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Fragilità di Dante, di Elio Andriuoli, pag

FRAGILITÀ DI DANTE

di Elio Andriuoli

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APPARE del tutto naturale che in occasione dell’anniversario della morte di Dante, avvenuto nel 2021, un professore universitario di Letteratura italiana, qual è Francesco D’Episcopo, abbia voluto dare il suo contributo agli studi sul nostro maggiore poeta, con un saggio intitolato Fragilità di Dante, nel quale si evidenziano i momenti di debolezza emotiva da lui avuti nel difficile percorso del suo viaggio ultraterreno.

Il lavoro si divide in due parti: Dante piange e Dante sviene. Nella prima Dante, è all’inizio del suo viaggio e trova innanzi a sé la porta dell’Inferno, che compare nel Canto III e che subito provoca in lui un forte sgomento per le parole che su di essa si leggono.

Non appena varcata quella porta poi egli avverte «sospiri, pianti e alti guai», espressioni di atroci tormenti, che l’inducono al pianto: «per ch’io al cominciar ne lacrimai». Da notarsi è qui, come osserva D’Episcopo, il gesto affettuoso di Virgilio, il quale prende Dante per mano allo scopo di fargli coraggio.

Un altro Canto della Commedia nel quale si manifesta la «fragilità emotiva» di Dante è il V, sempre dell’Inferno, che riguarda i lussuriosi, che vengono trascinati dalla bufera infernale. Qui Dante incontra Paolo e Francesca, alla quale domanda il perché si trovi in quel luogo e subisca quella pena. Ella allora gli narra dell’amore del cognato per lei, che ricambiò, andando incontro ad una subita morte.

Ad ascoltare quella storia Dante è talmente rattristato da essere indotto a piangere per l’emozione e, allorché il racconto è terminato, cade svenuto, per la profonda pietà che quella storia suscita in lui: «E caddi come corpo morto cade».

Continuando nella sua discesa sino al punto più basso dell’Inferno, dove si trova Lucifero e dove sarà punito in eterno, inquanto traditore dei consanguinei, anche colui che uccise Paolo e Francesca, Dante incontra (nel Canto XX) gli indovini, i quali sono soggetti ad una pena particolarmente degradante: quella della deformazione della propria immagine, essendo il loro capo rivolto non più davanti, ma all’indietro («ché dalle reni era tornato il volto»), sicché loro che avevano presunto di predire il futuro, erano ora costretti a guardare ognora soltanto dietro di sé, cioè al passato («e in dietro venir li convenia, / perché il veder dinanzi era lor tolto»).

Anche qui Dante è preso da una profonda pietà, che lo muove al pianto («com’io potea tener lo viso asciutto, / quando la nostra immagine di presso / vidi sì torta / … / Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchi»). E Virgilio lo rimprovera per questa sua debolezza, che può suonare come una critica della «giustizia divina».

Un sentimento di profonda commozione, che l’induce alle lacrime, Dante lo prova poi in occasione del suo incontro con Forese Donati, nella sesta Cornice del Purgatorio dove i golosi scontano la loro pena, prima di salire al Cielo. La pena dei golosi, per la legge del contrappasso, è naturalmente quella del digiuno, che li fa magri, soffrendo inoltre alla vista dei saporiti frutti di un albero che li sovrasta e

delle fresche acque di un ruscelletto che non possono raggiungere.

Forese chiede a Dante chi siano le due anime (Virgilio e Stazio) che lo accompagnano e come mai compia quel viaggio nell’Oltre e Dante nel rispondergli dice: «La faccia tua, ch’io lacrimai già morta, / mi dà di pianger mo’ non minor doglia», palesando con ciò la sua pena.

Un altro momento di profondo turbamento, che induce Dante al pianto, è quello che si ha nel canto XXX del Purgatorio, allorché Dante, che è giunto alla sommità del monte, nel vedere innanzi a sé Beatrice, si sente smarrito e si volge indietro per chiedere aiuto a Virgilio, che non trova perché questi l’ha dovuto lasciare, essendo pagano, all’inizio del Paradiso. Qui troverà una guida più degna nella sua ascesa verso Dio; una guida che sarà Beatrice, la quale al vederlo smarrito gli dice: «Dante, perché Virgilio se ne vada, / non pianger anco, non pianger ancora, ché pianger ti convien per altra spada». Dante dovrà infatti piangere e pentirsi per i suoi peccati, che lo condussero sulla via della perdizione, dalla quale Virgilio l’ha salvato, nella foresta oscura dell’errore in cui si trovava. Osserva D’Episcopo: «È ora Beatrice, con tono duro, a richiamarlo e a rimproverarlo, perché ad altro dovrà riservare le sue lacrime».

Nella seconda parte del suo saggio D’Episcopo parla degli svenimenti di Dante, che hanno inizio nel Canto III dell’Inferno, dove lo troviamo insieme alla sua guida, sulle rive del fiume Acheronte. Qui Caronte traghetta le anime dei dannati affinché raggiungano la sede loro destinata. Spiega Virgilio a Caronte (un demone dagli occhi di brace che ha il compito di traghettare le anime), il quale rimbrotta Dante per essere entrato indebitamente nell’Inferno, che tale ingresso è stato disposto («colà dove si puote», cioè nelle Sfere Celesti) e che pertanto egli deve, senza fare opposizione, lasciarli passare, anche se Dante è ancora vivo e soprattutto non è un’anima dannata.

Si ode a questo punto il boato di un terremoto e si vede una «luce vermiglia» che fanno perdere i sensi a Dante, il quale dice: «e caddi come l’uom cui sonno piglia».

Un altro svenimento di Dante, che comprova la sua «fragilità emotiva», l’abbiamo trovato alla fine del Canto V, quello di Paolo e Francesca, dove egli, toccato nel profondo dell’animo dalla triste storia del loro amore, cade svenuto al suolo «come corpo morto».

Un ultimo svenimento Dante lo ha vedendo Beatrice fissare intensamente il Grifone, che rappresenta Cristo, nella sua duplice natura, Divina e Umana. Il poeta dice: «Tanta riconoscenza il cor mi morse, / ch’io caddi vinto, e quale allora femmi, / salsi colei che la cagion mi porse».

Dante cade vinto per la forte tensione che nasce in lui a causa del pentimento per i peccati commessi («Tanta riconoscenza il cor mi morse, (ch’io caddi vinto»). Ed è conquistato dalla forza e dalla bellezza della Fede.

Da ultimo è opportuno ricordare che D’Episcopo, nel Capitolo introduttivo al suo saggio, muove un pensiero riconoscente ai suoi Professori Salvatore Battaglia e Giancarlo Mazza, nonché a Vittorio Russo, per il suo volume Sussidi di esegesi dantesca, dal quale molto aveva appreso.

Elio Andriuoli

___________________________________ Un mosaico di Michele Frenna →

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