Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A. P. Aut. n° MBPA/LO-NO/048/A.P./2019 Periodico Roc -NE/VR
in edicola il 20 luglio 2021
#13 | lug/ago 2021 8.00 €
EDIZIONI VERSANTE SUD
STORIA DI COPERTINA Breve storia alpinistica del Masino 1862-1942 / Arrampicare a ungia / Qualido forever / Mello, Multipitch doc. / Il folletto dai piedi di piombo / Una vita di Alto Masino / Ceki 80 “Duro Alpinismo” / Big walls free / Vibram e Airlite / L’era moderna del sassismo mellico! Personaggi Antonio Boscacci / Climbing Family 2.0 Falesia The best of Masino Rock Climbing Vertical Tales Indagine sul crollo della Torre Re Alberto Focus GIAPPONE: falesie e olimpiadi Il graffio Nando Zanchetta Ideas Il ballo angelico La rubrica della Ming Il libero alpinismo Medicina La zecca Jollypower Il problema di Jek
BIMESTRALE DI ARRAMPICATA E ALPINISMO
VAL MASINO
Sommario 004 Editoriale di Richard Felderer
STORIA DI COPERTINA
007 Breve storia alpinistica del Masino 1862-1942 di Giuseppe Miotti 014 Arrampicare a ungia di Giuseppe Miotti 018 Qualido forever di Luca Schiera 026 Mello, Multipitch doc. di Luca Schiera 030 Il folletto dai piedi di piombo di Giovanni Ongaro
PERSONAGGI
032 Bosca, il re dell’aderenza di Luca Schiera
STORIA DI COPERTINA
038 Una vita di Alto Masino di Rossano Libera e Luca Maspes 049 Ceki 80 “Duro Alpinismo” di Luca Maspes
FALESIE
054 The best of... Masino Rock Climbing Settori e monotiri consigliati da Simone Pedeferri e Camilla Cerretti
STORIA DI COPERTINA
063 Big walls free di Simone Pedeferri
BOULDER
072 L’era moderna del sassismo mellico! di Alberto “Albertaccia” Milani
STORIA DI COPERTINA
080 Vibram e Airlite, dall’automobile al granito di Giuseppe Miotti
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VERTICAL TALE
085 Indagine sul crollo della Torre Re Alberto di Giuseppe Miotti
FOCUS
088 Giappone Fuori dalle palestre, c’è un mondo di roccia da scoprire di Francesco Bassetti 096 A ticket to Tokyo di Alessandro Palma
PERSONAGGI
100 Climbing Family 2.0 a cura di Massimo Cappuccio
IL GRAFFIO
104 di Nando Zanchetta
IDEAS
106 Il ballo angelico di Samuele Mazzolini
LA RUBRICA DELLA MING
110 Il libero alpinismo di Federica Mingolla
MEDICINA
114 La zecca, una minaccia da non sottovalutare di Giuseppe Miotti
JOLLYPOWER
116 Il problema di Jek di Alessandro Lamberti
VETRINA
118 Proposte prodotti
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Editoriale Testo Richard Felderer
A
gli inizi degli anni Novanta comprai la guida della Val di Mello in un negozio a Bresso, “La Montagna”, quando ancora aveva sede vicino all’aeroportino. Era la guida redatta da Luisa Angelici e Antonio Boscacci, e riportava cento vie. Tutt’ora si può considerare attuale e ben fatta! Il week end successivo ero in Valle a provare le prime vie e già il posto mi aveva piegato la coda fra le gambe e contestualmente stregato. Era, e forse lo è ancora, un giardino dell’eden, dove «avrete tutti gli ingredienti adatti per dolcissime arrampicate». Ecco, se c’è una frase della guida sulla quale mi sento di dissentire è proprio questa, soprattutto quando il cristallo di quarzo scricchiola sotto la scarpetta, l’ultima protezione è lontana e non sai se per cadere è meglio correre in discesa o lasciarsi scivolare! Per il resto è una guida scarna, essenziale e pura, com’era la valle allora e come tutti quelli che la amano e la vivono vorrebbero che rimanesse in futuro. La valle, nella sua parte classica, ha una scalata ormai démodé, priva di grandi numeri, quelli degli abbonati a 8a.nu e del suo bollettino di guerra quotidiano. Qui pochi personaggi riescono ad apprezzare il gesto imposto dalle lisce placche mal protette e dalle rare fessure, e a trovare il giusto compromesso con le proprie paure. E se le gioie e i dolori della bassa valle non bastano, ci pensa il tramonto sul Martello del Qualido a ricordare che un po’ più in alto si celano pareti vertiginose, big wall che permetterebbero a tanti di evitare costosi viaggi a Yosemite (non me ne vogliano) per vivere e raccontare storie degne della “S” maiuscola! E nel frattempo si sono sviluppate talmente tante altre vie, falesie e blocchi che ce n’è davvero per tutti.
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Anche se per me la “valle” rimane quella delle placche poco frequentate, sospese sopra i boschi di faggi, sono ben contento che tutti possano trovare l’oggetto dei desideri nello stesso fragile e bellissimo contesto. Comunque sia, da questo momento sono stato per trent’anni felice spettatore degli eventi e delle persone che si sono alternate nella valle, delle vicende piccole e grandi, dei cambiamenti piccoli e grandi anch’essi. Ho scalato tante vie facili (che facili non sono mai!) e seguito top climber su quelle difficili. Ho anche passato delle giornate a cercare funghi, se non trovavo un socio. Per il gusto di stare in un posto bello. Sempre qui ho visto nascere grandi amicizie e consolidato altre, sono nati tanti progetti e qualcuno probabilmente è anche naufragato in una birra di troppo al Bar Monica! Ma fa parte del gioco! E se dovessi fare una lista di ciò che vorrei raccontare sulla valle, sulla sua storia, sui suoi personaggi, penso che non basterebbe un libro. In questo numero abbiamo cercato di evitare l’ovvio e di andare in maniera assolutamente incompleta a cogliere qualche piccola sfaccettatura, magari non troppo conosciuta, che permetta da un lato un approfondimento su alcune vie o storie o uomini che riteniamo speciali, e dall’altro che sia di stimolo ad andare a ricercare quel qualcosa che comincia dove finisce la mera descrizione della via, che si può trovare solo vivendo la valle. Consci del fatto che stiamo entrando in un giardino tanto bello quanto delicato, sempre severi guardiani di noi stessi e degli altri, poiché se qualcuno mai dovesse entrarci non in punta dei piedi, romperebbe l’incantesimo.
San Martino Val Masino, 1911. Foto: Arch. G. Miotti/Fiorelli
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Editoriale Editoriale Sulla schiena di mulo dello Spigolo Vinci al Cengalo, negli anni settanta. Foto: G. Miotti
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Storia
Breve storia alpinistica del Masino 1862-1942 Testo Giuseppe Miotti
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ncora dopo la metà dell’Ottocento si contavano sulle dita della mano gli alpinisti che erano penetrati nelle vallate meridionali delle Alpi Retiche, tanto che il prestigioso Alpine Journal chiedeva ai suoi lettori: «Chi sa dire qualche cosa dei monti che stanno tra il Passo dello Spluga e quello del Bernina?». Naturalmente la sfida fu immediatamente colta dai migliori soci dell’Alpine Club, che in breve scalarono quasi tutte le principali montagne del massiccio. Il 24 agosto 1862 Leslie Stephen, Edward Shirley Kennedy e Thomas Cox con la guida Melchior Anderegg salirono il Monte Disgrazia partendo dalla Val Masino. L’impresa apriva la strada ad altri pionieri e solo due anni più tardi le prime informazioni sicure sulla regione comparivano nella guida Central Alps di John Ball. La presenza in Val Masino di un buon hotel presso le fonti termali dei Bagni forniva un’ottima base d’appoggio e da qui partirono il 25 luglio 1866 Douglas William Freshfield e Charles Comyns Tucker con la guida François Devouassoud per salire l’inviolato Pizzo Cengalo. Sulla punta lasciarono una scatoletta di latta con un bigliettino. Scriveva qualche anno dopo il conte Lurani: «Trovammo una scatoletta di latta recante ancora traccie di unto, ed entrovi un bigliettino di visita del signor C. Comyns Tucker (Univ. Coll. Oxon) il quale con Douglas W. Freshfield A. C. “made the first ascent of this peak with Francois Devouassoud of Chamounix in 4 hrs 40 min. from the Baths of Masino. Juli 25th 1866”. L’indicazione del tempo impiegato è riportata identicamente nelle Italian Alps; una media di quasi 500 metri all’ora, non è davvero perdere tempo!». L’anno successivo il sedicenne William Auguste Brevoort Coolidge, con le guide François e Henry
Alfonso Vinci, negli anni trenta. Foto: Arch. Ialina Vinci
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Storia Qualido forever Qualido e Martello del Qualido. Foto: L. Schiera Matteo De Zaiacomo durante la prima libera di King of the Bongo, recente via completamente trad aperta da Schiera, Marazzi e De Zaiacomo al Qualido. Foto: R. Felderer
I
primi abitanti della Val Masino, i Melat, ovvero gli abitanti del paese di Mello sulla costiera dei Cek, erano soliti portare le bestie nei pascoli di questa valle. La transumanza durava diversi giorni per coprire quelli che sono oggi trenta chilometri di strada. Quando però il fondovalle non divenne più sufficiente per coprire il fabbisogno di tutti gli animali iniziarono ad esplorare le valli più in alto. Per le valli più accessibili furono tracciati dei sentieri nei boschi di faggio e abete che oggi portano anche alle cime più alte, mentre per le valli meno accessibili invece furono ricavati dei sentieri con gradini intagliati nella roccia quasi verticale, oppure si rese possibile il passaggio grazie a fittoni di ferro e funi per permettere il transito delle mandrie. Questi sentieri sono tuttora esistenti e testimoniano l’opera incredibile sia dal punto di vista ingegneristico, sia per lo sforzo necessario a spostare il materiale su quei terreni così impervi. Furono così tracciati dei sentieri in Val Arcanzolo, Temola, Livincina e appunto Qualido, per permettere alle vacche di raggiungere i pascoli in quota. Non si sa quante
bestie persero la vita precipitando da questi passaggi esposti o quanto fossero spaventate nel farlo, quello che è rimasto sono gli accessi a queste valli rimasti in buona parte intatti ancora oggi, e se qualcuno crede che le piramidi siano state costruite dagli alieni non ho dubbi che penserebbe la stessa cosa vedendo questi sentieri. Dopo l’abbandono dei pascoli, per qualche decennio la Val Qualido, tuttora di proprietà privata, rimase frequentata o come meta turistica o per i pochi pastori che in estate portano ancora pecore o capre al pascolo, fino a quando i primi scalatori, sul finire degli anni Settanta, dopo avere maturato esperienza sulle piccole strutture di bassa quota, iniziarono a guardare la grande parete Est del monte Qualido. Una fra le prime vie probabilmente fu quella di Ivan Guerini sul lato destro della parete. Nel 1978 Paolo Masa e Jacopo Merizzi aprirono Via Paolo Fabbri 43, seguendo un logico sistema di diedri e fessure nella parte sinistra della parete, oggi in buona parte crollato. Erano anni di grande attività in Val di Mello e le vie nuove erano numerose, ma bisogna aspettare fino al 1982 per vedere la prima via in mezzo alla parete: Il Paradiso può Attendere di Antonio Boscacci, Paolo Masa e Jacopo Merizzi. Segue una serie di diedri verticali che porta in cima al Martello, la caratteristica cuspide rossa ben visibile dal basso. Per diversi anni (solo sette in verità, ma che hanno visto un cambio di generazione in Valle), non ci furono più novità. Nella primavera del 1989, nello stesso momento ma a insaputa fra di loro, le cordate di Vitali-Brambati-Rusconi da una parte e di Fazzini e Riva dall’altra, attaccarono la parete lungo due linee moderne. In quegli anni era arrivato quello che aveva cambiato completamente l’arrampicata non solo in Val Masino ma in tutto il mondo, ovvero l’uso degli spit.
GRAZIE AL CHIODO A “ ESPANSIONE, UN SAPIENTE USO
DEI PIEDI E TANTO CORAGGIO, FURONO SALITE VIE IN PLACCA CHE SOLO POCHI ANNI PRIMA ERANO ASSOLUTAMENTE IMPENSABILI. SI DICE CHE VITALI IMPIEGASSE SOLO SETTE MINUTI PER PIANTARE UNO SPIT E CHI HA RIPETUTO LE SUE VIE SA QUANTO ALCUNE VOLTE PUÒ ESSERE PRECARIO ANCHE SOLO MOSCHETTONARE, IMMAGINATE FERMARSI A PICCHIARE QUALCHE CENTINAIO DI MARTELLATE. 20
Storia Arrampicare a ungia
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Personaggi Bosca, il re dell’aderenza Sulle placche dell’Oasi, fine anni 70. Foto: G. Milani Prima salita della Crepa del Bamba, Val di Mello, Antonio Boscacci, 1978. Foto: G. Milani
NUOVA DIMENSIONE VII-, 3 tiri Con Jacopo Merizzi nel maggio 1977 Nuova dimensione, oltre ad essere una bellissima via sul Trapezio d’argento, è anche conosciuta come la prima via in cui fu scomodato il settimo grado sulle Alpi. Anche se diverse valli hanno la loro versione dei fatti sull’apertura della scala Welzenbach oltre al VI+, questa via ha una particolarità: il passaggio chiave è anche sprotetto (infatti si cade direttamente sui due chiodi di sosta e sotto ad un tetto)... È una via di tre tiri abbastanza ripetuta, molto bella ma sicuramente non banale. LUCIDO DA SCARPE VII, 5 tiri Con Mirella Ghezzi, Jacopo Merizzi e Gaspare Piccagnoni, nel giugno 1977 Aperta qualche settimana dopo Nuova dimensione, è ancora più impegnativa sia mentalmente che tecnicamente, infatti sale su una placca stretta e molto esposta sospesa sopra ad uno strapiombo. Pochissimo ripetuta, in pochi hanno capito esattamente dove sale: l’unica cosa certa è che in caso di caduta c’è il rischio di pendolare oltre il bordo del tetto del Tempio dell’Eden con tutte le conseguenze del caso.
OKOSA VII+, 2 tiri con Guido Merizzi, nel giugno 1978 Okosa si trova su una piccola struttura, il Muro della Vacche, situata sopra la grande placca dell’Alkekengi e ormai seminascosta dal bosco. È una linea molto estetica che segue una sottile fessura obliqua che porta al bordo sinistro della placca dove forma uno spigolo dalla geometria regolare. In origine fu salita in due tiri separati, ma per aggiungere un po’ di sicurezza (essendocene già poca) è meglio salire il tutto in un tiro unico. Si sale la fessurina che conduce allo spigolo a circa un terzo di altezza della parete, e grazie ad un semplice calcolo matematico si capisce che dopo pochi metri non si può più cadere. Salendo in aderenza e con l’aiuto dello spigolo si sale la lunga placca con difficoltà tecniche decrescenti fino ad una pianta alla fine della placca. Racconta Jacopo Merizzi (impegnato sulla via adiacente) che quel giorno vide il Bosca salire quella che al tempo era la via più difficile della valle, e una volta sceso si liberò dalla tensione accumulata sdraiandosi per terra e urlando per circa un’ora. CRISTALLI DI POLVERE VIII con Graziano Milani, nel novembre 1978 La prima via di ottavo grado della Valle, salita slegato dato che la corda sarebbe stato un peso inutile. A differenza delle altre questa via fu prima provata con la corda dall’alto per capire se fosse stata fattibile o meno. Oggi non c’è niente di strano ma è stata forse la prima via della Val di Mello ad essere stata aperta così, fra l’altro quando non ci sono appigli non cambia poi molto sapere dove salire. Sale una placca chiara che inizia da una cengia sospesa in mezzo alle Placche dell’Oasi: salendo le difficoltà diminuiscono, ma il passaggio chiave è comunque molto alto da terra.
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Storia Una vita di Alto Masino
Testata della Val Porcellizzo. Foto: L. Maspes
La Esse Pizzo Torrone Occidentale. Foto: L. Maspes Rossano Libera su Tutto vero. Picco Luigi Amedeo. Foto: L. Maspes
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INNAMORARSI DEL MASINO Luca: Ho percorso il Sentiero Roma a nove anni, l’unico mio record “podistico”, e forse quei cinque giorni di cammino sotto tutto quel granito mi avevano fatto innamorare di quelle montagne. Finito il servizio militare, mi sono stabilito a San Martino, dove partivo per arrampicare tutto quello che c’era, cominciando sui boulder e nella bucolica Val di Mello, così hippy e diversa dall’eroismo della lotta con l’alpe. La gavetta la facevo lì, ma i miei pensieri “eroici” erano per quello che c’era sopra, in quota. Il tempo libero in quegli anni non mi mancava, così il Masino ha riempito la mia vita alpinistica.
Rossano: Già da adolescente accompagnavo mio fratello Valentino sulle montagne di casa (Val Codera), ispirati dalla passione comune per l’arte venatoria (definire semplicemente “caccia” ciò che si faceva, è quantomeno riduttivo...). Ero sovrastato, quasi schiacciato, da quelle presenze mute che infilavano il cielo: la loro forza attrattiva, alla fine, vinse qualunque altra passione. Mio fratello riuscì invece a conciliare famiglia, scalata e arte venatoria. Ciò che abbiamo condiviso nelle salite più importanti di quei lunghi anni, le decisioni prese e forse ancor più quelle non prese, hanno segnato in modo indelebile il mio percorso di alpinista, forgiando l’uomo che sono diventato.
LE VIE NUOVE
LUCA: LE HO APERTE IN OGNI “ STILE, SENZA PRECLUSIONI E
CON CURIOSITÀ HO PROVATO TUTTO: HO APERTO VIE SOLO PER ME STESSO, A CHIODI, ALCUNE ANCHE IN SOLITARIA, MA HO ANCHE APERTO VIE PER GLI ALTRI, CHIODANDO ANCHE DOVE A ME NON SAREBBE SERVITO.
Le più ripetute fanno parte di quest’ultimo stile, come quelle in Val di Zocca e in Porcellizzo, comunque vie mai banali e non troppo “plaisir” come inizialmente pensavamo che fossero. Le vie più alpinistiche invece sono un po’ ovunque, frutto di curiosità e di studio storico su quello che c’era prima, spesso in angoli meno conosciuti di altri. Quello che non mi ha mai attirato sono i lunghi “cantieri”, tipici di tante vie attuali dove si chioda spesso in artificiale, si lasciano corde fisse, si pulisce e si prova la libera; l’unica via che ho lavorato per più di due giorni è stata El Diablo sul Torrone, dove forse a farmi rallentare è stato il fatto che era la prima volta che usavo il trapano in quota.
Rossano: Nel versante Sud del Masino mi sono rivolto alle pareti di casa, in Val Codera e in Valle dei Ratti, la Sfinge, il Ligoncio e il Sasso Manduino. Comunque lo stile è sempre stato il metro di misura imprescindibile. Nato alpinisticamente alla fine degli anni Ottanta, mi ispiravo all’etica rigida di quel periodo, senza mezze misure, senza scuse. Sulle placche si piazzavano le protezioni fisse (spit) solamente quando un’eventuale caduta avrebbe potuto causare gravi conseguenze. Il “chiodare lungo” quindi non come una dimostrazione di forza ma come ideale. Un dogma. Sono sempre rimasto fedele a quegli ideali sposati allora, pagandone caro, a volte, il prezzo. Ma ritengo da sempre che in alpinismo il “come” sia infinitamente più importante del “cosa”, il percorso molto più importante del risultato. Una via o una cima assumono valore solo grazie all’esperienza fatta per portarle a compimento. IN SOLITARIA Luca: Ho iniziato subito, a 16 anni, a ripetere senza corda le vie classiche del Masino, provando una sensazione esaltante, una sfida con il vuoto dove nell’autocontrollo c’era la differenza tra vivere o morire, anche se a quell’età il pensiero di potersi ammazzare non ce l’avevo. Mi sentivo a mio agio e “sicuro”, allenato da quello che facevo in basso, dai monotiri di 7a/7b slegato del Remenno fino a certe vie della Val di Mello su cui era vietato cadere. Dopo i primi anni la sfida solitaria si è diretta alle vie più impegnative del momento, puntando a quelle di Fazzini che erano il “the best of”, ma in quel caso ho dovuto cedere al compromesso dell’autoassicurazione. Su quei gradi e con quel tipo di arrampicata, spesso su placche in aderenza, il free solo diventava troppo aleatorio. Anche Honnold l’ha fatto capire sul Capitan: il suo incubo prima di attaccare non era il 7c in fessura ma una placca di 6c in aderenza. La mia “chicca” è stata aprire una via di trecento metri di VI+, slegato e a vista (purezza alla Preuss), mentre l’ultimo mio pensiero solitario è stato per la via di Rossano e suo fratello sul Badile, Hiroshima, ma forse su quella mitica montagna avevo già dato tanto in termini di arrampicata solitaria e perso la grossa motivazione che sarebbe servita. Rossano: Direi che l’arrampicata solitaria è stata La Via. È la lente attraverso cui ho potuto osservarmi e capire... è trascendenza.
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Storia CEKI 80 “Duro Alpinismo”
Oto Bajana e Martin Heuger Durante la prima libera di Elettroshock, Picco Luigi Amedeo, 1994. Foto: Arch. I.Köller Prime salite In apertura sul Diedro dei cecoslovacchi alla Punta Ferrario. Foto: F. Piaček
Sulla Diretta cecoslovacca alla Cima di Castello. Prima ripetizione. Foto: Arch. R. Libera
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«Avevamo ripetuto la Nusdeo-Taldo, unica via esistente, e abbiamo notato una linea ben definita alla sua destra. Volevamo scalarla in un giorno solo, non abbiamo portato niente sulla parete, solo quello che indossavamo, niente cibo, acqua e ovviamente nemmeno una macchina fotografica». Di Fero conoscerò la fama pochi giorni dopo, in cima a una sua vecchia e rognosa via sulla parete di Manin che scalo insieme a Dino Kuran, giovane e fortissimo che comparve anche lui nel Masino in anni più recenti, sempre sul Picco. Dino, alle mie perplessità nel vederlo preparare dalla cima una calata nel vuoto su un singolo chiodo normale, mi risponde che «quello è un chiodo di Fero, tutti si fidano dei chiodi di Fero!».
Ancora oggi le vie dei Ceki nel Masino non sono diventate delle classiche, fatta eccezione per le due vie di Fero e compagni sul Picco e sulla Punta Ferrario, che contano una ventina di ripetizioni in quarant’anni. Le altre sono rimaste quasi sconosciute e dimenticate, come quella che forse è la più impegnativa di tutte, la Diretta al liscio pilastro della Cima di Castello, l’unica dove i Ceki dovettero ricorrere a qualche chiodo a pressione per passare. L’ha ripetuta solo una cordata, quella dell’espertissimo Rossano Libera insieme a Nico Rizzotto: «Ci abbiamo messo due giorni, lasciando le corde fisse sui primi tiri e dormendo alla base - racconta Rossano -. La relazione originale coincideva raramente nelle difficoltà: il tratto più difficile per noi, un 6c mortale appena sopra una brutta sosta, sulla relazione era indicato come V grado e artificiale. Rispetto a Feri Ultra sul Picco, che ho salito a vista, questa via è decisamente più alpinistica e richiede un alto livello mentale, anche per i tratti di artificiale delicato». I Ceki, diventati solo Slovacchi, ritornarono ancora molti anni dopo, questa volta in piccoli gruppi e con obiettivi che non erano solo rivolti a tracciare nuove vie. L’arrampicata libera si era presa un posto preponderante negli interessi dei più forti, che
Storia CEKI 80 “Duro Alpinismo”
seguivano il capobranco Koller in queste trasferte alpine, questa volta in piccoli team. «Per me il viaggio in Val Masino nel 1980 è stato di grande ispirazione. Jan Ďoubal e io abbiamo provato a salire una nuova via sul Qualido, l’attuale percorso della Spada nella roccia. Un fallimento perché non avevamo chiodi larghi e non eravamo in grado di mettere alcuna protezione. Solo quindici anni dopo siamo tornati sul Qualido,
DUŠAN JELINCIC GLI EROI INVISIBILI DELL’EVEREST
Jelinčič, alpinista, narratore e giornalista tra i più tradotti e apprezzati, ci regala un racconto a cavallo fra occidente e oriente che mette al centro il ruolo degli sherpa e il loro rapporto con la montagna sacra.
nel 1995 e nel 1996, riuscendo nella prima salita in libera de Il paradiso può attendere e una nuova variante, Forse sì, forse no, con un primo tiro di 8b salito in libera da Miro Piala. Nel 1994 invece siamo saliti sul Picco Luigi Amedeo, incredibile monolite di granito, seguendo le indicazioni di František “Feri” Piaček, una delle autorità più rispettate dell’alpinismo slovacco. Piaček insieme al suo compagno più giovane Bohuš Čiernik aveva salito una bellissima e logica nuova via. È stata un’ispirazione per noi provare a scalarla in libera e con Dino Kuráň siamo riusciti a farcela. Allo stesso tempo, Dino ed io abbiamo aperto la difficile nuova via Denti del granito».
Un romanzo ricco di tensione che getta ombre sulle prime ascese all’Everest e su come gli occidentali affrontano la cima più alta del mondo. Giornalista e alpinista, è uno degli scrittori sloveni contemporanei più apprezzati. Nel 1986 ha scalato, primo in Friuli Venezia Giulia, un Ottomila himalayano, il Broad Peak. Nel 1990 ha partecipato alla spedizione internazionale sull’Everest e nel 2003 ha conquistato l’Ottomila Gasherbrum 2.
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Storia Big walls free Disegno originale del Precipizio con tutte le vie, di Simone Pedeferri.
tranquillo ci porta al secondo intoppo: la via fa un diedro sulla sinistra, superabile solo con chiodi, quindi la possibilità è una placca sulla sinistra improteggibile. Alberto mi guarda, io guardo la placca e gli dico: «La tento, sono sicuro che si sale». Primi metri facili poi sempre più ripida, quando diventa verticale in quel momento si è accesa... potevo farcela... ero sicuro nonostante la difficoltà... un momento di lucidità che in anni di scalata ho vissuto raramente, forse una decina di volte: finisco il tiro, faccio la sosta a friends e tra me e Alberto ci sono trenta metri di corda liberi.
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Ho appena fatto un tiro fantastico da sosta a sosta a vista e senza la possibilità di proteggermi, in mezzo a una parete grandiosa... Alberto mi raggiunge, anche lui rimane perplesso per il tiro che ho appena fatto e mi fa capire con una parola quello che ho appena combinato: «Pazzesco»! Continuiamo fino all’inizio del lungo diagonale, il sole sta per scomparire, le corde si distendono, è ora di scendere e salutare la parete, metto il discensore, guardo Alberto e dico: «Cazzo, meno male che doveva essere il piano di riserva!». Un cambio folle che ci ricorderemo a lungo.
CLIMB THE CIRCUIT There’s simplicity to a bouldering circuit. You know each problem, and the path from one boulder to the next. There’s a ritual to the repetition. When the circuit is dialed, the less you need. A single crash pad, a chalk bag and a pair of climbing shoes. Eventually, the circuit becomes engrained, and the meditation of movement is an exercise in efficiency.
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Boulder L’era moderna del sassismo mellico! di individuare le linee più iconiche tra le centinaia che ha aperto, tra cui oltre duecento blocchi di grado 8. Una selezione ardua, come ci anticipa: «Faccio proprio fatica a visualizzare tutto. Se sfoglio la guida, anche tagliando, almeno 150 blocchi li seleziono tra i più rilevanti!». Il boulder moderno in Valle ha seguito la rinascita globale che avvenne «più o meno nel ’95, quando è arrivata la rivalutazione del boulder in Italia con Nardi, il Calibba, Core, Brenna, Gnerro. Mi sono trovato a vivere in una valle in cui in inverno non scalava nessuno e potevo fare solo blocchi! Arrivavo poi dalla zona di Como ed ero già stato a Cresciano, dove avevo trovato Nicole o Loskot, i personaggi che più hanno influenzato il boulder moderno con blocchi che erano riferimenti, ma anche Roberto “Assan” Fioravanti di
Rudy Colli Chimera, 8a . Foto: M. Malpezzi
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Qui l’evoluzione del boulder porta la sua firma, a rappresentare un’intera generazione di climber della “vecchia scuola” e che con lui hanno contribuito a mantenere la Valle una culla del gesto: arrampicatori come Andrea Pavan (autore delle tante edizioni di Mello Boulder, Versante Sud), Richard Colombo, Rudy Colli, Gianluca Maspes, Cristian Brenna, solo per menzionarne alcuni. Senza rendersene conto, i tanti giovani che affollano ora i massi della Valle e si cimentano con le centinaia di linee qui presenti, inclusi tanti gradi 8, devono proprio all’entusiasmo e al livello di Simone questi capolavori tracciati nella roccia. Oltretutto, fino alla recente first ascent di Megalodonte (l’8c di Simone Tentori di cui diremo dopo), la maggior parte delle linee dure sono state liberate proprio da Pedeferri, con l’8b+ di Drum’n’Tano e tanti altri 8b ancora irripetuti. Ripercorriamo quindi l’evoluzione del boulder nella Valle attraverso il racconto di Simone, a cui ho chiesto
Milano, che spingeva forte e ci credeva parecchio. In quegli anni si è avuta la rivalutazione del boulder e da lì ha preso il via tutto. In un quarto di secolo le linee sono evolute, con diverse fasi e passaggi che le hanno identificate. Con i primi gradi 8, nel ’95 e ’96, c’è stato innanzitutto un salto, perché prima i riferimenti erano Il sogno di Tarzan o Il nipote di Goldrake e più del 7b/c non era stato salito. Li facevamo tutti senza crash-pad, che ancora non esisteva se non in versioni artigianali, e le linee risentivano di questa mancanza. Tra i blocchi di questa fase troviamo La Risposta di Vega, Navigator, Actarus, Monica Lewinsky, Il Vento, Project Vigne, Sex Pistol, Analselvaggioturboscatenato e Ironman di Ricky (Colombo): passaggi fatti quasi senza crash, che avevano basi e sviluppo di un certo tipo, verticali, bordi o spigoli, mai molto strapiombanti, in genere nati nei settori “classici” dei Sassisti. Di questo periodo sono anche Fat Boy Slim, Il Francese, Ovosodo, Il Bruco, Il Sogno di Tano».
DI QUEST’ULTIMA CELEBRE “ LINEA, SIMONE CI RACCONTA UN
ANEDDOTO CHE BEN IDENTIFICA QUESTA FASE DEL BOULDER: «PRIMA, HO LIBERATO IO UNA VERSIONE DIVERSA. POI A MOMENTI BRENNA “MUORE” PERCHÉ GLI È RIMASTO IN MANO UN APPIGLIO ED È PIOMBATO GIÙ MANCANDO L’UNICO CRASH CHE AVEVAMO! È STATO RI-LIBERATO NELL’ATTUALE VERSIONE».
Boulder L’era moderna del sassismo mellico! «La caratteristica fondamentale di questo periodo di 4-5 anni è proprio il fatto che avevi pochissimi o nessun crash e quindi la linea che potevi fare era di un certo tipo. I massi avevano sotto il prato, senza sassi esposti da riparare. Evolution ad esempio (che ora non c’è più perché hanno costruito davanti una casetta) la facevo con un tappetino da stretching alla base! Anche se si intuivano linee belle, ma impossibili da proteggere, non le si poteva scalare. Non c’era neanche l’idea di pulirli bene i blocchi, non ci si calava con la corda come adesso, ma li si provava dal basso: guardavi, provavi, pulivi fin dove arrivavi. Quindi le linee erano molto naturali, non così tanto pulite, con sviluppi minimi e inclinazioni limitate. Alcuni blocchi saliti dai Sassisti con la corda furono poi ripetuti senza, come Nosferatu. Questi primi blocchi erano caratterizzati di solito da singoli durissimi, due o tre movimenti estremi: primo perché ci si allenava tantissimo al trave e si era quindi molto forti sui singoli, e poi appunto per l’impossibilità di proteggersi. Navigator, che era un bordo di resistenza, era un caso anomalo».
LA FASE CHE DESCRIVE SIMONE “ NON FU TIPICA SOLO DELLA VAL MASINO, MA FU SIMILE UN PO’ OVUNQUE, IN TICINO, PIEMONTE, MESCHIA O BLEAU: UN MOMENTO MAGICO, LA RISCOPERTA DI UN GIOCO CHE ERA SOLO AGLI INIZI E CHE OFFRIVA INIMMAGINABILI POSSIBILITÀ DI EVOLUZIONE!
«Agli inizi del 2000 cominciò la fase successiva, in particolare per la mia visione personale e il mio percorso: non vedevo più solo il singolo passaggio, ma ho sviluppato la capacità di vedere diverse linee su sassi vicini e ho quindi iniziato a pulire interi settori. Nascevano decine di blocchi per volta. Inoltre, avendo ora a disposizione più materassi, potevamo pulire passaggi con atterraggi più brutti e proprio grazie a questo si è iniziato a ragionare per “zone” e non per
Matteo De Zaiacomo Tapioca, 8b. Foto: K. Piazza
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Storia Vibram e Airlite, dall’automobile al granito Prime pubblicità della suola Vibram
le prestazioni che la nuova mescola sbilanciava in favore del milanese. Dopo non poche insistenze riuscii a ottenere che Ivan facesse risuolare le mie EB dal suo calzolaio e quando me le riportò notai che in più punti la gomma era stata fresata come per cancellare qualcosa. Che fosse la marca del produttore? Un minuscolo angolo sfuggito all’operazione permise di risolvere il dubbio: vi si leggeva la magica parola, Airlite Wood Milne. Il weekend successivo tutti avevano l’Airlite ai piedi. La suola aveva ottime prestazioni sulle rocce ruvide e porose come il granito o il calcare del Finalese, ed era insuperabile sul bagnato grazie alla sua struttura microporosa, tuttavia, con l’avvento della gomma cocida delle prime pedule Boreal, fu presto abbandonata. Di recente, per pura curiosità, ho provato a rimettere una Airlite sotto un vecchio paio di pedule e una volta sulla roccia mi son chiesto come facevamo a ritenerla tanto valida: giovinezza, allenamento, incoscienza?
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Storia Vibram e Airlite, dall’automobile al granito
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Storia Indagine sul crollo della Torre Re Alberto sorgeva la Torre e passammo la notte in un misero ricovero di pastori. Il giorno dopo, salendo verso la base della parete, la guida mi fece notare una striscia più chiara che solcava la roccia, segno di una frana. Che fosse il percorso seguito dalla cima crollata? In dieci minuti raggiungemmo un praticello pianeggiante dove (meraviglia!) troneggiava, intatto, il monolite sommitale. Diversi fori da mina confermavano il racconto dei ragazzi.
NON C’ERA DUBBIO: QUALCUNO “ AVEVA DELIBERATAMENTE FATTO
SALTARE IN ARIA LA TORRE; MA CHI? E PERCHÉ? CON TIMORE REVERENZIALE AFFRONTAI LA PLACCA CHE PORTAVA IN CIMA: PASSAGGI DELICATISSIMI MA FACILITATI DAL FATTO CHE ERO A POCHI METRI DAL SUOLO. AL TERMINE DI QUEI METRI SOLENNI ECCO UN VECCHISSIMO CHIODO E UN CORDINO ORMAI POLVERIZZATO. HO IMPRESSIONE CHE LA MIA MISSIONE COMINCI SOLO ORA».
Giusto Gervasutti Arch. G. Miotti
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Arrampicata Giovanile), che si è mostrato molto scettico sul fatto che in tempi remoti qualcuno fosse riuscito a salire dove noi avevamo fallito”. Tornati alcuni mesi dopo per un nuovo tentativo, i ragazzi avevano constatato il crollo, riferendo di aver scorto strane scanalature simili a quelle lasciate dai fori di mina dopo l’esplosione. Occorreva una ispezione diretta e prima di recarmi sul luogo mi sono documentato trovando uno scritto in cui era narrata la prima ascensione alla Torre compiuta da tal Giusto Gervasutti niente meno che nel 1933. Poi, con una vecchia carta topografica e pochi compagni, sono partito. In Vallemello salutai il capo della spedizione alpinistica che da alcuni mesi stava cercando di superare la fessura di quello che era anticamente chiamato Precipizio degli Asteroidi. Più avanti entrammo nella valle laterale, dove
Terminava qui il resoconto del Bianchi da me scoperto nell’UIS (Ufficio Indagini Speciali) del CAAI. Poco tempo dopo l’autore perdeva la vita precipitando da una parete rocciosa. La sua morte fu inizialmente attribuita a suicidio, ma recenti rivelazioni hanno fatto luce sulla reale dinamica degli eventi. Nei mesi successivi la scoperta, le serrate ricerche di Giacomo lo condussero direttamente verso gli uffici delle SAG. Sebbene ignorato dai vertici del CAAI, ai quali aveva rivelato le sue intuizioni, il fiuto dell’investigatore non mentiva. Il tentativo di cancellare la Torre fu, infatti, ordito dallo stesso Sam Mazzucchi con la complicità di alcuni giovani scalatori. Visti frustrati i tentativi di superare il passaggio e consci che quel chiodo con cordino erano la prova dell’avvenuta salita, decisero che non si poteva permettere la sopravvivenza di una simile testimonianza: avrebbe sminuito il valore dei nuovi scalatori con conseguente perdita di prestigio. Come sapete il Diavolo fa le pentole ma non i coperchi e così gli scagnozzi del Mazzucchi si scordarono di togliere quel chiodo, diventato alla portata di tutti. Intanto era partita l’indagine di Giacomo. Resosi conto che, presto o tardi, sarebbe stato scoperto, Mazzucchi invitò l’investigatore a una scalata di allenamento e, una volta in parete, fu lo stesso capo delle SAG, come da sua confessione sul letto di morte, a gettare il poveretto nel vuoto.
Rifugio
m 2534
GIANETTI Gestore: Giacomo (Mimmo) Fiorelli 0342 645161
0342 350463
mimmo@
0342 641070
Focus Olimpiadi
A ticket to Tokyo Un assaggio del mondo olimpico Testo Alessandro Palma
Le Olimpiadi di Tokyo sono alle porte e, ormai si sa, c’è l’arrampicata. L’opportunità di andare alle Olimpiadi non è stata tanto ben vista dagli scalatori ed ancora oggi ci sono esponenti del pensiero “climbing is not about the Olympics”. Alcuni hanno abbracciato quella filosofia a priori, altri erano favorevoli e poi contrari, altri contrari e poi favorevoli, altri non hanno ancora deciso...
Adam Ondra
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Focus Olimpiadi A ticket to Tokyo
P
oco importa in realtà, perché i giochi a Tokyo si faranno e l’arrampicata ci sarà, come anche a Parigi 2024. Oltre ad essere uno sport meraviglioso, la fortuna dell’arrampicata è di essere capitata in mezzo al movimento olimpico in un momento favorevole, con numeri in crescita e due nazioni ospitanti con una forte storicità in fila una all’altra. Il peso politico, e di conseguenza economico, di un evento del genere è estremamente alto. Avere atleti medagliati significa lustro, ma anche soldi, influenza politica, figure, crescita del movimento e decine di altre cose. Sicuramente Giappone e Francia hanno compreso tutto questo al meglio e, oltre che a dare continuità al progetto, si faranno trovare pronti alla medaglia. Un motivo di forte disaccordo e divisione è la formula di gara proposta, creata a tavolino per unire le direttive politiche, organizzative e televisive con le esigenze sportive. Gli atleti cercheranno la medaglia tramite il raggiungimento del punteggio perfetto, ottenibile eccellendo in tutte e tre le nostre amate discipline: il boulder, la lead e la speed. Partiranno in venti, si sfideranno in ognuna delle tre modalità e poi otterranno un coefficiente numerico che farà la classifica, ottenuto con il prodotto dei tre piazzamenti. Diventerà basilare riuscire a vincere una disciplina, in modo da poter annullare un fattore di tale prodotto. Nei primi giorni di agosto vedremo gli atleti vivere il loro sogno olimpico, conquistato tramite un lungo e difficile percorso di qualificazione. I più appassionati sapranno che non basta essere il più forte nella propria nazione, l’ambito ticket olimpico è estremamente difficile da conquistare. Nel caso dell’arrampicata, troviamo davvero pochi posti, spalmati in diversi turni di qualificazione. Principalmente ci sono due posti per la nazione ospitante, i posti di merito dal campionato del mondo di Tokyo, quelli dall’evento di qualificazione olimpica di Tolosa e quelli dei vari campionati continentali; ogni nazione però ha limite di due atleti, il che mette decisamente i bastoni tra le ruote a tanti, specialmente in nazioni con forti realtà come il Giappone. Ora che abbiamo un quadro completo del mondo preOlimpiadi, è tempo di scoprire i protagonisti. L’Italia, contro ogni previsione, si presenta con un bel team, grazie alle gesta di Ludovico Fossali (primo italiano di sempre a qualificarsi, capace di sbloccare il pass alla prima occasione utile) e di Laura Rogora, seguiti a ruota da Michael Piccolruaz.
I PROTAGONISTI
Miho Nonaka (JPN, 24): la principessa del boulder giapponese, erede della celebre Noguchi. I suoi punti di forza sono sicuramente i passaggi di forza e di potenza, uniti ad un’ottima coordinazione. Punterà probabilmente sul boulder, ma ha già raggiunto il podio in una coppa del mondo speed e sulla lead non se la cava affatto male.
Kai Harada (JPN, 22): leggero e dinamico come un ninja, Kai fa della versatilità il suo punto di forza. Riesce bene nella sua disciplina preferita, il boulder, ma quando si lega sono guai. Un pelo meno a suo agio nella speed, sappiamo che si sta allenando molto bene anche su quello...
Janja Garnbret (SLO, 21): la favorita, la scalata fatta persona. Titoli su titoli su titoli. Poche sono state in grado di metterle i bastoni tra le
ruote, nessuna nell’anno in cui ha vinto tutte le gare di coppa del mondo boulder. Il suo punto forte? Non cade praticamente mai.
Akiyo Noguchi (JPN, 32): l’imperatrice giapponese. Una delle atlete più longeve, concluderà la sua carriera a Tokyo, in casa. Ha vinto tanto, ha segnato un’epoca, ha fatto di se stessa l’esempio da seguire. Con il suo addio alle gare finirà un’era: scommettiamo che saluterà col botto?
Shauna Coxsey (GBR, 28): the Queen. Calma e letale, il segreto di Shauna è la sicurezza. Quando si chiude i velcri delle scarpette raramente sbaglia. Questo l’ha portata ad una serie infinita di successi nel boulder, prima di mettersi in gioco nella combinata. Anche lei lascerà le gare a Tokyo e, conoscendola, non andrà in Giappone tanto per partecipare... Aleksandra Miroslaw (POL, 27): la donna da battere nella speed, farà sicuramente della sua disciplina il suo punto vincente, visto anche il brillante inizio stagione.
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Il graffio Testo Nando Zanchetta
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hris Sharma, icona del climbing mondiale, è stato arrestato per esercizio abusivo della professione di Guida Alpina. Il biondo statunitense, in visita di piacere con la famiglia nelle Dolomiti, avrebbe infatti accompagnato l’undicenne cuginetta della moglie Jimena sulla via Micheluzzi (VI-) al Piz Ciavazes, in cambio di una serie di lezioni su come fare un video figo su TikTok e prendere tanti like. Sharma, primo uomo a salire un 9b (Jumbo Love, 5.15b, Clark Mountain, 2008), era atteso dai carabinieri all’uscita della via ed è stato immediatamente ammanettato e recuperato dell’elicottero dell’Arma. Secondo il GIP che ha convalidato l’arresto, «lo Sharma esercitava abusivamente la professione di Guida Alpina, accompagnando altra persona, peraltro minorenne, su itinerari che richiedevano l’uso di tecniche alpinistiche e beneficiando di contropartita economica, quantunque corrisposta in natura». Il video dell’arresto, pubblicato dalla leggenda dell’arrampicata estrema, con la scritta «I climb on small stuff even with the handcuff» (“Scalo sulle tacchette anche con le manette”), è stato condiviso anche da Chiara Ferraglia ed ha preso 20 M di cuoricini. Intanto le Guide Alpine della Liguria tentano di cambiare la Legge Regionale sulla ricetta del pesto genovese DOS (Denominazione di Origine Sprotetta): le piantine di basilico dovrebbero, secondo la loro proposta, provenire solo dalle falesie marine della Riviera di Levante a cui, per legge, possono accedere soltanto le Guide regolarmente iscritte all’albo. I pinoli inoltre dovrebbero essere estratti dalle
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pigne direttamente sull’albero, sempre con utilizzo di materiale alpinistico, per evitare l’acidificazione del prezioso frutto dovuta al trauma da caduta. Se approvata, la legge sarebbe, dopo la pandemia, un altro duro colpo per i ristoratori rivieraschi: le 12 Guide Alpine del Collegio Liguria sarebbero gli unici a poter servire le trofie al pesto in regione che, secondo il tariffario ufficiale, costerebbero 1.200 euro a porzione, come la Bonatti al Grand Capucin. A questo provvedimento si oppongono le numerosissime Associazioni dilettantistiche di culi-in-aria che ritengono di poter preparare il pesto a regola d’arte e di poter insegnare a chiunque l’arrampicata, senza limitazione alcuna. «Nel nostro Lab Verticale prepariamo tantissime ricette della tradizione italiana: polpastrelli al cinghiale, cannelloni con l’incastro, pinzoccheri alla Valtienese, nodino bulino di maiale alla griglia e tante altre. Tutta roba facile da cucinare, sana, genuina e comunque mai sopra il 6b. Noi siamo convinti che per raccogliere il basilico - continuano i rappresentanti del Lab Veritcale - così come per insegnare ad arrampicare, non sia necessario saper scalare una scogliera, un pino marittimo o fare un corso di cucina. L’abilitazione professionale la possono dare mia nonna Franca che dice “le mie trofie sono buone” e mio nonno Ugo che libera un 4+ a mani nude usando i ganci e la fune». E per fare proseliti lanciano un’offerta speciale: viaggio in pullman + sosta al Santuario della Madonna delle Tacche + tre tiri da secondo + pranzo con buchettini all’amatriciana riscaldati sul fornelletto campingaz + presentazione di pentole aderenti alla magnesite, tutto a 7 Euro e 90.
Da non perdere! Intanto in altre regioni già si apre il dibattito: chi può raccoglie il mirto a Ulassai? E il genepy a Lastei? Si possono prendere gli asparagi per la frittata a Grotti nei riposi tra i tentativi su Ridi mò? Insomma, in cucina come in falesia, c’è grande confusione, mentre la riforma della legge sulle guide alpine è ferma a causa dei veti incrociati e delle interminabili diatribe messe in piedi dai tetra-mano-onanisti professionisti. Da una parte i falesisti indipendentisti, populisti e liberalisti, ad oggi abusivisti con esame da privatisti, alcuni agonisti tacchettisti o machisti strapiombisti, altri pipponi mai visti o climber nozionisti, dall’altra i Guidisti, in parte lobbisti e corporatisti, alpinisti e scialpinisti, crestisti, alcuni appena sestogradisti ma molti solidi ottogradisti. E allora chiediamo a Lorsignori, Guide Alpine, associatori, accompagnatori, istruttori, chiodatori, spittatori, cordatori, attrezzatori e trapanatori, scalatori, assicuratori e arrampicatori... ...stupite gli spettatori, sorprendete gli amatori, evitate gli assessori, disinnescate i detonatori, isolate i duellatori, denunciate i cospiratori e soprattutto... ...riunitevi nei parlatori, promuovete i mitigatori, date spazio ai mediatori, incentivate gli innovatori e incoraggiate i persuasori. E alla fine, da buoni collaboratori e senza fare i cavillatori, stimolate i legislatori. Perché per le centinaia di migliaia di appassionati degli sport verticali, Sharma in galera e i cuochi che spiegano come si scala l’8a, sono proprio un brutto spettacolo.
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BOOSTIC
THE EDGING MACHINE.
La nuova BOOSTIC è stata progettata per l’arrampicata tecnica, dove il continuo supporto sui micro-appoggi è fondamentale. Offre il massimo della precisione e della potenza in punta.
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Vetrina prodotti Ande Braies Jacket Comfort e sicurezza sono i due cardini intorno a cui è stato progettato e realizzato il nuovo guscio di Ande. Realizzato al 100% con Nylon Ripstop 2 stati spalmato, garantisce una impermeabilità fino a 8000mm. Il cappuccio con visiera, i polsini elasticizzati e la coulisse a fondo giacca lo rendono ideale per accompagnarti in ogni attività outdoor estiva, dal trekking all’alpinismo e in ogni occasione in cui sia necessario ripararsi da pioggia e vento. ande.it
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Vetrina prodotti Thule Stir Alpine 40L
Rock Experience Carbon Z Light Pole
Uno zaino versatile, adatto all’alpinismo, al trekking e anche comodo per le sciate fuoripista. Il Thule Stir Alpine 40L è stato progettato per coloro che ricercano uno zaino comodo ma capiente, perfetto per vivere esperienze uniche in montagna, portando con sé tutto il necessario. Resistente alle intemperie e alle abrasioni grazie al tessuto in nylon, ha la copertura e vari inserti rimovibili, come la struttura rigida del telaio e le imbottiture della cintura lombare, che, una volta tolti, consentono di ridurre il peso dello zaino fino a 500 grammi. www.thule.com
Accessorio sempre utile per alleggerire i lunghi avvicinamenti, i bastoncini telescopici in carbonio Carbon Z Light Pole di Rock Experience sono prefetti per essere poi riposti nello zaino durante la scalata, infatti, una volta richiusi, la loro lunghezza è di soli 36 cm. Caratterizzati da un’impugnatura in gomma, cinturino regolabile e puntale in tungsteno, possono essere allungati e accorciati in base all’esigenze d’uso (110 – 130 cm) e sono venduti insieme a una comoda borsa per trasportarli. rockexperience.shop
CAMP Rox Alpha
Black Diamond Imbrago Zone
Il nuovo top di gamma nella collezione CAMP è lo zaino da arrampicata sportiva da 40 litri, studiato per garantire il massimo comfort durante gli avvicinamenti. Rox Alpha è dotato di schienale imbottito e traspirante, spallacci ergonomici, cinturone imbottito e cinghia sternale con tutti gli accessori e le soluzioni specifiche di uno zaino da falesia. L’apertura Full BackDoor consente di accedere facilmente a tutto il materiale mentre la patella superiore con zip e due tasche mette immediatamente a disposizione ciò che può servire durante l’approccio. La tasca porta guida evita di infilare la stessa insieme al materiale da scalata, riducendo il rischio di rovinarla, mentre la tasca per il sacchetto porta magnesite consente di mantenere puliti il vano principale e l’attrezzatura. Peso 770g. www.camp.it
Versante Sud Presanella Rock &Ice Se il granito della Val Masino vi entusiasma non rimarrete certo delusi della tonalite che troverete sulla cima più alta del trentino: la Presanella. Un luogo che da sempre è stato sinonimo di alpinismo d’avventura. Vie classiche, ma anche di ghiaccio e misto, aperte da nomi celebri come Bonatti e Mauri, si accompagnano ora a vie sportive e in stile moderno. Per scoprire al meglio gli itinerari tracciati sul versante meridionale, Francesco Salvaterra ha scritto Presanella Rock & Ice, la nuova guida edita Versante Sud che non ti farà evitare i lunghi avvicinamenti, ma ti guiderà fino alla cima di ogni via. www.versantesud.it
Progettato per l’arrampicata sportiva, le vie sul ghiaccio o le avventure alpinistiche, il nuovo Black Diamond Zone è un imbrago versatile adatto in diverse situazioni. Leggero, traspirante e ad alte prestazioni, il modello Zone è dotato di Infinity Belay Loop – sistema brevettato Black Diamond – un anello di sicurezza senza cuciture, super resistente e discreto, che permette una più semplice rotazione dell’anello di servizio in fase di assicurazione, evitando che la cucitura ostacoli il movimento. La tecnologia Fusion Comfort permette un ottimo supporto quando si è in parete, mentre il tessuto esterno elasticizzato aumenta la traspirabilità. Il nuovo imbrago Zone consente una vestibilità personalizzata e il massimo comfort anche nelle situazioni più impegnative. eu.blackdiamondequipment.com
Wild Country Electron Sport Draw Robusto, duraturo e semplice da agganciare, rimuovere e afferrare, queste le caratteristiche del moschettone Electron di Wild Country. I moschettoni asimmetrici presentano un’inconfondibile forma ergonomica e un’ampia leva per una maggiore facilità nel rinvio, mentre il naso Keylock favorisce un clippaggio senza alcun rischio che la corda si impigli. Il contrasto tra il classico color mandarino di Wild Country e le tonalità di grigio aiutano a identificare le estremità giuste di corda e protezioni in qualsiasi condizione. La forma ergonomica e affusolata della spessa fettuccia in nylon la rende più semplice da afferrare e sistemare quando si lavora su un percorso. Insomma un fedele compagno in tutte le tue arrampicate. Disponibile in due lunghezze: 12 e 17cm. www.wildcountry.com
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Matteo Gambaro su Scioccalacan, Candalla Bassa (© Michele Caminati)
BIMESTRALE DI ARRAMPICATA E ALPINISMO Luglio 2021. Anno III. Numero 13 Direttore responsabile Richard Felderer Coordinamento editoriale Eugenio Pesci Samuele Mazzolini Alberto Milani Redazione Tommaso Bacciocchi Roberto Capucciati Matteo Maraone Marco Pandocchi Damiano Sessa Copertina Geometrie verticali nel mare di roccia del Qualido, Val Masino. Foto: © Richard Felderer Grafica Tommaso Bacciocchi
Impaginazione Francesco Rioda
Correzione di bozze Fabrizio Rossi Hanno collaborato Giuseppe Miotti, Luca Schiera, Luca Maspes, Giovanni Ongaro, Camilla Cerretti, Simone Pedeferri, Igor Köller, Rossano Libera, Alberto Milani, Francesco Bassetti, Alessandro Palma, Massimo Cappuccio, Nando Zanchetta, Alessandro Lamberti, Samuele Mazzolini, Federica Mingolla Versante Sud Srl Via Longhi, 10 – 20137 Milano tel. +39 02 7490163 versantesud@versantesud.it info@up–climbing.com Abbonamenti e arretrati www.versantesud.it Stampa Aziende Grafiche Printing srl – Peschiera Borromeo (MI) Distribuzione per l’Italia PRESS-DI-Distribuzione stampa e multimedia s.r.l. via Mondadori 1 – 20090 Segrate (MI) – Tel. 02 75421
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© Versante Sud 2021 Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione totale o parziale del contenuto della pubblicazione senza autorizzazione dell’editore. Registrazione al Tribunale di Milano n. 58 del 27/02/2019 Errata corrige didascalia copertina numero 12 Cordata impegnata sulla parte finale dell'Aguglia di Goloritzé, fra cielo e mare, sul più bel monolito d'Italia. Foto: © Richard Felderer
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