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Uomo, natura ambiente

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Che tempo che fa

Che tempo che fa

di Monica Argenta

Gli Animali e il loro diritto di esser considerati categoria a sé

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In “Purezza e Pericolo” la famosa antropologa Mary Douglas dice che “è parte della nostra condizione umana cercare linee dure di demarcazione e concetti chiari”. Inoltre sostiene che solo gli oggetti, le idee, “le cose” che soddisfano pienamente l’appartenenza ad una categoria sono considerati completi e assumono qualità morali superiori e giuste. Al contrario, “le cose” private della loro integrità divengono per la nostra mente inquinate, moralmente sbagliate ed inferiori. Potenti, spaventose magari ma pur sempre sottomesse a tutto ciò che è puro. Vorrei tenere a mente questa premessa e ripercorrere, molto sommariamente, la storia dell’ idea, della nostra definizione e categoria di “essere animale”. Nella tradizione Giudaico-Cristiana il posto dell’Uomo nella natura è sempre stato problematico. In ogni caso, la Bibbia dice chiaramente che l’Uomo è l’unico essere fatto ad immagine e somiglianza di Dio e che gli animali son stati creati per esser al suo servizio. Nella mitologia greca la relazione tra uomini-animali-dei era un po’ più incerta: gli dei frequentemente si tramutavano in animali e/o trasformavano gli uomini in animali, quasi sempre per punizione anche se alcuni grandi Saggi in tutta la Magna Grecia vissero come selvaggi - come animali- con lo specifico intento di contattare gli dei. Ma poi venne Aristotele che incominciò a dire che l’Uomo era l’unico Animale Politico. E allora gran parte delle migliori menti si misero a pensare a cosa fosse “quel qualcosa in più” nell’ Uomo. Il linguaggio? La Religione? Un pensatore dei primi del 1500 disse “l’uomo è, io credo, il solo animale che abbia una protuberanza nel mezzo del viso” riferendosi al naso... Vien da sorridere ora ma la ricerca dell’unicità dell’Uomo è una storia triste e grottesca. Cartesio, mente geniale ed erudita era fermamente convinto che gli animali, non avendo l’Anima, erano macchine, incapaci di percezioni e emozioni, proprio come un orologio. La verità è che nel cercare l’unicità dell’Uomo, tutti i grandi pensatori in realtà stavano modellando l’idea di Animale. Implicita, oramai da troppi secoli, era l’idea che all’animale mancasse qualcosa, che fosse una categoria difettosa e quindi inferiore rispetto a noi. Oggi oramai i grandi pensatori del nostro tempo sanno che questa visione è però solo il frutto di un deficit percettivo a cui hanno dato anche un nome: antropocentrismo. Antropocentrismo significa mettere l’Uomo sempre al centro della realtà, considerarlo come unità di misura su cui tutto il resto deve essere commisurato : Sospeso nell’istmo di uno stato intermedio, un essere oscuramente saggio e rudemente grande...in dubbio nel considerare se stesso un dio o una bestia scriveva dell’Uomo il poeta Alexander Pope. Ma l’Uomo non è in alcun stato intermedio, l’Animale non è il gradino più basso verso la divinità e non per tutti Dio è sinonimo di Perfezione. Togliersi una volta per tutte la lente deformante dell’antropocentrismo non sarà cosa semplice ma da più di un secolo anche la scienza ci sta aiutando. Oramai sappiamo che gli animali possiedono un linguaggio, caratteristica per lungo tempo considerata esclusivamente umana. Hanno le proprie forme di politica, manifestate dalle complesse gerarchie sociali di tanti mammiferi e di tanti insetti. Gli animali hanno emozioni, sentimenti, affetti e non si capisce proprio come si sia potuto associarli ad una macchina ma chissà in futuro cosa altro scopriremo su di loro grazie alla biologia e all’etologia. Sicuramente tra qualche secolo anche ai nostri discendenti sembrerà strana e limitata la nostra percezione del mondo. Questo non significa necessariamente che agli animali debbano essere riconosciuti gli stessi diritti che riserviamo a noi umani ma è sufficiente per riconoscer loro il diritto di esser considerati “categoria dell’essere a sé” ed innescare una riflessione ponderata su come porci in relazione con loro anche fuori dalle aule di filosofia.

La dott.ssa Monica Argenta è antropologa, esperta in ricerche e politiche sociali

Medicina & Salute

di Claudia Morandelli

IL DOLORE:

ATTRAVERSARLO PER SUPERARLO

“Lascia che faccia male. Lascialo sanguinare. Lascia che guarisca. E lascialo andare”. Di una bellezza sconcertante l’aforisma della scrittrice Nikita Gill in cui, in queste quattro frasi vi racchiude le nostre elaborazioni davanti all’emozione primaria del Dolore. Emozione che accompagna tutte le esperienze traumatiche di perdita come ad esempio una perdita di qualcosa di fondamentale come la casa o la fiducia, di un nostro ruolo o di qualcuno a noi caro, il dolore provato per aver visto gli altri soffrire terribilmente. Il dolore, nonostante come esseri umani siamo disposti a fare di tutto pur di non sentirlo (usiamo sostanze, abusiamo di psicofarmaci, rimaniamo con persone inadeguate per evitare il dolore del distacco), in realtà risulta essere un’emozione funzionale e adattiva. Emil Cioran mirabilmente sosteneva che “Il coraggio che manca ai più è quello di soffrire per cessare di soffrire”. Rinnegandolo infatti, si diventa potenzialmente più fragili e destabilizzabili anziché più forti e la condanna sarà quella di mantenerlo nonché di incrementarlo. Il dolore, invece, come suggerisce il grande poeta statunitense Robert Frost «Se vuoi venirne fuori devi passarci nel mezzo» va attraversato, sentito, vissuto, sperimentato e sofferto. Il dolore si cura col dolore ed è grazie al dolore che la ferita diventa cicatrice. Pertanto, il mio intervento di evoluzione, riguarda proprio far accettare che il dolore vada vissuto, innanzi tutto, come momento fondamentale di guarigione accogliendolo e abbandonandosi ad esso. E nei fatti non funzionano mai come

ad esempio quando, molto spesso, cerchiamo di “non pensare” distraendoci forzatamente oppure, come detto sopra, cercando di sedarlo chimicamente trasformandolo, viceversa, in un’agonia senza fine. Soltanto il dolore attraversato potrà essere sanamente superato, e solamente la ferita disinfettata con cura potrà guarire smettendo di sanguinare divenendo una bella cicatrice da conservare e poter guardare senza che essa faccia più così tanto male. In tal modo, sfoderando dapprima l’arsenale della sofferenza, attraversando il proprio dolore e la propria dolorosa esperienza si potrà ristabilire chi siamo, ricostruendo Noi stessi lasciando alle spalle le macerie di una vita ormai esplosa, ricominciando ad aprire una nuova esistenza ed arrivando ad una nuova luce recuperando, piano piano, la dimensione dell’emozione primaria fondamentale del Piacere in maniera tale da ristabilire una condizione di vita soddisfacente ed equilibrata. “Lasciandolo andare” per continuare con serenità il proprio cammino.

Medicina & Salute

di Erica Zanghellini

LE FATICHE

DI ESSERE MAMMA

Essere mamma per chi lo desidera è una di quelle esperienze più emozionanti e in alcuni momenti anche totalizzanti, ma non è tutto oro quello che luccica. Diventare mamme è una di quelle esperienze da cui non si torna indietro, è una di quelle esperienze che ti può cambiare anche radicalmente. Una donna dopo il primo anno dalla nascita del figlio spesso non si riconosce più, è cambiata lei, le sue priorità le sue attività e così via. In una parola sola, cambia proprio l’identità e questo mutamento può essere faticoso e non così scontato. La maternità può far scaturire anche una serie di emozioni che magari non si penserebbero, di cui forse ci si potrebbe vergognare anche solo a provarle figurarsi per cui parlarne apertamente. La maternità può portare fatica, frustrazione, rabbia e anche ma non per ultima ansia. Questa situazione può sopraffare, ci si ritrova da sole a gestire una piccola creatura che magari ci trasmette dei segnali comunicativi non così chiari. Il peso della responsabilità, nessun tempo per se e le attività piacevoli che fino a poco tempo prima non mancavano nella propria routine settimanale sparite nel nulla. Sentirne la mancanza, o ancora sentirsi frustrate non è sbagliato è umano. Non è così infrequente anche sentire mamme che lamentano solitudine, un estremo senso di solitudine. Passare tutto il giorno da sole, non scambiare due parole con un adulto, la società che non permette nemmeno di esternalizzare questi pensieri e per chi lo fa rimandare di essere sbagliato di sicuro non è d’aiuto. La stanchezza si accumula pian piano

Medicina & Salute

giorno dopo giorno, notte insonni, pasti fugaci, sempre di riuscire a farli, problemi giornalieri questo è il lato “oscuro” della maternità. Dovremmo parlarne di più, perché legittimerebbe le mamme a provare queste emozioni, che anche se passeggere hanno diritto di esserci e soprattutto cercare di correre ai ripari prima di avere le batterie completamente scariche. Ecco perché mi sento di dare qualche consiglio alle neo mamme. Innanzitutto prendetevi cura di voi, ne beneficerà anche il bambino. Riuscire a ritagliarvi anche solo una mezz’oretta in cui uscite con una amica a fare una piccola passeggiata o per bere un caffè veloce vi farà ricaricare un po’ e vi farà scariche invece un po’ di stress. Ricordatevi che la perfezione non esiste e quindi nemmeno una mamma sempre accogliente, pronta a reagire a ogni bisogno del figlio e sorridente. La maternità è fatta di imprevisti, di incomprensioni di risintonizzazioni, e avere in testa un certo tipo di modello di mamma irrealistico non farà altro che farci sentire ancora più inadeguate nonché sbagliate. Non si può fare tutto da sole, cercate di delegare se potete e datevi delle priorità. Non importa se in casa sembra esplosa una bomba, o se la cena prevede un menu semplice e non un manicaretto. Non badate ai consigli non richiesti, non si sa perché ma quando nasce un bambino tutti si sentono legittimati a dare consigli di qualsiasi genere. Bhe non fatevi influenzare, voi siete la persona che meglio conosce vostro figlio, fidatevi di voi e del vostro bambino. Ed infine ricordatevi che anche la coppia deve cambiare, si passa da una diade a una triade dove uno dei componenti ha bisogno per qualsiasi cosa di voi. Gli equilibri devono cambiare e non sempre è così facile. L’arrivo di un figlio può mettere alla prova la durata della coppia, è infatti una delle fasi in cui c’è un rischio concreto di separazione. In questo caso il consiglio è cercate di mantenete attiva la comunicazione, sintonizzatevi, ditevi cosa provate in quel momento, le cose belle così come le vostre fatiche. Aiutatevi e condividete il più possibile le attività e se riuscite mantenete anche solo per poco il tempo per voi. Il tempo per la coppia è prezioso soprattutto in questa fase.

Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel- 3884828675

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