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Monsignor Pasquale Bortolini
Il personaggio di ieri
di Massimo Dalledonne
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Mons. Pasquale Bortolini
Per oltre un ventennio fu Vicario Generale della Curia Trentina
In Valsugana monsignor Pasquale Bortolini ha esercitato per molti anni. Vi è anche nato, esattamente 130 anni fa. Esattamente il 3 aprile del 1892 a Centa. Una figura, la sua, legata fortemente anche alla Curia Trentina, visto che per 24 anni ha ricoperto l’incarico di Vicario Generale. Ma andiamo con Ordine. Ordinato sacerdote, allo scoppio della Grande Guerra lo troviamo decano di Strigno. Come scrive Antonio Zanetel nel suo volume “Dizionario biografico di uomini del Trentino Sud-Orientale” c’era anche lui in paese quando il 21 maggio del 1916 tutti i cittadini vennero fatti evacuare. “A Strigno vi ritornò nel novembre del 1918 ma solo per osservare – si legge – le desolanti macerie del paese distrutto e cooperare per la ricostruzione morale e materiale”. A Strigno monsignor Bortolini vi rimane per 20 anni per poi ricoprire l’incarico di Vicario Generale nella Curia di Trento. È il 1931 quando viene chiamato dall’arcivescovo monsignor Endrici. Alla sua morte, avvenuta nel 1940, viene riconfermato dal suo successore Monsignor De Ferrari. “Furono quasi 24 anni di attività – ricorda nel suo libro Zanetel – svolta in tempi particolarmente difficili. Dotato di intelligenza superiore, di conoscenza profonda dell’animo umano, sapeva superare anche le più scabrose situazioni con un prodigioso autocontrollo e con fine diplomazia”. Antonio Zanetel ci racconta anche un aneddoto molto interessante del Vicario Generale Pasquale Bortolini. “Si era resa vacante la sede parrocchiale di un grosso borgo e davanti a lui si presentò una commissione di notabili. Eravamo sotto il regime fascista e si può facilmente supporre chi fossero: volevano un parroco che fosse così.così..così…” Con tutta calma il Vicario ascoltava ed ogni tanto apriva lentamente il primo cassetto della sua scrivania. “Uno così… vediamo – rispose – qui dentro proprio non c’è!” Guardo anche in tutti gli altri cassetti e, con una ironia scherzosa e disarmante concluse: “Uno come lo volete voi qui non l’abbiamo…provate a cercarlo in Val Gardena!”. Come andò a finire? Il parroco venne nominato seguente la prassi normale del concorso curiale e non quella fascista abituata a decretare le nomine dall’alto. Monsignor Pasquale Bortolini rimase in Curia fino al 1955, cooperando con i due vescovi nella tempesta della tirannia fascista, di una guerra che colpiva anche le contrade trentine e di una occupazione nazista. Ci fu da affrontare, poi, anche l’opera di ricostruzione. Ma Strigno e la Valsugana erano sempre nei suoi pensieri. “Un’oasi di ristoro che cercava sempre nei suoi fuggevoli ritorni in valle. A Strigno– scrive ancora Zanatel – aveva arricchito la chiesa decanale di un ottimo organo Mascioni, collaudato il 4 agosto del 1929 da illustri maestri dell’Augusteo di Roma, della Pontificia Scuola Superiore di Musica Sacra ed anche dai trentini Dalla Porta e Lunelli. Dette incarico di affrescare la chiesa. Se ne occupò, con un lavoro non privo di concezione, il pittore Antonio Fasal. Il suo intervento fu un connubio tra il bizantino antico e l’impressionismo moderna che arricchiva il presbiterio di una fantasmagorica gloria di colori. L’opera rimase incompiuta per la morte del pittore, avvenuta in seguito a ferite contratte sul fronte africano. Monsignor Pasquale Bortolini muore a Trento il 31 marzo del 1963 all’età di 70 anni e la sua salma riposa nel cimitero di Strigno, accanto all’amico e confidente don Antonio Coradello.
Non solo animali
di Monica Argenta
I cani soldato della Prima Guerra Mondiale
Abbiamo sempre in mente i cavalli o i muli come animali degli eserciti del passato. In realtà si hanno testimonianze che fin dall’antichità anche i cani furono utilizzati in battaglia e che soprattutto dalla fine del ‘800 l’uso di questo animale divenne di cruciale importanza grazie allo sviluppo di vere e proprie scuole di addestramento. Le innovative strategie militari, e non di meno anche una mutata sensibilità nei confronti dei combattenti, spinsero verso la necessità di recuperare i feriti lasciati su sempre più vaste aree di battaglia. Tale compito difficile e pericoloso, si rivelò particolarmente adatto al fiuto e all’intelligenza canina. Tutte le potenze europee istituirono campi di addestramento specifici e l’Italia non fu da meno grazie all’attività del Capitano Ernesto Ciotola (il destino in un nome), cinofilo d’eccellenza che a Roma fondò una scuola utilizzando i suoi amati Border Collies. Nacquero così ufficialmente anche in Italia le unità dei i cani “paramedici”, ovvero veri e propri soldati a 4 zampe preparati a perlustrare gli scenari desolanti del dopo battaglia in cerca di sopravvissuti: muniti di pettorine contrassegnate dal simbolo della Croce Rossa e corredati di acqua, cordiale e bende per offrire un primo soccorso ai feriti, furono di fondamentale importanza per recuperare migliaia di vite. Assieme a loro divennero celebri i Sanitatshunde tedeschi o i Mercy Dogs anglofoni, i cani della Misericordia, addestrati ad assistere e a segnalare i feriti ma, nei casi più gravi, a garantire ai soldati una presenza capace di accompagnarli verso una morte più dignitosa e meno sola. Il numero di cani impiegati durante la Prima Guerra Mondiale è incalcolabile. Non ci sono registri precisi per darne un numero, sappiamo solo che di certo furono tantissimi poiché oltre al citato ruolo paramedico, tantissimi furono anche impiegati in altri ruoli, altrettanto strategici. Vi furono cani d’assalto, sentinella, esploratore, staffetta. Non certo da dimenticare i “Ratter” da trincea, fondamentali per sbarazzarsi dei topi, o i cani da traino, che su certi terreni furono indubbiamente più duttili e meno dispendiosi dei muli. Alcuni cani divennero famosi, utilizzati non solo sul campo ma anche nella propaganda se non addirittura dallo star-system hollywoodiano: è il caso del celeberrimo Rin Tin Tin,
Cani da guerra (da Wikipedia)
Cani soldati (da Coach Martin on Air)
Non solo animali
Cani da guerra - Afghanistan (da wikipedia)
pastore tedesco reso immortale da Lee Duncan, soldato americano che trovò in un campo di militari teutonici in fuga dalla Francia il cucciolo e lo portò in patria per renderlo poi protagonista di film e fumetti famosi ancora oggi. O Stubby, pluridecorato Boston Terrier, promosso al grado di sergente dall’esercito americano, abilissimo tra le alte cose a fiutare in largo anticipo i gas mortali nelle battaglie del fronte occidentale. Meno nota, ma non meno notevole, invece è una storia nostrana di un piccolo meticcio nato a Seren del Grappa che divenne una leggenda tra gli Arditi. Un vero e proprio eroe del IX reparto d’assalto “Grappa” meritò più di un articolo nelle cronache del tempo. Un cane nero, quindi Fiamma Nera tra le Fiamme Nere, era piccolino ma capace di mordere le caviglie dei nemici, di scagliarsi senza paura in battaglia. Lui in realtà era semplicemente un “meticcio” di campagna ma che dentro a quella pazzia chiamata guerra , fu chiamato alla “causa”: cucciolo come tanti altri, quindi senza uno specifico addestramento, quando il suo padrone fu chiamato alle armi, in primis rimase a casa ma poi per necessità dell’esercito venne arruolato. Assegnatogli dall’esercito stesso il nome “Grappa”, dopo aver dimostrato la sua tenacia in diversi attacchi, divenne leggenda quando il suo conduttore fu dilaniato sull’omonimo Monte da un’esplosione di granata. Anche “Grappa” fu ferito al collo in quell’occasione ma si aggirò non curante del pericolo nel campo di battaglia tra una membra e l’altra dell’amato amico. La leggenda, ma facile che sia una simil-verità, narra che il povero e valoroso cagnolino, trasferito per vivere serenamente nel giardino di un qualche generale a Bassano, ritornò sul Monte Grappa per ripercorrere in maniera ossessiva quegli spazi che al suo olfatto e al suo cuore potevano ricongiungerlo alla memoria del suo commilitone umano. Poi, dopo molto tempo, non si seppe più nulla neanche di lui.
Un Mercy dog della prima guerra mondiale Il cane Grappa da rivista La Trincea, luglio 1918
Quest’articolo è stato reso possibile grazie al prezioso aiuto del Dott. Stefano Guderzo, Direttore del Museo delle Forze Armate di Montecchio Maggiore di Vicenza, e ai suoi collaboratori.