Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXII N. 3 Maggio-Giugno 2020
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N. 3
€ 6,70 Anno XXXII Maggio-Giugno 2020
Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Lorenzo Fiorentin – Chiara Zaccaroni
Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata
Fotografia Luigi Credi
Euro Annuario Carne
Abbonamenti Fioretta Fiorentin EURO ANNUARIO CARNE 2020
Amministrazione Andrea Tomassone
La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2020 Copia cartacea: € 95,00
Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2019. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2019.
Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com — Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985
Premiata Salumeria Italiana, 3/20
Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910
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N. 3
€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
In questo numero:
Immagini
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Diamo i numeri
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Salumi & Co.
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Fotografati e mangiati
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Attualità
Il futuro del cibo, l’incognita Covid-19 e la lanterna dell’antropologo Marco Ginanneschi
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E dopo l’emergenza? Il settore si mobilita per il rilancio
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Parole al futuro: gli scenari post coronavirus
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Cinta senese, l’Europa estende la Dop
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A pagina 84.
Premiata Salumeria Italiana, 3/20
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Il food in rete
Social food
Elena Benedetti
30
Aziende
Quello che non può fare Amazon
Elena Benedetti
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Interviste
Al Berlinghetto: l’anima locale della salumeria bresciana diventa digitale Gaia Borghi
42
Mercati
L’export dei salumi italiani nel 2019
48
Analisi di settore
Vino, indagine Vinitaly-Nomisma
52
Trend
L’eterno dilemma tra un passato (oltremodo) presente e un futuro…
Sebastiano Corona
54
Prodotti tipici
La Bosca: quando la Salamina nasce in stalla
Riccardo Lagorio
60
Tour “carnivoro” in Franciacorta con Polastri Macèlér
Giorgio Montanari
62
Non chiamatela pizza!
Massimiliano Rella
66
Eventi
Campionato Mondiale di Pesto al Mortaio: in difesa del vero…
Massimiliano Rella
68
Progetti
Biodistretto Etrusco Romano, giacimento di prodotti di qualità
Massimiliano Rella
72
Adotta un ciliegio di Vignola anche tu!
Gaia Borghi
75
Belle Botteghe
Kofler: l’Alto Adige più goloso
Riccardo Lagorio
76
Il gusto di camminare
La Via Francigena “prêt à partir”
Elena Simonini
82
Week-end
Sale e erbe palustri al Museo
Massimiliano Rella
84
Osteria Senz’Oste, la casa della norcineria libera
Massimiliano Rella
88
Sapori dal mondo
Bretagna, la patria del burro salato che qui si chiama “amann”
Nunzia Manicardi
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Fiere
Cibus rinviato a maggio 2021
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Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXII N. 3 Maggio-Giugno 2020
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A pagina 104. In copertina: fette di Corallina, Albana Vendemmia tardiva di Fattoria Paradiso e fiori di campo romani (photo © Massimiliano Rella).
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Formaggio
La Roccaverano (Dop) chiede una mano
Fabrizio Salce
Fattorie Marchigiane: Casciotta, Formaggio di Fossa & Co.
Massimiliano Rella
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Quel cono chiamato Bjelovarski kvargl
Riccardo Lagorio
104
Euposia International Challenge sui vini spumanti
Riccardo Lagorio
108
Gavi Docg, un vino… cortese
Riccardo Lagorio
110
Santa Sofia, il progetto di espansione e la nuova cantina
Massimiliano Rella
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I vini di Premiata Salumeria Italiana
Degustazione: lievitati casalinghi
Laura Franchini
116
Tecnologie
Collaborare con CSB-System ai tempi del Covid-19…
Vino
98
120
Sono 180 grammi, lascio? Watch the butcher shine his knives
Giovanni Papalato
Storia e cultura
Non è sempre tutto oro quello che luccica
Josette Baverez Blanco126
Libri
Guida agli Extravergini 2020
A pagina 98.
124
128
A pagina 110.
A pagina 68.
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Il calore di casa in ogni momento
Famiglia
Tradizione
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SENZA LATTOSIO E DERIVATI DEL LATTE
SENZA GLUTINE
IMMAGINI
Massimiliano Rella ha visitato per noi Fattorie Marchigiane Valmetauro, una realtà cooperativa parte del gruppo Trevalli Cooperlat che produce ottimi formaggi autoctoni, come la Casciotta di Urbino Dop e il Formaggio di Fossa di Sogliano Dop. L’articolo lo trovate a pagina 100 (in foto, pulitura del Formaggio di Fossa nello stabilimento di Fattorie Marchigiane a Montemaggiore al Metauro, in provincia di Pesaro e Urbino; photo Š Massimiliano Rella).
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Premiata Salumeria Italiana, 3/20
ph: Franceschini Vincenzo
Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.
FRANCESCHINI GINO & C. SRL Via dei Marmorari, 38 - 41057 Spilamberto (Mo) Tel. + 39 (0) 59784037 - Fax +39 (0) 59784075 - info@franceschinigino.it - www.franceschinigino.it
DIAMO I NUMERI
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Consumi domestici di carni suine e salumi in Italia: i trend del primo trimestre 2020 Secondo i dati ISMEA-NIELSEN, nel primo trimestre 2020 i consumi domestici di carni suine fresche hanno registrato una flessione del 3,3% in quantità e un aumento del 5,7% in valore. I salumi hanno registrato una crescita delle quantità acquistate del 2,5% e un aumento della spesa del 6,4%. Il Report consumi alimentari pubblicato da ISMEA segnala un aumento della spesa per tutti gli affettati confezionati a partire dal mese di marzo (in concomitanza con l’emergenza Covid-19): nel trimestre in questo segmento si è registrato un incremento del 3,8% per i prosciutti crudi, del 9% per i prosciutti cotti, del 7,5% per i salami e del 10,4% per i würstel (fonte: ANAS; photo © innafoto2017 – stock.adobe.com).
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SALUMI & CO. MASCHERINE per mangiatori di salame Le mascherine da indossare in bottega sono e saranno con buona probabilità ausili di protezione che ci accompagneranno per parecchio tempo. Perché allora non sfruttare questo fazzoletto che ci copre obbligatoriamente bocca e naso con una grafica che rimanda al nostro mondo? Sul web ci sono già tantissime piattaforme che stampano mascherine personalizzate e per noi delle fette di salame volanti sono sempre una delle grafiche più azzeccate.
TORMENTONE-SHOPPER Con la leva di Instagram e una buona dose di ironia due grafici romani dal cuore di Trastevere stanno conquistando tutti con una serie di oggetti, tra magliette, shopper, accessori, occhiali, fotografia e creatività. Noi adoriamo questa borsa, perfetta per la spesa. E poi come dar loro torto? Fritto è davvero buono tutto! Li trovate sul sito shop.elvislives.it e su instagram.com/elvislivesroma (photo © instagram.com/elvislivesroma)
L’orto
DOVE VUOI TU Hai mai pensato di trasferire il tuo orto in negozio? Oggi sul mercato esistono parecchie soluzioni che consentono di far crescere piante aromatiche, insalata, pomodori e fiori in un ambiente chiuso. Lo Smart Garden di Click & Grow (eu.clickandgrow.com), per esempio, è un sistema innovativo, studiato per coltivare l’orto in modo automatizzato che misura acqua, luce e sostanze nutritive. Noi l’abbiamo in Redazione e funziona (photo © Click & Grow LLC).
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Salumi¿cio Ferrari Erio & C. S.p.a. – Via Canaletto Nord, 565/A – 41122 MODENA – ITALY Tel. +39 059 310015 – Fax +39 059 450251 – E-mail: info@salumiferrari.it
FOTOGRAFATI E MANGIATI
SALAME Felino IGP Produttore: Salumificio Rossi.
www.salumificiorossi.it
Regione: Emilia-Romagna. Ingredienti: carne di suino, sale, spezie. Senza: glutine, latte e derivati. Descrizione: il Salame Felino Igp è un grande classico della salumeria emiliana, risultato di un mix perfetto tra materie prime, tecniche di produzione e ambienti di stagionatura. Il Salumificio Rossi di Sanguinaro di Fontanellato (PR) sceglie solo carne di suini nazionali e stagiona nelle cantine. Il risultato è un Salame Felino Igp perfetto nel bilanciamento del sapore, sapidità e spezie. In abbinamento a: torta fritta e un buon calice di bollicine italiane.
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Produttore: sconosciuto. Regione: Lazio. Ingredienti: carne suina ricavata da guancia e collo del maiale, sale, pepe, aglio, salvia e rosmarino. Senza: glutine. Descrizione: è l’ingrediente base di gricia, amatriciana e carbonara, con la preziosa parte grassa che in cucina si sostituisce all’uso dell’olio per la preparazione di sughi strepitosi. Si ottiene dalla lavorazione di carni ricavate dalla guancia e da parte del collo, lavorate con spezie e profumi. Segue una stagionatura di almeno 3 mesi che consente al salume di formare un rivestimento che gli conferisce quel sapore unico che contraddistingue il guanciale romano. In abbinamento a: pane, se fresco a fette, o come ingrediente rosolato in padella per la preparazione di tanti piatti saporiti.
GUANCIALE ROMANO
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ATTUALITÀ
IL FUTURO DEL CIBO, L’INCOGNITA COVID-19 E LA LANTERNA DELL’ANTROPOLOGO di Marco Ginanneschi
Il Covid-19 ha diffuso la pratica di organizzare pranzi a distanza e aperitivi condivisi sui social media. Durante la quarantena app come WeParty, Zoom e Jitsi Meet sono state scaricate milioni di volte (photo © G. Lombardo – stock.adobe.com).
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a produzione e il consumo di cibo non sono “immuni” dal fenomeno pandemico Covid-19. Potremmo essere indotti a pensarlo, visto che neppure con il prolungarsi della quarantena si sono registrate interruzioni nella catena degli approvvigionamenti alimentari. Ci sono tante vittime e viviamo limitazioni delle libertà individuali paragonabili a tempi di guerra ma nell’isolamento il cibo è diventato la nostra ossessione positiva, una sorta di valvola di sfogo autorizzata. Nella confusione che questa situazione ingenera anche chi opera professionalmente nel settore finisce col pensare per compartimenti: l’agricoltura è preoccupata dalla mancanza di operai per il raccolto, l’industria alimentare dagli accresciuti standard di sicurezza del lavoro, la Grande Distribuzione dalla delicatezza sociale del suo ruolo, la ristorazione dai costi che corrono a fronte di entrate svanite. Eppure guardare oltre il breve termine è importante: per prendere decisioni strategiche, per fare nuovi investimenti, per adattarsi ad una lunga convivenza con la minaccia pandemica, per innovare. Poiché non ci troviamo in una situazione di continuità con il passato, neppure possiamo affidarci all’esperienza: la minaccia pandemica Covid-19 è un evento disruptive, come ce ne sono stati pochi altri nella storia dell’umanità. Qualunque azione decidiamo di intraprendere, abbiamo necessità di dotarci preliminarmente di un piano e ancora prima di prefigurarci uno scenario. Che ipotesi possiamo formulare in merito all’influenza del fenomeno pandemico sul futuro del cibo? Vengono oggi in soccorso della pianificazione strategica una serie di tecniche provenienti da più campi: le mappe mentali dagli studi cognitivi, i megatrend dagli studi sul futuro, seminari e indagini dalle scienze sociali. In attesa che si producano studi più approfonditi, può essere d’aiuto guardare alla realtà in divenire (da uno stato pre-Covid a uno stato post-Covid) da un altro punto di osservazione: quello dell’antropologia. Utilizzando la “lanterna dell’antropologo”1, cercheremo qui di illuminare (con brevi flash) le tante valenze culturali del concetto di
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cibo per immaginare quindi le possibili conseguenze di Covid-19. Nel far ciò seguiremo una classificazione delle principali definizioni, elaborata in ambito antropologico da MINTZ e DU BOIS e concepita per un uso interdisciplinare2.
Europea. Infine, il diffondersi del protezionismo potrebbe avere conseguenze negative per la capacità produttiva totale (e quindi specialmente per la parte economicamente più svantaggiata della popolazione mondiale).
Cibo sicuro Conviene iniziare considerando il cibo in termini di sicurezza alimentare, ovvero risorsa accessibile, mezzo di sostentamento e diritto umano, sancito anche dalla Dichiarazione Universale del 1948. La sfida per l’umanità resta quella indicata nello slogan di Expo 2015: “nutrire il pianeta”, ovvero soddisfare la domanda di cibo di 8,5 miliardi di esseri umani nel 2030 e di 9,7 miliardi nel 2050 (UN, World Population Prospects, 2019)3. In un importante documento di programma del 2017, la FAO si dichiarava ottimista quanto alla possibilità di raggiungere questo obiettivo, a condizione però di poter contare su “sistemi alimentari più organizzati e verticalmente coordinati”4. Covid-19, un evento pandemico che ha già comportato 2,4 milioni di contagi confermati e 163.000 decessi in tutto il mondo (WHO, 21 aprile 2020), pone tuttavia alcune incognite su questo disegno. Nel caso in cui dovesse estendersi nei Paesi più poveri al mondo, potrebbero prodursi gravi carestie e le vittime diventare milioni. Anche nei Paesi più sviluppati, gli ostacoli alla circolazione delle persone possono mettere a repentaglio i raccolti, mentre la chiusura dei ristoranti penalizza i prodotti freschi e quelli ad alto valore aggiunto, spesso provenienti da filiere corte. Il quadro non sarebbe completo senza considerare un altro aspetto, quello della “sicurezza alimentare”. Date le crescenti difficoltà ad approvvigionarsi dall’estero (la globalizzazione è frenata in tutte le sue componenti), le materie prime alimentari potrebbero recuperare una valenza strategica e politica e gli stati nazionali rivendicarne la sovranità, non tanto per tutelare i piccoli coltivatori quanto per difendere il più ampio interesse nazionale, alimentando di fatto nuove forme di sovranismo alimentare5. Gli appelli a consumare i prodotti nazionali a discapito di quelli esteri si stanno già moltiplicando anche all’interno del mercato unico dell’Unione
Cibo come specchio della società Esaminare il cibo come specchio della società è un secondo importante filtro di analisi. Negli ultimi anni i cambiamenti sociali che il cibo ha incorporato sono stati innumerevoli: la tendenza a consumare i pasti fuori casa, il boom del fast food, la produzione di massa, la diffusione delle monoporzioni, il cibo pronto, il cibo come commodity, il cibo di marca. Covid-19 è in grado di porre una sfida a questa dimensione degli alimenti. Le misure di distanziamento renderanno le attività di ristorazione e consumo collettivo più problematiche e costose; potrebbero risultarne frenati anche cerimonie, banchetti, catering, mense. Non è escluso che si consolidi la tendenza a preparare i pasti in casa, per piccoli gruppi e per singoli individui, riducendo il consumo di cibi pronti. Potrebbe essere una rivoluzione in termini di fabbisogno di ingredienti, packaging, modalità e luogo di consumo e modalità di acquisto degli alimenti. A fronte di consumi HO.RE.CA. decisamente inferiori, il permanere di forme di distanziamento sociale e smart working ben oltre l’attuale emergenza spingeranno l’acquisto on-line di cibo, dal crudo al pronto. Ma lo stesso trend di crescita delle megalopoli potrebbe conoscere un rallentamento, con un ritorno alla vita in campagna. In conclusione, è utile ricordare che le guerre hanno spesso comportato cambiamenti importanti e duraturi nei consumi alimentari. E l’impatto economico di Covid-19, col passare del tempo, si avvicina sempre più a quello di un conflitto bellico. Cibo come identità Anche l’aspetto del cibo come identità, in quanto segno di appartenenza a gruppi o tribù alimentari e connotato etnico, potrebbe incorrere in una trasformazione. La rinascita dei confini e le limitazioni alla circolazione delle persone per motivi sanitari e di salute
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L’Accademia dei Georgofili L’Accademia dei Georgofili fu fondata a Firenze nel 1753 per iniziativa di Ubaldo Montelatici, Canonico Lateranense, allo scopo di “far continue e ben regolate sperienze, ed osservazioni, per condurre a perfezione l’Arte tanto giovevole della toscana coltivazione”. Il Governo Granducale Lorenese le conferì presto carattere di Istituzione pubblica (prima nel mondo), affidandole importanti incarichi. Con l’Unità d’Italia, l’Accademia dei Georgofili, che già di fatto aveva una dimensione extra-toscana, divenne anche formalmente nazionale. Nel 1897 fu riconosciuta come Istituzione Statale. Nel 1932 fu eretta in “Ente morale” e, sempre nello stesso anno, ottenne la concessione in uso gratuito dell’attuale sede demaniale. L’Accademia dei Georgofili è al mondo la più antica istituzione del genere ad occuparsi di agricoltura, ambiente, alimenti, e promuove il progresso delle conoscenze, lo sviluppo delle attività tecnico economiche e la crescita sociale. Adeguando ai tempi organizzazione, metodologia e strumenti di lavoro, ha sempre mantenuto il proprio ruolo e gli obiettivi enunciati con l’atto costitutivo. Il lavoro svolto dall’Accademia fa emergere un richiamo alla consapevolezza della vitale importanza dell’agricoltura, da sempre giustamente considerata settore primario, non solo per la priorità temporale delle sue attività produttive, ma anche perché ha costituito e costituisce tuttora la fonte principale del nostro sostentamento alimentare. Inoltre, è stata la matrice dello sviluppo manifatturiero industriale (al quale ha fornito materie prime, forza lavoro e capitali) e rappresenta il fondamentale fattore di equilibrio per la biosfera della quale l’uomo è parte integrante e dalla quale dipende la sua stessa sopravvivenza. L’Accademia ha accompagnato lo sviluppo delle scienze agrarie nella loro accezione più ampia. Seguendo l’evolversi dei tempi, continua ad affrontare le nuove problematiche che investono l’agricoltura e tutti i rapporti dell’uomo con l’ambiente naturale. Conduce studi e ricerche, adottando le più moderne metodologie, al fine di promuovere concrete iniziative. I risultati vengono esposti e discussi pubblicamente in apposite “Adunanze pubbliche”, poi riportate nell’annuale volume degli Atti. Per affrontare lo studio di ogni singola problematica, l’Accademia liberamente si avvale della collaborazione dei più qualificati studiosi e tecnici, ovunque siano, anche se afferenti a diversi enti pubblici e privati. I Georgofili hanno rappresentato e rappresentano uno strumento per confrontare e far circolare le idee, collegandosi con il mondo e contribuendo a mantenere alto il prestigio della nostra cultura, sempre nel pieno rispetto del proprio motto Prosperitati Publicae Augendae. >> Link: www.georgofili.it
pubblica e il forte rallentamento del turismo proveniente dall’estero potrebbero favorire l’etnocentrismo (la preferenza accordata ai cibi nazionali) e il sovranismo alimentare (autarchia produttiva). Le filiere di produzione, divenute lunghe per effetto della globalizzazione, potrebbero tornare ad accorciarsi. D’altra parte, i prodotti tradizionali e a indicazione di origine protetta (DOP e IGP) quasi certamente perderanno una leva di sviluppo nelle aeree in cui il circolo virtuoso turismo
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estero-gastronomia-export agroalimentare giocava un ruolo importante. Valenza rituale del cibo Anche considerare la valenza rituale del cibo può illuminarci. Il rito, atto ripetuto di avvicinamento al sacro o al magico6, è sopravvissuto sottotraccia nella nostra convivialità sempre più laica ma Covid-19 può portare da latenza a tendenza più di un fenomeno di questo tipo. Si pensi al diffondersi in tutto il mondo di pranzi a distanza e di aperitivi
condivisi su nuovi social media, alle app di WeParty, Zoom e Jitsi Meet scaricate milioni di volte durante la quarantena. Questo fenomeno di convivialità virtuale ha innegabilmente una componente escatologica: davanti alla minaccia della morte e all’isolamento fisico, l’uomo crea un rito salvifico ristabilendo con nuovi mezzi la propria identità rispetto agli altri, il senso di appartenenza a un gruppo e l’ordine sociale. Gli acquisti nella Grande Distribuzione si stanno già adeguando, con l’affermazione di nuovi trend di consumo. L’eredità di Covid-19 un giorno sarà misurabile anche in questi termini. In conclusione, da queste sintetiche e assolutamente preliminari osservazioni ispirate dall’approccio antropologico si deduce che la pandemia Covid-19 sarà causa di profonde trasformazioni nel modo in cui il cibo si produce, si distribuisce, si consuma. La diffusione a livello internazionale del distanziamento sociale sta trasformando il morbo in malattia sociale, colpendo al cuore il cibo come prodotto culturale. La febbre da Coronavirus in un certo senso è la febbre stessa del “pianeta (troppo) umano”7. Marco Ginanneschi Accademia dei Georgofili Note 1. SAHLINS M. (2011), La lanterna dell’antropologo, Edizioni Medusa, Milano. 2. MINTZ S., DU BOIS C. (2002), The anthropology of food and eating, Annual Review of Anthropology 31, pp. 99–119. 3. GODFRAY H.C.J., BEDDINGTON J.R., CRUTE I.R., HADDAD L., LAWRENCE D., MUIR J.F., PRETTY J., ROBINSON S., THOMAS S.M., TOULMIN C. (2010), Food security: The challenge of feeding 9 billion people, Science, 327, 812–818. 4. FAO (2017), The future of food and agriculture, Trends and Challenges, FAO, Roma. 5. CERTOMÀ C. (2010), Diritto al Cibo, Sicurezza Alimentare, Sovranità Alimentare, Rivista di Diritto Alimentare, IV (2). 6. DE MARTINO E. (1948), Il mondo magico: prolegomeni a una storia del magismo, Einaudi, Torino, 1948. 7. LEWIS S.L., MASLIN M.A. (2019), Il pianeta umano, Einaudi, Torino.
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E DOPO L’EMERGENZA? IL SETTORE SI MOBILITA PER IL RILANCIO C’è chi sperimenta nuove modalità di crowdfunding, chi condivide le conoscenze degli chef e chi mette a disposizione gratis le riviste professionali normalmente a pagamento 22
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A sinistra: sono moltissime le iniziative spontanee nate nell’ambito della ristorazione per cercare di sostenere il settore nei modi più diversi (photo © lev dolgachov). A destra: Ristoacasa.net è la vetrina gratuita realizzata da FIPE che ha permesso, fin dall’inizio dell’emergenza, alle imprese di ristorazione, di essere visibili e contattabili anche quando non presenti nella rete delle grandi piattaforme del delivery (photo © ristoacasa.net).
L
a priorità numero uno in questo momento così difficile è naturalmente salvare vite umane. Ma dobbiamo pensare anche al “dopo” e alle inevitabili ricadute economiche che comporterà questa emergenza. Secondo informazioni riportate da IL SOLE 24 ORE, dopo l’inizio della crisi le industrie agroalimentari italiane hanno continuato a ricevere ordini dall’estero, anche se sarà probabilmente difficile ripetere il record del 2019 quando, secondo l’ISTAT, le nostre esportazioni agroalimentari hanno raggiunto un valore di 44,57 miliardi di euro (+5,3% rispetto al 2018). Ma la vera preoccupazione sono le ricadute sui consumi interni. Se la spesa al supermercato, ovviamente, resiste e anzi cresce, cosa ne sarà invece di bar e ristoranti costretti alla chiusura? Del food service legato alle innumerevoli attività oggi sospese, dalle palestre ai convegni? Dei consumi alimentari legati al turismo? Nonostante la possibilità di proseguire l’attività con le consegne a domicilio in alcune regioni, secondo un’indagine svolta tra i propri associati dalla Federazione Italiana Pubblici Esercizi (FIPE), il 92% registra ripercussioni negative dell’emergenza coronavirus, con una forte flessione della clientela e conseguente calo del fatturato: oltre il 30% in meno per il 57% dei ristoratori e tra il 10 e il 30% per tre imprenditori su dieci. Il 70%, inoltre, non ha stimato alcun miglioramento per la settimana di Pasqua. Al di là delle misure di sostegno che stanno adottando o adotteranno le istituzioni, sono moltissime le iniziative
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spontanee per cercare di sostenere il settore nei modi più diversi. E la stessa FIPE è in prima linea con Ristoacasa.net, la vetrina digitale dei ristoranti che hanno attivato il servizio di food delivery che, indicando il proprio indirizzo o CAP, permette di geolocalizzare i ristoranti associati che offrono questo servizio. FIPE ha inoltre attivato una partnership con The Fork che offre ai clienti la possibilità di ordinare direttamente e gratuitamente al ristorante e ricevere il cibo a domicilio. Torniamopresto.it è un’altra piattaforma che permette invece di acquistare adesso dei buoni da spendere in piccole attività locali, tra le quali diversi ristoranti, quando queste riapriranno. In questo modo si aiutano le attività ad assicurarsi un flusso di cassa che faciliterà la ripresa delle attività. È diventata un grande catalogo di attività alimentari che offrono la consegna a domicilio anche MyCIA.it, piattaforma nata per cercare i ristoranti dove mangiare in modo nuovo, non a partire dal locale ma da ciò che si vuole mangiare, con particolare riferimento alle esigenze speciali come le intolleranze. Adattata all’emergenza anche Foorban.com, la “mensa virtuale” che porta direttamente in ufficio cibi freschi preparati in una cucina centralizzata. Ha pensato agli operatori del settore il gruppo DB INFORMATION, che con la divisione Italian Gourmet pubblica alcune tra le più autorevoli riviste di settore in Italia, lanciando l’iniziativa #ilFoodResiste. Una community dedicata alle testimonianze, alle news, alle informazioni per il settore della cucina e della pa-
sticceria ai tempi del coronavirus. Sul sito italiangourmet.it sono disponibili gratuitamente le edizioni digitali delle riviste, arricchite da video e altri contenuti extra: la community raccoglie infatti testimonianze, condivide informazioni utili e consigli, e vuole diffondere messaggi di speranza e ottimismo. Un altro hashtag per un altro progetto: #Iocucinoacasa è l’iniziativa de IL GAMBERO ROSSO attraverso la quale celebri chef stellati ed emergenti condividono on-line i segreti delle loro ricette. Un modo per sostenere il morale degli italiani confinati in casa, ma anche per tenere desta l’attenzione verso la ristorazione di qualità in vista della futura, graduale riapertura. Altro esempio virtuoso di iniziativa bottom up, partita dal basso, è infine la petizione lanciata su Change.org da Associazione Cibodimezzo, APCI – Associazione Professionale Cuochi Italiani (Nazionale) e RI.UN. Ristoratori Uniti, col supporto di Ambasciatori del Gusto, AMPI – Accademia Maestri Pasticceri Italiani, Associazione Le Soste, Club Richemont, JRE-Jeunes Restaurateurs Italia, Associazione Pizzaiuoli Napoletani. La petizione mira a raccogliere il più ampio sostegno possibile tra i cittadini per dare più forza al settore nelle sue richieste di sostegno alle istituzioni. Fiera Milano Spa www.tuttofood.it
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Parole al futuro: gli scenari post coronavirus UNA RIFLESSIONE SULL’OGGI PER IMMAGINARE IL PROSSIMO DOMANI DEL COMPARTO AGROALIMENTARE
Quale sarà l’impatto del coronavirus sui comportamenti di acquisto futuri? Analizzando i trend di spesa durante il lockdown, si possono avere le prime risposte (photo © Minerva Studio – stock.adobe.com).
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uale sarà l’impatto del coronavirus sui comportamenti di acquisto futuri del consumatore? E quali sono le strade da seguire da parte delle aziende per acquistare valore e sopravvivere alla crisi? Pur con la consapevolezza che le generalizzazioni sono fuorvianti, proviamo a rispondere insieme a queste tematiche analizzando i comportamenti che i consumatori hanno avuto durante questo eccezionale periodo di lockdown. Innanzitutto, nelle 4 settimane successive al 21 febbraio si è assistito ad un rilevante incremento degli acquisti presso i differenti formati della distribuzione moderna che ha visto aumentare, in media, la richiesta dei consumatori di oltre il 17% (dati: IRI). Una forte pressione della domanda che ha visto privilegiare le categorie di prodotti maggiormente stoccabili e che ha, di fatto, favorito le categorie più “mature” e più gestibili a casa con conseguente sofferenza per tutti i prodotti ad acquisto d’impulso quali piccoli frutti e esotico, e, tra i freschi, l’ittico. Sul fronte distributivo, si è assistito nelle ultime settimane ad una ripresa dei negozi di prossimità, capitani di categoria per quanto attiene il presidio territoriale e l’assortimento disponibile, con un +41,6% (dati: NIELSEN). Straordinaria l’esplosione dell’e-commerce: nella prima settimana di aprile si è registrato un +158% (dati: NIELSEN) per gli acquisti on-line di prodotti di largo consumo incluso il fresco (tradizionalmente non rilevante). Débâcle, dettata dal momento, invece per Drugstores e Cash & Carry. Sul fronte assortimentale, la pandemia ha sicuramente contribuito a reimpostare lo scaffale, privilegiando soluzioni volte a ridurre i tempi di permanenza a punto vendita e ottimizzando la fase di logistica e di riassortimento in store. I Prodotti a Marchio del Distributore, protagonisti in vendita, hanno, secondo IRI, segnato una crescita di 1 punto e mezzo percentuale rispetto lo scorso anno pari periodo, beneficiando di una disponibilità garantita e di un posizionamento di prezzo più accessibile. In ortofrutta, in particolare, l’ottimizzazione dei tempi e la ricerca di sicurezza ha di fatto favorito i prodotti confezionati a scapito dello sfuso. Dato il contesto,
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il compito per chi come noi continua a supportare le aziende della produzione e della distribuzione nel percorso che conduce al consumatore finale è quello di guardare prospetticamente al post Covid, individuando i driver, meglio, le #parolealfuturo, alle quali affidarsi per interpretare fruttuosamente le sfide che ci attendono. 1. #CONVENIENZA La crisi economica porterà i consumatori ad una riduzione del potere di acquisto reale; come intercettare tale tendenza in maniera concreta? Quale il ruolo per i brand e quale lo spazio per la private label? Traghettare il consumatore in questa fase interlocutoria obbligherà le aziende del comparto a ripensare formati di vendita e packaging idonei, ad intercettare la necessità di ridurre la battuta di cassa senza rinunciare alla qualità. 2. #RASSICURAZIONE Il consumatore ha bisogno più che mai di ottenere garanzie circa la #SICUREZZA alimentare: l’origine, la tracciabilità e le certificazioni saranno pertanto elementi da evidenziare sempre più nella comunicazione. In questo contesto l’#ITALIANITÀ ed il #LOCALISMO giocheranno un ruolo centrale. 3. #SALUTISMO Si consoliderà sempre più la tendenza a
privilegiare alimenti votati al ben-essere, naturalmente ricchi in vitamine, a beneficio del comparto ortofrutta; a partire dal Biologico, che ha registrato un vero e proprio boom nel periodo di crisi Covid. 4. #HUMAN TO HUMAN La comunicazione proposta dai brand dovrà “avvicinare” il consumatore finale, proponendogli di aderire a comunità fondate su valori condivisi. 5. #DIGITALE Smart working, didattica a distanza, home delivery, click and collect… Il digitale è entrato a far parte prepotentemente della vita delle persone. La rivoluzione digitale, già in atto, ha subito un’ulteriore accelerazione trovando in alcuni casi le aziende impreparate. È auspicabile dunque attivarsi per riorganizzare la supply chain ponendola al servizio della fase di vendita e trasformandola in un’opportunità addizionale per raggiungere i consumatori comunicando in maniera più efficiente. Nelle prossime settimane, insieme agli operatori del settore, proveremo a riflettere per dare forma e sostanza a ciascuna di queste parole; siamo consapevoli, infatti, che dietro ogni crisi (dal greco krino = separare, cernere, valutare) si celi l’opportunità del più autentico rinnovamento. Fonte: SG Marketing www.sgmarketing.it
SG Marketing, food strategy SG Marketing, con sede a Bologna, è una società specializzata nei servizi di marketing agroalimentare grazie ad un’esperienza di oltre 25 anni maturata nella valorizzazione del food e del beverage: “aiutiamo le aziende della produzione e della distribuzione nello sviluppo del business, dal lancio di nuovi prodotti, alla progettazione di politiche di marca, alla creazione di un’immagine aziendale riconoscibile e competitiva”. Tra le attività c’è anche la consulenza strategica nel supporto delle imprese della produzione e distribuzione nell’affrontare l’evoluzione della domanda grazie allo sviluppo di strategie di mercato mirate. “Partendo dall’ascolto delle esigenze del cliente e attraverso un’analisi del contesto, si predispone la strategia di marketing più adeguata dati gli obiettivi condivisi”. >> Link: www.sgmarketing.it
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CINTA SENESE, L’EUROPA ESTENDE LA DOP La denominazione di origine non più limitata alla sola carne, ma a tutte le parti ricavate dalla carcassa, compreso il lardo
U
n importante riconoscimento è giunto recentemente per la Cinta senese. Si tratta del via libera da parte della Commissione europea ad una modifica al Disciplinare della DOP, di cui questa
razza si fregia fin dal 2012, che consente di estendere tale denominazione dalla sola carne, come era previsto fino ad oggi, a tutte le porzioni commestibili della carcassa dell’animale. Quindi il vantaggio principale è che ora anche
il lardo, cioè la parte di grasso del suino, rientra nella DOP. Una modifica decisamente migliorativa, che rende economicamente ancora più vantaggioso allevare Cinta senese, vista la percentuale di lardo presente negli
Schiacciata toscana con Dop al quadrato, ovvero schiacciata cotta a legna con lievito madre, pomodori secchi, Pecorino Toscano Dop e Lardo di Cinta senese Dop (photo © www.pecorinotoscanodop.it).
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esemplari e le sue particolari caratteristiche. «Il percorso per l’ottenimento della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea di questa modifica — rileva con soddisfazione DANIELE BARUFFALDI, presidente del Consorzio di tutela della Cinta senese — è stato lungo e delicato, ma grazie alla determinazione del Consorzio e alla sinergia delle istituzioni è stato possibile arrivare a questo traguardo che apre nuove prospettive per la diffusione di questa eccellenza dell’agroalimentare italiano». Da ora in avanti, dunque, su tutti i tagli, compreso il lardo, destinati al consumatore finale potrà essere apposto il Sigillo Consortile con il codice numerico di tracciabilità. Una carne ricca di Omega-3 e Omega-6 e un lardo ricchissimo di acido oleico C’è da sottolineare che, rispetto a quello tradizionale di altre razze, il lardo di Cinta senese è più ricco di acido oleico, che tiene lontano il colesterolo, e di acidi grassi polinsaturi. Grazie a cellule più grandi e ricche di acqua è meno consistente e più fluido, perciò molto più gradevole al palato; la sua migliore fluidità, dovuta ad una maggiore insaturazione, permette nei salumi che si ottengono una più rapida diffusione degli aromi usati per la speziatura, assicurando al prodotto ottime caratteristiche aromatiche. Ciò è dovuto alle particolari condizioni di allevamento e alimentazione che hanno positivi effetti anche sulla sapidità e la succulenza della carne, caratterizzata da migliori qualità dietetiche rispetto a quella delle altre razze suine per la maggiore concentrazione di acidi grassi insaturi, in particolare della serie Omega-3 (i quali sono associati a una diminuzione dei grassi nel sangue) e Omega-6 (azione antitrombosi). Ricordiamo che la Cinta senese fornisce tutta la gamma dei classici salumi toscani (arista, buristo, capocollo, finocchiona, gota, guanciale, lardo stagionato, pancetta, prosciutto, rigatino, salame, salsiccia, soppressata… ), oltre alla carne fresca da cuocere secondo le ricette della gastronomia regionale e da abbinare ai vini del territorio. >> Link: www.cintasenesedop.it
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Photo: Gurus Lido Vannucchi
Da oggi disponibile anche al pistacchio.
www.mortadellafavola.it
IN BUONE MANI. 100 %
CARNE
ITALIANA
IL FOOD IN RETE
SOCIAL di Elena
2. W la Piadina romagnola IGP 1. Lorenzo Sandano superstar Ci piace tantissimo l’account Instagram di LORENZO SANDANO. La penna superlativa della (bellissima) rivista Cook_inc. è da seguire su instagram.com/lorenzolinguini per foto, focus su materie prime selezionate, pusher di cose buone e produttori che puntano dritti alla qualità. Qui un mix di GABRIELE BONCI, ROBERTO LIBERATI e ROSCIOLI con “tracce goderecce di libera fantasia sull’orlo della pazzia”. Meravigliosi tutti (photo © instagram.com/lorenzolinguini).
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L’IGP fa bene alla Piadina romagnola. Secondo ISMEA-QUALIVITA, infatti, la Piadina romagnola certificata nel 2019 è cresciuta in doppia cifra sia in quantità che in valore. Come ha detto bene ALFIO BIAGINI, presidente del Consorzio di promozione e tutela della Piadina romagnola, «questa è la dimostrazione di come un prodotto realizzato con quattro semplici ingredienti (farina, acqua, sale, strutto o olio), un tempo “pane” povero della nostra terra, abbia saputo elevarsi nel corso dei decenni ad emblema di una terra laboriosa che sa valorizzare la sua storia e la sua tradizione». Ci piace! Da seguire su www.consorziopiadinaromagnola.it (photo © Consorzio di promozione e tutela della Piadina romagnola).
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FOOD Benedetti
3. A tavola con Cibo di Mezzo Ecco l’iniziativa di un gruppo di ristoratori affini per proposta, cultura, visione, volta a sostenere il buon cibo e le scelte sul territorio. “Da alcune chiacchierate a tavola è nata l’idea e la consapevolezza che il cibo meriti maggiore attenzione”. E così, in particolari periodi dell’anno, i ristoranti preparano dei menù esclusivi a prezzi unificati e accessibili, prenotabili solo on-line, in cui molte delle materie prime sono quelle dei produttori scelti e facenti parte del progetto. Si chiama Cibo di Mezzo e lo trovate qua: www.cibodimezzo.it (photo © instagram.com/cibodimezzo).
4. Food and Art Diary Una chicca? FAD ovvero Food and Art Diary, una raccolta di curiosità e di iconografie legate al cibo. Spunti di riflessione, idee, suggestioni segnalate da IRENE FUSARI nell’account instagram.com/fad_foodandartdiary. Qui un’opera di FORTUNATO DEPERO del 1928 dal titolo “Distrattamente mise il Bitter Campari in testa” (photo © instagram.com/fad_foodandartdiary).
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Mappiamo i cibi intimi di comunità Esistono cibi semplici, tanto vicini alla nostra quotidianità da apparirci ovvi e scontati. Sono cibi destinati alle circostanze più informali tra amici, familiari o vicini di casa, che non richiedono preparazioni complicate, e che sono legati a consuetudini antiche. Sono i cibi che raramente si trovano nelle guide turistiche o nei ricettari “famosi”, ma sono noti a chi li mangia da sempre. Ne esiste una varietà insospettabile, ma sono “nascosti” tra l’ovvietà delle cose buone costantemente presenti. La condivisione e lo scambio di una tale cultura è il cuore del Progetto MicroTipici che, attraverso il sito www.microtipici.it, vuole mappare questo patrimonio. Basta andare sul sito, compilare i campi con il proprio MicroTipico, caricare un’immagine e contribuire così a dare nome al proprio alimento o piatto del cuore. Un MicroTipico è… Il decalogo dei MicroTipici è molto bello. Scorriamolo di seguito: 1. è il cibo che mangi da sempre nelle occasioni più informali di svago (merenda, picnic, festa di compleanno, festa della parrocchia, piccola sagra…) o di pausa lavoro; 2. è il cibo dei tuoi nonni; 3. è il cibo preparato con gli ingredienti del tuo territorio (pertanto, talvolta, è stagionale); 4. è il cibo economico; 5. è il cibo preparato con rapidità, senza troppe elaborazioni, anche da “cuochi inesperti”; 6. è il cibo che sazia, senza (generalmente) appesantire; 7. è il cibo adatto a pochi o molti commensali; 8. è il cibo buono, che piace a (quasi) tutti; 9 è il cibo comodo da distribuire (tutti si servono da soli); 10. è il cibo pratico da mangiare ovunque, spesso senza l’uso di posate.
Pane, olio e pomodoro (photo © microtipici.it).
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Con Top Partners, le migliori offerte sul mercato per risparmiare tempo e denaro Loredana Gambino, AD di Top Partners (in foto), ci racconta di come da 14 anni aiuta chi ha un’attività a risparmiare sull’acquisto di prodotti e servizi, selezionando i fornitori migliori. Cos’è Top Partners? «Top Partners è l’ufficio acquisti delle PMI e liberi professionisti che offre un servizio totalmente gratuito, selezionando i migliori fornitori per numerosi servizi e prodotti utili al business e garantendo un preventivo in sole 48 ore. Top Partners permette di cercare qualunque tipo di servizio e prodotto, risparmiando ed offrendoti la soluzione più adatta alle proprie esigenze. Accedendo a Toppartners.it, l’utente si trova di fronte ad una gallery di prodotti e servizi utili al proprio lavoro: furgoni anche elettrici e refrigerati, carte carburante, automobili, prodotti anti-Covid-19, macchine del caffè, ma anche servizi di formazione, personale e sui temi legati alla sicurezza sul lavoro, buoni benzina, buoni pasto, carte di credito e molto altro. Tutti i fornitori presenti sul sito Toppartners.it e sugli altri siti dedicati come preventivi-furgoni.com, cartacarburante.it o preventivi-pausacaffe.it, sono certificati e selezionati, da sempre, da Top Partners con criteri di qualità, serietà e, non ultimo, convenienza». Come funziona? «Ad un utente basterà visitare il sito Toppartners.it dove semplicemente scegliere con pochi clicks fra centinaia di servizi e prodotti, compilare il form con i propri dati, e dopo 48 ore si riceverà i preventivi richiesti o un contatto senza impegno, e comparare le migliori offerte per prezzo e qualità. Quindi, inoltrare una richiesta per un prodotto o un servizio è molto semplice. Inoltre, è possibile, anche inviare direttamente una mail a info@toppartners.it o, semplicemente, contattandoci telefonicamente al numero 02 90363461. Senza alcun impegno, si potrà approfittare delle numerose offerte presenti e ricevere un preventivo senza costi in sole 48 ore. In questo modo si avrà il vantaggio di non dover andare su più siti diversi per richiedere lo stesso tipo di servizio o prodotto». Perché affidarsi a Top Partners? «Affidarsi a Top Partners permette di trovare il fornitore più affidabile, tra gli oltre 500 presenti, acquistando un determinato servizio o bene nel rispetto del budget del singolo cliente, riducendo i costi e risparmiando. La consulenza gratuita di Top Partners è sempre al fianco del cliente per consigliare ed aiutare ad individuare i prodotti e servizi più idonei alle proprie esigenze, semplicemente contattandoci. Inoltre, sono presenti offerte speciali, negoziate direttamente da Top Partners con i fornitori, che aiutano ad ottenere il prodotto desiderato, a prezzi vantaggiosi e risparmiando tempo». >> Link: Toppartners.it 380 2874590
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AZIENDE
Quello che non può fare Amazon Intervista a Franco Costa, presidente di Costa Group, che delinea nuovi scenari nella progettazione di arredi e locali nel post Covid-19 di Elena Benedetti
I
l 2020 è un anno che faremo fatica a dimenticare. L’anno del Covid-19, con un inizio che ha visto un intero Paese fermarsi. “All’ombra dell’emergenza sanitaria causata dalla pandemia coronavirus, c’è stato un esercito di micro e piccole
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imprese che si è ritrovato in mezzo a mille difficoltà perché il blocco totale dell’economia ha visto fermarsi ‘la sua economia’. Parliamo in particolare di bar, ristoranti, discoteche, stabilimenti balneari che, oltre ad essere un luogo di servizio, di convivialità, di
confronto, lo sono anche di lavoro e di produzione di ricchezza” ha scritto FIPE, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi (fipe.it), impegnata nella tutela del proprio comparto. FIPE ha più volte ricordato che il pubblico esercizio è un comparto decisivo della filiera agroali-
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COMITATO TECNICO SCIENTIFICO MARCA 2020
blickdesign.it
www.marca.bolognaямБere.it
La situazione di incertezza che stanno vivendo i ristoratori è qualcosa di sconosciuto e l’arresto di tutta l’attività è un colpo pesantissimo che obbligherà le aziende sopravvissute a un cambiamento radicale (photo © Corona Borealis – stock.adobe.com).
Le soluzioni di Costa Group per i locali pubblici (bar, caffetterie, bakery, gastronomie su strada e nei centri commerciali) • • • • • •
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Pareti attrezzate con espositori a libero servizio a temperatura calda e fredda per alimenti in monoporzione opportunamente confezionati. Area cassa con sistema di pagamento automatico per evitare che l’operatore venga a contatto con il denaro. Postazione touch screen e cassa remota, a parete o all’ingresso del locale, per formulare l’ordine, rendere più scorrevole e velocizzare sia la consegna che la consumazione del prodotto. Anche il caffè potrà essere ordinato dalla postazione touch screen, sia nella formula espresso italiano che acquistando la cialda per una preparazione in completa autonomia. Packaging ecosostenibile e personalizzato, sia per il consumo interno che dedicato al delivery. Procedimento di conservazione a caldo e a freddo tramite tecnologia innovativa finalizzata alla riduzione dei tempi di attesa conservando intatta per molte ore la qualità organolettica e il sapore dei prodotti. Sistema che riunisce in un’unica attrezzatura tre modalità di cottura: microonde, convenzione, conduzione. Un sistema innovativo di dimensioni molto contenute che riduce i tempi di cottura e rinvenimento garantendone la qualità. Rapporto con gli enti preposti per ottenere spazi esterni a titolo gratuito da dedicare al consumo, per consentire a tutti di rispondere correttamente alle normative e per contribuire a restituire in sicurezza spazi dedicati alla socialità, prevedendo aree di consumo con tavoli alti tipo pick. In questo caso, anche le piccole realtà potranno continuare ad affrontare l’ora dell’aperitivo e del cocktail, attraverso una nuova modalità di servizio in cui la qualità e la gestualità del barman assumeranno nuove forme e il cliente completerà lo show al tavolo concorrendo alla sua presentazione.
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Le soluzioni di Costa Group per la ristorazione (ristorazione veloce, pizzerie, ristoranti…) Anche in questo caso il settore della ristorazione, nella sua accezione più propria, risulta enormemente colpito e necessita di appropriarsi di nuove soluzioni, molto in linea con quanto espresso sui piccoli locali. In particolare, e quando possibile, Costa Group ritiene importante l’inserimento di Sanitunnel (tunnel che, oltre alla sanificazione delle persone e delle cose, misurano la temperatura corporea e verificano se la persona è munita di mascherina e guanti); la parte esterna del tunnel potrà essere personalizzata con le innumerevoli soluzioni estetiche proposte da Costa Group. • Cassa automatica per la gestione del menù e del pagamento o cassa con presenza di operatore che svolge anche la funzione di receptionist e gestisce le comande per il delivery. • Uso del touch screen con eventuale cassa remota per rendere più veloce la gestione delle comande verso la cucina diminuendo il tempo di attesa al tavolo. • Riorganizzazione degli spazi di sala aumentando la distanza tra commensali in osservanza alle normative, ma aumentando anche il comfort, pronti ad essere implementati non appena sarà possibile. • Separé mobili da posizionare tra i tavoli, personalizzati ed integrati allo stile del locale, con funzioni fonoassorbenti, interattive, decorative a tema, ecc… Nella ristorazione con prodotto in linea servito (il self service), Costa Group ha pensato ad un banco che prevede l’esposizione di cibi caldi e di cibi freddi in monoporzioni opportunamente confezionate e sigillate dei quali il cliente potrà approvvigionarsi in totale autonomia. Questo banco viene infine integrato con un avanbanco per i prodotti d’impulso.
mentare e del turismo, non soltanto per il contributo nella creazione di valore ma anche per essere un mercato di sbocco strategico per tutto l’agroalimentare italiano. La situazione è in evoluzione continua, tra ordinanze nazionali e regionali. Si naviga a vista ed è difficile oggi fare previsioni sulla tenuta del comparto e sulla sua ripresa. Sull’argomento ci siamo confrontati con FRANCO COSTA, che insieme al fratello SANDRO gestisce COSTA GROUP, azienda leader in Italia e nel mondo nella progettazione e nell’arredamento di ristoranti e bar, oltre che di negozi e botteghe artigianali. Da Riccò del Golfo, a pochi chilometri da La Spezia, i Costa realizzano sogni, trasformandoli in progetti e poi in arredi che partono per tutto il mondo. «Ne abbiamo 18 fermi nel nostro magazzino, imballati e pronti per essere spediti in attesa che la pandemia mondiale ci dia tregua» mi dice al telefono il presidente di Costa Group. La sua voce è vitale, lucida nell’analisi della situazione, ma già proiettata oltre, alla fase del fare, alla vera Fase 2 che sembra non si concretizzi mai. Il suo ufficio — me lo ricordo bene anche perché non ho mai più visto nulla di simile — sembra una grande grotta con alle pareti una quantità infinita di
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Coronavirus e ristorazione: come sarà il dopo crisi? «Le soluzioni per affrontare questa nuova situazione nel nostro settore ci sono, anche se, come è ovvio che sia, hanno dei costi» ci dice Franco Costa.
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Due allestimenti realizzati da Costa Group. In alto, un’area dello spazio espositivo di Costa Group all’edizione 2019 di HOST a Milano Fiera. In basso, Pane & Trita a Villasanta, MB (photo © Costa Group).
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foto, scatti, progetti, disegni e bozzetti. Una sorta di enorme mappa concettuale che Costa ha proiettato all’esterno, e della quale si circonda. Lui e i suoi dipendenti sono veramente gli uomini e le donne del fare, perché da qui si pensano e si realizzano progetti che sono tutti accomunati da una cosa ben precisa: “la magia del rapporto umano”, che è proprio l’elemento che oggi il distanziamento sociale condanna. Come state vivendo questi mesi? «Le informazioni per la ripartenza sono ad oggi confuse, spesso accompagnate da annunci precipitosi che da un lato allarmano e, dall’altro, ci spingono ad immaginare scenari nuovi ai quali dobbiamo rispondere e reagire cercando di non perdere la passione e il senso di convivialità che da sempre legano cibo e divertimento, la vera arte di vivere la tavola all’italiana». L’HO.RE.CA. è tra i comparti che ha pagato il prezzo più caro di questa pandemia. «Assolutamente sì. Il Covid-19 ha spinto al limite della resistenza le aziende dell’HO.RE.CA., senza dimenticare che gli ultimi anni non sono stati facili e molte imprese hanno vissuto pesanti crisi. Innegabilmente il pubblico, provato il food delivery e i sistemi di ordine on-line, ora dovrà essere pian piano rieducato alla socialità e ad un rinnovato consumo fuori casa. Siamo certi, ad esempio, che il negozio di quartiere riconquisterà la propria centralità storica».
Tante macellerie, salumerie di quartiere, enogastronomie, sono già tornate ad essere un punto di riferimento per il quartiere e i suoi cittadini. «Verissimo, e questo è un gran bene. Per queste realtà potrebbe essere arrivato davvero il momento giusto per riprogrammarsi inserendo magari la cucina, la preparazione di piatti da asporto, con la cura e l’attenzione al packaging monouso. Oggi esistono sistemi di cottura integrata a ventilazione e microonde che possono essere di grandissimo aiuto». Che visibilità avete del futuro nella ristorazione e dei pubblici esercizi? «Chiaramente tutto dipende dai numeri del coronavirus e sinceramente non ho le idee chiare in tal senso. Ma una cosa la so: le soluzioni per affrontare questa nuova situazione nel nostro settore ci sono, anche se, come è ovvio che sia, hanno dei costi. Come Costa Group, in queste settimane di forzato stop, abbiamo pensato a come muoverci domani. Abbiamo lavorato su soluzioni innovative con un gruppo di amici imprenditori cercando di fare squadra. Ci troviamo davanti ad una partita difficile, i giocatori non si conoscono, non parlano la stessa lingua, non hanno mai giocato insieme, ma devono vincere. Insomma, sarà fondamentale essere più bravi dei bravi nel fare». Quali sono le aree di studio? «Sono tre: i locali pubblici dai 30 agli 80 m2; la ristorazione e gli spazi di
ristorazione collettiva da 100 a 250 m2 e l’hôtellerie. Quest’ultimo è un settore che ha subito danni pesantissimi e che difficilmente recupererà margini quest’anno, data anche la tempistica della crisi che coinvolge la stagione estiva». Qual è l’ostacolo maggiore al ripensare un locale in questi termini? «Sicuramente il distanziamento è tremendo. In un locale, il rapporto umano tra il gestore e la clientela è alla base di tutto. Se pensiamo a dei pannelli separatori in un ristorante dobbiamo riprogrammarli come oggetto, come un bell’arredo o — perché no — come opera d’arte. Ma il futuro dell’uomo resta sempre quello di abbracciarsi, resta il contatto». E sull’esplosione del food delivery e dell’asporto cosa ne pensa? È un modello molto diffuso in altri Paesi (ad esempio Starbucks, con le sue file e la gente per strada con la propria tazza di cartone). «Il servizio crea comodità ma vuole mettere la magia del rapporto umano? Gli Italiani hanno un senso di appartenenza che è legato al bello e al buono. E questo non lo può certo fare Amazon!». Elena Benedetti Nota A pagina 34, Franco Costa al lavoro nel suo ufficio nella sede produttiva di Costa Group a Riccò del Golfo, La Spezia (photo © Costa Group).
#WeAreBack: il nuovo spot di Parmacotto in TV Torniamo alle origini. Torniamo a quello che conta. Torniamo a sorridere. Torniamo a correre. Torniamo liberi. Torniamo al lavoro. Torniamo a combattere. Torniamo in gioco. Torniamo a vincere. Torniamo autentici. È questo il frame narrativo con cui la storica azienda alimentare italiana PARMACOTTO torna in TV: non solo uno spot di un’azienda rinnovata, ma la storia di tutte quelle persone che dopo una battuta d’arresto non si sono fermate, che hanno continuato a combattere, a lavorare con impegno e tenacia, a testa alta. E non è un caso che il brand abbia scelto di tornare in comunicazione proprio adesso: attraverso la sua storia, Parmacotto vuole dare la carica a tutta Italia, a tutti coloro che sono chiamati a reagire per affrontare la nuova normalità e le nuove sfide attraverso una nuova consapevolezza. Il progetto #WeAreBack, uno spot on air da domenica 3 maggio pianificato sulle principali reti nazionali, testimonia l’impegno di Parmacotto nell’essere rimasta sempre in prima linea garantendo continuità, massima efficienza e sicurezza. «Abbiamo scelto di tornare in TV per raccontare la nostra nuova identità, chi siamo e come ci siamo arrivati e accompagnare il ritorno alla normalità di tutti gli Italiani che da mesi vivono una situazione estremamente complicata» ha detto l’AD di Parmacotto Andrea Schivazappa. «Per noi come azienda è fondamentale rispondere in modo reattivo a questo momento storico-politico difficile ed essere in prima linea su tutti i fronti. Abbiamo deciso di affrontare questa fase di emergenza con determinazione, impegno e senso di responsabilità per garantire la continuità del processo produttivo, il miglior servizio ai nostri clienti e la massima sicurezza ai nostri lavoratori, grazie all’adozione di efficienti misure preventive. Parmacotto con i suoi valori ha deciso di “esserci”, oggi più che mai, per testimoniare il ruolo strategico che la filiera alimentare ricopre in Italia». Con la direzione strategico creativa dell’agenzia di comunicazione The Ad Store Italia, la produzione di Filmmaster Production e IACOPO CARAPELLI alla regia, questo spot rappresenta per Parmacotto una sfida fra le sfide: è stata messa a terra una struttura produttiva in grado di girare autonomamente in diverse location, 6 set dislocati in 3 nazioni europee, coordinati da un’unica cabina di regia e di direzione creativa e con un team che ha lavorato interamente da remoto. «Il nostro racconto è il racconto di una marca che è tornata, a parlare, a rassicurare, a farsi portavoce di una ripartenza. Il linguaggio che abbiamo scelto è contemporaneo, capace di rivolgersi a un target più ampio, accogliendo anche le fasce più giovani, che saranno i consumatori di domani» ha sottolineato Gaia Gualerzi, direttore marketing di Parmacotto. • Link Youtube al video dello spot: youtu.be/9p7OuX25Dco
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Prosciuttificio IL CONTE S.r.l. Via Sant’Ambrogio, 4 – Fraz. Bazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR)
INTERVISTE
Al Berlinghetto: l’anima locale della salumeria bresciana diventa digitale Un’azienda che ha le radici ben piantate nella tradizione dell’arte norcina della Bassa Bresciana e che sposa la filosofia produttiva del km 0 può essere al contempo attivissima sui social, smart e interattiva? Il “si può fare” di Luigi Bellini e Paola Loda dell’Azienda Agricola Al Berlinghetto di Gaia Borghi
La gamma dei salumi artigianali prodotti dall’Azienda Agricola Al Berlinghetto, tra i quali spicca il Salame del Berlinghetto.
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o abbiamo scritto tante volte, lo avete letto altrettante. La tecnologia offre alla norcineria più tradizionale diverse opportunità per traghettare quel patrimonio che le è proprio di saper fare antico e bontà senza tempo nel futuro e, ancor prima, nel presente, nel nostro quotidiano, fatto di interazioni social, acquisti on-line, condivisioni virtuali. Il tutto senza perdere di vista nemmeno per un secondo l’autenticità dei prodotti, la loro storia e la loro narrazione e quei gusti e quei profumi che fanno della salumeria italiana un patrimonio riconosciuto a livello mondiale. Esempio perfetto di questo “si può fare” è l’azienda agricola Al Berlinghetto di Berlingo (da cui il nome), in provincia di Brescia. I Bellini si occupano di allevamento suino dagli inizi degli anni ‘50, ma è solo nel 2005, con l’ingresso in azienda del figlio LUIGI, che ha avuto inizio l’attività di trasformazione delle carni in salumi tipici del Bresciano e la loro vendita al pubblico. Le basi? Animali di proprietà, solo italiani, selezionati secondo il Disciplinare del Prosciutto di Parma e San Daniele DOP, alimentati con cereali e mais provenienti dalle proprie coltivazioni, accrescimento graduale e macellazione dei capi al raggiungimento dei 220/240 kg di peso in un piccolo macello CE poco distante dalla sede aziendale, con rientro in giornata delle mezzene. La lavorazione della carni avviene nel laboratorio interno alla cascina che ospita l’azienda agricola e, seguendo le ricette della salumeria bresciana, nascono gli insaccati della tradizione locale da scegliere tra: • gli Stagionati, tra i quali spicca il Salame del Berlinghetto, sapore dolce e gusto delicato, premiato in diversi concorsi e fiere a carattere nazionale e europeo; • i Cotti, da non perdere la squisita mortadella fatta col grasso di gola e tagli scelti di spalla e coscia Medaglia d’Oro a IFFA 2019; • i Salumi da pentola, con tanto di classica triade “religiosa” composta da Monsignore, Prete e Vescovo, e l’Osso dello stomaco con sopressa, da mangiare insieme a mostarde o giardiniere.
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Luigi Bellini e la compagna Paola Loda. Per la loro insaporitura vengono utilizzati sale marino, spezie ed erbe aromatiche (no fonti di glutine e derivati del latte); l’insacco e la legatura sono effettuati a mano e la stagionatura avviene in ambienti che riproducono le condizioni delle cantine naturali, consentendo la formazione spontanea di quelle muffe tanto preziose per la bontà finale del prodotto. Operazione followers Quando sarà di nuovo possibile spostarsi dalla propria casa, comune, provincia, regione, giungendo Al Berlinghetto potrete effettuare una visita guidata, trovare un punto vendita dove fare incetta di prodotti e un’area degustazione. Lì potrete fermarvi per assaggiare i diversi salumi accompagnandoli con un ottimo bicchiere di vino, pardon, bollicine locali (e se la vocazione enologica della Franciacorta si fa risalire all’epoca longobarda ci sarà un perché…) o partecipare ad
uno dei tanti eventi, aperitivi o serate a tema organizzati da Luigi Bellini nel corso dei vari mesi. Ma non è finita qui. Perché, se nel mondo “reale” le proposte di questa azienda possono dirsi “complete” da diversi punti di vista, è nel mondo “virtuale” che emergono le differenze rispetto ad altre imprese simili. Al Berlinghetto è infatti innanzitutto presente on-line con un sito web ricchissimo di contenuti (www.alberlinghetto.it): per fare un esempio, nel sito c’è un’area dedicata alle ricette, tantissime, realizzate con la collaborazione di food blogger e chef, viene data la possibilità di iscriversi alla newsletter per restare informati su tutte le novità aziendali in programma e, naturalmente, non manca lo shop on-line (www.alberlinghetto.it/ shop) per l’acquisto da casa secondo l’innovativo sistema “Pay After Weight”, messo in pista direttamente da Luigi Bellini e PAOLA LODA, che segue la parte tecnica e creativa dell’intero progetto.
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limitati o spesso impossibili da effettuare. Una necessità di oggi da mantenere, trasformandola in opportunità di crescita.
Al Berlinghetto, gli ambienti di stagionatura dei salumi riproducono le condizioni delle cantine, favorendo la formazione spontanea delle muffe. Lo stesso si può fare attraverso la pagina Facebook (www.facebook.com/ alberlinghetto), anche questa sempre aggiornata e ricca di foto e contenuti, e la pagina Instagram (www.instagram. com/al_berlinghetto): in entrambi i casi si viene reindirizzati immediatamente all’e-shop ufficiale, certificato tra l’altro dal Consorzio Netcomm*, nel quale si trovano spiegazioni esaustive sulle
modalità di funzionamento dello stesso e le condizioni di vendita, le spese di spedizione, una scheda sugli allergeni e le recensioni degli utenti. Insomma, un lavoro davvero ben fatto, a tutto vantaggio del cliente e dell’azienda, validissimo non solo ora, in questo difficilissimo momento storico legato al contenimento dell’emergenza sanitaria in cui gli spostamenti sono
Grazie all’e-commerce i salumi firmati Al Berlinghetto arrivano dai clienti in 48/72 ore su tutto il territorio nazionale. Si spera di tornare presto alla quotidianità perduta, agli aperitivi serali, alle collaborazioni B2B coi ristoranti e alle visite guidate in sede, ma si continuerà a investire comunque in questo nuovo canale di vendita
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Luigi, innanzitutto come vanno le cose per la vostra attività dall’inizio dell’emergenza? «Beh, sicuramente l’emergenza Covid-19 ci ha costretti, come tutti, a rivedere e ripianificare un po’ tutto il nostro lavoro. Fortunatamente abbiamo sempre lavorato, essendo in agricoltura e producendo generi alimentari, ma ovviamente a regime ridotto: sia di personale, in quanto nel nostro team diversi sono i mastri norcini over 65 che contribuiscono con la loro esperienza e professionalità, ma anche dal punto di vista della produzione, perché il blocco nelle proprie abitazioni ha causato un brusco freno nelle vendite. D’altro canto, il canale virtuale dell’e-commerce, messo in pista lo scorso settembre 2019 con la mia compagna Paola Loda, in questo periodo di grande emergenza è riuscito a darci una boccata di ossigeno su un fatturato in netto calo rispetto agli anni passati. Questa abilità di rimboccarsi le maniche e far fronte ad una crisi senza precedenti (e come noi tantissimi di nostri colleghi) è servita ma non può essere l’unica strada! Ci auguriamo quindi di tornare presto alla quotidianità perduta, agli aperitivi serali, alle collaborazioni B2B con i ristoranti ed alle visite guidate in sede, continuando comunque ad investire e migliorare in questo nuovo canale di vendita che, seppur di recente costituzione, già occupa una fetta molto importante nella vita lavorativa dell’Azienda Agricola Al Berlinghetto». Come vi siete organizzati a livello lavorativo? «Per quanto riguarda la mera produzione tutto è rimasto invariato ma, tengo a precisare, nel rispetto delle recenti norme di sicurezza, quindi con operazioni straordinarie di sanificazione degli ambienti e degli strumenti di lavoro e dotazione a carico dell’azienda di mascherine e protezioni di sicurezza. Sul piano delle vendite, invece, il lavoro di Paola è stato “informatico ed informativo”, poiché l’intero nostro ecommerce è stato realizzato internamente e secondo il nostro nuovo modello di
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L’e-commerce dell’Azienda Agricola Al Berlinghetto segue il modello di business innovation “Pay After Weight”: realizzato da Luigi e Paola, si è dimostrato ideale per un’azienda i cui prodotti sono artigianali, unici, quindi non hanno un peso standard. business innovation “Pay After Weight”, letteralmente “pagare dopo il peso” (con questo progetto siamo tra l’altro candidati al Netcomm Award 2020), quindi si è trattato di far sapere a tutti che i salumi dell’Azienda Agricola Al Berlinghetto ora arrivano a casa tua in 48/72 ore su tutto il territorio nazionale, ma è stato altrettanto fondamentale operare in termini di correttezza e trasparenza nei confronti del cliente. Il nostro prodotto è un articolo artigianale e pertanto unico e la sua quotazione avviene previa pesatura: aspetti questi che vanno in conflitto con la vendita rapida ed immediata on-line, ma con questo sistema siamo stati in grado di rendere accessibile davvero a chiunque l’acquisto di salumi di nicchia pagando effettivamente ciò che si riceve a casa». Paola, quando è stato attivato lo shop on-line e in che percentuale influisce sulla vendita totale dei prodotti? «Il progetto di realizzare da zero uno strumento di vendita on-line che potesse viaggiare di pari passo con la vendita in-store si protrae da qualche anno, ma sicuramente la data di settembre 2019 è quella che più rispecchia questo traguardo. Per questo motivo siamo così orgogliosi, perché in così poco tempo più di 3000 ordini sono stati consegnati con uno 0% di reso! Il numero medio di ordini ricevuti al mese e concluso con esito positivo si aggira attorno a 250, l’80% dei quali provenienti da fuori chilometraggio per azione.
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Altro aspetto fondamentale che ci ha aiutato a ritagliarci uno spazio importante nel mercato digitale sono le recensioni: soprattutto per i nuovi clienti che non conoscono i nostri prodotti, leggere di altri utenti che hanno comprato e che sono rimasti soddisfatti è un incentivo molto valido a concludere l’acquisto. Le recensioni, inoltre, sono tutte certificate e autenticate. Ad oggi abbiamo più di 200 recensioni con un punteggio di 4,8 su 5 ed una valutazione eccellente del nostro servizio: dalla proposta dello shop (facilità di acquisto e chiarezza delle informazioni) al customer care, alla spedizione (tempistiche e packaging) oltre ovviamente alla valutazione del prodotto!». La scelta di essere attivamente presenti sui canali social, Facebook e Instagram, vi sta ripagando in termini di fidelizzazione e crescita della clientela? «La comunicazione con i clienti e potenziali tali avviene prevalentemente sui canali social, attraverso i quali, oltre a raccontare di noi, permettiamo loro di entrare a far parte del nostro mondo, apriamo le porte di produzione, eventi, ricette, momenti personali che amiamo condividere. Credo che l’insieme di queste cose sia la chiave del nostro successo e dell’affetto che riscontriamo quotidianamente. Chi ci segue non vede solo un’azienda ma qualcuno di famiglia, ci mettiamo la faccia: siamo semplicemente noi e le persone sanno che quando ci contattano siamo noi che rispondiamo. Il rapporto umano tipico della compravendita
offline, messo a servizio nel mondo digitale, e questa cosa funziona». Sull’e-shop quali sono i prodotti più venduti e apprezzati? «Questa è una domanda difficile perché in realtà non abbiamo dei prodotti più gettonati; essendo prodotti alimentari molto lo fa il gusto e le abitudini alimentari del cliente; inoltre, abbiamo dei prodotti come hai giustamente citato prima “stagionali” (Prodotti da Pentola), quindi posso dire che nel periodo invernale novembre/dicembre spopolano cotechino, sopressa, prete, vescovo, ecc.. ma sicuramente l’articolo più venduto rimane il Salame del Berlinghetto, nostro cavallo di battaglia e marchio identificativo della nostra azienda. Tanti clienti acquistano questo prodotto come primo ordine, giusto per conoscerci, e beh… poi riacquistano spaziando tra le varie categorie di salumi di nostra produzione». Gaia Borghi Azienda Agricola Al Berlinghetto Via Esenta 7 25030 Berlinghetto (BS) Telefono: 030 997 3648 Web: www.alberlinghetto.it Nota * Netcomm, Consorzio del Commercio Digitale Italiano, è un punto di riferimento in materia di e-commerce e retail digitale nel panorama nazionale. Nato nel 2005, riunisce oltre 400 aziende composte da società internazionali e piccole-medie realtà di eccellenza.
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Il Gruppo Felsineo esprime il proprio grazie agli operatori sanitari dei reparto Covid-19 dell’Ospedale Bellaria di Bologna Il gusto pieno e unico della mortadella bolognese per esprimere la riconoscenza agli operatori del reparto Covid-19 dell’Ospedale Bellaria di Bologna. “In questi ultimi mesi, in cui le immagini drammatiche della pandemia hanno rubato la scena a qualsiasi genere di notizia, abbiamo scoperto di avere tra noi degli angeli capaci di cose straordinarie, di lasciare indietro tutti i propri interessi, di mettere all’ultimo posto il proprio io per combattere un nemico vigliacco ed invisibile, per salvare vite umane, fino allo stremo delle proprie forze. A questi angeli, medici ed infermieri in prima linea, pieni di coraggio e di dedizione verso il prossimo, dedichiamo il nostro pensiero in questo primo maggio 2020. A loro, che con il personale sacrificio incondizionato e con un prezzo altissimo, ci hanno dato la forza di combattere e di pensare che ce l’avremmo fatta, che ci dovevamo credere, perché qualcuno stava sacrificando la propria vita per farcela, perché allora ne valeva la pena. A loro, che prima ancora che lavoratori sono uomini e donne meravigliosi, ricchi di tutto ciò che di più importante c’è nella vita. A loro offriamo un piccolissimo segno di riconoscenza, frutto del lavoro del nostro Gruppo, di tutti noi, singoli individui che, uniti insieme, ciascuno con il proprio compito, riusciamo a portare a termine un processo per il raggiungimento di un obiettivo comune. Perché nella guerra contro il nemico di oggi abbiamo capito con estrema chiarezza che da soli non possiamo vincere, che soltanto uniti possiamo farcela, ognuno per la propria parte, con responsabilità e grande senso civico”. È questo il pensiero di Felsineo, storico salumificio di Zola Predosa (BO). Un carico con circa 400 confezioni di mortadelle La Sciccosa è infatti stato inviato proprio il giorno prima della festa dei lavoratori agli operatori sanitari del reparto, coi ringraziamenti del gruppo guidato da EMANUELA e ANDREA RAIMONDI: “Ci piace così, proprio con un prodotto per noi simbolo di questo legame, fare omaggio agli eroi italiani del nostro tempo”. La Sciccosa è la mortadella di filiera 100% italiana firmata FDAI, il marchio “Firmato Dagli Agricoltori Italiani” che promuove in Italia e nel mondo progetti delle Filiere Agroalimentari Italiane, finalizzati a garantire al consumatore una completa tracciabilità del prodotto a garanzia del rispetto dei valori etici, a sostegno di agricoltori e allevatori. “Allora grazie, nostri angeli, un grazie immenso, dal più profondo del cuore, per il vostro coraggio, per il vostro altruismo, per la vostra professionalità, per la vostra forza, per la vostra passione, per essere, prima ancora che lavoratori, uomini e donne veri”. >> Link: www.felsineo.com
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Tradizione e genuinità dal 1910
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MERCATI
L’EXPORT DEI SALUMI ITALIANI NEL 2019 BUONE LE PERFORMANCE DI MORTADELLE, SALAMI E PANCETTE. IN SOFFERENZA IL PROSCIUTTO CRUDO. PAESI EXTRA-UE: CRESCITA A DUE CIFRE PER STATI UNITI E CANADA
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allenta l’export di salumi nel 2019: nel complesso dei dodici mesi passati, secondo le elaborazioni di ASS.I.CA. – Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi aderente a CONFINDUSTRIA — sui primi dati ISTAT, le nostre esportazioni si sono fermate a quota 181.142 tonnellate (–0,3%), per un valore di 1.568 milioni di euro (+1,4%). Sulla performance complessiva del settore ha pesato l’importante aumento dei prezzi della materia prima sia estera che nazionale, dovuto all’esplosione della Peste Suina Africana (PSA) in Cina che ha fatto aumentare notevolmente le importazioni di carni suine da parte di Pechino. L’aumento record dei costi di produzione, il deterioramento del clima politico internazionale e in particolare le difficoltà evidenziate dal commercio mondiale hanno rappresentato un freno
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importante per le esportazioni dei salumi italiani. In difficoltà sono apparse le spedizioni verso l’Unione Europea, mentre più dinamico è risultato l’export verso i Paesi Terzi, in particolare gli USA, nonostante a partire dal 18 ottobre i dazi aggiuntivi del 25% voluti da TRUMP abbiano colpito anche salami, mortadelle e prodotti cotti provenienti dall’Italia. Il saldo commerciale del settore ha registrato un +0,9% per 1.354 milioni di euro. Le esportazioni del comparto, in termini di fatturato, hanno mostrato un passo più lento rispetto all’insieme dell’industria alimentare (+5,2%) e a quello del Paese (+1,7%). «Il risultato dell’export non è una sorpresa: il 2019 è stato un anno difficile, un anno che, prima dell’emergenza coronavirus, abbiamo definito come la “tempesta perfetta”» ha affermato NICOLA LEVONI,
presidente di ASS.I.CA., commentando i dati relativi alle esportazioni di salumi italiani nel 2019 recentemente diffusi da ISTAT. «Nel corso del 2019, il forte incremento dei costi della materia prima dovuto all’esplosione della domanda cinese, seguita alla diffusione della PSA in Oriente, ha creato uno shock nel mercato delle carni suine. Le aziende si sono trovate a fronteggiare, da un lato, costi della materia prima arrivati a livelli record e, dall’altro, un mercato sia interno sia estero in difficoltà. La Brexit, il rallentamento registrato da alcune grandi economie della UE, i conflitti internazionali, le tensioni commerciali che hanno contrapposto i grandi blocchi geopolitici (USA-CINA e USA-UE) hanno raffreddato gli scambi internazionali, penalizzando in particolare i prodotti del made in Italy e fra questi i salumi.
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Pancetta: con mortadella e salami conferma la buona performance sui mercati esteri. Ottimo risultato per l’export di quella stagionata: +4,9%, per 5.875 tonnellate, e +20,2%, per circa 51,2 milioni di euro (photo © Studio S).
Guardando ai principali mercati di destinazione per i nostri salumi devo soffermarmi sulla vicenda USA — ha proseguito Nicola Levoni — i dazi aggiuntivi del 25% decisi dall’Amministrazione Trump a seguito della sentenza WTO in merito alla vicenda Airbus-Boeing hanno colpito salami e mortadelle, ovvero i prodotti che stavano performando meglio sul mercato americano e ne hanno raffreddato la crescita. E proprio mentre siamo chiamati ad affrontare un’emergenza ancora più grande, quella del coronavirus, non possiamo non sollecitare interventi per rimuovere le barriere commerciali e agevolare gli scambi fra tutti i player dell’economia globale. In quest’ottica credo sia importante rilanciare il dialogo con la Russia e porre molta attenzione ai negoziati sulla Brexit, oltre a risolvere rapidamente la questione dazi USA. Le vicende che abbiamo vissuto nel 2019, e forse ancora di più quelle che stiamo vivendo oggi, ci impongono di ragionare in un’ottica di sostegno reciproco tra i popoli in una situazione di
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epocale difficoltà. Il lockdown nel nostro Paese e in molti Paesi di riferimento per le nostre esportazioni ci pone in una situazione di estrema vulnerabilità. Siamo convinti che agevolare gli scambi sia una leva importante per superare questo momento di difficoltà e tutelare l’intera filiera. I danni subiti da tutte le parti in causa — dall’allevamento alla distribuzione — stanno, infatti, mettendo a rischio la filiera del suino pesante e con esso tutte le produzioni della tradizione salumiera italiana». Focus sui prodotti 2019 in flessione per le esportazioni di prosciutti crudi stagionati: gli invii di prodotti con e senza osso si sono fermati a quota 68.351 tonnellate dalle 70.586 tonnellate del 2018 (–3,2%), per un valore di 742,1 milioni di euro (–2,1%). Il saldo commerciale della voce ha evidenziato una diminuzione rispetto al 2018, scendendo a 674,9 milioni di euro da 689,7 dell’anno precedente (–2,1%). Discreto risultato per l’export di mortadella e würstel: +2,6% in quantità, per 40.376 tonnellate, e +7,0% in valore, per 149,3 milioni di euro. Buona performance nel 2019 per le esportazioni di salami, che hanno raggiunto quota 34.066 tonnellate (+3,2%), per 336,6 milioni di euro (+4,4%). Sono tornate a crescere, ma solo in valore, le spedizioni di prosciutto cotto, che nei dodici mesi passati si sono fermate a quota 19.108 tonnellate (–3,7%), per un valore di 139,6 milioni di euro (+2,6%). Ottimo risultato per l’export di pancetta stagionata: +4,9%, per 5.875 tonnellate, e +20,2%, per circa 51,2 milioni di euro. Hanno chiuso, infine, in contrazione le esportazioni di bresaola, fermatesi a 3.797 tonnellate (–3,5%), per un valore di 63,6 milioni di euro (–2,9%).
Focus sui Paesi dell’Unione Europea ed Extra-UE UE: 2019 opaco per l’export di salumi Le esportazioni di salumi verso la UE hanno registrato un –1,3% in quantità, per 143.100 tonnellate, ma un +0,6% in valore, per circa 1.212 milioni di euro. Sull’export verso i partner comunitari hanno pesato da un lato il rallentamento economico di molti Paesi dell’area, dall’altro l’incremento del prezzo medio dei prodotti dovuto all’eccezionale aumento del costo della materia prima. • All’interno del mercato unico, le spedizioni verso la Francia hanno mostrato una flessione in quantità ma una crescita in valore (–2,9% per 33.973 tonnellate ma +1,8% per circa 287 mln di euro). Il Paese è sceso al secondo posto nella classifica dei nostri partner commerciali, dietro alla Germania, sia per volumi sia per valori. • In calo l’export verso la Germania: –0,8%, per 34.108 tonnellate, e –1,1% per 327,5 mln di euro. • In crescita, ma solo con riferimento alle quantità, le spedizioni verso il Regno Unito (+3,3% in quantità, per 16.596 tonnellate, ma –1,0% in valore, per 166,4 mln di euro). • Positiva la performance verso la Spagna, che ha visto gli arrivi dei nostri salumi salire a quota 6.647 tonnellate (+2,1%), per un valore di 31,3 milioni di euro (+0,3%) rispetto al 2018. • Segno meno per le spedizioni verso l’Austria (–8,7%, per 8.009 tonnellate, e –7,2% per 66,3 mln di euro), mentre buone notizie sono arrivate dal Belgio (+3,8% per 8.454 tonnellate e +5,6% per 89,4 mln di euro), dalla Grecia (+7,3% e +6,5%) e dalla Croazia (+1,1% e +3,9%).
L’Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi (ASS.I.CA.) è l’organizzazione nazionale di categoria che, nell’ambito di Confindustria, rappresenta le imprese di macellazione e trasformazione delle carni suine. Nel quadro delle proprie finalità istituzionali, l’attività di ASS.I.CA. copre diversi ambiti, tra cui la definizione di una politica economica settoriale, l’informazione e il servizio di assistenza ai 170 associati in campo economico/ commerciale, sanitario, tecnico normativo, legale e sindacale. >> Link: www.assica.it
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Buona la crescita Extra-UE Buona crescita degli scambi con i Paesi Extra-UE nel 2019: +3,7%, per 38.042 tonnellate dalle 36.700 tonnellate del 2018, e +4,2%, per un valore di 356 milioni di euro. Durante l’anno, l’andamento degli scambi con i Paesi Terzi ha risentito delle tensioni commerciali che hanno contrapposto i diversi blocchi geopolitici: Cina e USA in primis, ma anche USA e UE. La decisione dell’amministrazione Trump, a seguito del pronunciamento WTO in merito alla controversia AirbusBoeing, di imporre dazi aggiuntivi su una serie di prodotti esportati da Paesi dell’Unione Europea ha colpito anche la salumeria italiana, in particolare salami, mortadelle e prodotti cotti ai quali, a partire dal 18 ottobre, è stata applicato un dazio aggiuntivo del 25% ad valorem. Nonostante i dazi aggiuntivi, l’export verso gli Stati Uniti, nostro principale partner commerciale fuori dalla UE, ha registrato nel 2019 un ottimo risultato: +10,5% per 10.958 tonnellate e un +8,2% a valore, per oltre 125,9 mln di euro. In Nord-America importante aumento a due cifre per gli invii verso il Canada (+30,2% e +33,7%), grazie al boom negli invii delle pancette stagionate e ai risultati di prosciutti cotti e mortadelle. 2019 in crescita anche per le esportazioni verso la Svizzera: +2,7% per 4.931 tonnellate e un +3,0% per oltre 77 mln di euro. Trend cedente per l’export verso il Giappone: –8,1% in quantità per 3.775 t e –6,6% in valore, per 37,3 milioni di euro. Ottimo 2019 per le spedizioni verso Bosnia Erzegovina (+8,9% e +11,4%), Brasile (+30,8% e+29,5%) e Repubblica Sudafricana (+77,3% e +66,1%). Hanno chiuso, infine, con un incremento significativo in volume le spedizioni verso la Norvegia (+14,5% ma –1,8%), mentre sono risultati in calo gli invii verso Libano (–3,6% in quantità e –8,4% in valore), Hong Kong (–2,4% e –4,9% in valore) e Federazione Russa (–49,1% in quantità, per 264 tonnellate, e –42,2% in valore, per 3,1 milioni di euro), le cui importazioni restano limitate a causa dell’embargo. Fonte: ASS.I.CA.
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Salame Cacciatore Italiano Dop, nel 2019 incremento della produzione dell’8,9% rispetto all’anno precedente È un dato di fatto che il Salame Cacciatore Italiano continui ad essere sempre più presente sulle nostre tavole per le sue qualità garantite dalla Dop e il suo gusto inconfondibile, dolce e delicato, apprezzato dai consumatori di ogni età. Infatti, nel 2019, sono stati prodotti 3.670.156 kg di Salamini Italiani alla Cacciatora Dop, circa 300.000 kg in più rispetto al 2018, pari ad un aumento della produzione dell’8,9%. Grazie alle sue caratteristiche — la piccola pezzatura del salame intero (in media 150-200 g) e il pratico formato preaffettato in vaschetta, che ne aumentano il livello di servizio e abbattono gli sprechi — il Cacciatore Italiano Dop è ideale per il consumo in casa e fuori: per un pranzo veloce, uno snack, una merenda o un aperitivo. Sul fronte export, risulta che il 26% sul totale del venduto di Salamini Italiani alla Cacciatora Dop abbia varcato i confini nazionali. L’UE si conferma il principale mercato di riferimento, con una quota pari all’88,5% del totale esportazioni, pari a circa 450.000 kg. I Paesi più performanti in assoluto sono stati Germania (55%), Belgio (9,5%), Austria e Francia. Per quanto riguarda invece i paesi Extra-UE, si conferma al primo posto la Svizzera, con il 9%. A conferma della rilevanza strategica di Germania e Belgio nel processo di internazionalizzazione della Dop, primi Paesi di esportazione, il Consorzio è attualmente impegnato in programmi di promozione e valorizzazione del prodotto in questi Paesi. Per quanto riguarda i canali di distribuzione, al primo posto si conferma la GDO, con il 55% (in foto, fette di Salamino italiano alla Cacciatora Dop prodotto dalla Villani Spa).
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ANALISI DI SETTORE
VINO,
INDAGINE VINITALY-NOMISMA
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L’analisi dell’Osservatorio VinitalyWine monitor Nomisma vede buone prospettive per il settore dopo il ritorno alla normalità, compatibilmente con il reddito. Resta alta la fedeltà degli Italiani verso il consumo di vino (photo © OlesyaSH – stock.adobe.com).
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ulla sarà come prima”, il refrain postemergenza, non vale per il popolo del vino: i consumatori italiani (l’85% della popolazione) si dichiarano infatti in buona sostanza fedeli alle proprie abitudini già a partire dalla fase 2, compatibilmente con la loro disponibilità finanziaria. Nel frattempo, non è come prima la dinamica dei consumi in regime di lockdown: il bicchiere è più mezzo vuoto che mezzo pieno e la crescita degli acquisti in GDO non compensa comunque l’azzeramento dei consumi fuori casa. E se il 55% dei consumatori non ha modificato le proprie abitudini, tre su dieci affermano invece di aver bevuto meno vino (ma anche meno birra) in quarantena, a fronte di un 14% che indica un consumo superiore. Lo afferma l’indagine — la prima a focus emergenza a cui ne seguiranno altre nei prossimi mesi — a cura dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor “Gli effetti del lockdown sui consumi di vino in Italia”, realizzata su 1.000 consumatori di vino della popolazione italiana. Il “dopo” sarà come “prima” per l’80% dei consumatori. O più di prima, con i Millennials che prevedono un significativo aumento del consumo in particolare di vini mixati (il 25% prevede di aumentarne la domanda), a riprova della voglia di tornare a una nuova normalità con i consueti elementi aggreganti, a partire dal prodotto e dai suoi luoghi di consumo fuori casa (ristoranti, locali, wine bar), che valgono una fetta di 1/3 del campione in termini di volume (il 42% tra i Millennials). Il vino — evidenzia l’indagine — non può dunque prescindere dal suo aspetto socializzante, se è vero che la diminuzione riscontrata è da addurre in larga parte (58%) al regime di isolamento imposto dall’emergenza Covid-19 che ha cancellato le uscite nei ristoranti, le bevute in compagnia e gli aperitivi. Per contro, chi dichiara un aumento ha scelto il prodotto enologico quale elemento di relax (23%, in particolare donne del Sud), da abbinare alla
buona cucina di casa (42%), specie tra gli smart worker del Nord. Per il DG di Veronafiere, GIOVANNI MANTOVANI: «Se poco sembra modificarsi nelle abitudini al consumo — e questa è una buona notizia —, le imprese del vino sono invece chiamate a profondi cambiamenti, alle prese con la necessità di reagire alle tensioni finanziarie e allo stesso tempo di difendersi dalle speculazioni. Il mercato e i suoi nuovi canali di riferimento saranno le principali cure per un settore che oggi necessita di un outlook straordinario sulla congiuntura e di un partner in grado di fornire nuovi orizzonti e soluzioni. Come Veronafiere — ha concluso Mantovani — da qui ai prossimi mesi vogliamo prenderci ancora di più questa responsabilità a supporto del settore». In generale la quarantena sembra aver appiattito anche gli stimoli alla conoscenza, con la sperimentazione delle novità di prodotto in calo sul pre-lockdown (dal 73% al 59%), la preferenza verso i piccoli produttori (dal 65% al 58%), i vini sostenibili (dal 65% al 61%) e gli autoctoni (dall’81% al 76%). Tendenze queste che, a detta degli intervistati, torneranno identiche a prima nel post quarantena. Ciò che è cambiato, ma è da verificare se lo sarà anche in futuro, è la preferenza del canale di acquisto on-line, balzata dal 20% al 25%. Per il responsabile di Nomisma Wine Monitor, DENIS PANTINI: «Per quanto il lockdown abbia cambiato modalità di acquisto e consumo di vino da parte degli Italiani, il desiderio di ritornare “ai bei tempi che furono” sembra prevalere sull’attuale momento di crisi e su comportamenti futuri che giocoforza saranno improntati ad una maggior precauzione e distanza sociale. Si tratta di un asset molto importante in termini di fiducia sulla ripresa, anche perché il crollo stimato sul PIL italiano per i mesi a venire rischia di avere impatti sui consumi in considerazione di una domanda rispetto al reddito che nel caso del vino risulta elastica, e come tale, a rischio riduzione in virtù della recessione economica». Fonte: Servizio Stampa Veronafiere
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L’ETERNO DILEMMA TRA UN PASSATO (OLTREMODO) PRESENTE E UN FUTURO CHE TARDA AD ARRIVARE Il consumatore chiede i cibi così come li faceva la nonna, ma non rinuncia a soluzioni culinarie che gli permettano di risparmiare tempo e denaro ed evitare sprechi. Ed è così che l’industria alimentare guarda al nuovo di Sebastiano Corona
Secondo ASS.I.CA., nel 2018, il salame italiano ha registrato un aumento nella produzione, giunta a 112.000 tonnellate (+0,8%), per un valore pari a 944 milioni di euro (photo © Gianni Beretta).
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n un Paese come il nostro, che ha fatto della sua tradizione a tavola l’elemento principale di marketing, il tema dell’innovazione è sempre un argomento scottante. Tutto ciò che viene dal passato è infatti considerato, a torto o a ragione, quanto di più prezioso un popolo possa avere. Ed effettivamente, anche per stare sul tema del mercato, il prodotto tradizionale riesce a distinguersi e conseguentemente a farsi apprezzare in un contesto fortemente globalizzato. Ma lo stesso mercato che vuole specialità regionali e cibi pregiati, chiede anche una serie di altri elementi che rispondano alla vita odierna, decisamente diversa da quella dei nostri nonni. Il dilemma che ne deriva è, dunque, se la tradizione possa in qualche modo essere trasgredita e rivisitata in chiave moderna. E, quindi, se un prodotto tradizionale possa subire delle modifiche o debba rimanere immutato, così come ci è stato consegnato dai nostri avi. La risposta è in realtà presto data: se non viene innovato, anche il prodotto tradizionale muore. La letteratura è piena di esempi di cibi che oggi conosciamo come tradizionali ma che, nella loro storia, contano una o più modifiche. Anzi, se non fosse per le variazioni di prodotto o di processo che hanno subito nel tempo, molti piatti della nostra cucina che hanno una lunga storia sarebbero probabilmente scomparsi. Ogni prodotto, compreso quello tradizionale, piaccia o meno, per sopravvivere non può essere né completamente fisso, né mai completamente nuovo. Eppure, in un Paese fortemente legato al passato come il nostro, è opinione comune, seppur talvolta sottaciuta, che l’innovazione implichi in qualche modo una perdita di genuinità, persino quando riguarda il miglioramento delle condizioni igieniche di lavoro. Come se la tradizione avesse una ragion d’essere per principio, superiore a quella dell’introduzione di varianti, siano esse dettate dal mercato, dalle nuove abitudini di vita o, addirittura, dalla legge. Come se le due cose — tradizione e innovazione — non potessero convivere senza un decadimento della qualità del cibo. A mettere pace non contribuisce di certo una discutibile propaganda che condanna la produzione industriale e standardizzata, come se produrre in
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quantità, con regole precise e modalità di lavoro predeterminate, si traducesse necessariamente in una perdita di qualità. Bisognerebbe però soffermarsi a pensare a cosa accadrebbe se producessimo davvero i cibi come una volta. Non sarebbe possibile rispettare standard di sicurezza e di igiene che oggi sono fortunatamente considerati minimi, perché obbligatori; avremmo tempi e costi di produzione insostenibili; non potremmo garantire le quantità che il mercato richiede. Standardizzare significa scegliere metodi regolari e costanti di produzione, al fine di ripetere lo stesso risultato nel tempo, anche nel caso del prodotto tradizionale. Un cibo che si presenta diverso ad ogni acquisto non permette la fidelizzazione del consumatore. Ma, soprattutto, avere dei processi produttivi standard significa tenere sotto controllo costi e benefici del singolo prodotto e poi, a cascata, di tutta l’impresa. Un altro mito da sfatare, anch’esso fortemente enfatizzato da una certa scuola di pensiero, è la bontà del “fatto a mano”, che resta, nell’immaginario collettivo, un enorme valore anche nell’alimentare, a dispetto della preziosa evoluzione tecnologica che consente oggi di fare molte cose, con quella precisione e accuratezza di cui solo la mano dell’artigiano sembrava capace. E, per completezza d’informazione, è giusto dire che “fatto a mano” non necessariamente significa più igiene e più sicurezza, né va di pari passo con il conto economico aziendale o con un celere servizio al cliente. Certamente il fascino che genera è una preziosa leva di mercato, ma si traduce in numeri positivi di bilancio solo se è davvero funzionale alla qualità e se è un valore che si può spendere nel concreto. Se rimane un elemento nascosto non è più un investimento, ma un costo fine a sé stesso, con tutte le conseguenze del caso. Il fatto “come lo faceva la nonna” è certamente di grande fascino, ma oggi sarebbe impossibile da mettere in pratica in una produzione anche solo su bassa scala, laddove non fosse proprio proibita per legge. L’innovazione si può infatti introdurre su molti livelli: in termini di nuovi prodotti, di nuovi packaging, di diverse modalità produttive e molto altro
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Salume realizzato con carni magre di pollo (photo Š HandmadePictures – stock.adobe.com).
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ancora. Alcune di queste innovazioni rispondono ad esigenze di mercato, altre a questioni di sicurezza, ambientali o igienico-sanitarie, per citarne alcune. Le più evidenti, agli occhi di chi acquista, sono certamente quelle che riguardano il prodotto e il relativo packaging. Si pensi a quanto un certo tipo di confezionamento abbia allungato la vita del cibo a scaffale e dopo l’acquisto, mentre un tempo la stragrande maggioranza degli alimenti veniva venduta sfuso e andava consumata entro qualche giorno. Un esempio per tutti è quello del sottovuoto. Potrebbe oggi un taglio di carne giungere nelle nostre cucine da continenti diversi in assenza del sottovuoto o del surgelato? E che dire di quei preparati a base di molluschi già sgusciati che ci permettono di avere una composizione varia per primi piatti e altre pietanze? Questo metodo di conservazione, un’intuizione fondamentale per le produzioni alimentari, ha rappresentato una svolta nel mercato del cibo per migliaia di prodotti di diversa tipologia. Non esclusi quelli della
tradizione. Sino a qualche decennio fa i salumi si reperivano unicamente al banco del fresco, facendo la fila per acquistare qualcosa che andava consumato a stretto giro. Stessa cosa dicasi per pasta fresca, carne, formaggi e molto altro ancora. Ora tutto questo continua ad essere a disposizione nella gastronomia, ma è proposto anche con un packaging che, anche dopo l’acquisto, permette al cibo di avere una vita discretamente più lunga. Si possono così evitare sprechi, diradare gli ingressi al supermercato e programmare gli acquisti a più lungo termine. Senza rinunciare alla qualità. E a proposito di innovazione di prodotto e di ritmi di vita frenetici, sono incredibili le nuove proposte di preparati o precotti che vengono oggi incontro a chi ha poco tempo e magari anche scarse capacità in cucina. Il banco delle carni ne offre in gran quantità, con polpette, polpettoni, cotolette impanate, spiedini, hamburger e molto altro ancora. Ma non è da meno l’ittico, dove fioccano confezioni di zuppe, pesce condito, trasformati vari. O la pasta, il
riso, le verdure, che si possono trovare già pronte al consumo. Non a caso è boom della IV e della V gamma. E ancora, quanti sono i cibi che hanno perso o acquisito qualche ingrediente rispetto a un tempo? I salumi, per esempio, tendono oggi ad essere molto meno grassi di una volta, perché l’attenzione alle calorie e ai valori nutrizionali complessivi è elevatissima. In risposta alle crescenti patologie legate all’alimentazione, ecco che arrivano i cibi “senza” o “ricchi di” oppure per vegani o vegetariani. E in generale la tendenza è quella di ingentilire i sapori, sostituendo ingredienti o spezie che rendano un cibo più gradevole al palato. Si pensi per esempio al sego, un grasso di bovino un tempo molto utilizzato. Oggi, per una serie innumerevole di ragioni — non ultimo il suo sapore impattante — è quasi completamente sostituito da grassi vegetali o animali più versatili e amabili. La maniacale ricerca del prodotto meno calorico è la stessa che ha portato al dilatarsi dell’offerta di salumi fatti con carni magre come tacchino, pollo,
Essiccazione della pasta in cella (photo © lucia_lucci – stock.adobe.com). pecora, capra. Secondo ASS.I.CA., nel 2018, il salame italiano ha registrato un aumento nella produzione giunta a 112.000 tonnellate (+0,8%), per un valore pari a 944 milioni di euro. Nell’ambito della distribuzione moderna, invece, NIELSEN calcola che, nello stesso anno, il fatturato della categoria abbia raggiunto i 667 milioni di euro, con un incremento del 2,9%, in cui il segmento dei preconfezionati ha confermato le migliori performance di crescita, mentre le aziende continuano a investire su nuove proposte light. Il mercato della carne pronta da cuocere mostra trend di crescita a doppia cifra, premiando così gli investimenti delle aziende. Soprattutto quando affiancano alla rapidità della preparazione e della cottura altri elementi di vendita come il bio o fattori di naturalità, in generale. Secondo NIELSEN, il settore, che nell’ultimo anno ha registrato un incremento del 10% a volume e dell’11,6% a valore, conta complessivamente oltre 830 milioni di euro. Emergono gli hamburger di bovino (+35%) e la carne pronta da cuocere con lavorazione avicunicola di IV gamma (+10,2% a volume e +9,5% a valore nei supermercati e negli ipermercati +4% a volume e +5,1% a valore). È ragguardevole la performance delle soluzioni ad alto valore aggiunto, capaci d intercettare bisogni ancora
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inespressi. Le aziende si concentrano su prodotti benessere, biologici, antibiotic free e senza glutine. Il tutto, comunicando un’immagine meno artificiosa dell’offerta, ma fortemente innovativa da molti punti di vista. Nel settore ittico, dove è in atto lo stesso fenomeno, l’esigenza di maggior praticità è però meno soddisfatta. Secondo ISMEA, gli Italiani mangerebbero più pesce se solo fosse già pronto per la cottura. Il tempo e la competenza necessari per cucinarlo sono infatti i motivi principali per cui in tanti lo acquistano solo saltuariamente. In un andamentale complessivo altalenante, secondo NIELSEN i prodotti ittici freschi e decongelati preparati hanno messo a segno, a partire dal 2016 ad oggi, incrementi annui a quantità pari al 4,7%, 10,4% e 0,4%. Anche negli altri campi le innovazioni che non snaturano il prodotto, anzi lo valorizzano, sono infinite e ce n’è per tutti i gusti. Si pensi ai formaggi, oggi spesso disponibili in formati tascabili, che, per una merenda veloce, sono abbinati ai salumi, ai carboidrati o a un succo di frutta: una confezione pratica che può essere facilmente trasportata e consumata sul posto di lavoro, a scuola o nel tempo libero. E ancora: nel mondo della pasta, il prodotto italiano per eccellenza, si è passati dall’essiccazione all’aria aperta nelle vie dei paesini alle
celle statiche all’interno dei laboratori, superando problemi di sicurezza, igiene e processi di lavoro. Nel confezionamento, abbiamo lasciato la vendita a peso dello sfuso chiuso con la carta paglia a favore di pacchetti in cartoncino o sacchetti trasparenti. Mentre nel fresco, non fosse stato per il confezionamento in Atmosfera Protettiva, non avremmo potuto avere un banco ricco e vario di ogni prelibatezza semplice o farcita. E, molto più banalmente, sarebbe potuta arrivare sino ai giorni nostri un formato di pasta come quella al ferretto, presente, seppur con nomi diversi, in moltissime regioni d’Italia, se non fosse stata realizzata una macchina per riprodurla, mettendo da parte il ferro da maglia che usavano le nostre bisnonne? Sono solo esempi, ma mostrano quanto è stata preziosa per noi l’innovazione, anche in prodotti tradizionali. Impossibile, d’altronde, riportare anche solo i principali che nei decenni hanno riguardato processi produttivi, prodotti e packaging, senza dimenticare il fatto che l’innovazione può riguardare gli ambiti più svariati, dal marketing, allo sviluppo di nuovi prodotti, da processi diversi, a macchinari più all’avanguardia. Insomma, l’innovazione è indispensabile e vantaggiosa anche per un Paese come l’Italia che della tradizione vuole e deve fare il suo cavallo di battaglia. Sebastiano Corona
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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com
Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.
PRODOTTI TIPICI Salama da sugo, incontrastato simbolo della gastronomia ferrarese
LA BOSCA: QUANDO LA SALAMINA NASCE IN STALLA di Riccardo Lagorio
L
a reputazione gastronomica di Ferrara è, tra gli addetti ai lavori, vasta e antica. Merito della Corte Estense i cui banchetti, preparati dai più famosi cuochi di allora, hanno tramandato la celebrità sino ai giorni nostri. Dalle anguille ai cappelletti, dal vino del Bosco Eliceo al riso e alle innumerevoli maniere di cucinarlo: su tutte queste golosità certamente la più unica è la salama da sugo.
Un bel volumetto edito negli anni Novanta da parte della Camera di Commercio di Ferrara riporta un racconto, un atto d’amore, di MARIO SOLDATI nei confronti della salama da sugo. Già, ma cos’è la salama da sugo? Anzi, la salamina, come viene affettuosamente chiamata da quelle parti? Soldati la definisce “una sola cosa veramente buona. Raro caso di pietanza prelavorata e allo stesso tempo genuina, la salama è, per così dire, l’antenato dei
Salamina da sugo La Bosca con purè di patate (photo © www.labosca.eu).
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cibi conservati, confezionati e bell’e conditi”. Uno degli indirizzi migliori per conoscere quali sono gli antefatti e come viene preparata è l’azienda agricola di Flavio e Marcello Piazzi, La Bosca, a Codrea, pochi minuti fuori dalle mura cittadine. L’azienda agricola è nata prevalentemente per la produzione di pere, «anche se i suini sono sempre stati allevati» racconta il figlio Marcello. Ma nel 2010 viene costruita una vera e propria stalla, «perché la salama da sugo inizia da lì». Così, seguendo le indicazioni del Centro Ricerche Produzioni Animali di Reggio Emilia, viene progettato un ricovero per suini che prevede una metratura per soggetto pari a più del doppio di quello richiesto dalla legge relativa al benessere animale. «Se non avessimo potuto allevare i nostri maiali, non sarebbe stato possibile produrre la salama da sugo che noi vendiamo oggi» raccontano padre e figlio. Gli animali vengono allevati sino al peso che varia da 170 a 250 kg «in quanto la carne matura, una volta trasformata, deve durare anche per più di un anno». I mangimi provengono dai terreni di proprietà con prevalenza di mais, orzo e soia. «Acquistiamo solo la crusca. Durante il periodo di raccolta delle pere alimentiamo i suini con la frutta che non possiamo mettere in commercio». Il giovane Marcello, che ha saputo portare la propria vitalità e grinta in
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azienda, ha costruito un laboratorio autorizzato ricavato nei locali dell’azienda, dove trova posto anche il punto vendita diretta al consumatore. «In origine il peso raggiungeva gli 8 kg, mentre ai nostri tempi la salama da sugo ha un peso medio di 2 kg al momento della produzione, che diventano 1,2 kg al momento del consumo, che varia da 10 mesi a 2 anni». “A differenza degli altri salumi della loro specie migliorano invecchiando” scriveva PELLEGRINO ARTUSI nella sua ricetta 238, Salami dal sugo di Ferrara. L’impasto si ottiene amalgamando carni ricavate dalla coppa, dalla pancetta con il lardo di gola, lingua e una virgola di fegato con cannella, pepe, sale, chiodi di garofano e noce moscata. Con una generosa aggiunta di vino, 200 cc per chilogrammo di carne. «In verità pare che tempo fa si aggiungesse vino fino a che la carne lo potesse assorbire. Ad ogni modo, la carne matura assorbe parecchio vino. Inoltre, per noi la salama da sugo è una sorta di religione e quindi è assolutamente da evitare l’utilizzo di rum o altri alcolici. Niente solfiti, che inibirebbero la giusta fermentazione della carne» sottolinea Marcello. Proporzioni, varianti e particolarità di lavorazione fanno parte del saper fare di ogni singolo artigiano. Ma l’insacco per tutti deve avvenire nella vescica del suino, preventivamente tenuta a bagno con acqua e aceto, assicurata da spaghi. «Guai a usare l’elastico», continua Marcello. Nelle prime due settimane di vita avviene l’asciugatura, il momento più sensibile per la vita della salama. Nella sala di stagionatura, buia e fresca priva di macchinari, il profumo è incantevole, una combinazione di fumi enoici e salumieri. I tempi di cottura sono necessariamente lenti. L’ipotesi avanzata da Mario Soldati nel volume citato prevede che si spazzoli (“delicatissimamente, come si fa con i tartufi”) e si cuocia per sei ore o più, «ma a vapore», sospendendola per la sommità della reticella ad un legnetto posto di traverso e senza che mai venga in contatto con l’acqua di una pentola messa sotto. A questo punto, durante la cottura, il vino misto alle spezie e alle carni trasuda dalla vescica e si deposita sul
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Saporita ed elegante, da almeno cinque secoli incontrastato simbolo della gastronomia ferrarese, la salama da sugo, anche nella forma, assolutamente tipica, testimonia la sua storia antichissima: la divisione a spicchi era infatti motivo ricorrente nel vasellame del XV-XVI secolo. E datata 15 febbraio 1481 è una lettera di Lorenzo il Magnifico, con la quale il signore di Firenze ringrazia il duca estense Ercole I del dono, appunto, di questo salame da cottura assolutamente senza eguali (photo © www.labosca.eu). fondo della pentola. «Le carni devono come sciogliersi» e, al termine della cottura, che può durare 6 o 7 ore, il sugo verrà raccolto e consumato con il purè di patate, l’accompagnamento ideale della salama da sugo. «Al termine della cottura gli iniziali 2 kg si saranno ridotti di circa 700 grammi» spiega Marcello. Il taglio della salama da sugo deve avvenire con un coltello bene affilato a pochi cm dalla calotta, per permettere al commensale di poterla scavare con un cucchiaio e servirla nel piatto, irrorandola con il succo ottenuto. Si sbriciolerà e questo è buon segno. «Da sola, è un pasto più che sufficiente e soddisfacente». Per andare incontro alle necessità della famiglia di oggi che non sempre è in grado di investire lunghe ore di cottura
e consumare una quantità notevole di salama da sugo, a La Bosca si sono ingegnati di sezionarla, precuocerla e metterla sotto atmosfera modificata. Che non perderà la granulosità, i sapori forti della polpa, del sugo liscio e denso per “un sapore unico, memorabile, inconfondibile” chiosa Soldati. Dai Piazzi si passerà anche in epoche (poche) in cui la salama da sugo non si apprezzerebbe: ci sono tutti gli insaccati tipici della gastronomia ferrarese come salami all’aglio, pancetta e cotechini che attendono. Riccardo Lagorio Società Agricola La Bosca Via Traversa 5 44124 Codrea (FE) Telefono: 0532 44162 Web: labosca.eu
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TOUR “CARNIVORO” IN FRANCIACORTA CON POLASTRI MACÈLÉR Ivan Palazzi, della storica macelleria-norcineria Polastri Macèlér, ci accompagna alla scoperta di alcune delle specialità franciacortine a base di carne, dalla margiola allo spiedo bresciano di Giorgio Montanari
Maestri da quattro generazioni nell’arte della norcineria, i componenti della famiglia Palazzi producono salumi tradizionali della Franciacorta accanto a salumi “creativi” come il cacciatorino aromatizzato alla liquirizia.
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A TORBIATO DI ADRO NELLA BOTTEGA POLASTRI MACÈLÉR DELLA FAMIGLIA PALAZZI, QUATTRO GENERAZIONI DI MAESTRI DELLA NORCINERIA DAL 1840 PRODUCONO SALUMI TIPICI DELLA FRANCIACORTA
La Rèt è il salame tipico di Capriolo, comune a due passi dal Lago d’Iseo.
I LA RÈT DI CAPRIOLO, PICCOLO COMUNE DEL BRESCIANO, HA UNA PARTICOLARITÀ OGGI RARA: QUELLA DELLE DIMENSIONI IMPORTANTI. IL SUO PESO, INFATTI, VARIA DA 5 A 14 KG. UN TEMPO ERA PRODOTTA IN OCCASIONE DI FESTE SPECIALI: NASCITE, BATTESIMI, MATRIMONI
mmaginate di esservi smarriti durante un viaggio in Lombardia. In automobile, tranquilli, osservate il panorama. Le colline rilassano il vostro percorso. Il lago dona un senso di pace. Ad un tratto, l’olfatto vi attira verso profumi di carne e spezie. Subito dopo, sentori di vino inebriano la giornata. Ecco, siete capitati in Franciacorta. Per chi vuole lasciarsi tentare dal peccato di gola, ed è amante dei prodotti a base di carne, la ricca zona collinare a sud del lago d’Iseo offre tante alternative. Per scoprirle, abbiamo visitato una storica macelleria-norcineria lombarda, per tanti anni situata nel paese di Capriolo ma ora ospitata a Torbiato di Adro (BS), Polastri Macèlér (www.polastrimaceler.it). IVAN PALAZZI, figlio d’arte, lavora nell’azienda di famiglia da 45 anni. Quando abbiamo chiesto di descrivere il panorama locale dei cibi a base di carne, abbiamo avuto la sensazione che l’intervista sarebbe potuta durare anni! La produzione è infatti particolarmente ampia ed articolata. Margiola per cominciare Il salume principe della terra di Franciacorta è la Margiola, chiamata anche Rete o Rèt (per informazioni ap-
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profondite si veda di MONTANARI G., Margiola: goloso salume dalle terre del Franciacorta, in PREMIATA SALUMERIA ITALIANA n. 5/2015, pag. 82). Dal 2008 il prodotto si fregia della DE.CO., ossia della Denominazione Comunale d’origine, un importante presidio ottenuto dopo mesi di lavoro di certificazione e catalogazione. Un’altra De.Co. lombarda, il manzo all’olio Originario del paese di Rovato, si tratta di un appetitoso secondo piatto proposto nei migliori ristoranti della zona. La ricetta prevede che il taglio bovino (il cosiddetto “cappello del prete”) sia cucinato insieme ad un invitante preparato fatto con olio extravergine d’oliva, acciughe, aglio, prezzemolo. Per donare più sapidità, alcune varianti prevedono l’aggiunta di ritagli di prosciutto crudo. Terminata la lunga cottura, che può arrivare a quattro o cinque ore a seconda della pezzatura della carne, si estrae il manzo, lo si taglia e si dispone sul piatto. Lo spessore delle fette è minore di un centimetro. La base di cottura, ancora nella pentola, è pronta per diventare la stuzzicante salsa che ammorbidirà il manzo. Per fare ciò,
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Stagionatura dei salami della Norcineria Polastri Macèlér. si aggiunge del pan grattato (e, se si vogliono sottolineare le note dolciastre, un cucchiaio di Grana Padano DOP), poi si frulla il tutto. La fetta di manzo viene quindi ricoperta dalla propria salsa ancora calda, rinnovando ancora oggi la tradizione del Manzo all’olio De.Co. Per fare la “scarpetta” si suggerisce di mettere nel piatto di portata anche una porzione di polenta gialla. Cacciatorino alla liquirizia e birra Uscendo dal percorso delle DE.CO. bresciane, ma tornando all’universo dei salumi stagionati, una proposta originale made in Franciacorta è il Cacciatorino alla liquirizia. Si tratta di un salame di piccole dimensioni pensato come accompagnamento alla birra bionda dei microbirrifici lombardi. Come mai birra e non vino? Perché nell’impasto
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del salume si impiega un insolito conservante naturale: la liquirizia in polvere. Il mix di carni di suino magre (90%) e di pancetta (circa 10%) viene macinato in maniera fine e condito con spezie miste oltre alla già citata liquirizia. Non si aggiungono erbe altrimenti il prodotto finito risulterebbe amaro. Il processo di lavorazione necessita di molta attenzione per evitare il difetto di “bucatura” qualora il trito non fosse insaccato in maniera ottimale. Dopo un mese di stagionatura si ottiene un cacciatore di circa 150 grammi, di colore rosso scuro puntinato di bianco. Il sapore delicato di liquirizia strizza l’occhio ad un boccale di rinfrescante birra artigianale non filtrata. Non è speck ma è fesa affumicata Un altro salume sperimentale che si può
assaggiare nella provincia bresciana è la Fesa di maiale affumicata. Il prodotto potrebbe ricordare lo speck, in quanto si usa la coscia suina, ma il processo di lavorazione è differente. La carne fresca viene conciata con sale ed aromi (erbe e spezie miste) senza l’aggiunta di conservanti. Il salume ha una pezzatura di circa 8 kg da fresco e, dopo un minimo di 60 giorni di stagionatura, raggiunge il peso di 5,5/6 kg. Il semilavorato ottiene il profumo caratteristico sostando un giorno in asciugatura insieme a pezzetti di legno di faggio. La fesa di maiale affumicata, quando è pronta al taglio, si presenta magra, senza marezzature ma solo con un filo di grasso; si offre idealmente come antipasto, servita su un crostone di pane abbrustolito, o come secondo piatto, abbinata a formaggi freschi come lo stracchino nostrano di malga.
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Cotechino aromatico extralarge Avete presente il celebre salume che si cuoce durante le ricorrenze e le festività invernali? Bene, pensate ad una versione extralarge, da 3 kg. Immaginatelo preparato coi tagli classici del cotechino ma conciato con il mulled wine, vino rosso da gustare caldo e preparato con cannella, chiodi di garofano, noce moscata, anice stellato, ma anche con zucchero, arancia e mela. Il Cotechino al vin brûlé è reperibile nella stagione fredda: storicamente si usava ammazzare il maiale in novembre o dicembre ed il cotechino era uno delle prime lavorazioni ad essere consumata, visto che i tagli con cui veniva creato non erano adatti alla stagionatura. Spiedo, polenta e burro à gogo Un capitolo a parte meriterebbe la tradizione bresciana dello spiedo. Si tratta non di un salume bensì di un antico modo di cucinare la carne. Per preparare lo spiedo bresciano i tagli concessi nella ristorazione sono le cosce o i pezzi di pollo, i pezzi di coniglio, le ali di pollo, le costine di suino e i cosiddetti “momboi” (lonza di suino arrotolata nella pancetta insieme ad una foglia di salvia). Storicamente venivano arrostiti anche gli uccelli da cacciagione, pratica vietata da qualche anno nei locali pubblici. Oggi come allora, la carne viene infilzata nelle lunghe bacchette del girarrosto metallico, intervallando ogni pezzo con una foglia di salvia, la principale aromatizzazione. Lo spiedo bresciano gira per quattro ore abbondanti, ricevendo i caratteristici profumi dalle braci di legno aromatico; nella seconda parte della cottura, inoltre, la carne viene condita con il burro fuso che cola da una fessura posizionata nella parte alta del girarrosto. Appena rimossa dallo spiedo, vicino alla carne fumante non può mancare la polenta, che andrebbe inumidita dal burro gocciolato durante la cottura e sapientemente conservato dal cuoco. Panorama, vino, succulenti piatti a base di carne: dopo aver letto questo articolo alzi la mano chi non sta pensando di organizzare una gita in Franciacorta. Giorgio Montanari Nota Photo © www.polastrimaceler.it
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La focaccia genovese del Panificio Paolin 1953
NON CHIAMATELA PIZZA! di Massimiliano Rella
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A sinistra: i panificatori e produttori di focaccia genovese Brunello, Marco e Claudio Saettone nel loro Panificio Paolin 1953. A destra: impasto e preparazione della fugassa.
È
focaccia genovese! O fugassa, per dirla nel dialetto locale. La focaccia genovese è un pane particolare dall’impasto molle, ridotto con abile lavoro manuale ad una “lamina” sottile su tegami chiamati “lame”, cosparsa d’olio extravergine e di un pizzico di sale. L’impasto cuoce a calore “brillante”. Un marchio collettivo specifica ingredienti e procedimento. Siamo andati a farci raccontare come si fa — e naturalmente ad assaggiarla — in un forno storico di Genova Nervi, il Panificio Paolin 1953, che in realtà nacque a Quezzi, un quartiere genovese, per iniziativa del fondatore ANGELO SAETTONE, detto Paolin. Si trasferì poi a Genova Nervi nel ‘65 ed è oggi gestito dai figli BRUNELLO e CLAUDIO e dal nipote MARCO, terza generazione. I Saettone producono artigianalmente anche “normale” pane bianco, panini all’olio, grissini, pandolce ge-
novese (sorta di panettone con scorze d’arancio, uvetta, pinoli, noci, ecc…) e naturalmente focaccia: bianca, al pomodoro, alla salvia, alle cipolle, alle patate e al formaggio. «Questo il metodo di impasto» ci spiega il signor Brunello. «Per 1 kg di farina 00 si usano 600 grammi d’acqua mentre nel pane solo 500, ecco perché l’impasto della focaccia è più morbido. Inoltre, si aggiungono 100 grammi di olio evo, 20 grammi di sale e 20 di lievito. Si versa nella farina una parte dell’acqua con olio e lievito e dopo pochi minuti si mescola un’altra parte d’acqua e sale. L’impasto riposa 40 minuti e cresce, cresce, cresce…». A questo punto si fanno le porzioni per ogni tiella e si schiacciano a mano stendendole un po’ e facendole riposare per altri 30 minuti. Poi si schiacciano di nuovo a mano e si distendono del tutto e si fanno riposare per un’altra mezzora. Infine, con le dita si creano
La fugassa si mangia di solito senza aggiungere nulla, ma a colazione è perfetta da intingere nel cappuccino o ripiena con prosciutto cotto e stracchino. Fin dal ‘500 era abitudine mangiarla in chiesa, accompagnandola a vino in occasione di sposalizi
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delle “fossette” sulla pasta e si cosparge il tutto con olio, sale e acqua. Dopo 40 minuti di riposo ulteriore si infornano le teglie per la cottura, 15 minuti a 250 gradi. Quella con la cipolla o i pomodori, invece, ingredienti aggiunti durante il condimento finale, cuoce per 20-25 minuti. Si ottiene così una focaccia morbida, alta meno di 1 centimetro e appena croccante in superficie e sul bordo, spennellata di olio prima di servirla calda. Si mangia in giornata senza aggiungere nulla. «O a colazione si intinge nel cappuccino, come facciamo a Genova — suggerisce il signor Brunello — oppure si gusta ripiena con prosciutto cotto o stracchino». Fin dal ‘500, come ricorda l’archivio storico delle tradizioni, era abitudine mangiarla in chiesa, accompagnandola a vino in occasione di sposalizi. L’uso era talmente diffuso che un vescovo minacciò di scomunica certi frati se non si fosse cessato l’uso di cibarsi di quella frugalia, mangiata dai fedeli durante le funzioni religiose. Prezzo: € 1,00 l’etto. Massimiliano Rella >> Link: www.paolin1953.com Nota Photo © Massimiliano Rella.
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EVENTI Un concorso nato sette anni fa per combattere le banalizzazioni della globalizzazione e mantenere la memoria della ricetta originale
CAMPIONATO MONDIALE DI PESTO AL MORTAIO: IN DIFESA DEL VERO PESTO ALLA GENOVESE di Massimiliano Rella
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n Campionato Mondiale di Pesto al Mortaio per promuovere il vero pesto alla genovese. Un concorso biennale nato su iniziativa di un’associazione di amici gourmet, i “Palati Fini” (www.palatifini.it), e guidato dal 2007, da sette edizioni, da ROBERTO PANIZZA, ristoratore della trattoria ligure Il Genovese (www.ilgenovese.com), commerciante di prodotti gastronomici e produttore di pesto di qualità con il marchio Rossi 1947 (www.pestorossi. com, rossi1947.it).
Pesto genovese dell’azienda Serre sul Mare a Prà (GE). 68
Perché un campionato sul pesto? Innanzitutto per fare chiarezza oltre che promozione. Esistono infatti più di 380 varietà di basilico, delle quali 60 commestibili e soltanto una è quella con cui si fa il pesto alla genovese: il Basilico Genovese DOP (Ocimum basilicum) coltivato nella fascia da Sarzana (SP) a Ventimiglia (IM), lungo la costa ligure versante mare, fino a 400 metri slm. Non esiste una DOP del pesto, perché le salse non sono contemplate nella normativa europea e questo complica la battaglia ai falsi “pesti genovesi”. Sta però per costituirsi un consorzio di tutela che andrebbe ad aggregare al momento una decina di produttori per promuovere la cultura di questo condimento e scrivere una ricetta minima condivisa. Premiata Salumeria Italiana, 3/20
Ma la funzione del campionato mondiale è anche combattere le banalizzazioni della globalizzazione e mantenere la memoria della ricetta originale. «La GDO ha il merito d’aver fatto conoscere il pesto alla genovese ma con un prodotto non autentico» sottolinea Roberto Panizza. «Da qualche anno, però, va riconosciuta la crescita di qualità dei condimenti, ma dobbiamo ancora sfatare l’idea che il pesto sia un rimedio alla mancanza di tempo in cucina. E non è tutto uguale. Un pesto di qualità al supermercato non può costar meno di 3 euro per 100 grammi». In La Cuciniera Genovese ossia la vera maniera di cucinare alla genovese, edito nel 1863, per la ricetta del pesto (battuto alla genovese) si autorizza, in caso di mancanza di basilico, l’uso di prezzemolo o maggiorana, ma anche formaggio olandese anziché Parmigiano. In altri testi e citazioni si parla anche di formaggio sardo o cacio. La ricetta del pesto genovese al mortaio prevista dal Campionato Mondiale prevede i seguenti ingredienti: basilico genovese D OP , pinoli, Parmigiano Reggiano stravecchio grattugiato, Fiore Sardo (pecorino) grattugiato, aglio di Vessalico (IM), sale marino grosso, extravergine d’oliva Riviera Ligure DOP. Il campionato è una gara aperta a tutti, in tutto il mondo. Il primo si svolse nel 2007, l’ultimo, nel 2018, venne vinto da EMILIANO PESCAROLO, pensate un po’…. un sommozzatore di Garbagnate Milanese. Il prossimo è in programma quest’anno (26 settembre, www.pestochampionship.it), con l’opzione di
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In alto: coltivazione di basilico genovese Dop (Ocimum basilicum) nell’azienda Serre sul Mare. In basso: Matteo Pezzana, responsabile commerciale dell’azienda.
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spostarlo al 2021. Negli anni intermedi si svolgono le selezioni delle gare locali in giro per il mondo per selezionare i finalisti che arriveranno alla finale di Genova, un modo enfatizzare l’identità popolare del pesto alla genovese, che è un condimento condiviso dalla tradizione familiare ligure. Il campionato si svolge nel salone del Maggior Consiglio del Palazzo Ducale, che era la sede del parlamento della Repubblica di Genova. «Invece il mortaio è uno strumento presente in tutte le culture antiche, a prescindere al materiale, che può essere legno, marmo, pietra, ecc…» conclude Panizza. «La ricetta del pesto genovese è frutto di un’evoluzione che parte dall’epoca romana e dal battuto di aglio, poi arricchito dal basilico, erba aromatica di origini orientali». Prà e il basilico In Liguria uno dei luoghi di maggior produzione è sulle colline vista mare di Genova Prà. Nell’area storica di Prà le serre di basilico erano chiamate stuffe perché scaldate da stufe. L’area del Ponente si è infatti specializzata nella coltura del basilico che per caratteristiche organolettiche è considerato tra i migliori della riviera: foglie mediopiccole, convesse, di colore verde tenue, profumo delicato e sapore intenso. Tra le aziende da noi visitate SERRE SUL MARE fu costituita nel 1827 e rilevata vent’anni fa dai cognati ALESSANDRO FERRARI e STEFANO BRUZZONI (www.serresulmare.com). Dopo aver sistemato le serre nel 2003, i due cominciano la produzione di pesto, oggi preminente, utilizzando macchinari per la frollatura degli ingredienti, che avviene in fasi diverse, quindi senza mescolarli tutti assieme. Producono pesto alla genovese con aglio, senza aglio, ma anche salsa di noci e pesto rosso (con pomodori secchi, mandorle, basilico, formaggio) d’ispirazione siciliana. L’azienda gestisce dieci serre su terrazze a temperatura controllata e con l’uso di tecnologia moderna per una produzione di basilico fresco tutto l’anno a qualità costante. Il basilico è una pianta molto sensibile all’umidità (max 60/70%), alla temperatura (mediamente 22/23 gradi) e alla luce. Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.
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PROGETTI
Biodistretto Etrusco Romano, giacimento di prodotti di qualità di Massimiliano Rella
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os’è un distretto biologico? Pensate ad un gruppo di imprese di un territorio circoscritto e ben conservato, proveniente da comparti e settori diversi ma complementari, accomunate da un metodo produttivo e da una visione condivisa di sostenibilità ambientale ed economica, che si allea per fare sistema
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e creare un plus di valore. Ecco, da questa matematica della cooperazione il risultato di 2 più 2 dovrebbe fare più di 4. Se la definizione è buona ci aiuta a capire meglio l’ultima iniziativa nata a due passi dalla capitale, tra Fiumicino e Cerveteri, in un’area protetta di 37.000 ettari che comprende anche la Riserva Naturale Statale del Litorale Romano.
Ebbene, lo scorso ottobre, con Delibera 683 del 01/10/19, la Regione Lazio ha riconosciuto il neonato Biodistretto Etrusco Romano. Quell’Etrusco Romano non deve farci pensare all’archeologia, anche se scavando scavando qualcosa sicuramente spunterebbe fuori, bensì alla vocazione di un antico territorio agricolo che an-
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A sinistra: il Castello Torre in Pietra Leprignana (photo © Daniele Molajoli). In alto: in primo piano, all’Osteria dell’Elefante il “Tagliere dell’Elefante” con bruschetta con mousse di fegato e arance, formaggi misti della Tuscia, prosciutto semidolce reatino, porchetta fatta in casa, flan di melanzane e ricotta e coppa reatina. Dietro, anatra in olio cottura con mostarda di agrumi (photo © Massimiliano Rella). A destra: l’azienda agricola Torre in Pietra Carandini nel borgo di Barbabianca offre servizi ricettivi con strutture per picnic e grigliate en plein air, eventi e convegni.
cora oggi è un giacimento di prodotti di qualità: ortaggi, carni bovine e ovine, latte, formaggi, uve, vini e oli extravergine d’oliva, qui a nord di Roma, nelle ultime propaggini delle terre etrusche, in un’area che è un polmone verde e produttivo a 25 km dalla capitale. Il nuovo Biodistretto Etrusco Romano abbraccia un territorio che per l’80%
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è protetto da norme ambientali. Su un totale di 37.000 ettari circa, 15.000 sono totalmente irrigui, destinati a orticoltura, foraggio zootecnico e allevamento bovino (15.000 i capi). E altri 4.700 ettari sono lavorati con metodo biologico da 50 aziende agricole. Di queste sono 6 ad aver fondato, insieme a 2 “esterni” per un totale di 8, il Biodistretto. Rap-
presentano circa il 20% della suddetta superficie coltivata. Ma altre potrebbero aderire presto. Imprese fondatrici, obiettivi e potenzialità Le 6 imprese agricole fondatrici sono: • la cooperativa Caramadre, con 60 ettari dedicati alla coltivazione di or-
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In alto: ricotte dell’azienda Eredi di Giovanni Brandizzi. L’azienda alleva bovini da carne e da latte. Con caseificio, macelleria e gelateria vende i suoi prodotti con il marchio Biolà. In basso: il banco macelleria dell’azienda agricola Eredi di Lauteri Antonio. taggi, venduti direttamente e in vari mercati cittadini e attraverso gruppi di acquisto (www.biocaramadre.it); • l’azienda Eredi di GIOVANNI BRANDIZZI (www.biola.it), un allevamento di bovini da carne e da latte con caseificio, macelleria e gelateria con il marchio Biolà, la cui vendita avviene nelle piazze di Roma attraverso furgoni allestiti ad hoc; • dalla carne passiamo al vino bio, all’olio extravergine d’oliva e ai legumi dell’azienda Torre in Pietra Leprignana (www.castelloditorreinpietra.com), società agricola titolare anche della cantina Castello
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di Torre in Pietra, con punto vendita e ristorazione tra grotte scavate nel tufo, l’Osteria dell’Elefante; • c’è poi l’azienda agricola Eredi di Lauteri Antonio a produrre carne bovina e ovina, olio, verdure e uova nel cuore della campagna romana, con vendita diretta e utilizzo dei suoi ingredienti per i piatti della tavola agrituristica Casale del Castellaccio (www.casaledelcastellaccio.com); • i foraggi, gli ortaggi e i cereali sono invece il core business di Torre in Pietra Carandini, storica azienda dell’agro romano che nel
borgo di Barbabianca offre servizi ricettivi con strutture per picnic e grigliate en plein air, eventi e convegni (www.barbabianca.it); • la vocazione al turismo gastronomico diventa ancora più evidente con l’azienda agricola di Tragliata, che ingloba un caratteristico borgo della campagna romana, dove vende i suoi ortaggi, cereali e legumi e accoglie gli ospiti in una struttura turistico-ricettiva con agriturismo e spazi per convegni e banchetti (www.tragliata.it). Il potenziale del sistema si rafforza però con la presenza tra gli 8 fondatori di due soggetti di altri settori, ma complementari e funzionali alla crescita del Biodistretto Etrusco Romano. Sono la Aries Sistemi Srl (www.ariessistemi.it), una società che come obiettivo la trasformazione dell’informazione in valore e il cui progetto WiForAgri mette in campo stazioni di monitoraggio, sensori wireless e modelli previsionali, consentendo agli imprenditori di monitorare con precisione e costanza rischi climatici e fitosanitari, risparmiando su trattamenti e risorse umane. Completa il quadro la Fondazione Anna Maria Catalano che fa ricerca e divulgazione su temi quali ambiente, tecnologia, sicurezza, salute e beni culturali e per vocazione impegnata nella divulgazione scientifica e nei rapporti tra scuole, università, ricerca e istituzioni locali, nazionali ed europee (www.fondazionecatalano.it). Da queste forze in campo, cui potranno aggiungersi altri soggetti biologici del territorio neo-distrettuale, si intuiscono una serie d’obiettivi e potenzialità. Quali? La promozione e la vendita in Italia e all’estero, la valorizzazione dei beni ambientali e culturali del territorio, lo sviluppo delle attività ricettive e d’accoglienza, del turismo rurale e dell’agricoltura sociale. Inoltre, la collaborazione con Università e centri di ricerca in un’ottica di gruppo, poiché per tanti sarebbe impossibile da ottenere muovendosi da soli. E ancora: progetti comuni di miglioramento di processi e tecnologie produttive, con tutti i vantaggi e le opportunità che si presentano quando si fa squadra. Appunto: 2 + 2 uguale TUTTO. Massimiliano Rella
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Adotta un ciliegio di Vignola anche tu! di Gaia Borghi “Perciò Cosimo, con la parte della sua mente che veleggiava distratta (...), formulò questo pensiero: le ciliegie parlano”. Così scrive Italo Calvino in uno dei suoi romanzi più belli, “Il barone rampante” (1957), storia di Cosimo Piovasco di Rondò che, dopo un futile litigio coi famigliari per un piatto di lumache, decide di andare a vivere sugli alberi del giardino di casa, tra i quali c’è anche una fila “d’alti ciliegi d’un bel verde frondoso”. Dotati di parola o no, chi può davvero dirsi immune dal fascino di questi frutti golosi uno-tiral’altro? Succose, dolci, di un rosso brillante che mette di buon umore e ti dà l’impressione di mangiarti un pezzetto d’estate, le ciliegie sono di tante varietà. Una delle più note e apprezzate è senza dubbio quella di Vignola, la “capitale delle ciliegie” in provincia di Modena che dal 2012 è tutelata dall’Identificazione Geografica Protetta europea (IGP) e dal Consorzio omonimo (www.consorziociliegiadivignolaigp.it). Tra i soci produttori aderenti al Consorzio c’è anche l’Azienda Agricola Amidei (telefono: 059 765624, e-mail: info@amideivignola.it), che per i propri ciliegi ha deciso di promuovere… l’adozione a distanza. Bettino Amidei: “sarò io a prendermi cura della tua pianta” Un progetto originale di grande valore che serve a far avvicinare o riavvicinare le persone alla terra e al territorio, alla natura e ai suoi ritmi e a chi questa terra la coltiva, direttamente, senza bisogno di intermediari. L’idea è del proprietario dell’azienda agricola Amidei, Bettino, e del figlio Simone. “L’adozione può essere motivata da tante ragioni: la nascita di un figlio, un regalo ad una persona a cui si tiene, una data da ricordare, un posto in cui tornare un giorno”, si legge nel sito dedicato adottaunciliegio.it. “Se adotti un ciliegio potrai venire a trovarci all’interno della nostra azienda agricola a Vignola, ai piedi delle prime colline dell’Appennino modenese, potrai goderti la meraviglia della fioritura dei ciliegi un momento emozionante in cui la pianta che hai adottato contribuirà ad uno spettacolo indimenticabile”. La madrina Alessia Morabito: “mi sono fatta un regalo stupendo” Tra i testimonial entusiasti del progetto, e delle ciliegie, c’è anche Alessia Morabito, chef-cuoca-cuciniera di origine toscana che da qualche tempo vive e lavora a Modena e che ci ha fatto conoscere questa iniziativa. «Ogni anno faccio il conto alla rovescia all’arrivo delle ciliegie; l’adozione di quest’anno di un albero intero è stata come farsi un regalo stupendo». Con un contributo di 70 euro annuali, infatti, si riceveranno aggiornamenti fotografici della pianta e della sua crescita, si avrà la possibilità di personalizzarla col proprio nome o dedicarla a qualcuno, ma, soprattutto, si avrà diritto a ricevere 10 kg di produzione appena raccolta, da ritirare in azienda, potendo così “conoscere” di persona il proprio ciliegio, o ricevere a casa propria: le ciliegie possono essere spedite in tutta Italia, isole comprese, tramite corriere refrigerato, in 24/48 ore. Proprio Alessia è inoltre l’autrice di un piccolo ricettario, stampato nella forma di quattro cartoline, con protagoniste le ciliegie. N.B. Sempre nel Modenese, a Sassuolo, Elisa Cattani, nel suo laboratorio artistico Anseo (www.anseo.it), realizza meravigliose sculture, complementi d’arredo e gioielli. Con la collana e gli orecchini della collezione “Tra i ciliegi” potrete indossare le rosse tentatrici tutto l’anno. >> Link: adottaunciliegio.it
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BELLE BOTTEGHE
A Lana, tra montagne di speck e würstel, si nasconde il Paese di Cuccagna
KOFLER: L’ALTO ADIGE PIÙ GOLOSO di Riccardo Lagorio
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chi voglia sperimentare cosa possa offrire il Paese di Cuccagna può dirigersi verso il negozio di Viktor e Andreas Kofler inaugurato lo scorso settembre a Lana (BZ), in Alto Adige. Fuori un’elegante facciata, realizzata
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da uno studio d’architettura di Bolzano, che si è preso cura anche di comporre gli interni, in legno e non meno raffinati, zeppi di profumi invitanti, colori stimolanti, zeppi di forme diverse di ogni bendidio. Scaffali ordinati, salumi e sfiziosità gli uni accanto alle altre,
un reparto di formaggi al taglio, i vini regionali… Ma sono ovviamente i salumi a farla da padrone, una serie infinita di variabili che ANDREAS KOFLER sa raccontare al meglio. «La produzione di salumi e speck fu la grande passione di mio nonno AUGUSTIN e ciò avveniva
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A sinistra: il negozio al dettaglio di Viktor e Andreas Kofler a Lana (BZ). In basso: poco sale, poco fumo, molta aria fresca, una lunga stagionatura e una personalissima miscela di spezie, sono le caratteristiche dello speck dell’Alto Adige Igp Kofler, oltre a qualche segreto di famiglia naturalmente.
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per consumo personale. È stato mio padre VIKTOR a rendere questa attività una professione. Nel corso degli anni per la nostra famiglia è divenuta una vera e propria vocazione. Così oggi nel nostro paniere si trovano circa 30 tipologie diverse di salumi, per lo più della tradizione altoatesina». Un ruolo di rilievo lo gioca lo Speck Alto Adige Igp. «Quello tradizionale intero ha la forma a cuore e deriva dalla rifilatura delle cosce del suino. Dalla carcassa si tolgono il filetto, la fesa, lo stinco e si lavora lo zampetto. La costante che rende simili queste diversità è la somministrazione alla carne di poco sale, poco fumo, molta aria fresca e una lunga stagionatura». La stagionatura minima è di 6 mesi, a fronte delle 22 settimane richieste dal disciplinare di produzione, e il periodo di affumicatura dura una settimana, alternando nell’apposita camera l’immissione per 12 ore di fumo di faggio, filtrato da un impianto idraulico, e per 12 ore di aria fresca. «In questo modo il gusto del fumo è… gentile», spiega Andreas. Lo speck è il re dei salumi altoatesini: da elemento fondamentale delle meren-
de, servito a cubetti con lo Schüttelbrot, a ingrediente per i canederli. «Affumichiamo anche la coppa ad una temperatura di circa 20 ºC. In questo caso aggiungiamo del ginepro un poco umido: la presenza di fiamma conferirebbe alla carne uno sgradevole retrogusto rancido». Si potrebbe aggiungere che l’altro segreto dei Kofler si trova nella giusta dose di spezie che rende gradevoli i salumi, con quel tocco di coriandolo che si fa appena notare anche nello speck. La comparsa di muffe sulla superficie consente di mantenere la morbidezza del prodotto. Prima della vendita al pubblico si provvedere all’opportuno lavaggio. «Quella giusta dose che è anche presente quando i salametti sono aromatizzati con peperoncino piccante, aglio o noce». Alcune specialità caratterizzano la bottega: i piccoli salami di selvaggina con camoscio, cervo, cinghiale e capriolo sono acquistabili anche in pratiche versioni sottovuoto dal peso di circa 300 grammi, di cui 35 di carne suina. E soprattutto niente fosfati, glutammato e aromi artificiali. I Kaminwurzen appesi dietro il bancone e la lunga teoria dei
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Nel negozio dei Kofler è possibile acquistare, oltre ai salami di produzione propria, anche formaggi locali, miele, Schüttelbrot, vini, marmellate e sciroppi. würstel vengono venduti per unità. Il Meraner è affumicato e cotto, lungo e sottile, speziato con pepe e maggiorana. Il Servelade è tozzo, con aggiunta di quantità superiore d’aglio, adatto a essere affettato grossolanamente nelle
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insalate o con un’incisione in longitudine per essere messo sulla piastra. Il Braunschweiger, di grosse dimensioni, viene talvolta messo sulla piastra e consumato tra un pranzo e l’altro e in questo caso il grasso suino è anche visibile.
«Anche il polpettone, Leberkäse, è consumato dopo un passaggio sulla piastra, spesso con patate bollite e uova all’occhio di bue. In questo caso l’impasto è privo di budello e messo in uno stampo, successivamente affettato». Le fette vengono proposte sottovuoto a coppia, utilizzate spesso dai turisti che fanno trekking tra le malghe sopra Lana. Per buona parte dell’anno si può trovare la mortandela, l’impasto di suino avvolto nell’omento e affumicato. Oltre ai salumi, gli scaffali dei Kofler si confermano luogo ideale per fare scorta di formaggi locali (il formaggio di montagna stagionato, Bergkäse, e il caprino, Ziegenkäse, su tutti), miele, Schüttelbrot, vini, marmellate e sciroppi (quello di corniolo di Alpe Pragas di Braies vale il viaggio): un goloso Alto Adige. Riccardo Lagorio Kofler Viktor & Andreas Snc Via Bolzano 78 39011 Lana (BZ) Telefono: 0473 562492 Web: viktor-kofler.it Nota Photo © LIVE-STYLE Agency.
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IL GUSTO DI CAMMINARE A piedi alla riconquista dell’Europa
LA VIA FRANCIGENA “PRÊT À PARTIR” di Elena Simonini
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crivo queste righe durante le ultime ore di un totale e surreale lockdown. Scrivo pensando all’indietro, a otto lunghissime, lentissime, infinite settimane in cui i piedi hanno camminato quasi solamente in casa, distrattamente infilati dentro ad un paio di ciabatte di spugna, ormai del tutto sbrindellate. E scrivo pensando, contemporaneamente, anche all’avanti, alla incontenibile euforia con la quale indosserò di nuovo gli scarponcini da trekking, a quando, quasi come in un sacro rituale, stringerò accuratamente i lacci, tirandoli per bene, uno a uno. Sono molte le cose che si sono interrotte, per me come per tutti, in
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questo lungo periodo di sospensione dal mondo, ma a me nulla è mancato così tanto quanto camminare! Che camminare mi è mancato proprio fisicamente, ai piedi e anche alla testa, come l’aria da respirare. Perché, e lo dicevo anche poco più di un anno fa, proprio quando davo l’avvio a questa rubrica, camminare non è solo una attività fondamentale, ma è qualcosa di insito in noi, camminare è naturale, è bello, ed è semplice, proprio come mangiare (aggiungevo). E così, quando, nonostante il divieto di uscire nel mondo, la Redazione mi ha chiesto di scrivere un nuovo pezzo per la rubrica, ho subito pensato che il
sentiero più lungo che avevo percorso negli ultimi due mesi era sempre e solo il corridoio di casa (con i piedi che ancora si trascinano, intorpiditi, dentro a quel paio di ciabatte) e che dunque sarebbe stato difficile. Ma poi, sempre dalla Redazione, hanno aggiunto che poteva essere anche un itinerario desiderato o persino immaginario, e ho immediatamente realizzato che ne avevo tanti di cammini in testa, molti più di quanti non ne avessi già percorsi dentro alle scarpe da trekking! E allora eccomi qui a scrivere. Questa volta, ho deciso, vi porto quindi su uno degli itinerari più battuti e più avventurosi di tutta Europa, un
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percorso declinabile, suddivisibile e modulabile in diverse tappe e partenze, su una via lunghissima, ricca di una storia millenaria, e in un certo senso anche simbolica, perché attraversa e ricongiunge, passo dopo passo, tutto il nostro continente, da nord a sud, come in una immaginaria e silenziosa riconquista del mondo fuori, e dell’Europa, a piedi. Vi porto sulla Via Francigena. Sulle orme di Sigerico Con partenza da Canterbury e arrivo a Roma, attraversando Inghilterra, Francia, Svizzera e Italia, la Via Francigena, il cui il nome, letteralmente, fa riferimento al tracciato dell’itinerario sulla originaria Terra dei Franchi, altro non era, inizialmente, che una direzione di massima e una consuetudine di viaggio sulla quale si spostavano i pellegrini, ma anche mercanti, carri e masserizie, e interi eserciti. Per noi, oggi, il nome della strada è strettamente legato alla figura di Sigerico, il vescovo che, nel 990, di ritorno da San Pietro verso Canterbury, dopo aver ricevuto l’investitura papale da Giovanni XV, lasciò una descrizione precisa, tappa per tappa, del suo viaggio. Le memorie di Sigerico sono contenute in un preziosissimo manoscritto che fa parte della Cotton Collection della British Library di
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Londra, ed elencano minuziosamente tutte le 79 località in cui il prelato e il suo seguito sostarono per la notte. Ora, a seguito della valorizzazione e del recupero dell’itinerario ufficiale, realizzato negli ultimi vent’anni, la Via Francigena, da Canterbury a Roma, si sviluppa in circa 2.000 km di cammino sicuro, facile e tutto sommato privo di grosse difficoltà tecniche. Nel suo complesso, si tratta di un percorso evidentemente davvero molto eterogeneo, tra vie campestri, sentieri di montagna, mulattiere di pietra, boschi, strade bianche, e selciati medievali, e che perfettamente si presta a molteplici segmentazioni, varianti e cammini alternativi, tant’è che spesso si parla anche di Vie Francigene al plurale e non solo di un’unica Via Francigena. Solo in Italia sono tanti, diversi e tutti avvincenti gli itinerari attraverso i quali si può percorrere la Via Francigena, scendendo dalla Val D’Aosta in giù, attraverso Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, fino al Lazio, e, volendo, proseguendo persino fino alla Puglia, sulle orme dei pellegrini più determinati, i quali, dopo aver raggiunto San Pietro, ripartivano alla volta della Terra Santa imbarcandosi dal porto di Brindisi. Non serve dunque allontanarsi poi molto da casa per raggiungere un
pezzo di Via Francigena, e camminarci sopra, con animo leggero, anche per poco tempo. Le Vie Francigene ci aspettano, in un immutabile e facile “prêt à partir”, per un giorno, per due, per una settimana o per un mese e più, per come si potrà fare. Mentre scrivo, mi piace immaginare che in ciascuno dei Paesi europei sui quali si dispiega questa meravigliosa e stupefacente strada di collegamento dalle antiche origini, ognuno di noi, alla fine di questo lunghissimo periodo di lockdown, possa finalmente fare proprio così: prendere e partire, su due piedi, e raggiungere un pezzo di Via Francigena, e percorrerla anche solo dentro i propri confini regionali, o un pochino più in là. Uscire di casa e infilarsi le scarpe da trekking, stringendo accuratamente i lacci, tirandoli per bene, uno a uno, e semplicemente camminare, su questa strada che, con il suo patrimonio di incredibile valore storico, culturale e sociale, collega non solo i paesaggi e le città dell’Europa, ma anche le persone, e le storie, le tantissime storie. Elena Simonini Nota In basso, tratto toscano della Via Francigena (photo © Silvio – stock. adobe.com).
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WEEK-END Nel Ravennate in visita al Museo del Sale e all’Ecomuseo delle Erbe Palustri
Sale e erbe palustri al Museo di Massimiliano Rella
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ra i tanti musei gastronomici che troviamo in Italia, questi due in provincia di Ravenna, in Emilia-Romagna, sono decisamente originali. Il primo è il Museo del Sale, a Cervia, e il secondo è l’Ecomuseo delle Erbe Palustri, a Villanova di Bagnacavallo; quest’ultimo legato al tema del cibo per vie parallele, mentre il primo ne è a pieno titolo interessato, visto che il sale è da sempre un con-
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servante alimentare, di carne e pesce innanzitutto, nonché un ingrediente che aggiunge sapore ai nostri piatti. Cervia e l’economia del sale… dolce Il museo di Cervia (www.musa.comunecervia.it) nasce nel 2004 all’interno degli ex Magazzini del Sale e si compone di tre aree espositive e di una sezione archeologica. All’interno ospita
un esemplare di barca a fondo piatto per il trasporto del sale (la Burchiella), strumenti di lavoro, contenitori antichi e moderni, targhe del monopolio di Stato e i mosaici rinvenuti della chiesa di San Martino (VI sec). Dobbiamo però fare un passo indietro per contestualizzarlo. Prima del 1697 — anno del decreto di PAPA INNOCENZO XII per la rifondazione a 4 km dal mare — Cervia sorgeva su un’isola all’interno di una vasta salina.
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In alto: la burchiella, barca a fondo piatto per il trasporto del sale, nel Museo del Sale a Cervia (RA). A sinistra: raccolta di vecchie targhe del Monopolio di Stato nel Museo del Sale. A destra: vecchi contenitori di sale.
Per ragioni di salubrità, fu trasferita in blocco, riutilizzandone i materiali, letteralmente “smontata” come un Lego. Fu così creata una città-fabbrica nei confini di un quadrilatero fortificato, che corrisponde all’attuale centro storico, con una piazza su cui affacciano la chiesa di S. Maria Assunta e il Palazzo Priorale, sede del Comune, e un perimetro di cortili per gli attrezzi e case degli operai lungo le quattro mura, ma
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senza porte sull’esterno, solo finestre. Si entrava nel quadrilatero da due grandi accessi. Nei quattro bastioni perimetrali erano ospitati l’ospedale, la gendarmeria, il forno e i macelli. L’economia del sale, cominciata forse già prima dell’età romana, entrò in forte crisi con la modernità — “colpa” del frigorifero — e con la fine del monopolio di Stato. Nel ‘59 ci fu una profonda ristrutturazione delle saline:
lo Stato trasformò i 150 piccoli fondi saliniferi, a raccolta manuale e quotidiana, in grandi vasche di raccolta unica annuale. Questo comportò la scomparsa dei vecchi strumenti di lavoro e della figura del “salinaro” artigiano. La superficie però è sempre la stessa: 827 ettari. A fine anni ‘90 la popolazione e l’amministrazione di Cervia si opposero all’idea di chiudere le saline e fu varato
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In alto: oggetti nell’Ecomuseo delle Erbe Palustri a Villanova di Bagnacavallo (RA). In basso: bici per il commercio di vecchi oggetti realizzati con la tecnica dell’intreccio. un progetto ambientale-turistico grazie al quale l’area e la produzione passarono in concessione al Parco delle Saline di Cervia, società pubblico-privata con maggioranza azionaria del Comune. Oggi c’è una piccola attività di estrazione che ha permesso di mantenere l’ecosistema. Il Parco ha lavorato anche sugli abbinamenti con altre eccellenze gastronomiche romagnole, come il prosciutto, i formaggi, la cioccolata. Inoltre, a scopi dimostrativi è conservato un vecchio fondo salino originario, la Salina Camillone, dove si lavora come
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un tempo, con macchinari antichi. Il sale della “Riserva Camillone” è venduto nel Museo. Il sale di Cervia è detto “dolce” perché non ha quel fondo “amaro” tipico dei sali più comuni. Nell’aspetto, ha un colore bianco-grigio, dovuto all’umidità. Maestri d’intreccio Il secondo e curioso museo è a Villanova di Bagnacavallo. In questa cittadina al centro delle “piallasse”, zone umide interne vicine alla costa romagnola, si sviluppò un’economia degli oggetti da intreccio di erbe palustri: scarpe, ceste, canestri, borse e stuoie per la copertura
del sale. Anche quest’economia entrò in crisi coi tempi moderni, ma per l’avvento della plastica e non del frigorifero. L’Ecomuseo delle Erbe Palustri (www.erbepalustri.it) tiene quindi viva quest’antica tradizione, anche con corsi e seminari che hanno permesso la rinascita di un piccolo artigianato. Nasce nel 1985, col contributo degli ultimi mestieranti esperti di tecniche d’intreccio. Venne fatta una ricerca per riportare alla luce la produzione di oggetti con erbe palustri in uso tra il 1850 e il 1950. Negli anni ‘50, infatti, l’avvento della plastica segnò un rapido declino di tante attività artigianali dedicate all’oggettistica. Nell’Ecomuseo ci attendono quattro piani di oggetti realizzati con cinque erbe palustri: la stiancia, il giunco lacustre, il giunco pungente, il carice e la canna. Troviamo scope, cesti, sedie, borse per il pesce, coperture per bottiglie e fiaschi di vino, ma anche stuoie per la copertura dei tumuli di sale, addirittura scarpe fatte con piante secche intrecciate. Alcuni sono in vendita, oltre a parannanze, tovaglie, centrini e strofinacci di lino stampati a ruggine, tecnica che permetteva di realizzare decorazioni che non si scoloriscono neanche in ammollo. Nel giardino troviamo infine capanni di legno, canne e altri erbusti lacustri e un piccolo orto-giardino. Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.
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Lampredotto, giro d’affari di 7,5 milioni l’anno. È tempo di definire un disciplinare per la sua tutela Un disciplinare per il lampredotto, da esporre per tutelare e rivendicare la qualità di ciò che i “baracchini” fanno da generazioni e difendere il mitico panino da richieste di turisti coraggiosi che virano tra il comico e l’assurdo. Confartigianato Imprese Firenze si fa portavoce della categoria, che in un incontro tra venditori al dettaglio e produttori ha rivendicato questa necessità. Un prodotto, il lampredotto, che, oltre al forte valore identitario e culturale, ha numeri importanti per il tessuto economico e produttivo fiorentino: tra prodotto e indotto, Confartigianato Firenze valuta infatti il giro d’affari sui 7,5 milioni di euro l’anno. Si stima che ogni fiorentino lo mangi 5 volte al mese, chi lavora in centro invece si ferma al baracchino anche tre volte a settimana. Ogni venditore al dettaglio ordina dai 5 ai 50 kg di lampredotto al giorno. «Riteniamo sia giunto il momento di adottare una sorta di disciplinare per il lampredotto — spiega il presidente di Confartigianato Firenze Alessandro Sorani — per promuovere una tradizione fiorentina che deve mantenere determinati criteri di qualità. Un modo per proteggere i venditori che quotidianamente rispettano la tradizione. Ogni baracchino potrebbe esporlo e fare da monito per le richieste dei turisti che a volte chiedono versioni del lampredotto americanizzate o comunque stravolte». Per questo, il coinvolgimento delle istituzioni diventa un passaggio fondamentale in questo percorso di tutela e promozione. (fonte: Confartigianato Imprese Firenze). Street food fiorentino Mentre la trippa deriva dalle interiora di diverse parti dello stomaco dei bovini, il lampredotto viene preparato utilizzandone solo uno, l’abomaso. Si prepara facendolo cuocere a lungo in acqua con pomodoro, cipolla, sedano, carota e prezzemolo. Lo si può mangiare così oppure nel più classico dei modi, in un panino imbevuto o meno nel sugo di cottura accompagnato dalla salsa verde preparata con prezzemolo, aglio, acciughe — o pasta d’acciughe — mollica di pane inzuppata nell’acqua, aceto, olio, sale e pepe (photo © rh2010 – stock.adobe.com).
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OSTERIA SENZ’OSTE, LA CASA DELLA NORCINERIA LIBERA Da un’idea di Cesare De Stefani, una curiosa osteria senza cucina tra le vigne di Conegliano Valdobbiadene, in cui si può entrare e uscire a qualsiasi ora del giorno e della notte, mangiare formaggi tipici e salumi artigianali dell’azienda De Stefani, oppure il cibo acquistato altrove o portato da casa, e pagare “in libertà”, ovvero facendosi da sé il conto, senza che nessuno controlli, se non la propria coscienza. Perché la fiducia è tutto di Massimiliano Rella 88
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ra “anarchie” norcine e accoglienza “responsabile”, sulle colline di Conegliano Valdobbiadene c’è un’impresa di salumi a dir poco originale. Per trovare qualcosa di simile dovremmo andare nei Paesi Scandinavi, dove il rapporto tra produttore e consumatore gode di un’alta fiducia reciproca. L’idea è questa: ti propongo i miei prodotti, tu li prendi e paghi in libertà e se mi freghi “fotti” tutti. Pensate che in Italia una cosa del genere non possa funzionare, giusto? Sbagliato. Funziona. L’iniziativa prende il nome di Osteria senz’oste ed è una piccola taverna senza cucina dove si possono mangiare prodotti freddi: i salumi e i prosciutti del suo visionario padrone di casa, il norcino CESARE DE STEFANI, i formaggi di territorio e naturalmente bollicine home made. Oppure ti porti il vino da casa, o ti porti il cibo, o fai come ti pare. Ecco, più liberi di così… In questa curiosa osteria tra le vigne si può entrare e uscire a qualsiasi ora del giorno e della notte, accomodarsi nelle salette al primo piano, incamminarsi tra i filari e sedersi in un’area picnic per bere Prosecco Superiore, mangiare formaggi tipici e salumi artigianali dell’azienda De Stefani, davanti al panorama mozzafiato delle colline del Cartizze, oggi patrimonio UNESCO. Come si paga? Si prende dal frigo nella saletta al pianterreno e sulla fiducia si lascia il denaro contante indicato sulle confezioni dei prodotti. Invece ai distributori automatici ci si rifornisce di bottiglie di vino e bicchieri. L’Osteria va bene ed è molto frequentata da clienti responsabili, nel rispetto dell’idea affinché tutto scorra. E il Prosecco scorre di sicuro. Il proprietario, Cesare De Stefani, è un simpatico produttore di salumi, di cui PREMIATA SALUMERIA ITALIANA si era già occupata varie volte in passato (l’ultima volta nel numero 1/2016, Salumi De Stefani: tutto il gusto del Valdobbiadene, pag. 30). Lo stabilimento si trova a Guia di Valdobbiadene ed è un tempio della soppressa, ma non solo. Il più tipico salume del territorio è appunto la Soppressa trevigiana, ottenuta da carne suina macinata e insaccata in budello naturale e qui proposta in più versioni: la Valdobbiadene, fatta con tagli selezionati di spalla, coscia,
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In alto: Cesare De Stefani al taglio della sua sopressa trevigiana (photo © Massimiliano Rella). In basso: il distributore automatico di vino in vigna nei pressi dell’Osteria senz’oste (photo © Gianni Angelini).
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Al Salumificio De Stefani di Guia di Valdobbiadene, Treviso, i prosciutti vengono regolarmente spruzzati di Prosecco per addolcirne il sapore e migliorarne i profumi (photo © Massimiliano Rella). pancette e coppe, il tutto condito con sale, pepe e vino Prosecco; oppure la versione con filetto di suino, lasciato in salamoia e aromatizzato con pepe, spezie e Prosecco di Cartizze. Tra gli altri insaccati troviamo le Invernenghe, cioè la Sopressa Dama Bianca, con ripieno di lardo stagionato, che unisce il magro e il grasso, e la più tradizionale Sopressa Luna Calante, da coltello. La vicina macelleria aziendale vende inoltre carni di puledro, per spiedo, churrasco, porchette e arrosti, salumi da cuocere a pasta macinata, come il Muset, che contiene carni disossate della testa e del muso, e la Salamella di pancetta, spalla e fondelli tritati, sale,
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pepe, spezie e vino Verdiso, ideale per spiedini e griglia. Tra i prodotti registrati dai fratelli De Stefani (l’altro è GIACOMO) troviamo la lonza salamata e la costata salamata, nati dall’incontro di macelleria e salumeria. «Vino e Prosecco aiutano la carne a fermentare meglio grazie alle sostanze zuccherine che attivano il processo» motiva la sua filosofia norcina Cesare De Stefani. «Noi lo usiamo anche per spruzzare periodicamente i prosciutti in stagionatura, che così si addolciscono e la carne acquista un profumo diverso e un gusto particolare». La salumeria De Stefani fu aperta nel ‘58 dal padre dei due fratelli, Giuseppe.
Nel 2000 l’azienda ha realizzato un grande laboratorio separato dalla macelleria aziendale, Emporio Carni. Una ventina gli addetti e 400-500 quintali la carne lavorata ogni settimana. Oltre a vendere in Italia De Stefani esporta in Europa, in particolare in Belgio e Francia. Massimiliano Rella >> Link: www.salumidestefani.it Nota A pagina 88, l’Osteria senz’oste circondata dai vigneti sulle colline del Cartizze, dichiarate patrimonio UNESCO (photo © Gianni Angelini).
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Tesori degli altri Paesi
BRETAGNA, LA PATRIA DEL BURRO SALATO CHE QUI SI CHIAMA “AMANN” di Nunzia Manicardi
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n Bretagna, nell’idioma locale — che non è un dialetto ma una vera e propria lingua parlata da oltre 200.000 persone, di origine celtica e con tanto di grammatica autonoma —, il burro si chiama amann e il kouign-amann è il dolce tradizionale più diffuso. Significa letteralmente “dolce
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di burro” ed è una sorta di vaporoso croissant dove la pasta sfoglia viene esaltata dalla presenza di questo burro dal bel colore giallo e dal gusto leggermente sapido. In questa terra ancora in parte selvaggia, protesa fra l’Oceano Atlantico e la Manica e caratterizzata
da un’antichissima storia di inespugnabile indipendenza, il burro è l’essenza della cucina. Rari sono i piatti che non lo contengono e non si tratta soltanto di dolci. Del resto non deve meravigliare, visto che la regione è una grande produttrice di latte. È grazie alle mucche
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selezionate per la qualità del loro latte che il burro bretone è divenuto famoso nel mondo: il latte della razza Pie Noire, che ha rischiato di scomparire negli anni ‘70 e che è famoso per il suo gusto unico, e il latte della razza Froment du Léon, che invece deve la notorietà alla sua particolare e insolita tonalità arancione. Con queste eccellenti qualità di latte si ottiene, grazie in particolare alla panna, un burro che esalta gli aromi e il gusto dei cibi senza snaturarli e che aggiunge cremosità. Un burro di cui si sente immediatamente la differenza rispetto al nostro burro classico. Ma la sua caratteristica principale è un’altra ancora: il sale. Spesso, infatti, si tratta di burro salato. In origine lo si salava con il sale di Guérande, una cittadina a pochi chilometri da Nantes, che già al tempo dei Romani era conosciuta per l’alta qualità di questo prodotto. Il motivo della salagione è storico, oltre che produttivo. I Bretoni si avvantaggiarono moltissimo quando, nel 1342, il re Filippo esentò la loro regione, insieme con poche altre, dalla tassa sul sale, che fece aumentare notevolmente il prezzo di quest’ultimo. Il sale era allora utilizzato abitualmente, essendo fondamentale per la conservazione dei cibi che difficilmente si sarebbe potuta ottenere in altro modo. Il burro bretone, salato a poco prezzo e a lunga conservazione rispetto a quello dei diretti concorrenti, diventò quindi una vera e propria istituzione. Mentre i Bretoni continuarono a salare il burro — e a mangiarne anche più di prima —, il resto della Francia fu costretta a usare il burro non salato e a tirare la cinghia... Era tanto apprezzato che veniva utilizzato anche come dono di nozze. Se ne faceva appositamente un pezzo molto grande che era poi scolpito a mano. Ne risultavano delle bellissime creazioni artistiche che, una volta ammirate, finivano per essere gustate. La possibilità di conservare più a lungo il prodotto, grazie ad un ingrediente che oltretutto era fiscalmente esente, fece sì che i produttori ottenessero agevolmente non solo una maggiore durata di vita del prodotto ma anche, di conseguenza, una sua maggiore commercializzazione.
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Palets bretons, i tradizionali biscotti realizzati con una pasta frolla ricchissima del tipico burro salato bretone, la sablé breton (photo © Morgane REIS). Il burro salato, presente anche nella Bassa Normandia, si è spinto così in Gran Bretagna, Danimarca, Germania, Scandinavia e poi da lì negli Stati Uniti e in tutte le altre parti del mondo colonizzate da questi Paesi. Io, per esempio, ne sono venuta a conoscenza in Kenya, dove lo hanno introdotto gli Inglesi durante la loro dominazione. A Cork, in Irlanda, gli hanno dedicato un museo. In Italia, invece, non è utilizzato al pari di quello classico. Ci sono tuttavia varie ricette prese dalle tradizioni dei Paesi produttori e consumatori che ne richiedono l’utilizzo e che ne stanno diffondendo maggiormente l’impiego. Crudo o cotto (tra i 40 °C e i 120 °C), il burro bretone può essere utilizzato in mille modi, sia nel dolce che nel salato, con la particolarità che conserva tutto il suo sapore anche durante la cottura. La produzione Questo burro si prepara allo stesso modo
della sua versione classica, ovvero con il metodo di affioramento o centrifugazione; successivamente, si procede con la pastorizzazione della crema di latte e si sbatte la massa così ottenuta per conferirle un aspetto compatto e senza parti acquose. È solo a questo punto che si procede con la fase di salatura, in percentuale del 2%. Salatura che oggi non serve più per conservare il prodotto ma per una scelta di gusto e tradizione. Anche il burro salato, ovviamente, contiene numerosi nutrienti come la vitamina A, importante per la vista, la D indispensabile per le difese immunitarie e l’apparato scheletrico e la vitamina E, un potente antiossidante. Inoltre è altamente digeribile. Varietà Ci sono vari tipi di burro bretone. A seconda del suo contenuto di sale, può essere mezzo salato (tra 0,5 e 3%) o salato (più del 3% e può contenere cristalli). Quello fine o extra-fine è ot-
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Ill bur urro ro bre reto tone ne è l’ l es e senza delllla de a cu cuci cina na reg egio iona nale le: rare son ono o le preparazioni che non n lo co cont nten engo gono nella loro composizion one e. Esa altlta a gli aromi e il gusto dei cib ibii senz se nza snatur urar arlili e agg gg giu ung nge e crrem emo osit i à aii pia iattttii (p (pho hoto to © www. ww w tour uris isme m bret etag agne gne.c .com .c om)..
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tenuto a partire dalla panna pastorizzata, quello crudo da una panna non pastorizzata con una minore durata di conservazione ma una gamma di gusti più ampia. Quello chiamato de baratte è preparato con una tecnica millenaria che consiste nello sbattere la panna in una botte di legno. Nella bassa Normandia si produce il Burro di Isigny, l’unico burro con la Denominazione di Origine Protetta (DOP). Lo si prepara facendo riposare per circa 24-48 ore il latte appena munto e poi riscaldandolo a una temperatura di 40 °C. Quanto ottenuto viene scremato e inoculato di fermenti lattici. Si prosegue come di consueto. Consumarlo nel modo migliore Col pane, innanzitutto. Pane e burro salato, una vera prelibatezza. Oppure per preparare il pan brioche, per esempio, per spalmarvelo sopra o sopra le crêpes. Per condire le pannocchie arrostite, come tanto amano fare gli statunitensi. Per mantecare il risotto. Per arricchire qualsiasi tipo di soufflé. Una ricetta tipica bretone, e anche la più famosa, è quella del caramello al burro salato, inventata intorno al 1870 da un cioccolatiere di Quiberon, HENRI LE ROUX. Si ottiene aggiungendo burro salato e panna allo zucchero caramellato. Si può far raffreddare e consumare come caramella dura o lasciarla morbida e usarla come farcitura. Questo burro viene usato moltissimo, naturalmente, nella preparazione dei dolci locali: il Far Breton, innanzitutto, impastato con latte, uova, zucchero, farina e burro salato e poi cotto al forno. Molto gradito anche nelle versioni con l’aggiunta di prugne, uvetta, mele o albicocche. Viene impiegato anche per i tipici biscotti locali di pasta frolla, palets bretons, per i quali si adopera sia il burro salato o semi-salato che quello dolce. In tal caso nell’impasto non manca mai un pizzico di sale di Guérande. Fedeli alla tradizione sempre, anche perché un pizzico di sale nei dolci — come sanno tutti i cuochi più accorti — serve ad esaltare il sapore di tutti gli altri ingredienti. Nunzia Manicardi Nota A pag 92, il burro di Bretagna (photo © Hamel Franck).
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FIERE L’emergenza coronavirus stravolge l’agenda fieristica mondiale
CIBUS RINVIATO A MAGGIO 2021 L
a XX edizione del Salone Internazionale dell’Alimentazione Cibus è stata riprogrammata al prossimo anno, dal 4 al 7 maggio 2021. La decisione è stata presa da FIERE DI PARMA e FEDERALIMENTARE, in accordo con Agenzia ICE e le aziende della filiera agroalimentare. «Non volevamo un Cibus che non fosse all’altezza delle edizioni passate» ha detto nel corso della conferenza telematica organizzata con la stampa GIAN DOMENICO AURICCHIO, presidente di Fiere di Parma. È stato infatti constatato che anche a settembre non ci sarebbero state le condizioni oggettive per poter garantire uno svolgimento del salone mantenendo gli standard qualitativi e quantitativi di incoming, soprattutto estero, al livello delle abituali aspettative delle aziende espositrici, degli stakeholder e dei partner istituzionali. E non sarebbe stato possibile accettare un’edizione ridotta di Cibus proprio perché il Salone dell’Alimentazione rappresenta per la community inter-
nazionale degli operatori dell’agroalimentare l’evento di riferimento assoluto per la promozione dell’Authentic Italian food & beverage. A settembre 2020 confronto a più voci sul futuro dell’agroalimentare italiano Quest’anno (2-3 settembre), però, Parma ospiterà un forum internazionale dal titolo “Cibus Forum – Food & Beverage e Covid: dalla transizione alla trasformazione”. Come sono cambiati i comportamenti dei consumatori dopo l’emergenza Covid? Come dovrà essere riorganizzato il lavoro? Come sarà possibile far riprendere produzione ed export della filiera agroalimentare? Operatori del settore ed esperti italiani ed internazionali si incontreranno per un confronto a più voci sugli scenari futuri. Cibus Forum sarà un evento sia fisico sia digitale, che si terrà nel quartiere fieristico di Fiere di Parma, in un padiglione appositamente modulato e strutturato per accogliere, in maniera
La fiera del made in Italy alimentare si terrà a Parma dal 4 al 7 maggio 2021. Un forum internazionale sulla ripartenza dell’agroalimentare si terrà intanto il 2 e 3 settembre di quest’anno, mentre è già partita l’innovativa piattaforma digitale “My Business Cibus”
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sicura e nel rispetto dei più avanzati standard safe & security, un numero ristretto di ospiti e key speaker. Cibus Forum sarà inoltre trasmesso anche in diretta streaming. Già operativa la piattaforma digitale “My Business Cibus” In attesa della prossima edizione di Cibus, intanto, Fiere di Parma e Federalimentare hanno predisposto una innovativa piattaforma digitale, “My Business Cibus” (www.mybusiness.cibus.it), che già dalla metà del mese di maggio consente agli operatori commerciali di conoscere e selezionare tutti i prodotti, anche i più nuovi, delle aziende espositrici di Cibus. Tutti i prodotti pubblicati sui siti web delle aziende sono stati infatti indicizzati per una veloce e semplice fruizione integrata delle informazioni da parte dei buyer, che possono scegliere tra quasi 200.000 prodotti offerti da 3.000 aziende. >> Link: www.cibus.it
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LA ROCCAVERANO (DOP) CHIEDE UNA MANO di Fabrizio Salce
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erché non dirlo? Perché non farlo? Abbiamo bisogno d’aiuto. Abbiamo sempre comunicato con orgoglio i nostri successi, l’alta qualità del nostro formaggio, il crescente indice di gradimento da parte dei consumatori, la soddisfazione dei 40 anni della DOP, gli eventi e i convegni, la feste e le manifestazioni. Abbiamo raccontato la vita e il lavoro delle nostre piccole aziende agricole a carattere famigliare, la filiera della Robiola DOP, il suo severo Disciplinare di produzione; insomma, abbiamo parlato di noi nei momenti di sole e allora perché non farlo oggi che il sole è stato oscurato? Dal progetto Rob-In e al suo sguardo verso il futuro, di cui abbiamo fatto menzione qualche settimana fa, all’attuale situazione produttiva e commerciale venutasi a creare con l’evolversi del coronavirus, sono doverose alcune precisazioni: la situazione è molto, molto complicata. Come per tutti i prodotti italiani popolari sì, ma di alta gamma, anche per la Robiola di Roccaverano DOP è in atto una forte flessione delle vendite: moltissimo il prodotto invenduto giacente nei caseifici. Si tenga presente che La Robiola di Roccaverano DOP è un formaggio molto apprezzato e ambito dal mondo della ristorazione gourmet che attualmente, come da disposizioni governative, è completamente bloccata; non solo, anche molti mercati rionali e di paese e molte piccole realtà commerciali sono
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in stand-by e questo comporta che sia prevalentemente la Grande Distribuzione ad avere una commercializzazione attiva con la relativa differenziazione di prodotti proposti al pubblico. Come se non bastasse, la limitazione degli spostamenti delle persone ai propri comuni di residenza rende impossibile raggiungere alcuni rivenditori storici della nostra robiola. I produttori del celebre formaggio caprino sono in grave difficoltà, si stanno rivolgendo anche loro alla GDO per ampliare le rete vendita, lavorano sulle mense, sul porta a porta e vi ricordano che tramite il sito del Consorzio di tutela (www.robioladiroccaverano.com) si possono avere tutti gli estremi per il reperimento del prodotto: consultatelo per favore!!! Parallelamente si stanno orientando sulla realizzazione, con lo stesso latte — le capre vanno munte regolarmente con o senza virus — di formaggi con una conservazione che si protrae maggiormente nel tempo, garantendo sempre l’elevata qualità del prodotto. Lo diciamo chiaramente: abbiamo bisogno di tutti. Rivenditori, consumatori, comunicatori, istituzioni, abbiamo bisogno di vendere le Robiole di Roccaverano Dop per salvare il lavoro delle famiglie, il territorio e la robiola stessa. Se smettiamo di produrla adesso, poi, alla ripresa, riprenderemo? È certamente la nostra più profonda volontà e appena l’emergenza sarà passata proveremo a farci trovare ancora
ovunque come sempre, ma il rischio è decisamente elevato. Amici, consumatori, estimatori dei prodotti tipici di qualità cercateci e richiedeteci nei vostri punti vendita abituali. La Robiola di Roccaverano è un’eccellenza casearia DOP da 40 anni e deve rimanere sulle vostre tavole. Verrà il giorno in cui percorreremo una strada, non importa quale, e ci accorgeremo che tutto questo è finito per sempre e che vivrà soltanto più nel ricordo, e allora la memoria, con straordinaria lucidità ci riporterà a questi giorni, fantasticando e sognando, leggendo un libro, bevendo un bicchiere di vino, abbracciando un amore, con la consapevolezza che chiedere aiuto non è mai sbagliato. Fabrizio Salce (per il Consorzio di tutela della Robiola di Roccaverano Dop) >> Link: www.robioladiroccaverano.com Nota La Robiola di Roccaverano Dop è un formaggio a pasta morbida, a latte 100% caprino oppure caprino/bovino, realizzato artigianalmente nel territorio situato nelle colline intorno al paese di Roccaverano (AT), in Piemonte. Le sue origini risalgono ai Celti che, stabilitisi in Liguria, iniziarono a produrre un formaggio simile al prodotto attuale. Fu con l’avvento dei Romani che assunse il nome di rubeola, da ruber, termine con cui veniva indicato il colore rossastro assunto dalla crosta a fine stagionatura.
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La Robiola di Roccaverano Dop (photo Š Manuel Cazzola).
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FATTORIE MARCHIGIANE: CASCIOTTA, FORMAGGIO DI FOSSA & CO. di Massimiliano Rella
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In basso e a destra: pulitura del Formaggio di Fossa nello stabilimento delle Fattorie Marchigiane a Montemaggiore al Metauro (PU).
L’
allevamento sta al caseificio come la pesca alla ristorazione: diversi ma complementari, distinti ma interconnessi. Una filiera con tanti anelli intermedi, concetto che trova una facile rappresentazione se mettiamo sotto la lente d’ingrandimento una realtà cooperativa come Fattorie Marchigiane Valmetauro — a sua volta è parte del gruppo TREVALLI COOPERLAT (www.trevalli. cooperlat.it) — un piccolo “esercito” ovino-vaccino capace di produrre latte di qualità alla base di ottimi formaggi autoctoni, come la Casciotta di Urbino DOP e il Formaggio di Fossa di Sogliano DOP, anche questo una denominazione d’origine protetta molto apprezzata dai consumatori. Cooperlat Trevalli è una società cooperativa di secondo grado, la terza realtà italiana tra i gruppi lattiero caseari: 220 milioni di euro di fatturato, 4 stabilimenti e 600 addetti, con sede a Jesi, Ancona. È di secondo livello perché aggrega a sua volta 11 cooperative più piccole dislocate in sette regioni. Le Fattorie Marchigiane, di Colli al Metauro (PU), contano invece 70 addetti, 21 milioni di fatturato e 21.000 tonnellate di latte/annuo (5.000 ovino, 16.000 vaccino). La filiera raggiunge a valle decine di allevamenti, per un totale
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di 30.000 capi da latte e produzione di agnelli (35.000 capi), in varie zone del centro Italia. Ad esempio, per i pecorini a marchio Petrano il latte è conferito da 44 allevamenti soci storici della coop agricola del Petrano e da 30 allevatori del Viterbese. Insomma, man mano che scendi lungo la filiera il settore appare molto più articolato di quanto potrebbe sembrare a prima vista… Da aprile 2019, Fattorie Marchigiane Valmetauro ha anche un nuovo impianto per produrre mozzarella da pizza. La mozzarella si aggiunge a sua volta, in ordine cronologico, ad una “cesta” di prodotti di qualità già ricca di formaggelle aromatizzate, caciotte, pecorini di varia stagionatura e, appunto, i due formaggi DOP di punta: la Casciotta di Urbino (sì, proprio con la S!) e il Formaggio di Fossa di Sogliano. La Casciotta è ottenuta da latte misto (72% ovino, 28% vaccino), il Fossa da solo latte ovino, ma con stagionatura estiva in fossa che avviene tra il 21 giugno e il 21 settembre nei territori tra Sogliano al Rubicone (FC) e Novafeltria (RN). Le forme sono avvolte in sacchi di tela ricoperti di paglia, dentro grotte di tufo certificate e sigillate con coperchi di legno e calce per non far passare l’aria e creare un microclima adatto
alla maturazione del formaggio. Riconosciuto come DOP nel 2009, il “Fossa di Sogliano” può essere fatto solo con latte ovino intero, vaccino intero o con una miscela dei due. Prima di essere infossato è inserito in un sacchetto di tela: qui, nel microclima delle fosse, assume personalità e aromi decisi. Sembra che le origini di questa particolare stagionatura risalgano al ‘400, al periodo dei Malatesta. Al tempo seppellire i formaggi significava metterli al riparo dai predoni. Un caso di necessità che si fa virtù… Le fosse, scavate a forma di fiasco, sono profonde quasi tre metri e devono avere almeno 10 anni affinché si creino particolari colonie di batteri che danno al formaggio le sue caratteristiche note di profumo e sapore. Prima della “deposizione” queste cavità vengono sanificate col fumo di un piccolo falò. Poi le forme, in sacchi di lino o cotone, sono posizionate su assi di legno in questo microambiente protetto, tra pareti “tappezzate” di paglia sorretta da canne. Le fosse sono quindi riempite in modo meticoloso per ridurre al minimo la presenza d’aria tra i sacchi, chiuse con un coperchio di legno e sigillate con gesso, malta d’arenaria calcidrata, sassi, sabbia o tavole.
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Casciotta di Urbino Dop nel caseificio delle Fattorie Marchigiane. L’infossatura dura minimo 80 giorni, massimo 100. La sfossatura si fa sempre a mano con scalpello e mazzetta, lasciando però “respirare” l’ambiente
per 30 minuti, massimo 6 ore, prima della raccolta. L’altro formaggio di punta è la Casciotta d’Urbino, il primo ad aver ottenuto la denominazione DOP in
Il Formaggio di Fossa è il simbolo gastronomico di Sogliano al Rubicone. Il processo necessario per ottenerlo è lungo e laborioso e avviene in 4 fasi: preparazione, infossatura, stagionatura e sfossatura. Questa tradizione nacque in epoca medievale: i contadini soglianesi, alla fine della primavera, affidavamo i loro formaggi agli infossatori in paese affinché li conservassero durante l’estate e li proteggessero dalle razzie; in novembre tornavano a ritirare le forme e, in tal modo, potevano far fronte alle ristrettezze dell’inverno. L’apertura tradizionale delle fosse si svolge il 25 novembre, giorno di S. Caterina d’Alessandria. I vini più adatti ad accompagnarlo sono rossi pregiati corposi, come un buon Sangiovese, o i vini passiti.
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Italia, nel 1982. Di crosta sottile (ca. 1 mm), colore paglierino, pasta bianca, friabile e molle con lieve occhieggiatura e sapore dolce di latte fresco, ma appena appena acidulo, è anche uno tra i formaggi più antichi della Penisola, le cui origini risalgono al ‘500. Si racconta, tra l’altro, che quella S del nome sia dovuta ad un errore di trascrizione da parte di un impiegato ministeriale — ah, la burocrazia!! — e si racconta anche che con MICHELANGELO fu “amore alla prima fetta”. L’artista aveva terreni a Casteldurante, l’attuale Urbania, un borgo dell’entroterra pesarese. Sembra che il grande artista, per assicurarsi una succulenta scorta di Casciotta, mentre dipingeva la Cappella Sistina in Vaticano, avrebbe affittato dei poderi per tramite del suo domestico e collaboratore FRANCESCO AMATORI, soprannominato l’Urbino. E questo spiegherebbe anche l’origine del nome Casciotta di Urbino, cioè dell’Amatori e non della città rinascimentale. Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.
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2019, anno record per valore alla produzione e per l’export del Parmigiano Reggiano Il 2019 è stato un anno record per la produzione della Dop Parmigiano Reggiano, che cresce complessivamente dell’1,47% rispetto all’anno precedente. I 3,75 milioni di forme (circa 150.000 tonnellate) prodotte nel 2019 rappresentano il livello più elevato nella storia del Parmigiano Reggiano. Un giro d’affari al consumo pari a 2,6 miliardi di euro per la Denominazione di Origine Protetta che si proietta sempre più verso l’estero: una valvola di sfogo per una produzione in continua espansione che ha bisogno di nuovi spazi di mercato. Negli ultimi tre anni, la produzione è infatti aumentata da 3,47 milioni di forme a 3,75 milioni di forme, registrando una crescita pari all’8,1%. Il Parmigiano Reggiano ha vissuto un momento felice anche per quanto riguarda le quotazioni. Se, nel 2016, il costo al kg era pari a 8,60 euro, nel 2019 la quotazione media annua si è attestata a 10,75 euro, con un incremento del 25% (prezzo medio alla produzione Parmigiano Reggiano 12 mesi da caseificio produttore, fonte: bollettini Borsa Comprensoriale Parma). In realtà, il 2019 è stato un anno a due facce, perché a partire dal mese di ottobre — nel periodo dei dazi di Trump — le quotazioni sono scese bruscamente sotto i 10 euro e, contemporaneamente, si è registrata una crescita produttiva di latte e conseguentemente di formaggio prodotto. Il mercato del Parmigiano Reggiano è un mercato che sta diventando sempre più internazionale. L’Italia rappresenta oggi poco meno del 60% del totale, contro una quota export del 41% (+4,3% di crescita a volume rispetto all’anno precedente). La Francia è il primo mercato (21% dell’export totale), seguito da USA (20,9%), Germania (17,8%), Regno Unito (12,3%) e Canada (3,9%). Se Francia (+2,2%) e Regno Unito tengono (+2,7%), la Germania cresce (+6,7%%) dopo la flessione registrata nel 2018, così come la Svizzera (+16,3%) e gli Stati Uniti (+12,9%), questi ultimi per effetto della paura dei dazi. Crescono anche i nuovi mercati come Australia (+21,3%), Cina (+36,4%) e Paesi Arabi (+2,9%). Rallenta invece il Canada (–26,5%) a causa degli adattamenti del CETA. Per quanto concerne i primi due mesi del 2020 (pre-Covid), le vendite Parmigiano Reggiano hanno già registrato un aumento di volumi di vendita, in particolare nella GDO, dove la crescita ha sfiorato il +20%. Meno felice, al contrario, l’andamento delle quotazioni, considerando che il prezzo all’ingrosso (prezzo medio alla produzione Parmigiano Reggiano 12 mesi da caseificio produttore) ad aprile si attesta poco sopra gli 8 €/kg contro i 10,75 euro del 2019. Il Consorzio sta inoltre monitorando l’impatto del Covid-19 sul mercato del Parmigiano Reggiano. Da una recentissima ricerca — promossa dal Consorzio Parmigiano Reggiano sulle principali aziende di commercializzazione del prodotto — emerge che il 53% del campione analizzato dichiara di essere molto soddisfatto degli ordini complessivi ricevuti nei primi mesi del 2020, in particolare per quanto riguarda il mercato Italia. Meno entusiasmo invece per gli ordini che riguardano l’Unione Europea e grande preoccupazione per il Nord America e il Canada. Le aziende del Consorzio prevedono un calo complessivo degli ordini nei prossimi mesi in particolare sulle medie e piccole superfici e nel canale Ho.re.ca. «La situazione di crisi che stiamo affrontando a causa della pandemia — afferma Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano — non ha interrotto le attività del Consorzio che si è da subito attrezzato per portare avanti i controlli qualità a tutela e garanzia del consumatore. Continuano anche le attività di vigilanza nei mercati con un’attenzione particolare alla tutela internazionale. Dopo i successi in Nuova Zelanda e in Cina del 2019, abbiamo sconfitto il gigante Campbell che dovrà ora rimuovere i riferimenti alla Dop dalle etichette dei sui prodotti. Abbiamo provveduto ad una rivisitazione del piano marketing 2020 alla luce di tutte le limitazioni che stiamo subendo a causa del lockdown e a quelle che saranno le prossime fasi di questo lento ritorno alla normalità. Serviranno inoltre misure per calmierare la produzione, oggi in aumento eccessivo, così come azioni sul canale Ho.re.ca. per consentire una ripartenza in un segmento di mercato che si è completamente fermato». >> Link: www.parmigianoreggiano.com
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Il formaggio croato è ufficialmente un prodotto Igp iscritto nel registro dell’UE
QUEL CONO CHIAMATO BJELOVARSKI KVARGL di Riccardo Lagorio
Il Bjelovarski kvargl è un formaggio tipico della Croazia ottenuto da latte vaccino fresco che, dopo lo sgocciolamento, è mescolato con sale e paprica e modellato a forma di piccoli coni appuntiti che sono quindi asciugati e affumicati (photo © Delimir Hrestak).
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ulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea del 21 febbraio scorso è stato pubblicato il decreto di registrazione del formaggio Bjelovarski kvargl, tradizionale della Contea di Bjelovar-Bilogora, in Croazia. Della contea fanno parte 5 città e 18 comuni e il kvargl è il 25o prodotto croato ad ottenere la tutela comunitaria con l’IGP. «Un percorso lungo e complesso, iniziato nel 2006 con la raccolta di dati e la stesura di un primo regolamento» racconta SONJA NOVAK, capo del Dipartimento di Economia del comune di Bjelovar, 42.000 abitanti e capoluogo del Bjelovar-Bilogora, nell’Est del Paese. «Tutti i produttori di formaggio della Contea di Bjelovar-Bilogora possono aderire all’associazione che li riunisce rispettando le prescrizioni del Disciplinare e sottoponendosi ai rispettivi controlli per ottenere il provvedimento dell’Indicazione Geografica. Il prezzo per ottenere il certificato è di circa 3.500 kune, sui 500 euro» ha dichiarato la Novak. La produzione di formaggio è attestata nella Contea di Bjelovar dalla seconda metà del Settecento, quando l’immigrazione austriaca, ceca e morava portò con sé le pratiche casearie al seguito dei minatori di bentonite. Nel 1826 Bjelovar veniva già definita la Svizzera croata proprio per l’inclinazione del territorio a produrre formaggio. Poi le date si infittiscono: nel 1901 venne fondata la prima associazione lattiero-casearia di Bjelovar, che aprì anche un caseificio, e nel 1942 si inaugurò un istituto tecnico statale con specializzazione lattiero casearia. Il Bjelovarski kvargl IGP, kvargl di Bjelovar, è un formaggio di latte vaccino che si distingue per il complesso e tradizionale metodo di produzione completamente manuale e per il sistema di affumicatura. Non essendosi ancora costituito un organo di controllo, i pochi produttori di questa specialità continuano a denominarlo semplicemente kvargl. Come la signora ANKICA KRALJIĆ, che alleva vacche di razza Simmental nella campagna di Ciglena, una località nei dintorni di Bjelovar. «Il loro latte è il migliore per produrre i formaggi elaborati in un’azienda agricola perché la materia prima possiede un alto tasso di
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Il colore del prodotto finito varia dal grigio pallido al rosso scuro e l’affettatura rivela un colore rosato con grani bianchi chiaramente visibili. grasso, sapore e aroma. A tale riguardo nutriamo le bovine esclusivamente con fieno, mais e grano coltivati direttamente dai noi. La filiera è chiusa poiché i prati sono falciati dalla nostra famiglia e il fieno messo al riparo nei depositi; i cereali come mais e frumento vengono macinati al mulino e lo sfarinato è con il fieno l’unico cibo dato agli animali. Niente miscele, se si vuole ancora oggi ottenere un prodotto di grande livello che guarda al passato». Nei secoli furono proprio i piccoli produttori locali a capire che l’asciu-
gatura e l’affumicatura avrebbero permesso un consumo del formaggio protratto nel tempo. «Il kvargl si ottiene da latte crudo lavorato entro le 48 ore dalla mungitura. Il latte viene filtrato e versato in contenitori dove si lascia acidificare a temperatura ambiente tra 20 °C e 25 °C da 2 a 3 giorni, dopodiché si porta ad una temperatura di 55 °C per 2 ore e la parte solida ottenuta è la base per la preparazione del Bjelovar kvargl». Riposta in un apposito contenitore, si lavora con sale e polvere di paprica, talvolta dell’aglio, dandole la forma
IL BJELOVARSKI KVARGL HA UN GUSTO LEGGERMENTE ACIDO E INTENSO E ALL’OLFATTO SI CARATTERIZZA PER L’ODORE AFFUMICATO, CON UN PRONUNCIATO AROMA DI PAPRICA. OCCASIONALMENTE COME INGREDIENTE SI USA ANCHE L’AGLIO
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La protezione europea Igp di questo formaggio si basa sul metodo di produzione tradizionale della contea di Bjelovar-Bilogora, che gli ha procurato una reputazione che ha origini lontane e si è mantenuta inalterata fino a oggi. di piccoli coni appuntiti, che vengono essiccati e affumicati. Al momento della produzione il formaggio pesa intorno ai 130 grammi. Può perdere anche la metà del peso e scendere tra i 60 e i 110 grammi al momento della vendita, quando il diametro della base del cono varia tra 40 e 65 mm, mentre l’altezza si colloca tra i 70 e i 100 mm. «L’asciugatura è breve, dura due giorni, a differenza di altri formaggi che prevedono un processo di asciugatura più lungo. Segue subito l’affumicatura, che eseguiamo da 2 ore a 3 ore con legna o segatura di faggio o carpino bianco, due essenze disponibili nei nostri boschi, e va consumato entro 15 giorni per apprezzarne meglio le caratteristiche». L’intero procedimento di produzione si avvale esclusivamente di passaggi manuali, sostenuti da conoscenze ed esperienze tramandate di generazione in generazione. Una volta subita l’affumicatura, il formaggio assume un colore variabile dal grigio pallido all’ambra e al rosso scuro ed è pronto per il consumo. La pasta possiede una consistenza soda, asciutta. Al taglio si viene colpiti dalle venature rosate che si intersecano con le aree bianche, chiaramente visibili nella
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sezione trasversale. Un pronunciato aroma di paprica e affumicato colpisce il naso mentre il sapore manifesta note acide e leggermente piccanti. «Nella mia ricetta non c’è aglio. La richiesta di questa variante è davvero poca e lo produco solo su ordinazione», spiega Ankica. Il Disciplinare di produzione prevede che il Bjelovarski kvargl IGP possa essere prodotto tutto l’anno, «ma le condizioni migliori per produrre questo formaggio sono l’autunno e l’inverno. La temperatura estiva non permette infatti la corretta asciugatura e il risultato finale ne risente. Inoltre, per ottenere un cono appuntito servono molta esperienza e abilità. Dopo 10 anni posso dire che ci sto prendendo… la mano». In questi anni Ankica Kraljić ha partecipato a molte delle edizioni della Fiera del formaggio che si svolge a novembre a Grubišno Polje, dove si è meritata numerosi riconoscimenti per l’innovazione casearia e la passione: dallo stand meglio allestito e il migliore kvargl nel 2015, alla produzione del formaggio denominato Ciglenski kuglig (Palle di Ciglena) nel 2016 e al kvargl ai semi di chia l’anno successivo. «Ma la soddisfazione più grande l’ho avuta quando ho presentato il kvargl più grande al mondo pesante 5 kg e di
30 cm di altezza», forse un po’ fuori dagli standard ma che rende bene la passione di questa casara. Visibilmente orgoglioso del risultato ottenuto, il sindaco di Bjelovar, D ARIO H REBAK : «Proprio perché la produzione risulta ancora a livello artigianale e avviene esclusivamente a mano, è vanto per il nostro circondario e dovremo ora tutti insieme valorizzare questo antico prodotto contadino. La municipalità aveva già previsto somme nel bilancio del 2020 per promuovere questo formaggio in previsione dell’ottenimento dell’IGP» ha spiegato. Il kvargl di Bjelovar IGP si propone così di diventare una delle attrazioni gastronomiche della regione e souvenir per il turismo continentale. Riccardo Lagorio OPG Ankica Kraljić Ciglena 79 – Bjelovar (Croazia) Telefono: +385 98 925 9072 E-mail: ankicakraljic544@gmail.com Web: www.facebook.com/pages/ category/Local-Business/OPG-AnkicaKralji%C4%87-izrada-i-prodaja-sireva-343580306429308 Nota Per tutte le informazioni sulla regione: www.tzbbz.hr/tourist-board
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VINO A Orvieto la dodicesima edizione del Concorso
Euposia International Challenge sui vini spumanti di Riccardo Lagorio
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a classifica e le relative premiazioni dovevano essere ufficializzate e tenersi durante l’edizione 2020 di Vinitaly, rimandato come è noto al 2021. Così non è stato possibile plaudire alla competizione Challenge internazionale Euposia dedicata ai vini spumanti, che però i verdetti li ha comunque emessi. La prima volta della Borgogna e dell’Alsazia Due delle più attive regioni vinicole di
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Francia e del mondo si sono conquistate l’edizione 2019: Paul Chollet, maison di Savigny-lès-Beaune (www.paulchollet. fr), è il nuovo Campione del mondo, affiancato dall’alsaziano Eric Rominger, Grand Cru di Westhalten (www. facebook.com/DomaineRominger), che si pone sul tetto del mondo nella speciale classifica dei Metodo Classico provenienti da coltivazione biologica. A confermare, invece, la leadership italiana negli spumanti realizzati con uve autoctone è quest’anno Alex
Belingheri, coi suoi vigneti eroici della Valcamonica, che ha visto premiato il lungo lavoro di sperimentazione del suo Nautilus (uve Ciass negher) affinato nelle acque del Lago d’Iseo. Quanto ai Rosé, l’edizione 2019 della competizione (che per la prima volta è uscita dai confini scaligeri per trovare ospitalità a Orvieto, grazie alla collaborazione con il Consorzio Tutela Vini Doc) ha confermato l’assoluta eccellenza della più antica cantina del Regno Unito: Camel Valley (www.camelvalley.com),
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iconica maison lungo l’omonimo fiume in Cornovaglia, ha visto premiato il suo Brut Rosé, quest’anno col millesimo 2016. Le bollicine della Regina Elisabetta hanno conquistato anche i trenta giurati del concorso provenienti da cinque Paesi (Cina, Giappone, Regno Unito, Svezia e Italia) guidati da RICCARDO COTARELLA, presidente mondiale degli enologi, col supporto di SEVERINO BARZAN, del Grand Jury Européen, e il mio. Ad affiancare sul podio Camel Valley, due Metodo Classico italiani, provenienti dal nord e dal sud: Cantina sociale di Trento (www.cantinasocialetrento.it), col suo Trentodoc da coltivazione sostenibile, e Dragone, da Matera (dragonevini.com), che ha conquistato il premio per miglior Rosé da vitigno autoctoni. Complessivamente sono stati assegnati, Rosé inclusi, 28 riconoscimenti ufficiali, poco oltre il 20% dei vini messi in gara. La gara La competizione si è svolta come da regolamento. Tutti i giurati (complessivamente nelle tre sessioni di degustazione si sono alternati 23 giurati per poco meno di 2.900 giudizi assegnati) hanno degustato alla cieca tutti i vini. Rispetto alle precedenti edizioni, il presidente Riccardo Cotarella ha inserito anche delle sessioni di discussione post assegnazione del voto, così da valutare i differenti approcci da parte delle diverse “scuole” presenti: enologi, giornalisti, sommelier, professionisti del mondo del vino non enologi italiani e non italiani. La competizione ha confermato la forza della tradizione francese (ben nove vini nei dieci primi classificati) e la vitalità della produzione italiana che fa forza proprio sul grandissimo patrimonio ampelografico nazionale: tantissimi i vitigni autoctoni, enormi le differenze di clima e suolo, ma una grande tensione alla crescita qualitativa. Basti pensare che, fra il primo assoluto, ed il primo degli Italiani (Alex Belingheri, campione del mondo per gli autoctoni) non c’è nemmeno un punto percentuale di differenza, ma soltanto 72 centesimi. «Con entusiasmo ho aderito alla proposta del Challenge internazionale Euposia di presiedere una giuria così prestigiosa e di alto valore professio-
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nale» dichiara Riccardo Cotarella, che continua: «Penso che sia un’ottima occasione per promuovere l’eccellenza e il prestigio di uno dei fiori all’occhiello dell’enologia italiana e di tutto il mondo, il vino elaborato col metodo della rifermentazione in bottiglia. Fuori concorso, in una masterclass riservata, abbiamo degustato e sottoposto a giudizio gli Orvieto Classico 2018 dei soci del Consorzio». I migliori italiani Gli spumanti italiani non hanno sfigurato nella competizione. Anche in questo caso, nemmeno un punto percentuale separa il campione del mondo dal miglior Metodo Classico italiano: l’Equipe5 millesimo 2014 di CANTINA DI SOAVE (www.cantinasoave.it). Lo spumante creato da cinque fra i più innovativi enologi trentini negli anni Sessanta che già nel 2010 aveva conquistato il titolo di “miglior metodo classico del Veneto”. Alle sue spalle, Decugnano dei Barbi (www.decugnanodeibarbi.com), che viene premiato in quanto miglior Metodo Classico italiano non proveniente da una denominazione, ma dichiarato semplicemente VSQ: l’obiettivo degli organizzatori era infatti di riconoscere ufficialmente chi si impegna nella spumantistica sebbene non in terroir tradizionalmente vocati a questa tipologia produttiva, una sfida nella sfida. Cantina d’Isera, I Barisei, Fongaro, Valle della Versa e Lorenz Martini si pongono invece al vertice delle classifiche delle rispettive denominazioni: Trentodoc, Franciacorta, Lessini Durello, Oltrepò Pavese e Alto Adige. Metodo identico anche per i Rosati: l’Alta Langa di Antonio Colombo è il miglior Italiano seguito da Terra dei Re come VSQ e da Kettmeir, Cesarini Sforza, Rebollini e Cavicchioli come migliori fra, rispettivamente, Alto Adige Doc, Trentodoc, Oltrepò Pavese e Lambruschi. I premi speciali Il Premio Severino Barzan vieilles vignes che va a premiare la storicità delle produzioni è stato attribuito a Villa Rinaldi (villarinaldi.it), maison veronese, che ha fatto dell’eccellenza il suo tratto distintivo, mentre il Premio Peugeot-PSA riservato alle realtà che più si impegnano per la sostenibilità ambientale va quest’anno all’Associazione dei
L’elenco completo dei vincitori 2019 Bianchi • Campione del Mondo: Paul Chollet, Crémant de Bourgogne, Francia • Campione del Mondo Bio: Eric Rominger, Crémant d’Alsace, Francia • Campione del Mondo autoctono: Alex Belingheri, Italia • Miglior SW Francia: Champagne Gardet • Miglior SW Italia: Cantina di Soave, Equipe5 • Miglior SW Italia VSQ: Decugnano dei Barbi • Miglior SW Europa: Miroglio, Bulgaria • Miglior SW Americhe: Malma, Argentina • Miglior SW UK: Poulton Hill • Miglior Franciacorta: I Barisei • Miglior Trentodoc: Cantina d’Isera • Miglior Alto-Adige: Lorenz Martini • Miglior Lessini Durello: Fongaro • Miglior Oltrepò: La Versa Rosé • Campione del Mondo: Camel Valley, UK • Campione del Mondo autoctono: Dragone, Italia • Campione del Mondo lotta integrata: Cantina Trento, Italia • Miglior SW Rosé Francia: Champagne Perrier Jouet • Miglior SW Rosé Italia: Colombo Antonio (Alta Langa) • Miglior SW Rosé UK: Sharpham • Miglior SW Oltrepò Cruasé: Rebollini • Miglior SW Rosé Ita VSQ: Terra dei Re • Miglior Trentodoc: Cesarini Sforza • Miglior Alto-Adige: Kettmeir • Miglior Lambrusco: Cavicchioli-Rosé del Cristo
vignaioli del Regno Unito proprio per la generale attenzione all’ambiente ed al paesaggio che sta caratterizzando questi produttori impegnati anche nella salvaguardia di tenute e dimore storiche. Riccardo Lagorio Nota A pagina 108, photo © boule1301 – stock.adobe.com
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GAVI DOCG, UN VINO… CORTESE di Riccardo Lagorio
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Italia è uno stivale pieno di vini per tutti i gusti e tutte le tasche. Un immenso patrimonio derivato da una straordinaria ricchezza di varietà che allignano nel nostro Paese. Come per miracolo, le uve si presentano in innumerevoli varianti, esponenzialmente riprodotte grazie alla varietà di suoli, dei climi, dell’esposizione al sole o della vicinanza al mare. Un imponderabile algoritmo moltiplicatore che fornisce un consistente contributo all’economia, all’ambiente rurale, alla storia e al paesaggio. In breve: alla cultura. E se le due regioni più blasonate per la produzione di vino, Piemonte e Toscana, sono note in tutto il mondo per i loro grandi vini rossi, non si può dimenticare che le colline che cingono il Po sono generose genitrici anche di ottimi vini bianchi. Come nell’Astigiano e nell’Alessandrino, dove oltre alle Cattedrali sotterranee di Canelli che hanno custodito per secoli il mito del Moscato e alla saga del recuperato Timorasso del Tortonese, l’uva Cortese esalta da secoli l’area intorno a Gavi. La Denominazione di Origine Controllata (DOC) arriva a Gavi nel 1974, mentre la DOCG compie 10 anni a novembre di quest’anno.
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La DOCG ha avuto il merito di obbligare i produttori a contenere le rese per ettaro e ha permesso di aumentare le tipologie: Tranquillo, Frizzante, Riserva (con almeno un anno di invecchiamento, di cui 6 mesi in bottiglia) e Riserva Spumante Metodo Classico (che trascorre almeno 18 mesi sui lieviti). Una denominazione che si estende su 11 comuni e che risulta tra le più vivaci in Italia, con indici di crescita del numero di bottiglie a due cifre negli ultimi anni e che ha incrementato la superficie vitata di circa il 60% in vent’anni dai 1.000 ettari di fine Novecento. Una denominazione tradizionalmente vocata ai mercati internazionali (circa il 65% è esportato), essendo presente in 65 Paesi e che «ha avuto la fortuna — dice DARIO BERGAGLIO dell’azienda La Chiara (lachiara.it), — di svilupparsi accanto a territori noti per grandi rossi, Langhe e Monferrato». Spiega che «ogni giorno diventa più importante il turismo legato all’arte e al cibo»: la specificità di Gavi, un luogo piccolo e speciale, è percepito come vantaggio. Di conseguenza i Gavi DOCG del comune di Gavi sono il fiore all’occhiello della cantina e tra questi l’Etichetta Nera proviene da un vigneto di 45 anni d’età. Spiccano i profumi balsamici e floreali, il corpo caldo e
A pagina 110: il castello di Gavi (photo © Maurizio Ravera). In alto: il Gavi Docg è prodotto tradizionalmente da uve Cortese 100%, coltivate all’interno di una precisa area geografica, della fascia meridionale della provincia di Alessandria. Il sistema di allevamento è a Guyot, caratteristico della viticoltura di qualità (photo © Maurizio Ravera).
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Nato per le corti, il Gavi non ha mai tradito la sua vocazione all’eleganza, affinata ulteriormente in epoca moderna attraverso tecniche all’avanguardia, fino ad ottenere un vino rinomato ed apprezzato in tutto il mondo. persistente lo fanno abbinamento ideale per sogliole in guazzetto e sarde fritte. Per incontrare un vino adatto per l’aperitivo ci si ferma poco prima, all’azienda vinicola Marchese Luca Spinola (marcheselucaspinola.it). Si stappa la bottiglia di Marchese col Fondo, un metodo ancestrale, ovvero rifermentato in bottiglia con i suoi propri lieviti e, lo dice l’etichetta, il fondo. «Bisogna ricordare che i lieviti depositati possono creare una leggera torbidità, che è segno di genuinità» spiega. Dall’effervescenza continua sgorga un liquido piacevolmente viperino, dal profumo d’iris e crosta di pane. Nella tenuta, spazi per picnic e due laghetti. Di lontano il profilo del Santuario della Madonna della Guardia e il borgo di San Cristoforo, belvedere da
cui apprezzare l’Appennino ligure e le Alpi. «Da vitigni esposti a sud collocati dove spira una brezza continua, nella frazione Rovereto, provengono le uve che usiamo per Massimiliano, il Gavi di Gavi DOCG, vanto della casa». Una piccola collezione di vecchie annate restituisce sensazioni esclusive. La 2007, per esempio, orlava il bicchiere con un civettuolo color ambra, volute di pesca gialla illuminate da sprazzi di albicocca. Una gioia suppletiva la bocca, ampia ed evoluta. È il segno che anche per il Gavi la fretta è maldestra consigliera. Attendere prima di stappare sembra essere la parola d’ordine anche in questa fetta di Piemonte. Dagli aperti spazi della Cascina Massimiliana all’azienda Molinetto
Una denominazione, quella del Gavi Docg, che si estende su 11 comuni e che risulta tra le più vivaci in Italia, con indici di crescita del numero di bottiglie a due cifre negli ultimi anni e che ha incrementato la superficie vitata di circa il 60% in vent’anni dai 1.000 ettari di fine Novecento
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di DIEGO CARREA di Francavilla Bisio (molinettocarrea.it) si segue il corso del fiume Lemme verso nord. Diego Carrea è un esperto informatico, ma ha deciso di battere la strada delle vigne, come il padre Matteo e lo zio Domenico. La sua scelta d’amore verso la terra si compie nel Re•lys, il Gavi DOCG talmente caratteristico da diventare un’icona: riflessi verdognoli nel bicchiere segnato da delicati profumi floreali, secco e gradevole, di buon corpo e con il finale amarognolo. Per questo, superbo con il risotto allo zafferano. Per incontrare la tradizione contadina che si ripete con i tanti giovani che oggi guidano le cantine dei padri, ma girano il mondo con l’ipod per gli ordini e portano il Gavi DOCG nei nuovi mercati internazionali, si può anche raggiungere Novi Ligure, sulla Strada Lomellina, in un intrico di boschi che descrive la grande biodiversità del territorio. All’Azienda Agricola Binè (bine.wine) gli 11 ettari di vigne sono stati piantati tra il 2000 e il 2005, 8 di Cortese. NICCOLÒ e LORENZO GHIO, con laurea in tasca, rappresentano il volto nuovo del Gavi DOCG. «La nostra sfida è di trasmettere un’identità, essere riconoscibili e individuabili. A partire dall’etichetta,
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che raffigura il vigneto ad anfiteatro vicino alla cantinaÂť. Che funziona con un impianto geotermico, a dimostrazione della sensibilitĂ nei confronti dell’ambiente. Sbalorditivi i profumi di camomilla e arnica che qualificano “11â€?, il Gavi DOCG sulle cui etichette vengono riportate le coordinate del mappale. Si abbina con il cappon magro. Ma è anche la storia di ALICE GROSSO, giovane che ha scelto di immortalare sull’etichetta del Gavi DOCG piĂš rappresentativo, Villavecchia, un volto di donna alla Modigliani. ÂŤLa vigna del 1964 piantata su terreni argillosi e al limite meridionale della DOCG conferisce proprietĂ esclusive al vinoÂť. Affermazione avventata? Per nulla: la sovramaturazione delle uve sfocia in un’esplosione di profumi di gelsomino e arancia, con un tocco di ammandorlato finale che rende praticamente unico questo vino paglierino pieno e rotondo. Si prova con la formaggetta del Parco Naturale della Capanne di Marcarolo e con la torta di riso di Bosio, ricca di zafferano. A La Caplana (lacaplana.com) si stanno sperimentando anche la fermentazione e l’invecchiamento in anfora, che garantiscono una speciale microssigenazione. Il Cortese e il Gavi DOCG sono entrambi predisposti per essere longevi. E plurali. Chi vuole approfondire il tema deve tornare a Gavi, alla Cantina di Mario Castellari Bergaglio (castellaribergaglio.it), dove vengono alla luce 7 versioni diverse di Gavi. Tra queste lo Spumante Metodo classico Docg ArdĂŠ rimane per 18 mesi sui lieviti. Bollicine fini e persistenti; il retrogusto di nocciola lo fa applicare con determinazione ai piatti con molluschi, risotti e polpo con patate su tutti. C’è poi Rovereto, ÂŤuna vigna nel territorio di Gavi messa in piedi anche con cloni prefilossera e una esposizione eccellente, anche se difficile da lavorare. Non sempre infatti le scelte hanno un obiettivo esclusivamente economico, anzi. Spesso si guarda piĂš alla soddisfazione ed al piacere di fare cose particolariÂť dice con entusiasmo. Bicchiere ampio, glicerico, persistente. Vuole funghi trifolati e Robiola di Roccaverano DOP. Rolona, Gavi DOC di Gavi, e Fornaci Gavi DOCG si distinguono per aromi citrini l’uno e floreali il secondo. L’attributo plurale dato al Gavi e alla sua
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uva, il Cortese, lo si apprezza a Parodi Ligure, nel regno di FEDERICA CARRARO. Le Marne (lemarne.net) prende nome dalle tipiche marne bianche di argilla che qualifica l’Oltregiogo ligure. Al di sopra del monastero dedicato a San Remigio e del torrente Albedosa, a 330 metri di altitudine, la vigna Zagante offre uno spaccato di questa enodiversità con Oro, il Gavi DOCG dal profumo di rosa, un’unghia di pompelmo in bocca e il finale sapido. Altro marcatore il profumo di nocciola. PerchÊ il naso la si percepisca evidente bisogna scendere a Capriata d’Orba e incontrare la quarta generazione dei PESTARINO, impersonata da ANDREA (alviopestarino.com). Le poche bottiglie di Girossa Gavi DOCG rivelano con evidenza aromi di frutta secca, che si accentuano nelle ancora piÚ rare bottiglie di Passione, il passito di Cortese che affina tre mesi in cassette. La pigiatura di gennaio e la maturazione in barrique parzialmente scolme per almeno 3 anni forgiano un vino ambrato, gradevoli sfumature d’aromi ossidativi, dattero e agrumi e bocca lunga di caramello e liquirizia. Di nuovo attraversando il Lemme, a Tassarolo CINZIA BERGAGLIO (cinziabergagliovini.it) è riconoscibile per il geoide immortalato sulle etichette, simbolo del lavoro fatto per rendere il terreno adatto alla coltivazione delle vigne. La Fornace Gavi Docg, 2017, giallo paglierino, profuma di mela verde e melone. Asciutto e armonico in bocca, ha due accompagnamenti preferiti: la trota alla brace e gli spaghetti alle vongole. L’annata 2013, d’intenso giallo paglierino, naso cacao e frutta secca, prima fra tutti la nocciola, ampia e complessa in bocca, non ci si stupisca dell’azzardo: il caviale Oscietra. Accomodà ti al ristorante La Gallina (villasparinaresort.it), di fronte alle ampie vetrate che guardano le colline di Gavi, nella bottiglia dall’insolita silhouette, il Monterotondo Gavi DOCG che esce dalla connessa azienda agricola, non perde colpo di fronte agli gnocchi con basilico di Prà o alla cernia con porcini grazie al suo essere agrumato e sbarazzino. Per queste colline, quanto è reale lo slogan della FAMIGLIA MOCCAGATTA, proprietaria di uno e dell’altra: il vino come principio creativo. Riccardo Lagorio
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SANTA SOFIA,
IL PROGETTO DI ESPANSIONE E LA NUOVA CANTINA Fondata nel 1811, l’azienda vinicola Santa Sofia ha sede a Pedemonte, a nord di Verona, nella villa gentilizia del XVI secolo opera di Andrea Palladio e conosciuta come Villa Serego, in una delle zone più belle e temperate della Valpolicella classica. Forte di una produzione in crescita, la famiglia Begnoni si appresta ora a realizzare una nuova cantina coerente coi principi della sostenibilità ambientale di Massimiliano Rella
Al di sotto della villa palladiana si trovano le cantine del XVI secolo dove sono state poste le barriques per la maturazione della riserva di Amarone Gioè, i vini Arlèo, Predaia, Valpolicella Superiore Montegradella, Recioto della Valpolicella, Recioto di Soave.
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ra i marchi più noti e importanti dell’Amarone della Valpolicella e di Recioto c’è senza dubbio la cantina Santa Sofia, un’azienda produttrice di vini di qualità con 69 ettari vitati a Nord Ovest di Verona, area tra le più vocate della regione Veneto. Qui a Pedemonte (VR) la FAMIGLIA BEGNONI, il papà Giancarlo e il figlio Luciano, guidano da anni un’azienda la cui sede ricade in una pregiata Villa Palladiana, le cui origini risalgono al 1565, anno in cui il nobiluomo MARCANTONIO SEREGO, affidandosi al famoso architetto ANDREA PALLADIO, fece erigere nella sua proprietà una superba villa gentilizia, oggi simbolo della cantina. Forte di una produzione di 600.000 bottiglie l’anno i Begnoni si apprestano ora a realizzare un nuovo progetto di espansione, apprestandosi a realizzare una nuova cantina non distante dalla sede storica di Pedemonte. Una scelta dettata da importanti risultati conseguiti in questi anni e che comporta un investimento stimato di 8 milioni di euro. «L’individuazione della nuova struttura è frutto di una lunga ricerca, maturata dopo tanti sopralluoghi» racconta Luciano Begnoni. «Quando con mio padre e la mia famiglia abbiamo finalmente trovato lo spazio ideale che cercavamo ci siamo dedicati con tutte le energie ad ottenerlo. Il nuovo progetto dovrà rispecchiare l’identità storica di Santa Sofia, ma è importante anche che il nuovo edificio sia coerente con i principi di sostenibilità ambientale. Si tratta di una vecchia costruzione da ripensare e ristrutturare, che non deve avere alcun impatto negativo sull’ambiente, nel rispetto del nostro modo di operare e di fare i vini, che ci contraddistingue da sempre». Santa Sofia produce anche vini di Soave, Recioto di Soave, Recioto della Valpolicella, oltre a grappe e olio extravergine d’oliva. Attualmente le bottiglie sono custodite nella parte più antica della cantina risalente al ‘300 e realizzata unicamente in tufo, dove in grandi botti di rovere di Slavonia maturano alcuni dei vini rossi più importanti: l’Amarone, il Valpolicella Superiore Montegradella e il Valpolicella Ripasso. Nella cantina di costruzione più recente, realizzata nel ‘700 con volte in mattoni, sono invece custoditi i serbatoi
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In alto: vigneto Briago. In basso: dal 1996 Villa Santa Sofia è inserita nel patrimonio mondiale dell’UNESCO assieme alle altre dimore realizzate da Andrea Palladio. d’acciaio in cui maturano i vini più giovani e freschi di Santa Sofia: Bardolino, Bardolino Chiaretto, Soave, Lugana, Custoza, Pinot grigio e Merlot Corvina. Invece, nelle cantine costruite insieme alla villa palladiana nel XVI secolo, e già allora dedicate alla conservazione del vino, si trovano le barrique di rovere francese riservate alla maturazione del Gioè Amarone della Valpolicella Classico, del Recioto della Valpolicella Classico e del Valpolicella Classico Superiore Montegradella. I vini che richiedono una maturazione più lunga prima d’essere presentati al pubblico affinano in bottiglia negli ampi spazi della villa: la prima bottiglieria, collocata sotto la villa e risalente al XVI
secolo, contiene fino a 80.000 “pezzi”; la seconda ha invece una capacità di 70.000 bottiglie. «I risultati di questo nuovo investimento si vedranno col tempo» conclude Luciano Begnoni. «Riteniamo che il nuovo progetto sia un passo fondamentale per lo sviluppo di Santa Sofia, oggi presente in 65 Paesi, dove esportiamo buona parte della nostra produzione, dalla Francia alla Scandinavia, dagli USA al Canada». L’azienda su prenotazione è aperta a degustazioni e visite alle secolari cantine, tra archi in pietra e antiche botti. Massimiliano Rella >> Link: www.santasofia.com
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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA
Degustazione: lievitati casalinghi di Laura Franchini
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l nostro Paese riscopre una mai celata passione per la cucina casalinga, anche e soprattutto rivolta alla panificazione e alla lievitazione. Complice il periodo di isolamento obbligato al quale siamo stati costretti dall’epidemia di coronavirus, volenti o nolenti ci siamo messi ai fornelli, cercando di fare del nostro meglio, anche per passare il tempo e distrarci dalla paura e dalle tristi notizie che giungevano dai media. Con ottimi risultati! Le tante risorse del web hanno messo a disposizione tutorials e trucchi affinché anche i più inesperti potessero autoprodursi pane & affini. La scorta di lievito nei supermercati è stata messa in difficoltà, ma col tempo e con la pazienza si è trovato il
modo di produrre in casa anche il lievito, continuando così a sperimentare nuove ricette. Il momento difficile ha visto anche una consistente crescita delle consegne a casa, da parte di supermercati, botteghe, distributori e produttori, che con solerzia hanno colto la possibilità di garantire le forniture ai consumatori, anche in termini di bibite e vino. Molti produttori vinicoli si sono organizzati per consegnare direttamente a casa, così come molti distributori e siti internet di vendita vino hanno implementato i servizi di delivery, con risultati più che soddisfacenti. Ecco quindi una proposta degustativa ispirata da una situazione difficile, ma che potremo far nostra anche e soprattutto nei momenti di libertà.
Chiusi in casa per settimane al fine di contenere l’emergenza sanitaria, gli Italiani si sono riscoperti panificatori, pizzaioli e pasticceri, facendo incetta di farina e lievito, diventano quasi introvabile. Pane, pizza, focaccia, da accompagnare con un buon calice di vino. Perché trattarsi bene è un dovere quotidiano
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Pizza e vino si può, anzi, si deve, sia con la “verace napoletana” che con le pizze gourmet, con o senza pomodoro. Con le giuste accortezze, cercando cioè un equilibrio gustativo, si avranno grandi soddisfazioni (photo © natashaphoto – stock.adobe.com).
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Pane & Salame – Barbera d’Alba DOC Tulin Pelissero Giorgio Il forno di casa può regalare tante soddisfazioni, prima fra tutte una bella pagnotta di pane fragrante. Tante le ricette e le possibilità, in commercio si trovano anche degli elettrodomestici adatti a questo scopo, come le macchine per il pane o le impastatrici, ma basta anche solo farina, lievito e braccia volenterose per ottenere ottimi risultati. E quando affetterete la vostra creazione, come non farsi venire voglia di accompagnarla con una profumata fetta di salame? Il vino adatto ad accompagnare questa deliziosa merenda è un calice altrettanto profumato di Barbera della cantina PELISSERO di Treiso, in provincia di Cuneo. Affinato in barrique per due anni, si presenta ben profumato di frutta rossa, spezie e vaniglia. Al palato è correttamente fresco e nervoso, caldo di tono alcolico ben equilibrato, persistente tannico, sapido, ritorni di note minerali, caratterizzato da una grande bevibilità. Ottimo con piatti strutturati, non sfigurerà con un semplice panino col salame, merenda perfetta.
Azienda Vinicola e Cantina Pelissero Giorgio Via Ferrere 10 12050 Treiso (CN) Telefono: 0173 638430 E-mail: pelissero@pelissero.com Web: www.pelissero.com
Gnocco ingrassato col prosciutto – Lambrusco di Sorbara DOC Spumante Brut Il Selezione Vezzelli Francesco Ricetta modenese preparata con prosciutto crudo, esiste anche la versione con i ciccioli, altrettanto gustosa. Farina, lievito di birra, acqua, sale e prosciutto crudo, a voi la scelta se utilizzare solo la parte magra del salume o anche un poco del suo gustosissimo grasso. Otterrete in ogni caso una focaccia morbida e profumatissima, da mangiare come companatico e come merenda. Il vino scelto è anch’esso modenese, della cantina VEZZELLI FRANCESCO. Si tratta del Lambrusco di Sorbara Brut Il Selezione, ricchissimo di note tipiche e linde di fragole e lamponi, scorze di agrumi ed erbe balsamiche. Al palato è suadente e armonica la schiuma e la sorsata intera, con freschezza e pulizia. Si presta all’abbinamento con tutta la cucina del territorio, tortellini in brodo, bolliti e anche a sfiziose merende casalinghe, con gnocco ingrassato, crescentine e salumi misti.
Vezzelli Francesco Strada Nazionale Canaletto Nord 878 41122 Modena Telefono: 059 318695 E-mail: info@francescovezzelli.it Web: www.francescovezzelli.it
Pizza – Cerasuolo di Vittoria DOCG Sabuci Cortese Vini Un sogno quello di farsi la pizza in casa buona come quella delle migliori pizzerie. Forse non sarà esattamente come quella cotta nel forno a legna, ma anche il forno domestico può regalare gioie sorprendenti. Molto dipenderà dalla lunghezza della lievitazione dell’impasto e, ovviamente, dalla qualità delle materie prime. Se siete in possesso di un’impastatrice, quello di cui avete bisogno, dunque, è solo un poco di pazienza e ingredienti di ottima qualità, a cominciare dalle farine. Ma volete mettere la soddisfazione di una pizza con fiordilatte, acciughe, olive e basilico fresco, quello che coltivate sul balcone? Il vino in abbinamento è un Cerasuolo di Vittoria DOCG Sabuci della CANTINA CORTESE, prodotto col 60% di Nero d’Avola, fatto fermentare in barriques aperte, e il 40% di uve Frappato, che fermentano in anfore fuori terra. Ne risulta un vino complesso e allo stesso tempo straordinariamente equilibrato e fruibile, immediato, dal tannino setoso su note fruttate tipiche, ottima armonia di sapidità e intensità.
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Az. Agr. Cortese C.da Sabuci SP3 km 11 97019 Vittoria (RG) Telefono: 0932 1846555 E-mail: info@agricolacortese.com Web: www.agricolacortese.com
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Pane alle olive – Nero d’Avola Terre Siciliane Duca Enrico Duca di Salaparuta
Duca di Salaparuta Via Nazionale SS 113 90024 Casteldaccia (PA) Telefono: 091 945201 E-mail: info@duca.it Web: www.duca.it
Nella zona trentina del Lago di Garda si prepara un pane con le “molche”, il residuo polposo della lavorazione delle olive dopo la spremitura. Ispirandosi a questa ricetta è possibile preparare un gustosissimo pane, con l’aggiunta di un paio d’etti di olive snocciolate. Potete tritarle fino ad ottenere una pasta morbida che aggiungerete all’impasto o tagliarle grossolanamente. Il pane che otterrete sarà ottimo da solo, così come in accompagnamento con formaggi morbidi e ricotta fresca. Il vino scelto per accompagnare queste fette profumate è il Nero d’Avola Terre Siciliane Duca Enrico delle CANTINE DUCA DI SALAPARUTA. Questo marchio storico, sinonimo di qualità costante, propone eccellenze ben radicate nella tradizione enologica siciliana. Non fa eccezione questo vino, brillante di intensità, convincente, dal tannino intenso ma ben calibrato. Regala profumate e pulite note di frutta scura, tabacco, amarene e salamoia.
Focaccia ligure – Riviera Ligure di Ponente DOC Pigato Sogno VisAmoris
VisAmoris Strada Privata Molino Javé 23 18100 Imperia E-mail: Web: www.visamoris.it
Non è difficile preparare la focaccia ligure in casa, proprio quella gustosissima focaccia lucente di olio che si gusta a Lerici, di ritorno dal mare. Ci vuole solo la pazienza di attendere i tempi di lievitazione e un buon forno per la cottura e il risultato è garantito. Lasciatele solo il tempo di raffreddarsi e gustatela a fette, durante un aperitivo in balcone, accompagnandola con un calice di Pigato VISAMORIS, da sempre portabandiera della produzione aziendale. Sono ora i FRATELLI TOZZI a capo di questa splendida realtà, che produce vini non banali, ben radicati nella tradizione di vitigni e territorio. Sogno è fresco e morbido, con grande armonia di parti tenere e dure, sentori complessi e articolati, anche derivanti dal passaggio in legno, che spaziano dalla vaniglia alle erbe aromatiche e descrittori del vitigno. Un calice adatto all’abbinamento con la cucina di pesce del territorio e non, con un fumante piatto di tagliolini al pesto, ma anche con una fetta di focaccia ben unta.
Piadina romagnola – Sangiovese Superiore Romagna Marta Valpiani Rosso Cantina Marta Valpiani
Azienda vinicola Marta Valpiani Via Bagnolo 158 47011 Castrocaro Terme e Terra del Sole (FC) Telefono: 393 5853808 E-mail: info@vinimartavalpiani.it Web: www.vinimartavalpiani.it
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Farina, acqua, strutto (o olio d’oliva per i vegetariani), un pizzico di lievito o bicarbonato, sale e una padella capiente. Una volta cotte le piadine possono essere conservate in frigorifero per 2/3 giorni e farcite a piacimento. La tradizione propone di gustarle con prosciutto crudo e altri salumi, oppure con squacquerone e rucola, ma sono tante le proposte creative e le possibilità di farcitura. Provatele con salsa di avocado e gamberetti oppure con mousse di tonno e cipolline in agrodolce. Ovviamente la scelta del vino in abbinamento sarà adeguata agli ingredienti, ma un calice di Sangiovese romagnolo sarà sempre uno splendido compagno della piadina col salume. Siamo sui colli di Castrocaro con questo calice prodotto dalla “cantina di sole donne” di MARTA VALPIANI e la figlia ELISA MAZZAVILLANI. Un vino di grandissima bevibilità e tradizione, avvincente e fresco, tipico di frutta rossa e ricordi terrosi, armonico e convincente, assolutamente garbato ed elegante.
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TECNOLOGIE
Collaborare con CSB-System ai tempi del Covid-19 #forwardtogether attraverso la crisi
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nche se al momento nessuno sa esattamente quando finirà la crisi scatenata dal Covid-19, una cosa è sicura: noi di CSB-System vi affiancheremo, affinché il vostro business continui a funzionare. Per questo non abbiamo esitato ad aumentare la nostra offerta di consulenza e servizi e a digitalizzarli.
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Siamo a vostra disposizione Nonostante tutte le preoccupazioni siamo lieti che molti nostri clienti ricevano in questo periodo il riconoscimento che si meritano. Produttori di generi alimentari, del settore commercio e della logistica hanno continuato a lavorare nonostante i rischi e i disagi causati dalla situazione attuale, fornendo i beni di prima necessità alla popolazione. Ringraziamo voi e i vostri dipendenti. Restate in salute! Andrè Muehlberger Direttore CSB-System Srl
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Se la fiera è stata cancellata, o l’appuntamento è saltato, c’è la conferenza web e il supporto on-line è sempre a disposizione.
Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
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16 Lovers Lane, The Go-Betweens
Watch the butcher shine his knives di Giovanni Papalato
C
i sono band che commercialmente ce l’hanno fatta e tante altre che riempiono comunque la vita di fedeli ascoltatori. Non è per forza una questione di qualità o, almeno, non sempre. Insomma, non è detto che se qualcuno vende poco non offra qualcosa di eccellente e non necessariamente che chi vende tanto debba in altro modo proporre qualcosa di scadente. Ma le dinamiche per cui certe cose arrivino o meno ad un grande pubblico sono argomento di discussione in molti ambiti, sia che si tratti di cibo sia che si parli di musica. Da una parte, mai abbastanza hype per il pubblico inglese e, dall’altra, troppo diversi per la natia Australia, i GO-BETWEENS hanno vissuto questo insoddisfacente contrasto come in una sorta di limbo, citati ad ogni ascesa e ad ogni fallimento di essere i più o meno effimeri fenomeni indie-pop di entrambi i Paesi. Questa normalità non ha impedito loro di scrivere e pubblicare sottovalutate, per lo più, ignorate, eccellenze. Esordiscono nel 1982 con Send Me A Lullaby e si sciolgono (temporaneamente, si scoprirà poi) nel 1988 con un disco che rimane il loro capolavoro: “16 Lovers Lane”. E quale collegamento c’è per questa rubrica direte voi? Proprio da questo album il primo singolo estratto è l’unico brano ad aver ottenuto un piccolo successo commerciale. Si chiama Street Of Your Town e comincia così:
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Don’t the sun look good today? But the rain on its way. Watch the butcher shine his knives, And this town is full of battered wives. Round and round up and down, Through the streets of your town
“Round and round up and down Through the streets of your town Everyday I make my way Through the streets of your town Don’t the sun look good today? But the rain on its way Watch the butcher shine his knives And this town is full of battered wives” È una scena in cui si racconta il girovagare senza una destinazione precisa, ma nella familiarità delle proprie strade, in quel miscuglio di insoddisfazione e rassicurazione che tutti abbiamo vissuto almeno una volta. L’instabilità, la mutevolezza come sotto un cielo che da terso sia pronto a riempirsi di nuvole e pioggia. In una città piena di mogli malconce dalla routine, mentre il macellaio lucida i suoi coltelli. Ecco il collegamento, in uno dei brani più rappresentativi del disco, sicuramente il più conosciuto. Ma in “16 Lovers Lane” c’è tanto altro. C’è più di quanto si possa pensare in un album di soli 37 minuti uscito alla fine degli anni Ottanta da una band australiana, non proprio il centro nevralgico della produzione musicale, con tutto il rispetto del caso. C’è lo spettacolo struggente di violini che si sollevano e scendono come in un volo, grancasse che pulsano, chitarre che illuminano e voci che non raccontano soltanto. Oboi, tastiere, crescendo schiantati, diminutivi, tuoni, fulmini, le stelle, frivolezze e sovrappensieri, dichiarazioni d’amore sfacciate e inconfessate, i desideri, i rimpianti e i rimorsi, l’eccezionale e l’ordinario, tutti i grandi e piccoli gesti drammatici e le manifestazioni irrazionali dell’emotività che rendono le canzoni d’amore indie e pop una sorta di affermazione indiscutibile della nostra goffa e meravigliosa identità.
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Ecco perché si conficcano tra petto e gola e salgono fino a non poter andare più via. Ed ecco perché la “normalità” dei The Go-Betweens, stavolta davvero in bilico tra gli estremi, è così importante. Perché le tensioni interpersonali e la fine di un percorso artistico in cui due amici fraterni, ROBERT FORSTER e GRANT MCLENNAN, non riescono a divincolarsi l’uno dall’altro, è uno scambio così ricco da commuovere. Sono cambiati tanto nel corso degli anni e dei dischi, ma qui sembrano raccogliere tutto con la freschezza dei primi anni e, allo stesso tempo, con la consapevolezza dell’esperienza. Il risultato tra le trame strumentali di FORSTER e i testi di McLennan è un album liricamente più complesso dei lavori precedenti e brutalmente sincero. E mentre batteria di Lindy Morrison è concreta e tiene tutti a terra sani e salvi, i due autori hanno smania ed eludendo ogni tipo di sicurezza si emancipano. La produzione rigorosa, senza orpelli inutili, rende le loro dichiarazioni d’amore ancora più irriverenti. In un perfetto incastro le canzoni si susseguono come in una ricerca, rispettando le idealizzazioni: così l’amore è un ideale eterno (Love Goes On), un conforto (Quiet Heart), un simbolo (Love Is A Sign), un’inevitabilità (You Can’t Say No Forever) e, infine, la salvifica traccia di bellezza in un mondo desolato (The Devil’s Eye). Riportati alla realtà (rifiuto, tradimento e violenza domestica), apprendono che l’amore può essere accecante come cieco. Scegliendo come epilogo, assecondando la loro natura romantica, idealmente di tuffarsi nel ricordo dell’amore (Dive For Love). “16 Lovers Lane” è un capolavoro spesso trascurato. The Go-Betweens non si sciolsero per sempre con questo disco, visto che 12 anni dopo, era il 2000, si ritrovarono per poi pubblicare tre dischi molto belli prima della prematura scomparsa di McLennan, evento che irrimediabilmente chiuse la loro storia. Ma non potevano certo saperlo quando nel 1988, in preparazione di quella che doveva essere la fine, scrissero un disco che vale la carriera di tanti altri e che ancora suona in maniera incredibile. Giovanni Papalato Nota A pagina 124, photo © Lucio Pellacani.
STORIA E CULTURA
NON Ã&#x2C6; SEMPRE TUTTO ORO QUELLO CHE LUCCICA di Josette Baverez Blanco
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Premiata Salumeria Italiana, 3/20
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ccoci qui, tutti confinati per un virus, il Covid-19, che ha generato una vera e propria pandemia. Chi non ha problemi particolari, logistici o di salute, coglie questo periodo di inattività forzata per dedicarsi di più alla cucina casalinga. Si cerca di riscoprire le ricette tradizionali, quelle dai profumi inebrianti che trasformavano e trasformano ancora oggi la casa, quando ci si prende il tempo di stare ai fornelli, in un nido accogliente. Al di là della gastronomia, però, è tale e tanto diffusa la nostalgia del “C’era una volta…”, le “chiare e dolci acque” del buon tempo antico, che dovremmo forse sfatare certi miti. Andiamo allora molto a ritroso. Se leggiamo le pagine degli statuti corporativi medievali, dei cronisti, di certe sentenze processuali, ci accorgiamo che fino al ‘700 la realtà non era affatto rosa bensì piuttosto inquietante. In Toscana, ad esempio, là dov’era prosperosa l’industria laniera, le acque dei fiumi erano colorate, azzurro per il guado e rosso per la robbia, colori usati per tingere le stoffe. In certi paesi detti del Terzo Mondo con ancora le stesse usanze ritroviamo le stesse acque vistosamente inquinate. Vogliamo parlare della Senna che attraversa Parigi? Acqua fangosa assolutamente non potabile che raccoglieva gli scarichi più vari, anche dei macelli. I pozzi poco profondi erano veramente deleteri e la dissenteria era all’ordine del giorno. Gli acquaioli, che incontriamo ancora oggi nei paesi in via di sviluppo, portavano l’acqua dalla campagna solo per i più danarosi. Finalmente nel ‘600 la Ville Lumière si dotò di numerose fontane dalle acque salubri. Nelle osterie vigeva spesso l’inganno utilizzando recipienti con doppi fondi o servendo vini amari e puzzolenti. L’inadeguata conservazione faceva inacidire i vini ma spesso la scarsa qualità era dovuta al fatto che il terreno dei vigneti era stato mal concimato. Cosa dire dell’olio d’oliva? La sua estrazione e lavorazione, non chiedendo niente di chimico, si suppone dovesse essere genuina. Tutt’altro! Si scopre infatti che nel ‘700 era proibito mescolarlo con l’olio di papavero usato per la pittura e con potenti effetti narcotici.
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Chi di noi non ha ricordato almeno una volta il passato come qualcosa di roseo e desiderabile, molto migliore del presente? Un’età dell’oro irrimediabilmente perduta. Eppure, che si stesse meglio in passato è un falso mito: spesso, infatti, come scrisse Roberto Gervaso, “abbiamo nostalgia del passato anche perché ce lo siamo dimenticati” Fino al XX secolo, il pane è stato un alimento di base, in Europa, per il popolo. Anche questo è stato soggetto di frodi. Ad esempio, a Venezia nel ‘300, gli stati corporativi facevano giurare ai mugnai e biadaioli di riempire correttamente i sacchi. Chicchi scadenti ed erba marcia erano ricoperti di merce buona, grano o fieno per ingannare chi si accontentava di aprire il sacco. Sempre a Parigi, l’uso del sale nella panificazione ricopriva l’odore della farina ammuffita. Altro “trucco” che ha generato varie leggi, l’uso esagerato del lievito per alleggerire le pagnotte che si vendevano a pezzo e non a peso. Per secoli, sul sagrato di Notre-Dame, si vendeva ai più poveri il pane mal cotto o non lievitato per niente. In tempi di carestia, in campagna, la gente si ingozzava di pane di segale, farro, miglio misti a radici e terriccio. Sappiamo tutti che il latte è stato spesso annacquato, come il vino d’altronde, ma pochi sono a conoscenza che nel Medioevo al formaggio veniva aggiunto del grasso all’esterno per farlo apparire più ricco. Nel trattato “Reggimento e costumi di donna”, composto tra 1318 e 1320 dal notaio toscano FRANCESCO DA BARBERINO, è interessante scoprire le sue diffide contro le pollivendole che riempivano il gozzo di pernici e capponi per farli pesare di più e contro le verduriere che ricoprivano di foglie fresche la frutta marcia. La conservazione della carne è sempre stata una “questione” molto delicata. Questa veniva spesso presentata ai banchetti annegata da spezie o avvolta da fumi e profumi per nasconderne l’odore nauseabondo, ma questa sua stessa decomposizione provocava spesso gravi disturbi digestivi ai commensali. A Parigi, i beccai spacciavano di frequente per vitelli da latte animali
nati morti e vendevano carne di capra al posto del montone. In Germania, nel ‘700, i vini erano trattati con litargirio d’argento per toglierne l’acidità, generando però coliche atroci, paralisi e persino morte. Gli Olandesi usavano un miscuglio di arsenico, zolfo e bitume per conservare a lungo il vino fresco ma provocando dissenterie mortali. Gli enologi francesi mischiavano lo champagne mediocre all’olio di ravizzone con acqua di betulla, ambedue innocui, per nobilitare e far spumeggiare di più questo vino. Ecco qui qualche sofisticazione del passato del quale abbiamo nostalgia considerandone solo gli aspetti “sani”. Basta soffermarsi a riflettere un po’ più a lungo per rammentare la scarsa igiene in generale, scoprire che nel tempo la mente umana che si crede furba è sempre la stessa e che ci conviene ancora oggi essere sempre vigili nei nostri acquisti, quindi conoscitori ad ampio raggio. Si potrebbe, ad esempio, approfittare di questo periodo di confinamento per imparare a leggere più chiaramente le etichette, i vari simboli usati nel commercio non solo alimentare e divertirci a fare una ricerca su tutti i “trucchi” usati tutt’ora dai produttori o dai commercianti per scaricare prima possibile la merce in scadenza o già scaduta! Facciamo in modo insomma che questo periodo sia utile per noi e per la famiglia invece di coglierne solo gli aspetti negativi. Josette Baverez Blanco Nota A pagina 126, Scena di mercato, affresco di una delle lunette del porticato del castello di Issogne, Valle d’Aosta, XVXVI secolo, dettaglio (photo © upload. wikimedia.org).
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LIBRI
Guida agli Extravergini 2020 Come scegliere e dove trovare un buon olio extravergine da portare in tavola
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a Guida agli Extravergini di SLOW FOOD ITALIA è uno strumento utile per conoscere, scegliere e trovare i migliori oli della nostra Penisola. Da oltre vent’anni il volume segnala il meglio della produzione italiana di qualità. Coi suoi 100 collaboratori, che non sono solo esperti degustatori, ma persone presenti sul territorio, che conoscono le aziende dall’oliveto alla bottiglia, la Guida racconta 580 realtà tra frantoi, aziende agricole e oleifici, recensisce 943 oli tra gli oltre mille assaggiati. La Chiocciola è il simbolo assegnato alla realtà olivicola per il modo in cui interpreta valori (organolettici, territoriali e ambientali) in sintonia con la filosofia di Slow Food. La nuova edizione si può acquistare sul sito di Slow Food Editore, www.slowfoodeditore.it
La campagna 2019-2020 Secondo i dati aggiornati a metà marzo da ISMEA ammontano a 365.000 le tonnellate di olio di oliva prodotte nell’ultima campagna 2019-2020. Un quantitativo che equivale a oltre il doppio rispetto alla terribile annata 2018. I risultati produttivi, sottolinea l’ISMEA, dividono perfettamente in due la Penisola: al Nord ci sono delle riduzioni particolarmente significative che in alcuni casi hanno portato quasi all'azzeramento dei volumi, mentre gli
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incrementi sono tutti concentrati nelle regioni meridionali, alcune delle quali hanno raddoppiato o triplicato gli scarsi volumi della campagna scorsa. Il centro è in chiaroscuro. Le regioni del Centro Italia Qui l’andamento non è univoco. Alle regioni adriatiche che vedono un incremento della produzione di oltre il 50% (Abruzzo, Molise e Marche) rispetto al 2018, si contrappongono i dati negativi di Lazio, Toscana e Umbria, mediamente registrano una flessione intorno al 25%, dovuti alla ciclicità che caratterizza la produzione olivicola (ad esempio il cultivar Borgiona in Umbria non ha dato produzione) e al ritardo della fioritura causata dalle basse temperature di inizio primavera (maggio è risultato il più freddo degli ultimi 60 anni). In Toscana e parte dell’Umbria poi c’è stato il problema della mosca che è stata particolarmente aggressiva. In questa situazione la differenza qualitativa dell’olio l’ha fatta, poi, il momento della raccolta: chi non è stato particolarmente colpito da attacchi di mosca a fine estate e ha ritardato il momento del distacco dell’oliva aspettando le piogge ha in generale ottenuto oli eccellenti, mentre altri risentono della polpa poco idratata delle olive. Questa situazione non omogenea emerge molto bene dalle schede della guida e dai
Guida agli extravergini 2020 Come scegliere e dove trovare un buon olio extravergine da portare in tavola 580 aziende e 943 oli di qualità Slow Food Editore pp. 320 Prezzo al pubblico: € 16,50; on-line: € 14,03; soci Slow Food: € 13,20 premi che la Guida agli Extravergini ha assegnato in questa porzione della Penisola.
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