Feltrino News n. 3/2021 Marzo

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L’arte in cronaca di Alice Vettorata

Le ILLUSIONI nella PITTURA

Osservando delle opere appartenenti all’arte visiva come a quella cinematografica o teatrale, risulta evidente che gli autori spesso devono ricorrere a degli espedienti per creare delle illusioni nelle quali far immergere il pubblico. Sin dall’antica Grecia nell’arte pittorica sono stati realizzati dipinti che ricoprivano pareti dei palazzi, emulando scenari capaci di sfondare la quarta parete e di illudere l’osservatore. In età Barocca questo stile si affermò maggiormente assumendo il nome di Trompe l’oeil, letteralmente, “inganna l’occhio” con finte prospettive e illusioni. Nel cinema e nel teatro allo stesso modo si finge costantemente per creare una patina di verosimiglianza, anche in questo caso con il fine di infrangere la quarta parete e di coinvolgere gli spettatori. Queste sono alcune delle finzioni subito visibili, ma l’arte non si limita a ingannarci solo su questo livello. Per Platone quest’ultima è una menzogna che emula la realtà, dato che il pittore ne ritrae una copia. L’artista diventa così un ingannatore capace di depistare chi la osserva. Un aneddoto che si basa su questo concetto ha come protagonisti i pittori della Grecia antica

Zeusi e Parrasio e una gara di pittura e ci viene narrata da Plinio il Vecchio. Si racconta che Zeusi ritrasse un grappolo d’uva ricoperto di gocce di rugiada e la loro verosimiglianza fu tale da ingannare dei passeri che provarono a beccarne gli acini. Certo di aver vinto la sfida, Zeusi spronò il rivale a svelare la sua tela. Immaginate il rammarico del pittore scoprendo di essere stato ingannato dallo sfidante, il quale aveva proprio dipinto come soggetto un telo. Parrasio non aveva ingannato l’istinto animale come aveva fatto Zeusi bensì il raziocinio umano. Questo è solo l’inizio della finzione nell’arte. Un esempio concreto da prendere in analisi per poter comprendere questa dinamica è l’opera manierista di Agnolo Bronzino, Allegoria del trionfo di Venere, tela che fa ragionare l’osservatore già con il proprio titolo, dato che non ci presenta il reale protagonista del quadro, bensì gioca con la simbologia e i personaggi presenti, per farci capire a lettura avvenuta che la reale protagonista è la personificazione dell’inganno, ritratta con le sembianze di una fanciulla dal corpo di serpe. Facendo un salto temporale importante approdiamo al movimento Surrealista nato negli anni venti del Novecento, a Parigi. Una cerchia di artisti influenzata dalle recenti scoperte e introduzioni nell’ambito della psicologia, in fattispecie quelle più incisive attuate da Freud e Jung, tradusse in

immagini le nuove teorie scientifiche. Tra gli esponenti più noti è presente il belga Renè Magritte, pittore distante dallo stile degli altri surrealisti portavoce della corrente come Salvador Dalì o Max Ernst, più inclini a rappresentare scenari impossibili se non nel mondo onirico, ma più direzionato invece a dipingere in modo verosimile episodi improbabili. Magritte nelle sue tele infatti inganna l’osservatore servendosi dei meccanismi della grammatica del linguaggio e li incorpora a delle scene surreali, servendosi di prospettive insolite e illusioni. Come è stato evidenziato per il dipinto di Agnolo Bronzino, anche Magritte giocò molto spesso con i titoli, con la negazione e il paradosso. Un esempio è la celebre “La Trahison des images” conosciuta come “Ceci n’est pas une pipe” che fa ragionare sul fatto che non si sta osservando una pipa bensì la rappresentazione di essa. Rimanendo nell’ambito della psicologia indagata dai surrealisti, lo psicanalista Jacques Lacan, commentando l’aneddoto di Zeusi e Parrasio, osservò che gli esseri umani sono attratti dall’idea di ciò che è nascosto. In quanto osservatori siamo sedotti dallo scostare il telo per poter comprendere l’arte e il suo inganno.

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