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Architettura in controluce: il cappotto made in Italy
L’architettura in controluce
di Sara Mattivi *
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Il cappotto made in Italy
Nikolaj Vasil’evič Gogol’ ne scrisse un geniale racconto. L’eleganza italiana seppe farne un esempio scultoreo di calda lana vergine, un soprabito invernale pesante da uomo o da donna1; monumentale e statuario il modello a doppio petto. Tonino Guerra lo usò come elemento della poesia “in dialetto” - La casa - che lesse ad Andrej Tarkovskij (tratto da “Tempo di viaggio” di Tonino Guerra e Andrej Tarkovskij, 1983. https:// www.youtube.com/watch?v=fgeUwcEM67c) nel salone della sua, di casa. Se fossimo tutti siciliani ne avremmo già fatto la più raffinata, incantevole, tragica e passionale pièce teatrale. Incurante delle mezze stagioni, il mercato edile contemporaneo indossa il cappotto per ogni occasione, facendone il “reale” protagonista di qualsivoglia intervento. Si orchestrano gli abbuoni, ma suonano distorte le parole di Umberto Eco in merito al ruolo dell’architetto quale “unica e ultima figura di umanista”, citate nello scorso numero “Concorsi”. Edificatore di umanesimo e di cultura umanistica nella più vasta e profonda accezione dell’etimo, l’architetto è chiamato oggi - più che in altre epoche – a promuovere lettere, arti e scienze con gli ideali culturali propri dell’umanesimo stesso, affinché la disciplina dell’architettura professi l’attività che gli è propria, nel connubio di pensiero, di arte e di tecnica, per ideare, costruire ed ornare edifizi. È d’uopo la riflessione di un grande umanista come Giulio Carlo Argan: “L’Architettura era per lui un’arte come le altre e lo era non solo per la qualità formale dei monumenti ma per essere arte della città, l’arte che per sua natura incide sulla vita quotidiana di tutti gli abitanti a qualunque classe appartengano.” (di Paolo Portoghesi in “Giulio Carlo Argan un grande umanista”. Introduzione in Diariotre Con Giulio Carlo Argan La città, le arti e il progetto. Di Fernando Miglietta, Rubbettino Editore 2019) La cultura del progetto architettonico è quindi anche oggi quanto mai necessaria per invertire il senso unico della produzione edilizia e tenere vivo il legame indissolubile che l’arte dell’architettura da sempre edifica nella terra e con l’uomo, concretezza permanente e reale dell’opera architettonica. Principalmente in questo legame si dipana il concetto di sostenibilità, che del riuso dei materiali e delle tecniche costruttive è chiamato a far risorsa di dialogo con gli stessi elementi della composizione e della costruzione. Di nuova figura e forma, che s’invera nel progetto, di cui il carattere costruttivo è quel modo di presentarsi che rielabora antichi rapporti e che evidenzia, nei caratteri strutturali e morfologici della costruzione stessa, la potenza ideativa del pensiero architettonico, contemporaneo quanto antico. Il progetto come costruzione quindi, per ritrovare il valore umanistico della disciplina, che nel comfort abitativo e nella ricerca di tecniche e materiali del costruire trova risorsa di precisione e di definizione di platonica
L’architettura in controluce
memoria. Pensare in termini utili e creativi all’impiego di materiali e tecniche costruttive - interpretati come elementi del processo edilizio nella vastità della disciplina dell’architettura - è risorsa contemporanea per elevare ciò che nel Rinascimento veniva interpretato come lato “puramente” tecnico, ovvero quell’insieme di regole con cui “si recano a fine le cose, le quali mediante movimenti di pesi, congiungimenti et ammassamenti di corpi si possono accomodare allo uso degli uomini”. (Leon Battista Alberti, De re aedificatoria, proemio. Tratto dalla voce ARCHITETTURA di Gustavo Giovannoni in Treccani ENCICLOPEDIA ITALIANA - 1929). Lungo la via duplice del riuso, con aspetto pratico e tecnico unito a quello estetico, rivive stabilmente l’essenza stessa dell’architettura, luogo in cui ha senso ricercare le leggi del suo sviluppo e quelle urgenze costruttive che rappresentano la ragione della composizione architettonica. Luogo in cui la costruzione diviene il modo e la capacità di compiere l’architettura, con l’arte di riferire all’edificio l’armonia delle forme e degli spazi, delle proporzioni e dell’ornato, conferendone espressione simbolica. Del bello e della poesia quindi, per archiviare lo scopo pratico.
* CHI E’
Sara Mattivi (Trento, 1975). Laureata con il massimo dei voti all’Università IUAV di Venezia dopo alcune esperienze universitarie internazionali, consegue il Master di II livello - Sapienza Università di Roma - per la composizione di materiali, elementi e tecnologie sostenibili nel progetto architettonico. Svolge un periodo di stage in Tokyo per l’integrazione della tecnologia fotovoltaica in edifici di nuova realizzazione in Giappone. Nella professione di Architetto si occupa di progetti di restauro, recupero, riuso e ristrutturazione, anche con ampliamento, del patrimonio architettonico tra l’Alta Valsugana in Trentino e la provincia di Venezia, nel territorio delle Tre Venezie o Triveneto.
Noi e il territorio
Tracce di...
di Martina Loss
CASTAGNE!
La stagione autunnale, che colora di splendide tinte accese i fianchi delle nostre montagne, porta nelle valli e fin nelle nostre case molti profumi legati ai prodotti della terra, che proprio in autunno hanno il momento della maturazione, che li porta sulle nostre tavole. Tra questi, la castagna, frutto dell’albero del castagno, che troviamo molto diffuso in tutta Italia nella fascia di collina e bassa montagna e che abbonda nelle valli trentine come la nostra Valsugana. La curiosità di questa produzione che si posiziona nella migliore tradizione agricola è data proprio dal provenire da un tipico albero forestale, dato che il castagno si trova anche presente “in incognito” (cioè scollegato dalla produzione dedicata di castagne) nei nostri boschi, assieme alle altre piante che conosciamo come il faggio o l’abete rosso. Vi sarà capitato ancora, infatti, di passeggiare su sentieri nei boschi e assieme al tanto rinomato “foliage” ovvero le bellissime foglie autunnali cadute a terra che rendono soffice il camminare tra gli alberi, e di scorgere tra le foglie anche i “ricci” delle castagne. Se si è fortunati si può avventurarsi nel tentativo di conquistarne il frutto, con un po’ di attenzione a non pungersi, ma se troviamo i ricci vuoti, ricordiamoci che anche qualche animaletto è ghiotto di castagne e probabilmente le ha rapite al riccio per portarle tra le proprie scorte preparate per sopravvivere al lungo inverno. Ma come mai è dunque così diffuso il castagno sul nostro territorio? Nel tempo, il castagno è stata la specie d’interesse forestale più coltivata dall’uomo non solo in molte aree attorno al Mediterraneo, ma anche in tutte le zone alpine ed in parte dell’appennino. In Italia, infatti, si sono trovate evidenze della sua coltivazione risalenti all’epoca neolitica
Inizia con questo numero la collaborazione con Valsugana News della dott.ssa Martina Loss di Pieve Tesino che curerà la particolare rubrica “Noi e il Territorio” che nello specificò porterà a conoscenza dei lettori importanti temi riguardanti l'ambiente e la natura. La dott.ssa Loss è laureata in Scienze forestali ed ambientali ed è Dottore forestale di professione. Nel suo percorso lavorativo è stata componente della Cabina di Regia delle aree protette e dei ghiacciai della Provincia di Trento nonché componente della Commissione agricoltura della Camera dei Deputati. Grazie anche a queste esperienze sarà in grado di ampliare le nostre conoscenze nelle materie dell'agricoltura e della gestione forestale, elementi chiave per meglio comprendere ed apprezzare il nostro territorio.
Noi e il territorio
(4000 a.C.) anche se si attribuisce ai Romani l’espansione della presenza del castagno nei territori via via da loro conquistati. Nel IV secolo a.C. Senofonte definì il castagno “albero del pane” riferendosi ai frutti molto nutrienti e come tale ha assunto per secoli un ruolo strategico nelle aree più remote in collina e bassa montagna. Si trattava, infatti, di coltivare un albero fondamentale per la vita di molte popolazioni rurali da cui si poteva ricavare: pali per l’azienda agricola, tannino per la concia delle pelli, lettiera per il bestiame, legname per le costruzioni e, soprattutto, la castagna, alimento molto energetico che non mancava mai nella dieta popolare. L’attuale ampia diffusione del castagno è quindi soprattutto legata all’azione dell’uomo fin da tempi antichi e la sua presenza storica è testimoniata ancora oggi da un grande numero di esemplari di castagno presenti nel Registro degli alberi monumentali d’Italia, come ad esempio il grande castagno di Campazzo a Strigno, con quasi due metri di diametro e 20 metri in altezza o quello in località Parise a Telve, con oltre 7 metri di circonferenza, alto 23 metri; e non dimentichiamo il castagno secolare di Torcegno, che qualche anno fa si è schiantato dopo una vita lunga più di 500 anni. Questo profondo segno di presenza storica del castagno anche in Valsugana lo possiamo trovare rimasto fino ad oggi nella cultura e tradizione delle Feste della castagna, popolari e consuete in diversi paesi della valle, tra cui spicca quella di Roncegno Terme, che anche quest’anno ha riscosso un enorme successo di pubblico, proveniente da tutto il Trentino e non solo. Questi appuntamenti sono anche importanti occasioni per ricordarci che la Valsugana è anche una zona conosciuta e rinomata per la produzione di castagne; i boschi produttivi di castagno sono presenti da Civezzano a Samone, nell’area della Valle di Centa e nell’area dell’Altopiano della Vigolana. Le realtà meglio organizzate sono Roncegno Terme e Centa San Nicolò dove due cooperative di castanicoltori stanno operando già da tempo per recuperare la tradizionale castanicoltura, valorizzando così la valle non solo con un’eccellenza agricola, ma anche con il bellissimo paesaggio dato dalla presenza del castagno. È importante allora andare alla ricerca di queste prelibatezze, caldarroste oppure marron glacè (o grappè) sono le bandiere di questa agricoltura di montagna riscoperta; e non dimentichiamo anche i tanti altri prodotti legati alla castagna, come il miele di castagno o la birra di castagne! Il nostro invito: scopriamo e assaggiamo il territorio!!!
APROFONDIMENTO
I castagneti, come superficie nazionale, oggi raggiungono quasi gli 800.000 ha, ovvero circa il 9% dei boschi italiani, di cui sono una categoria molto rappresentata che comprende le formazioni pure di castagno o quelle in cui questa specie è nettamente dominante. Il castagno è una specie boschiva talmente diffusa in Italia sia come albero isolato sia come specie inserita nel bosco dove è una presenza distintiva, che lo studioso Aldo Pavari ha voluto inserirlo come “specie di riferimento” nella sua descrizione delle “zone fitoclimatiche”. Queste indicano le caratteristiche del clima date dalla temperatura e dalla piovosità di una certa fascia di territorio dove è possibile osservare una vegetazione-tipo, cioè, un’associazione di specie vegetali spontanee che ricorrono con costanza su quella specifica area; per la zona molto ampia che si estende dalla pianura alla fascia submontana, il Pavari ha scelto di usare il nome di “Castanetum”.