POMEZIA-NOTIZIE
Marzo 2022
FRAGILITÀ DI DANTE di Elio Andriuoli
A
PPARE del tutto naturale che in occasione dell’anniversario della morte di Dante, avvenuto nel 2021, un professore universitario di Letteratura italiana, qual è Francesco D’Episcopo, abbia voluto dare il suo contributo agli studi sul nostro maggiore poeta, con un saggio intitolato Fragilità di Dante, nel quale si evidenziano i momenti di debolezza emotiva da lui avuti nel difficile percorso del suo viaggio ultraterreno. Il lavoro si divide in due parti: Dante piange e Dante sviene. Nella prima Dante, è all’inizio del suo viaggio e trova innanzi a sé la porta dell’Inferno, che compare nel Canto III e che subito provoca in lui un forte sgomento per le parole che su di essa si leggono. Non appena varcata quella porta poi egli avverte «sospiri, pianti e alti guai», espressioni di atroci tormenti, che l’inducono al pianto: «per ch’io al cominciar ne lacrimai». Da notarsi è qui, come osserva D’Episcopo, il gesto affettuoso di Virgilio, il quale prende Dante per
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mano allo scopo di fargli coraggio. Un altro Canto della Commedia nel quale si manifesta la «fragilità emotiva» di Dante è il V, sempre dell’Inferno, che riguarda i lussuriosi, che vengono trascinati dalla bufera infernale. Qui Dante incontra Paolo e Francesca, alla quale domanda il perché si trovi in quel luogo e subisca quella pena. Ella allora gli narra dell’amore del cognato per lei, che ricambiò, andando incontro ad una subita morte. Ad ascoltare quella storia Dante è talmente rattristato da essere indotto a piangere per l’emozione e, allorché il racconto è terminato, cade svenuto, per la profonda pietà che quella storia suscita in lui: «E caddi come corpo morto cade». Continuando nella sua discesa sino al punto più basso dell’Inferno, dove si trova Lucifero e dove sarà punito in eterno, in quanto traditore dei consanguinei, anche colui che uccise Paolo e Francesca, Dante incontra (nel Canto XX) gli indovini, i quali sono soggetti ad una pena particolarmente degradante: quella della deformazione della propria immagine, essendo il loro capo rivolto non più davanti, ma all’indietro («ché dalle reni era tornato il volto»), sicché loro che avevano presunto di predire il futuro, erano ora costretti a guardare ognora soltanto dietro di sé, cioè al passato («e in dietro venir li convenia, / perché il veder dinanzi era lor tolto»). Anche qui Dante è preso da una profonda pietà, che lo muove al pianto («com’io potea tener lo viso asciutto, / quando la nostra immagine di presso / vidi sì torta / … / Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchi»). E Virgilio lo rimprovera per questa sua debolezza, che può suonare come una critica della «giustizia divina». Un sentimento di profonda commozione, che l’induce alle lacrime, Dante lo prova poi in occasione del suo incontro con Forese Donati, nella sesta Cornice del Purgatorio dove i golosi scontano la loro pena, prima di salire al Cielo. La pena dei golosi, per la legge del contrappasso, è naturalmente quella del digiuno, che li fa magri, soffrendo inoltre alla vista dei saporiti frutti di un albero che li sovrasta e