Defelice)
Recensioni
ANGELO MANITTA
LA CHIOMA DI BERENICE
Traduzione slovena di Ivan Tavčar ”, Il Convivio Editore, Catania, Anno 2017, Euro 8,00, pagg. 61.
Per prima cosa non c’è stata soltanto una Berenice che la storia ricordi: c’è stata la Berenice della tragedia di Jean Racine del Barocco francese, a sua volta ispirata alla vicenda narrata dallo storico latino Caio Tranquillo Svetonio che ha parlato di un amore non a lieto fine tra Tito, l’imperatore di Roma, e Berenice, regina della Palestina. Contestualmente la ritroviamo nella commedia del drammaturgo Pierre Corneille, fervido antagonista di Racine in ambito teatrale, Tito e Berenice; pur tuttavia nell’immaginario comune Berenice la si rammenta per la sua folta ‘chioma’ divenuta una costellazione dell’emisfero boreale molto vicina all’equatore, posta tra quella del Leone e il Boote. Per quest’ultima ricordanza c’è la Berenice principessa egiziana che andò in sposa a Tolomeo III e che già in vita veniva adorata parimenti ad una dea, da cui l’appellativo suo di “Dei Evergeti ”.
Dalla ‘fusione’ delle varie Berenici è sopravvissuta sino a noi l’emblema di una donna, purtroppo, sfortunata in ambito coniugale, perché, pur essendo stata beneamata ha dovuto subire l’allontanamento dell’amato a cui è seguito il suo tormento interiore rivolto a quell’affetto ‘rappreso’, poiché lo sposo era dovuto partire per la guerra.
Il professore saggista poeta traduttore, fondatore dell’Accademia Internazionale “Il Convivio”, della provincia di Catania, Angelo Manitta, perseverante e profondo studioso di autori e opere della letteratura mondiale – ha realizzato nel 2018, tra le numerose sue pubblicazioni, il colossale volume Big Bang - Canto del villaggio globale (prefazione di Ugo Piscopo) poema di oltre 50.000 versi racchiudente i ‘quattro punti cardinali’ della storia dell’umanità, fra mitologie, astronomia, personaggi biblici, civiltà antichissime, etc.
La sua Berenice dimorava già in mezzo alle centinaia di pagine del Big Bang, ovverossia faceva parte del Libro X Miasmi di Stelle, Canto LXXIX, La chioma di Berenice e probabilmente per essere meglio divulgato – in questo suo poemetto ha pensato di raccontare la vicenda di Berenice in diciannove ‘episodi’ e per la successiva occasione editoriale tradotti in lingua slovena dal poeta traduttore Ivan Tavčar – è stato estrapolato per una singolare pubblicazione dalle dimensioni ridotte facilitanti la tascabilità.
Qui traspare una Berenice fin da subito cattivante l’attenzione grazie alla minuziosa descrizione che la mostra nel suo spumeggiante incanto, cosicché «[…] Venere oscura/ il suo volto, impallidisce la luna,/ smuore il sole nell’opaco/ universo, davanti alla luce/ che fende sentieri, che avanza/ su passi
di diamante o diaspro,/ che impreziosisce orme calcate/ su sentieri di isole di fiori.» (Pagg. 20-22).
L’autore menziona pietre dure, diamante e diaspro, così come fece a suo tempo ne La Divina Commedia Dante Alighieri, in modo particolare nel Terzo Regno del Paradiso, con la rintracciabilità di minerali naturali quali diamanti, il balasso molto rassomigliante al rubino, l’alabastro, il topazio, lo zaffiro. Anche nell’Apocalisse di San Giovanni, al Capitolo 21 nel descrivere la Nuova Gerusalemme che scendeva dal cielo, l’apostolo scrisse: «[…] Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffiro, il terzo di calcedonio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardonice, il sesto di cornalina, il settimo di crisolito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l’undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista.» (Ap 21, 19-20).
Al di là di questi interessanti parallelismi, Berenice la si scorge sul piedistallo della ragazza consapevole di trovarsi nell’ambito familiare cui lo scopo principale sono le manovre di Stato, gli interessi politici, per cui ciò che lei vorrebbe non ha alcuna importanza, nemmeno chi ella vorrebbe amare per sempre.
Suo padre, Magas, re di Cirene, è un uomo «[…] severo,/ d’un amorevole calcolatore di sensi.» (Pag. 32). Concluderà un patto senza mettere al corrente la figlia, che andrà in sposa in cambio «[…] d’una striscia/ di deserto ottiene una garanzia/ di pace». Sua madre, Apame, non potrà fare nulla per evitare il destino forzato della figlia, perché è abituata a queste procedure e non farà altro che fondersi nell’abbraccio della figlia divina.
Una volta avvenuta la legittimazione dell’unione di Stato tra Berenice e Tolomeo III, accadrà che lo sposo dovrà lasciarla a tempo indeterminato per l’Assiria, a causa della guerra e la sposa cadrà in un’inconsolabile tristezza, non sapendo nemmeno lei quale volontà superiore impugnare. E dopo tante lacrime le verrà finalmente l’ispirazione di espletare un voto personale, quello di tagliarsi i capelli per offrirli sull’altare insieme alle sue preghiere. Ma non si sa per quale motivo la chioma recisa scomparirà nel sacrario dedicato ad Afrodite, presso Canopo, e si faranno molte ipotesi non trovando adeguate giustificazioni.
Il sacrificio della giovane donna sarà così ragguardevole da mobilitare l’attenzione e la sensibilità degli dèi tutti e così si scoprirà che gli stessi capelli donati erano stati raccolti dal cavallo alato di Arsinoe, che «[…] ha rapito la chioma di stelle,/ ha disposto la luce in teorie/ di abbagli, in eterne promesse/ di spose che promettono fede.// Ecco, è là la chioma della nostra/ regina che dall’alto protegge/ i nostri destini, è luce/ eterna di profumi divini”». (Pag. 56).
La Berenice di Angelo Manitta, rivisitata in chiave positivista, ha riscattato il destino di una donna davvero innamorata del suo sposo, mutando favorevolmente la realtà del vincolo ch’era stato fatto per obbligo.
Il poema si conclude con l’appagamento del voto graditissimo ai numi e la bellissima chioma sacrificata della regina Berenice, raggiunta la sommità del cielo e divenuta importante costellazione, è entrata a tutti gli effetti nella scienza astronomica pur non smettendo di fare da baluardo di protezione alle sorti umane.
Isabella Michela Affinito
AA.VV
IL CANTO VUOLE ESSERE LUCE Leggendo Federico García Lorca, a cura di Lorenzo Spurio, Bertoni Editore, Perugia, 2020.
…un atto d’amore e di riverenza…
Il 2 gennaio scorso su www.granadahoy.com è apparso un articolo molto interessante del giornalista e scrittore spagnolo Andrés Cárdenas, intitolato “De García Lorca se hablará siempre”. Contiene una premessa in cui l’autore riflette sul rapporto simbiotico tra Granada e Lorca e, a seguire, ci racconta vari fatti tra i quali una storia molto intrecciata riguardante Agustin Penón, un americano che, recatosi a Granada tra il 1955 e il 1956, aveva raccolto una valigiata di informazioni su Federico García Lorca, pensando di scriverci un libro. Ma era morto e la valigia era passata di mano in mano, mentre Penón, che alla sua ricerca aveva sacrificato anche parte delle sue sostanze, era stato dimenticato.
Questo per dire come e quanto il Poeta granadino sia stato e sia ancora un lievito potente per gli intellettuali di tutto il mondo: ¡De García Lorca se hablará siempre! Non ci dobbiamo dunque stupire della nascita nel 2020 di Il canto vuole essere luce (Bertoni, Perugia). Un libro di vari autori italiani, curato da Lorenzo Spurio e tutto dedicato a Lorca, artista eclettico e uomo di grande impegno sociale.
Il curatore ci tiene a farci sapere che, pur avendo il libro la forma del saggio scritto a più mani, è di più, molto di più; è “un atto d’amore e di riverenza verso uno dei maggiori intellettuali che la letteratura mondiale ha mai visto: il poeta spagnolo Federico García Lorca”. Tanto che il titolo, consistente in un verso di Lorca, assume significato simbolico: il libro è il canto corale con il quale s’intende illuminare almeno in parte l’opera del Poeta.
Nel 2016 Lorenzo Spurio aveva riacceso il fuoco dell’interesse per Lorca, dando alle stampe Tra gli aranci e la menta, una plaquette di sue poesie dedicate al Granadino. Da quel momento, tramite contatti spontanei, altri poeti amici hanno aggiunto ottima legna al suo fuoco. E il fuoco è divampato in un’offerta corale di contenuti esegetici, di ritratti e di poesie. Il testo, infatti, è illustrato con ritratti
del Poeta eseguiti dal Maestro Franco Carra-
relli “L’Irpino” ed è diviso in due parti.
La prima riporta i saggi con i quali gli aficionados indagano su molti aspetti del fenomeno Lorca. Francesco Martillotto ci presenta il Lorca amante della musica e ottimo pianista, buon conoscitore della musica classica e della musica popolare che mette sullo stesso piano e riflette sull’interscambio felice tra musica e poesia nelle sue opere poetiche e di teatro.
Lucia Bonanni ci mostra il Lorca amante delle tradizioni popolari della sua Andalusia, che saranno di fertile ispirazione per le poesie e il teatro. Affascina, anche nell’analizzare il surrealismo dell’opera teatrale El público, la sua ricerca dei significati metaforici e del valore dei simboli nella Parola del Poeta.
Cinzia Baldazzi cerca di penetrarne in profondità le peculiarità del linguaggio poetico: “…Immortale…è il loro mondo semantico e logico: immenso, popolato di ombre illimitate a latere di luci accecanti, provenienti da un’arcana fonte senza inizio e senza fine…”.
Lorenzo Spurio ci porta dentro “Tamar e Amnon” del Romancero gitano, indicandoci la denuncia sociale che sottende l’opera; ma anche in Poeta a New York dove la parola poetica s’incupisce nel denunciare la disumanità della metropoli, mettendone in risalto gli aspetti negativi. E per finire ci conduce nelle opere teatrali più importanti per analizzare i temi ricorrenti: la violenza, il disagio degli emarginati, la condizione della donna e i suoi diversi atteggiamenti nella lotta contro la sopraffazione variamente esercitata dal maschio. Ugualmente interessante la seconda parte che assomiglia a un’antologia poetica ripartita in due sezioni. Nella prima sono raccolti alcuni dei com-
pianti, odi e elegie scritti, subito dopo la tragedia dell’assassinio, da Antonio Machado, Rafael Alberti, Pablo Neruda e da vari esponenti della
Generazione del ‘27, quasi tutte strazianti e bellissime a partire dal grido di Machado: “…que fue en Granada el crimen – sabed - ¡pobre Granada! –¡en su Granada!...” fino allo sperdimento di Rafael Alberti che se lo vede tornare vivo in sogno: “Has vuelto a mí más viejo y triste en la dormida / luz de un sueno tranquilo de marzo…”.
La seconda sezione accoglie voci di poeti contemporanei suggestionati dalla Parola del Poeta. Un florilegio di voci diverse che incuriosisce, commuove, rende vivo Federico, ne canta la tragedia, ne interpreta le sfumature dell’anima colte sia direttamente nei suoi testi poetici, sia indirettamente negli atteggiamenti dei personaggi del suo teatro. Testimonianza forte dell’amore che ha saputo generare e di quanto la sua parola può ancora incantare.
Il canto vuole essere luce è un libro che offre molte informazioni di approfondimento sulla persona e gli interessi culturali, artistici e civili di Lorca; senza contare l’ampia bibliografia a cui attingere nel caso volessimo continuare a conoscerlo. Un libro tutto da “patire” per chi desidera entrare più a fondo nel suo universo delicato e sapiente, gioioso e drammatico, etico e propositivo.
Franca Canapini
Arezzo, 10/01/2022
MARCELLO FALLETTI DI VILLAFALLETTO
CANTON GLARUS CENTO ANNI DELLA MISSIONE CATTOLICA ITALIANA (1912 – 2012)
Edizioni Anscarichae Domus, 2013, Pagg. 152, grande formato, s. i. p.
Volume di storia locale, che sembra una continuazione del più corposo La chiesa di San Michele Arcangelo di Ponte Buggianese. Entrambi usciti quasi in contemporanea: La chiesa di San Michele, nell’aprile e Canton Glarus nell’agosto del 2013; entrambi trattano di comunità territoriali, solo che l’uno è ambientato in Toscana e l’altro nella vicina Svizzera; l’uno riguarda una chiesa, un paese e i suoi personaggi, l’altro una Missione, che sorge per assistere emigranti e che nel tempo cresce e si consolida, superando, ormai, i cento anni di vita.
Il libro vuol ricordare e celebrare, infatti, il centenario (1912 – 2012) di questa Missione nel Cantone svizzero, dove folti gruppi di emigranti italiani, spagnoli e portoghesi hanno lavorato con enormi sacrifici nelle industrie tessili locali. Un lavoro evocativo, che finisce, però, con l’essere un chiaro, lineare e commosso saggio sulla emigrazione; perciò attualissimo, vivendo, noi, in un momento in cui, specie dal continente africano e dall’Asia, arrivano sul nostro territorio migliaia e migliaia di disperati in cerca di asilo per sfuggire da violenze e fame; un flusso inarrestabile di uomini, donne e bambini, migliaia e migliaia dei quali neppure giungono a destinazione perché periscono tragicamente nel tragitto; che commuovono molti di noi dalla pancia piena e ci spronano ad aprire il cuore all’accoglienza e alla speranza, ma spingono tanti altri dal cuore indurito all’indignazione e all’ansia. Tutti, comunque, dimentichiamo che l’Italia è stato uno dei Paesi europei dal quale sono emigrati milioni e milioni di individui, uomini e donne che nel mondo hanno creato folte comunità, come in Argentina, negli Stati Uniti d’America, ma anche in nazioni a noi vicine e quella del Canton Glarus, seppur minima, è uno degli esempi. Marcello Falletti di Villafalletto ne celebra il centenario e ne racconta la storia attraverso personaggi quasi tutti umili, ma dotati di grande fede e carità, che si sono prodigati, e non solo spiritualmente, per assistere coloro che arrivavano dalla Spagna, dal Portogallo e dall’Italia, in cerca di lavoro.
L’opera, in carta patinata, grande formato e arricchita di numerosissime foto a colori e in bianco e nero, è presentata dal Vescovo di Coira Vitus Huonder, dal Decano Hans Mathis, da don Carlo de Stasio (Coordinatore nazionale MCLI in Svizzera) e da Padre Pierpaolo Lamera, Missionario della Missione Cattolica che, nella Prefazione, evidenzia le difficoltà che Marcello Falletti di Villafalletto ha dovuto affrontare per portare a termine questa storia “con chiarezza e competenza” a testimonianza di quanto “sia stata la coraggiosa avventura dei nostri connazionali e di quelli aggiuntisi negli ultimi anni” .
La storia dell’umanità, afferma Marcello Falletti di Villafalletto, non è altro che una ininterrotta emigrazione, di “uomini e intere comunità in continuo movimento, fino ai giorni nostri”; ogni singolo uomo e ogni comunità “meriterebbe un capitolo personale” nella storia dell’emigrazione, nella quale entrano a pieno titolo anche le Missioni, in molte nazioni oggi composte da “emigranti, figli di emigranti, perfettamente integrati nel contesto sociale ed economico del nuovo paese”. “Tutti gli uomini sono pellegrini su questa terra! – conclude Marcello Falletti di Villafalletto . (…) Genti, popoli attirati dal lusinghiero desiderio di lavoro, di rendersi liberi, hanno affrontato, il più delle volte, sofferenze e disagi inenarrabili. (…) Le pagine di questa breve storia ci hanno ripresentato uno squarcio singolare e indimenticabile di quanto sia stata dura la vita di colui che, lasciato il paese di origine, cercava di crearsi uno spazio, una dimensione, seppur piccola e semplice; in un luogo tanto
diverso, inimmaginabile e, il più delle volte, affrontandolo da solo” .
Saggio monografico attualissimo, che consigliamo di leggere a tutti, in particolare a coloro cui l’emigrazione della gente oppressa e o affamata il più delle volte dà la puzza al naso. Pomezia, 11 gennaio 2022
Domenico Defelice
ANTONIO CRECCHIA
CON IL SOMMO POETA DANTE
Ed. AC<>, 2021, pagg. 60, s. i. p.
Antonio Crecchia confessa di aver avuto l’idea per questo lavoro dall’invito, al quale, poi, non ha partecipato, del Centro Studi Molise “N. Perrazzelli” di Guardialfiera.
Si tratta di un poemetto - diviso in due parti, entrambe composte da 45 strofe di otto versi ciascuna – scritto di getto e nel quale, come afferma Emerico Giachery, Crecchia fa Dante “rivivere nel nostro problematico tempo: opera unica, di eccezionale impegno, carica di tensione etica, opera di ampio e intenso respiro”.
Tempo assai depravato, l’attuale, mal ridotto, perché “immiserito e derubato in ogni dove,/(…) sala allegra d’ignavi e predoni”. Neppure la nostra bella lingua, alla quale il nostro padre Dante ha dato vita modellandola, oggi viene rispettata e difesa, sempre più “bruttata e commista/a voci irritanti di straniera terra” .
Un colloquio col sommo Poeta, questo di Crecchia, anzi, una “calda conversazione”; Crecchia non intende con lui misurarsi, ma lo ammira e legge specie nei momenti in cui “l’insania umana (lo) disgusta”; trova Dante attuale, giacché, da settecento anni a questa parte, “Nessuna nuova nel mondo traviato/da setta padrona” s’è verificata. La “semenza sparsa in terra” da questa odiosa combriccola “ha prodotto frutici d’alto rango” e oggi ne fanno degna parte anche “piromani scaltri”, che “dispiegano le ali per incenerire/boschi pinete e campi coltivati” .
Nella seconda parte, il colloquio si fa più serrato e più convincente, adombrando il cammino travagliato di Dante e non mancando di ricordare Virgilio. Crecchia si immedesima nello sforzo del poeta che pur esule e ramingo non ha mai smesso di pensare e comporre il suo poema e limarlo; Crecchia, a volte, si sente e si vede in frangenti simili a quelli del vate, sente i suoi stessi scoramenti, le medesime difficoltà: “Un concerto di stelle canta e svela/un’armonia che dentro vorrei/l’anima mia, preda di turbamenti/che mi fanno sentire alla deriva,/come te, lungi dalla “dritta via”,/da modulo sano che porta a Dio”; “con il tuo canto,/intero mi riporti nella stanza,/dove il mio giorno trascorre lento,/nell’esilio volontario dal mondo,/che sempre più al gelo m’abbandona,/da sé m’estranea, oppure mi offende/con la lingua bifida dei serpenti,/ch’han la turpitudine a nutrimento”. Il tutto e sempre con lo sguardo a questi nostri giorni del Duemila, la cui civiltà è “orripilante/per la sudicia divisa morale/che sfoggia con plateale franchezza/di prostituta”. Lui, naturalmente, non ha, né si sente la tempra di Dante, è appena “foglia secca di un albero/che germoglia”, i cui versi “sono già morti,/chiusi in un miserando libello”. Pessimismo verso se stesso che non condividiamo.
Infine, Crecchia si interroga se, per caso, Dante non avesse smarrito la “dritta via” a causa di un “traviamento morale”; se, cioè, non avesse desiderato carnalmente Beatrice, “la donna/d’altri”, che, poi, nel poema, viene angelicata.
Il lavoro ben si colloca tra i festeggiamenti e gli studi dell’appena trascorso festeggiamento dantesco.
Domenico Defelice
IMPERIA TOGNACCI VOLLE… E VOLLI SEMPRE La speculazione estetica e simbolica nella poesia
di Vincenzo Rossi, Genesi Editrice, 2021
Un saggio orchestrato su un’identità di valori
Imperia Tognacci (notissima poetessa e narratrice), nel saggio “Volli, e volli sempre…” La speculazione estetica e simbolica nella poesia di Vincenzo Rossi (1924-2013), lascia un’impronta importante della sua cultura e si rivela critico letterario di spessore. Il libro ha ottenuto il Premio “I Murazzi per l’inedito 2020”.
Man mano che si procede nella lettura, si può comprendere l’identità di vedute tra l’autrice e il poeta molisano. La cosa è stupefacente, dato che i due autori non si sono mai conosciuti di persona. È stato sufficiente per i due immergersi nelle pagine delle numerose opere di entrambi. Tanti versi del Rossi sono incastonati tra le note critiche: si comprende così il grande apprezzamento della Tognacci per questo tipo di poesia, che è un inno alla natura e un ripiegamento interiore.
L’indagine è strutturata in sette capitoli, nei quali vengono approfonditi temi importanti. Seguiamo il colto poeta (scrittore, saggista, critico, traduttore di testi latini, greci, francesi), nella sua formazione giovanile, tra i suoi monti; poi come insegnante e
dirigente, pronto a lasciare le grandi città, per vivere, fino alla morte, l’esperienza autentica del richiamo della sua terra.
Dato che la produzione letteraria di Vincenzo Rossi è davvero sterminata, l’autrice si è limitata a riflettere sulle raccolte poetiche. Silenzio, voci ancestrali, respiro di infinito, amore per tutte le creature, espressione di un pensiero libero ribelle contro le ingiustizie: questi i tasselli che formano il mosaico delle liriche. L’autore non può essere inserito in nessuna corrente letteraria. Utilizza l’analogia e la sinestesia, sempre per sottolineare i valori di base: “sorretto da una salda coscienza morale”.
Egli ha vissuto in simbiosi con la terra e grande è stato il suo rispetto per gli animali. Si è interrogato sul senso della vita, avvicinandosi all’esistenzialismo e ha sempre ricercato Dio.
Vengono naturali alla Tognacci appropriate citazioni da filosofi e poeti (Pascal, Whitman, Baudelaire), perché ci si possa addentrare con maggiore consapevolezza nei versi di Rossi più inquieti e smarriti di fronte all’annientamento della morte.
Imperia Togniacci sottolinea “quanto Vincenzo Rossi fosse fine traduttore” (Lucrezio, Nòsside, Lope De Vega) e quanto fosse attratto dalla figura femminile, in poesie dall’accento stilnovistico, o più propriamente sensuali. Non mancano gli accenni alla robotizzazione dell’uomo a rischio di disumanizzazione della nostra stirpe. A contrastare questi pericoli, per Rossi servono: cultura, poesia e arte.
Il libro si conclude con un’immagine bellissima che Imperia Tognacci ha dedicato all’amico poeta.
“Concludendo queste mie considerazioni sulla vita e sull’opera di Vincenzo Rossi, mi piace immaginare il suo spirito percorrere i recessi sperduti dei boschi, giungere alle sorgenti del Volturno, salire verso le cime delle Mainardi e percorrere i pendii delle “morge”, i pascoli e gli stazzi del Matese, i vicoli di borghi arroccati, salire e scendere la scalinate consunte di castelli abbandonati, inerpicarsi su aspre rupi, aggirarsi tra folte macchie, scendere nelle valli folte di alberi, e la sua poesia intonarsi con il suono dell’infinito”.
Elisabetta Di Iaconi
GIORGIO MATTEI
LUNGO LA VIA VANDELLI Poesie da Modena a Massa
Presentazione di Giulio Ferrari, Prefazione di Massimiliano Pecora, Edizioni Artestampa 2021, Pagg 87, € 12,00
Ho cercato di esprimere a parole quello che mi ha donato la Via, ma il modo migliore per capirlo è farne esperienza diretta, percorrendola.
Lungo la via Vandelli. Poesie da Modena a Massa contiene quarantaquattro poesie e dieci immagini di cui una in copertina, la quale ritrae le Alpi Apuane al tramonto e si apre all’infinito, ossia a un’estensione illimitata, in cui il tempo e lo spazio non hanno più alcun senso, se non quello di insegnare a vivere e in cui Giorgio Mattei, consapevole di ciò, si perde e si ritrova con velata malinconia. Nel suo sentire così forte, immerso nella campagna, si trova a non avere più confini, è un tutt’uno con la terra, ma anche con il tempo. Il passato si unisce al presente attraverso il ricordo e l’autore spera così in un futuro migliore per l’umanità. “Quanto presto si dimentica la civiltà/ compito male appreso”.
Via Vandelli è la madre di tutte le strade moderne e la silloge, dedicata alla moglie e al cammino che si augura di percorrere insieme a lei, vengono affrontate e vissute nella medesima maniera, ossia con tranquillità e con calma. Le poesie, infatti, si muovono tra le parole e tra i versi con serenità come la vita che il poeta, musicista e psichiatra, si augura per sé e immagina anche per gli altri.
“Definisco spesso la Via Vandelli come la madre di tutte le strade moderne. Questo perché all’inizio
del Settecento, quando il duca di Modena Francesco III d’Este concepisce l’idea di una strada lastricata che colleghi la capitale del suo ducato con Massa e il mar Tirreno, era dall’epoca delle strade romane che non si realizzava un’infrastruttura tanto grandiosa quanto visionaria. Per realizzare questo progetto, il duca si affida al suo miglior ingegnere, nonché cartografo e professore di matematica all’università, l’abate Domenico Vandelli, di Levizzano Rangone”, così scrive nella presentazione Giulio Ferrari.
E lo scrittore divide la raccolta per tappe, così come nella sua quotidianità affronta sia la vita sia la strada, ovverosia per fermate o gradi, forse per timore che possa terminare troppo presto o che vi sia un imprevisto che possa rovinare la serenità auspicata o forse solo per assaporarne il momento.
Percorrendo la strada, il poeta sente ciò che avvenne in quei luoghi e la sua empatia con la terra e con le pietre lo rendono ancorato al passato, ma più attento al presente.
“La vita procede al passo/ e non può andare più veloce/ del tuo passo”, […] “In montagna il tempo non passa:/ passano gli uomini, le bestie./Rimane il senso, ciò che conta”, […] “Quanto è costata questa pace, quanto?/ Mi risponde il silenzio”, […] “Qui passava la Linea Gotica/ quasi nessuno ormai lo può raccontare./ I giovani dimenticano -/e non è una virtù”.
Mattei ponendosi delle domande, riflette sulla società attuale, sulle sue mancanze e sulla conseguente superficialità.
Lo stile semplice e scarno mette in evidenza la precarietà e la fragilità umana (La vita è un attimo, poi il bosco si riprende ciò che gli appartiene.), ma allo stesso tempo anche la sua grandezza, data dalla genuinità dei gesti che ci accompagnano lungo l’esistenza e che rimarranno oltre il tempo che ci è dato.
Nella prefazione Massimiliano Pecora spiega: “Nella geografia percettiva e mnestica di lungo la Via Vandelli, lo scrittore, tracciando il suo cammino, lo canta, lo decifra e lo articola esattamente in due parti speculari. Lo spazio naturale viene segmentato dal ritmo del testo attraverso l’adeguamento della parola poetica all’azione del viaggiatore”.
Durante la presentazione del volume avvenuta a Pomezia il 18 dicembre nel Museo Città di Pomezia - Laboratorio del 900, il poeta ha recitato “Alla mia età”, lirica dai brevi versi, in cui viene descritta una giornata al mare, durante la quale osserva un padre giocare con il figlio. Nelle ultime due strofe scrive: “Ma io non augurerei mai a nessuno/ di essere come me./ Alla mia età non riesco ancora a tuffarmi/ tra le onde”.
La grande sensibilità forse lo trattiene e lo rende attento a ciò che fa, guardingo, prudente e più saggio della sua età anagrafica. Probabilmente questa sua caratteristica gli ha permesso di comporre queste liriche così profonde, in cui numerosi animi possono ritrovarsi: “Ma soprattutto, penso alla Via: al genio che l’ha ideata/ alla fatica di coloro che l’hanno costruita/ alle donne e agli uomini che l’hanno percorsa nei secoli./ E così penso alla vita, e alla Via – la mia Via”.
Mattei è nato a Modena nel 1985, è psichiatra e musicista. Ha pubblicato diverse raccolte di poesie, tra cui: “Uomo del mio tempo”, Il Fiorino, 2007; La Recherche, 2011, “La scuola dell’obbligo”, La Recherche, 2010 e “La misura delle cose”, Edizioni Artestampa, 2015.
Manuela Mazzola
CENTRO STUDI SISYPHUS
FUORI DELL’OMBRA E AL CHIARORE DELLE PAROLE Premio letterario internazionale Città di Pomezia
- Gangemi Editore International, 2021, Pagg 110
Fuori dell’ombra e al chiarore delle parole, con premessa di Fiorenza Castaldi, prefazione di Gloria Galante, introduzione e nota di Massimiliano Pecora e antologia delle opere premiate, è il primo volume della Collana “Quaderni del Centro Studi Sisyphus” di Gangemi Editore International.
Il vincitore della sezione Raccolta di poesie o poemetto: Claudio Carbone con l'opera "L'albero custode". Nella Poesia singola: Davide Rocco Colacrai con l'opera "L'ablazione di un sogno". Nella Poesia in vernacolo: Eugenio Masci con l'opera "Er miracolo". Nel Racconto o novella: Bernadette Capone con l'opera " La storia dei telefoni cellulari". Nel Saggio critico o storico-archeologico: Giuseppe Episcopo con l'opera "Ma la carta sogna i media elettrici? Per una lettura di Prima divisione della notte di Carlo Emilio Gadda". Premi speciali:Premio alla carriera per il merito artisticoletterario della sua opera a Corrado Calabrò. Premio alla memoria per il valore artistico della sua opera a Fabio De Agostini.
Nella premessa la Castaldi, direttrice del Centro Studi Sisypuhs, spiega ai lettori: “Il frutto di questa selezione e del rigoroso criterio che l’ha guidata è raccolto in questo volume, nato dal sostegno dell’amministrazione comunale e dal lavoro del Centro Studi Sisyphus, allo scopo di portare fuori dell’ombra e al nitore delle parole il talento dei vincitori delle sezioni in gara nella XXVIII edizione