8 minute read
La metafora del viaggio in Domenico Defelice, di Rocco Salerno, pag
by Domenico
LA METAFORA DEL VIAGGIO COME NAUFRAGIO EPIFANICO DELL’ANIMA IN LE PAROLE A COMPRENDERE
DI DOMENICO DEFELICE
Advertisement
di Rocco Salerno
FIAT!/ Fu la Parola a riempire/ il vuoto tenebroso degli abissi/ e a dargli luce./
Fu la Parola a confortare/ l'umanità ferina delle foreste,/ dei deserti, dei ghiacci/ nei passati millenni." ("Basterà pronunciare una parola", p. 15).
Basterebbero questi pochi versi per far capire come la poesia di Domenico Defelice affondi le radici in un respiro, sostrato culturale e umano, teso a ritemprare e ricreare lo spirito, in una società che sempre di più va alla deriva, una poesia impastata di dolcezze, di affetti, di sofferenze, di Luce e di Amore sulla scia della Genesi e del Verbo giovanneo, volta a rinverdire la psiche, una poesia onesta e solare a fronte di tante fumose architetture e sperimentalismi linguistici. "Come la Terra intorno al Sole/ l'Universo ruota intorno a Te./ Tu sei la Terra nuova e i Cieli nuovi..." ("Come la Terra", p. 43). "Libro di vita", quindi, e "Vita d'un uomo", questo, come egregiamente rileva nell’acuta e suggestiva postfazione Emerico Giachery, richiamandosi al "celebre titolo ungarettiano", da cui trasudano esperienze incentrate sul rapporto con il nucleo familiare, quello soprattutto con il padre e la madre (si vedano le accorate poesie "Dormi serena", p. 18, alla madre, e "L'allegrezza di mio padre", p. 22, e "Morte da saggio", p. 27, alla figura paterna, fortemente evocati come esempio di onestà, saggezza, dedizione al lavoro e, latamente, appunto, con la famiglia, sentita e vissuta come centro propulsore dell'Universo vitale, di valori che tendono sempre di più a sfaldarsi, in una società, come la nostra, tecnologica e robotizzata, risucchiata dal "vortice capitalista", presa dall' "ansia capitalista che ci stritola" ("Fragili insetti impazziti", pp. 31-32), con quello amicale, di cui Domenico ha sempre avuto un "culto particolare", come attestato dalle struggenti e bellissime liriche indirizzate ad amici-artisti (si vedano, in particolar modo, "A Peter Russell", p. 29, "Sei tu quel pettirosso", a Geppo Tedeschi, p. 49, e, infine, "Le parole a comprendere", da cui il titolo dell'omonima silloge, a Geremia, p. 42) che con lui hanno sempre condiviso il nobile concetto della "letteratura come amicizia" e respiro di vita, anelito all'Assoluto, all'infinito, al Divino, naufragio finale "nel mare dell'Eterno". In Defelice la Parola non è mai un gioco, un vacuo suono ("Oggi, Parola suono luce", p. 15), e in questa silloge, in cui si alternano, fondendosi, mirabilmente, ricerca poetica fondata sulla ricerca dell'essere ed esperienze esistenziali in questo perenne viaggio, come una bufera da attraversare e superare, per arrivare sereni al Porto di dolcezze, muniti della corazza della fede
(emblematica "Presto dovrò salire al cielo", p. 75) è da notare e ricercare l'allegra, spensierata serenità, pur se, a volte, venata di dolente, pensosa e accorata "disperazione" per le prove a cui l'uomo è sottoposto e per un mondo vuoto in cui si trova, che mai però riesce a sopraffare e a incrinare l'animo cristiano" uscito sempre indenne/ da dolori e tempeste" ("Crisalide e navicella", p. 57), tanto che il testo, come una pagina aperta sull'Universo, evocato e descritto, se non dipinto, con animo francescano e pennellate poeticamente e bucolicamente virgiliane e pascoliane, può, come con acribia coglie nell'ottima prefazione Sandro Gros-Pietro, simbolicamente (allegoricamente), essere rappresentato come "un'allegria di naufragi", in quanto "il libro è un inno di esaltazione della vita ed è anche testimonianza delle tre età dell'uomo, così care ai pittori, basti pensare a Tiziano. La fanciullezza, la maturità, la senilità si alternano nelle pagine di poesia, vuoi per raccontare la vita del Poeta, vuoi i suoi amori di gioventù, il suo unico amore con la compagna della sua vita e madre dei figli, ma anche gli stessi figli e i nipoti divengono testimoni viventi del flusso eracliteo del tempo "(p. 8).
Ma in tutto questo campionario di liriche, così corpose, autentiche, struggenti e tenere, come è dato vedere dalla Parte Prima, in cui, come già detto, si rievocano con accenti vibranti e commossi gli affetti familiari e anche gli amari stenti della fanciullezza ("A cena, pane e cicoria/ cotti in acqua di fiume/ per le nostre bocche avide./ Ognuno con la sua ciotola grigia/ seduti in cerchio sotto il fico moro./ Mio padre è stanco ed ha sempre/ le mani sanguinanti/ dal gelo e dagli sterpi screpolate;/ mia madre, attenta vivandiera, non mangia,/ sazia della nostra fame mai placata", Ricordi d'infanzia, p. 25), il paesaggio idilliaco, solare e rasserenante, l'idillio arcadico-greco-pascoliano della grande quiete lunare, della luna "come segnale di una sfera misteriosa", "come segnale di speranza fra gli uomini", come donasse "un riflesso del giorno alla notte buia e disperante", come "con i suoi fasci di luce la luna interrompesse il buio notturno e diventasse il punto di contatto non solo tra il giorno e la notte, ma anche tra la natura e il divino", "foriera l'alba in scenari notturni", la Terra vissuta come grembo materno e paterno, lascito testamentario di gioiosa operosità da raccogliere e tramandare al “sangue superstite”, come "calda eredità d'affetti" materiali e spirituali, s'erge possente, come messaggio, sull'impervia, indefessa e infaticabile strada del Sapere come ricerca perpetua dell'Essere, il desiderio del Poeta di avere perseguito un cammino inciso sul respiro della Giustizia, di aver vissuto l'esistenza come una preghiera "fatta d'un sol palpito/ potente, il primo e l'ultimo del cuore" ("Vita effimera ma intensa", p. 61), di essersi sentito Poeta della speranza, della dignità, dell'Essere disdegnando l'Avere, le smodate ricchezze ("..."Non ho Suv, né iPhone, non iPad./ Niente prebende, non sono cavaliere./ Vesto modesto, non ho conti in banca,/ non ho la villa con la piscina./ La bellezza mi incanta alla mia età/ ed ancora la donna!./ Ho del poeta la dignità.", "Del poeta la dignità ", p. 47), di
essersi sentito in armonia, ungarettianamente, "una docile fibra dell'universo", anche se a volte, guardando "dall'alto" era "tutto diverso" e lo disorientava "il mondo nuovo", e di anelare al Cielo, ora, nel tempo della senescenza, e di volersi ricongiungere con il Creatore di tutte le cose. Mirabile, a questo proposito, è la lirica "Presto dovrò salire al cielo", che si trascrive integralmente per l'icastica e folgorante bellezza, per l'intensità e la forte carica religiosa, intrisa, appunto, di un anelito divino, come quello del primo uomo nel Paradiso, nell'Eden a cui si brama ritornare. "Guardavo il cielo/ e l'orizzonte era sempre lontano./ Oggi guardo la terra/ e l'orizzonte tocco con mano./ Presto dovrò salire al Cielo./ Attacca, allora, o Dio, le ali/ ai miei talloni stanchi/ e della terra che con me trasporto/ fanne nobile strame/ pei tuoi celesti e sterminati campi". (p. 75)
È da questo grido, "affilato stiletto", di una vita consumata all'insegna della Giustizia ("Commosso mi hanno l'amicizia e l'amore;/ l'ipocrita, il corrotto, il violento/ mi hanno ferito mortalmente al petto", "Come le foglie del pioppo", p. 35) che nascono le liriche della Parte Seconda, Terza e Quarta, intrise di una tagliente e mordente ironia, tesa a fustigare l'arrivismo, l'opportunismo, lo sfrenato egocentrismo e narcisismo, il Super Io, la Politica, il malsano e imperante capitalismo e l'infido "Lievatano Stato che vuole tutto inghiottire/ nella macchinosa congerie/ della sua burocrazia inesorabile", come avrebbe urlato il compianto Dario Bellezza, per poter riportare l'umanità traviata, nel senso lato della parola, sulla retta strada, tenendo sempre alto, come un veliero ("veliero fiorito il mio balcone", p. 62) o una stella, l'imperativo poetico e morale dantesco: "Fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguire virtute e canoscenza" ("Il tuo ruolo nel teatro del mondo", p. 53). Tutto questo, in definitiva, in uno stile, a volte dimesso, affabile, colloquiale, trasognato, altre volte, alto, aulico, e, infine, sarcastico e forse anche "irriverente", per quell'assunto basato sull'onestà, sulla dignità, sulla sincerità, sulla franchezza, peculiarità che hanno sempre contraddistinto l'operato umano e poetico di Domenico.
Proprio, come nella chiusa della straordinaria prefazione, stigmatizza sempre lo stesso Sandro Gros-Pietro: "Lo stile franco, aperto, amichevole e incantato di Domenico Defelice resta una delle esperienze più serene, briose e feconde della poesia italiana di questi tempi, per la gioia che trasmette verso i valori fondanti della vita, in primo luogo gli affetti e le amicizie, e per il coraggio e la profondità di cui dà mostra nel riflettere sulla brevità e sull'effimero della condizione umana, senza perciò mai lasciarsi andare ad avere atteggiamenti lacrimosi, imploranti o rancorosi verso la sorte che incombe su tutti noi", quanto piuttosto tesi al Cielo, alla Terra Promessa. "Crisalidi noi siamo per l'Eterno,/ celesti praterie ci attendono" (p. 56) o: "Di me tutto già scritto è nel Tuo Libro./ Quando hai deciso, aspirami./ Salvami dai perigli/ nelle peripezie/ dell'oscuro viaggio./ Fammi giungere in pace/ e fiori fammi coltivare/ nelle Tue luminose praterie." ("Quando hai deciso, aspirami, p. 38) o, come si evince ne "L'estremo viaggio", l'anelito a indiarsi della stessa Divinità, dello stesso Soffio Divino, fino a trasfigurarsi, sfiorare, essere "il pensiero di Dio", appunto, la celeste Epifania: "Anche noi verremo risucchiati,/ pulviscolo spregevole,/ se lievi non saremo più che luce/ puri e candidissimi/ sì da sfiorare il pensiero di Dio" (p.82), essere la Luce, per ritornare all'incipit di questo scritto, e come già presagiva Domenico Defelice in quella splendida preghiera "Canto a Dio" in " Resurrectio" ("Viaggio nel dolore") (Torino, Genesi Editrice, 2004, interventi di Vittoriano Esposito, Maria Grazia Lenisa e Sandro Gros-Pietro): "Se degno non sarò della Tua luce,/ non accecarmi con le tenebre./ Lasciami al pie' del colle/ riverberato/ da un raggio del Tuo volto./ Che non sia buio pesto./ Altro non chiedo. " una poesia-salmodia, una Luce "tesa all'Eterno Bello del dopo".
Rocco Salerno
Domenico Defelice: Le parole a comprendere, Genesi Editrice, 2019, pagg. 140, €14,50