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William Faulkner, di Salvatore D’Ambrosio, pag

WILLIAM FAULKNER

Il cantore del Mississippi

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di Salvatore D’Ambrosio

ERA il 6 luglio del 1962 e moriva uno dei più grandi scrittori del novecento. Ci avviciniamo dunque ai sessant’anni della sua scomparsa, e mi sembra doveroso un ricordo.

La sua opera dilatò in molti campi: la narrativa, la sceneggiatura, la poesia, la drammaturgia. Nel 1949 gli fu assegnato il Nobel per la letteratura, per la grande valenza delle sue opere ritenute importanti per la comprensione del tessuto sociale del sud degli Stati Uniti e in modo particolare di quello in cui era nato: il Mississippi.

Nacque, infatti, nella città di New Albany nel 1897 a poche decine di chilometri da Oxford, dove poi il padre, nel 1902, trasferì per motivi di lavoro tutta la famiglia.

In questa città si trovò molto vicino alla natura, avendo il genitore intrapreso, tra le altre, l’attività di allevatore. In questa felice fase dell’infanzia imparò attraverso i racconti di una domestica i nomi di molte piante, di uccelli e soprattutto delle tante storie contadine connesse.

Questo ascolto fu la prima palestra per Faulkner al racconto. Inoltre trascorreva molto tempo con il padre vicino al recinto dei loro cavalli e percorreva boschi e terre intorno alla casa, che vedeva ogni giorno sempre più impoverirsi per l’eccessivo sfruttamento.

Durante questi “viaggi” all’aria aperta, aveva modo d’incontrare i lavoratori negri e soprattutto la loro umiliazione di uomini trattati come animali, senza nessuna pietà.

Restò affascinato da miti e leggende della sua terra, narrate anche dalle evidenti situazioni che gli si presentavano e dai racconti del suo bisnonno, che aveva scritto e pubblicato alcuni libri di successo.

Non fece studi regolari per aver abbandonato la scuola e proseguito da autodidatta.

Non ostante il padre fosse amministratore e segretario dell’università non si laureò mai, a motivo della sua inquietudine. Molteplici furono i corsi che intraprese, ma dal punto di vista lavorativo non gli procurarono mai un buon posto.

Solo per intercessione del padre riuscì ad essere assunto presso l’ufficio postale dell’università, ma leggeva i libri e le riviste destinate ad altri scontrandosi spesso con i colleghi di lavoro, che lo ritenevano un fannullone.

Fece tantissimi altri mestieri per guadagnare dei soldi per pubblicare ciò che cominciava a scrivere.

Fu così che nel 1924 diede alle stampe la sua raccolta di poesie The Marble Faun, con scarso successo di vendita.

Riprese, per guadagnare qualcosa e per la passione della scrittura, le sue collaborazioni a giornali e riviste quali: Times- Picayune e The Double Dealer.

Nei primi mesi del 1926 uscì La paga del soldato, che si rivelò un insuccesso e soprattutto un libro scandaloso.

Sempre alla ricerca di conoscenze, si recava in viaggio in Europa con un amico artista e si fermava in Italia, in Svizzera, a Parigi.

La sua carriera di scrittore sembrava proprio non avere successo, poiché Zanzare edito nel 1927 fu ancora una volta un insuccesso, e questa volta l’editore sospese anche il contratto che prevedeva la pubblicazione di altri libri.

Ma lo scrittore non si scoraggiò, continuò a scrivere e a fare il falegname e l’imbianchino per vivere, anche perché aveva sposato Estelle, che resterà con lui fino alla fine.

Diciamo che intanto Faulkner cominciava a comprendere cosa volesse leggere la gente, e si inventò la mitica contea di Yoknapatawpha, nella quale si muovevano personaggi già presenti in lui dai racconti dei nonni. Racconti di razzismo, violenza, decadenza, follia umana, rivalità tra fratelli, incesti, ogni sorta di avventure, soprattutto quelle extraconiugali, sempre attuali anche a quei tempi.

Temi che caratterizzeranno poi tutta la produzione artistico - letteraria del Faulkner.

Centrale nelle sue opere il disfacimento di una società, la tragedia di un popolo dedito al puritanesimo, al protestantesimo, alla libertà violenta senza rispetto di regole. Alla sopraffazione del ricco solo perché è ricco.

Temi che, purtroppo anche in questo momento storico, non hanno abbandonato gli States, ne è lampante dimostrazione l’era trampiana.

Sartoris del 1929 e L’Urlo e il furore dello stesso anno, rappresentano i romanzi fondanti della sua narrazione, con la centralità di famiglie borghesi e avide.

La cosa interessante è che il Faulkner nello scrivere parte dal presente, per rintracciare le radici del passato. Il destino dell’individuo, in lui, si lega a quello della comunità in cui vive, dirottando il linguaggio verso un realismo drammatico.

Lo scrittore si avvale, in realtà, nel montaggio della narrazione, anche di elementi comici, epici, grotteschi. Oltre che drammatici. Il male per lui è legato al bene, e la vittoria del male è un’ovvietà che per questo diventa un fatto comico.

Continuando dunque a scrivere, incominciò a raccogliere i primi successi, come quello del 1938 con Gli Invitti. Ma continuò, a volte, anche l’indifferenza americana verso i suoi scritti, che furono maggiormente apprezzati in Europa. In modo particolare in Francia.

Quasi come una dannazione tipicamente americana che colpisce gli scrittori e gli artisti in genere, cominciò a bere alcool pesantemente. Varie volte si ricoverò per disintossicarsi, ma con scarso successo. Intanto nel 1949 da Stoccolma gli giungeva la notizia dell’assegnazione del premio Nobel, che ritirerà solo l’anno successivo facendosi accompagnare dalla figlia Jill.

Continuò, intanto, a scrivere molto: commedie, sceneggiature di film, articoli, saggi. Tra cui uno quasi autobiografico per la rivista Holiday (1954) intitolato Mississippi.

L’alcolismo, purtroppo, lo porterà alla morte per infarto miocardico a soli sessantaquattro anni il 6 luglio del 1962.

Ai primi di giugno dello stesso anno venne pubblicato il suo ultimo romanzo: I Saccheggiatori.

In esso si narra, con lo stile tipico del Faulkner della frase lunga e articolata e i dialoghi inseriti direttamente nei fatti, la storia di un bambino bianco benestante e non viziato (forse il riconoscimento di se stesso) che è coinvolto in un’avventura fuori di casa che gli mostra la realtà dello Stato del sud in cui vive, con tutte le sue brutture.

Storia che cambierà quel bambino, ma che sembra non aver cambiato ancora oggi quello Stato.

Infatti lo stesso Faulkner ebbe a dire che anche se non tutti gli uomini del Mississippi mettono un lenzuolo bianco in testa e accendono torce nei giardini come quelli del KKK, in molti di loro vive ancora il medesimo impulso e il medesimo spirito di quegli uomini incappucciati.

Ecco, è questo il danno e la dannazione di un popolo che non riesce a cambiare.

Come Sartre colse la dimensione filosofica

del suo messaggio e il significato della sua elegia, che tendeva a superare l’epos ormai ferro vecchio nelle mani di una borghesia incivilita, così si dovrebbero rileggere i suoi scritti per evitare di oltraggiare ulteriormente la coscienza di ognuno di noi di fronte alla decadenza dei sentimenti. E possibilmente bisognerebbe farlo subito, per trovare definitivamente una via di salvezza.

Salvatore D’Ambrosio

È MOLTA LA DISTANZA

È molta la distanza tra sorgente e foce? Trema la voce. Apro le carte: non c’è gioco tra le dita. Ho scartato con cura, ma ora è dura la legge del rimpianto. Forse ho gettato il meglio nello scarto. Pazienza, attendo che dal mazzo esca la regina, non importa di che seme. È l’ultima chance della partita; d’altronde di illusione vive la vita.

Lucio Zaniboni

Lecco Da: L’allegoria del vento, Nemapress Edizioni, 2021

GLI ULTIMI DIECI SECONDI

Inizia il conto degli ultimi dieci secondi. Prima che arrivi il tonfo dell’anno che lascia e il frastuono di quello che viene, vorrei dirti di scappare o di inventarsi promesse nuove per fuggire dalle carabattole messe assieme dalla vanità credendo fossero delizie sparse lungo il sentiero modesto della nostra vita. Sdoganare le ottuse certezze, le illusioni della grande occasione cresciute nella monotonia di anni consumati nell’aria decrepita del tutto che ci è intorno. Rassegnarsi ancora alla claustrofobia del torto o continuare a restare impastoiati nell’attesa di vani desideri, con la speranza di essere protagonisti di qualcosa che darebbe la certezza di essere vittima delle frecciate altrui. Beviamo spumante dalla stessa coppa e ci baciamo sotto il vischio, ma il calendario che segna un numero in più anche questa volta ha uguale parentela.

31.12. 2021

Salvatore D’Ambrosio

Caserta

NON ERA UN’OMBRA

Non era un’ombra quella che stanotte da dietro un vetro, con voce rotta dall’emozione cantando, timoroso fissandomi confessava il suo amore per me. Non era un’ombra quella che rispondendo al muto invito mio oltrepassava la barriera di vetro e mi veniva incontro. Non era un’ombra quella che questa notte fortemente mi abbracciava mentre gli ripetevo che sempre, fin dal nostro primo incontro l’avevo amato. E intanto dal profondo del cuore ringraziavo ardentemente Dio per l’improvviso, ma così a lungo atteso, dono da Lui a me inviato.

27 gennaio 2022

Mariagina Bonciani

Milano

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